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TERZA SERIE

AVVERTENZA

1. Con il presente decimo volume, che contiene la documentazione relativa alla politica estera italiana nel periodo dal 29 maggio 1906 al 31 dicembre 1907, si conclude la serie terza. Tale periodo comprende la prima fase dell’attività del ministero formato da Giovanni Giolitti (29 maggio 1906-11 dicembre 1909), nel quale il Ministero degli affari esteri fu affidato a Tommaso Tittoni. Quest’ultimo tornava alla Consulta dopo aver già ricoperto tale incarico nel ministero Giolitti (1903-1905) e nel ministero Fortis (marzo-dicembre 1905), ed era stato quindi nominato ambasciatore a Londra.

2. La selezione della documentazione pubblicata è stata effettuata tenendo presenti gli argomenti di maggiore importanza della politica internazionale del periodo e in base al criterio della maggiore o minore rilevanza di tali argomenti per gli interessi della politica estera dell’Italia.

Fra questi, i negoziati relativi all’accordo tripartito sull’Etiopia del 13 dicembre 1906 occupano una parte notevole dell’attività del ministro degli esteri e della documentazione pubblicata. Il 6 giugno 1906, pochi giorni dopo aver assunto la carica, Tittoni, convinto sostenitore dell’espansione coloniale italiana in Etiopia, diede le istruzioni per la ripresa delle trattative per l’accordo tripartito sulla base del testo proposto dal Governo francese. I negoziati si svolsero a Parigi, in occasione della visita di Tittoni il 29 giugno, e proseguirono a Londra, dove il ministro si recò dal 4 al 6 luglio e dove il testo del trattato venne parafato. Dopo la parafatura si svolsero i negoziati con Menelik per ottenerne l’adesione e, di fronte alle obiezioni sollevate da Menelik, con i Governi britannico e francese in ordine alla firma definitiva del trattato, in attesa di ottenere tale adesione. Il 5 dicembre, pochi giorni prima della firma definitiva dell’accordo, venne consegnata la risposta positiva di Menelik sulla convenzione, che riteneva non lesiva dei suoi diritti sovrani. L’attività di Tittoni in relazione all’Etiopia proseguì, dopo la firma dell’accordo tripartito, sui problemi che sorsero per la sua applicazione, date le direttive del Governo britannico, divergenti rispetto all’interpretazione data all’accordo dal Ministero degli affari esteri italiano e alle finalità che Tittoni si proponeva di raggiungere per la penetrazione economica italiana.

Altro tema rilevante della politica estera italiana nel periodo coperto dal volume è quello dei rapporti con l’Austria-Ungheria. Il ritorno di Tittoni alla Consulta venne accolto “avec joie” da Goluchowski, dato il noto filo-triplicismo del ministro. Dopo la nomina, il 24

ottobre 1906, del conte von Aehrenthal quale successore di Goluchowski, il ministro della Casa Imperiale e Reale e degli Esteri dichiarò di voler proseguire la politica del suo predecessore nei rapporti con l’Italia; Tittoni rispose con una dichiarazione analoga ed entrambe le dichiarazioni vennero pubblicate. Sin dal 30 ottobre Aehrenthal espresse l’intenzione di recarsi in Italia per rendere sempre più stretti i rapporti fra i due Governi e il 25 aprile 1907 comunicò il proposito di recarsi a Berlino e a Roma. La documentazione qui pubblicata comprende la preparazione del viaggio e i resoconti della visita di Aehrenthal a Berlino. I colloqui fra Tittoni e Aehrenthal si svolsero a Desio il 15 luglio e a Semmering, quando Tittoni ricambiò la visita, il 22-24 agosto 1907. Nel volume viene pubblicato il verbale dei colloqui di Desio, concordato nell’incontro del Semmering (D. 432, riprodotto in fac-simile).

Anche i rapporti italo-britannici costituiscono una parte importante nell’attività del Ministero. Durante il periodo considerato nel volume si svolse la visita di re Edoardo VII a Vittorio Emanuele III, a Gaeta, e il colloquio fra Tittoni e Hardinge a margine dell’incontro. La documentazione pubblicata comprende l’incontro del marchese di San Giuliano con Edoardo VII a Napoli, il 27 aprile 1907. In relazione ai rapporti italo-francesi il 22 giugno 1906 Tittoni ebbe un incontro con il ministro degli esteri francese, Léon Bourgeois, di cui si pubblica il verbale redatto dall’ambasciatore a Parigi, conte Tornielli, presente al colloquio.

La documentazione edita riguarda inoltre la seconda conferenza della pace dell’Aja, sulla quale Tittoni ebbe un colloquio con von Bülow il 30-31 marzo 1907, la questione balcanica, in particolare la questione macedone, il problema dell’irredentismo e la penetrazione economica in Tripolitania, al centro dei colloqui nella missione di Selim Pascià a Roma nell’ottobre-novembre 1907.

3. Anche per questo volume le fonti sono quelle conservate presso l’Archivio storico del Ministero: archivio segreto di Gabinetto e della Segreteria Generale, telegrammi in partenza e arrivo, Serie Politica “P” (1891-1916), archivi delle ambasciate, carte di personalità, archivio del Ministero dell’Africa Italiana. Alcuni telegrammi, non presenti nella serie dei registri, sono stati tratti da altri fondi ministeriali, come segnalato in nota. Va ricordato al lettore che per i telegrammi provenienti dall’estero l’ora di partenza indicata nell’intestazione è quella del fuso orario locale. Inoltre, per questa serie di anni, i registri non recano l’ora di arrivo che è stata integrata, ove possibile, sulla base delle copie conservate nella Serie “P”.

Analogamente ai precedenti volumi della serie terza, altre fonti che hanno concorso a costituire la documentazione raccolta in questo volume provengono dalle ricerche svolte presso l’Archivio Centrale dello Stato, in particolare dalle Carte Martini. Per colmare le poche lacune esistenti negli archivi italiani, si possono utilizzare le collezioni dei documenti tedeschi, inglesi e francesi: 1) Die Grosse Politik der Europäischen Kabinette 1871-1914, Berlino, Deutsche Verlagsgesellschaft für Politik und Geschichte, 1922-1926; 2) British Documents on the Origins of the War, 18981914, Londra, His Majesty’s Stationery Office, 1926-1938; 3) Documents Diplomatiques Français (1871-1914), Parigi, Imprimerie Nationale, 1929-1959.

4. Molti dei documenti qui pubblicati sono stati trascritti, integralmente o in parte, nell’opera di F. Tommasini, L’Italia alla vigilia della guerra, vol. III (Bologna, Zanichelli, 1937), in molti casi omettendo i dati che consentirebbero la loro identificazione. Benché non si sia data indicazione analitica nelle note di tutti documenti

citati e parzialmente pubblicati da Tommasini, si è tuttavia provveduto a verificarne l’esistenza in archivio. Alcuni documenti, inoltre, sono già editi nel Libro Verde n. 107 (Documenti diplomatici presentati al Parlamento italiano dal ministro degli affari esteri di San Giuliano. Marocco, seduta del 15 giugno 1911, Roma, Tipografia della Camera dei Deputati, 1911) e nel volume IV de Il Diario eritreo di Ferdinando Martini (Firenze, Vallecchi Editore, s.d.).

5. Il volume era stato in gran parte predisposto da Pietro Pastorelli al momento della sua scomparsa, nell’agosto 2013. Pastorelli aveva impostato la ricerca, analogamente al precedente volume nono della stessa serie, e aveva effettuato la scelta dei documenti da pubblicare. A chi lo firma è stato sufficiente curare la parte finale della preparazione. Per tutte le fasi di questa è stato indispensabile, come sempre, il lavoro svolto con capacità e passione dai funzionari archivisti di Stato presso la Segreteria Generale del Ministero degli affari esteri. In particolare, la dott. Maria Laura Piano Mortari e la dott. Rita Luisa De Palma hanno assicurato una preziosa assistenza in tutte le fasi necessarie per la pubblicazione del volume: le ricerche nell’Archivio Storico del Ministero, la prima selezione dei documenti, la predisposizione dell’apparato critico, la preparazione per la stampa. La dott. De Palma, inoltre, ha curato le ricerche presso gli altri archivi esterni al Ministero degli affari esteri. Quanto alle sezioni accessorie del volume, la dott. Piano Mortari ha predisposto la tavola metodica e la dott. De Palma i regesti e l’indice dei nomi, quest’ultimo con la collaborazione della signora Andreina Marcocci; le appendici sono state redatte a cura della signora Marcocci. Il non semplice compito della decifrazione e trascrizione dei documenti, spesso manoscritti e in lingua straniera, è stato effettuato dalla signora Andreina Marcocci e dalla dott. Claudia Polveroni. La revisione e messa a punto finale del volume per la pubblicazione sono state curate in particolare dalle dottoresse De Palma e Piano Mortari. Hanno collaborato alla correzione delle bozze le dottoresse Francesca Grispo e Paola Tozzi Condivi. A tutti i funzionari citati va il ringraziamento del curatore, in modo particolare alle dottoresse Piano Mortari e De Palma per aver collaborato con professionalità e dedizione alla preparazione del volume.

***

Nel congedare questo volume, mi sia consentito ricordare l’attività dedicata con grande passione, oltre che con indiscussa autorevolezza, da Pietro Pastorelli a questa collezione, prima come membro della Commissione per il riordinamento e la pubblicazione dei documenti diplomatici italiani, poi come suo vicepresidente e quindi, dal 1990, come presidente. Pastorelli, dopo aver collaborato con Mario Toscano alla preparazione di numerosi volumi della serie nona, ha curato personalmente venti volumi delle serie terza, quinta, ottava, nona, decima e undicesima e ha riordinato l’archivio del Gabinetto e della Segreteria Generale del Ministero (1923-1943), redigendone l’inventario. Nel corso di un cinquantennio, con la sua presenza solitamente quotidiana, dirigendo i lavori della Commissione istituita da Alcide De Gasperi nel 1946, Pastorelli ha dato un contributo essenziale alla continuazione della collezione, seguendo i principi scientifici impostati da Federico Chabod e da Mario Toscano, e ha lasciato su di essa un’impronta indelebile.

FRANCESCO LEFEBVRE D’OVIDIO


DOCUMENTI
1

L’AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1450/29. Pietroburgo, 30 maggio 1906, ore 19.

In risposta alla comunicazione da me fattagli giorni sono in base al telegramma di V.E. n. 12011, il sig. Isvolsky mi ha oggi dichiarato che il recente progetto del Governo francese, certamente, già noto alla E.V., mirava ad appagare molte delle aspirazioni cretesi e come tale quindi suscettibile ad escludere la temuta eventualità della proclamazione della annessione alla Grecia per parte della nuova Assemblea cretese e ciò tanto più che la vittoria nelle elezioni del partito governativo lascia indurre che l’Assemblea si presterà docilmente ai passi che il principe Giorgio promise di fare onde evitare tale dimostrazione.

Il sig. Isvolsky mi disse però ritenere che, i passi che secondo il progetto francese dovrebbero fare presso il Re di Grecia i rappresentanti delle quattro potenze in Atene, dovrebbero aggiungere la dichiarazione che le potenze sarebbero anche disposte a procedere ad uno scambio di idee sopra una più radicale soluzione della questione cretese a condizione tuttavia che il Re prenda tutte le misure possibili per far cessare la perniciosa attività delle bande greche in Macedonia che tanto ostacola l’opera pacificatrice delle potenze. Avendo io domandato al sig. Isvolsky quali fossero quelle misure più radicali a cui accennava, egli mi confidò che ciò si ricongiungeva in parte ad un progetto comunicatogli da Londra che sarebbe stato ideato dal Re d’Inghilterra durante il suo ultimo viaggio in Atene e di cui sir Charles Hardinge avrebbe pure intrattenuto a Parigi il sig. Bourgeois, secondo il quale le potenze avrebbero delegato al Re degli Elleni parte dei loro poteri su Creta, come ad esempio, la nomina dell’alto commissario da non scegliersi però fra membri della Famiglia Reale di Grecia. Avendo io fatto osservare come il progetto in questione, corrispondente di fatto ad un inizio di annessione e come tale almeno sarebbe senza dubbio universalmente considerato, avrebbe provocato al più alto grado l’irritazione della Sublime Porta, che vi vedrebbe una violazione degli impegni contratti dalle potenze ed avrebbe avuto la più perniciosa ripercussione in Macedonia, il ministro degli affari esteri mi disse che

dello stesso avviso era pure l’ambasciatore di Russia a Costantinopoli ed il suo collega di Francia. Inghilterra invece cui sembra stia molto a cuore la riuscita di quel progetto, pretende che avrebbe nei Balcani una influenza pacificatrice.

1 1 Vedi serie terza, vol. IX, D. 722.

2

L’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1457/91. Parigi, 31 maggio 1906, ore 16,20.

Ieri questo ministro degli affari esteri mi ha lungamente intrattenuto delle due posizioni diverse, successivamente assunte dal ministro e delle proposte inglesi relative alla Canea. Egli ha detto che stava elaborando i termini di una proposta conciliativa, di cui ha indicati i punti principali. A tal fine egli era entrato in uno scambio d’idee preliminari con Pietroburgo e Londra. Gli ho domandato se Barrère era incaricato informare il R. Governo e mi rispose negativamente, osservando che l’opera sua si limitava, per ora, a trovare un componimento conciliativo delle proposte russe ed inglesi, le quali erano certamente conosciute dal R. Governo. Preciso queste circostanze perché evidentemente questo ministro degli affari esteri ha voluto con la fattami […]1 mettere a giorno il R. Governo del carattere dell’azione attualmente da lui spiegata. Mi pare evidente che l’armeggio della diplomazia condurrà prossimamente al riconoscimento di qualche cosa che corrisponderà ad una annessione larvata della Creta alla Grecia; e ció osservo acciocchè il R. Governo sia in grado di prendere in tempo la posizione che meglio corrisponda ai suoi interessi ed alle tradizioni della sua politica.

3

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI

DISP. RISERVATO 27679/43. Roma, 31 maggio 1906.

Mi è pervenuto il rapporto della S.V. in data del 9 corrente n. 1091, relativo alla situazione politica di codesto Paese.

Colla stessa occasione ella mi informa delle raccomandazioni da lei fatte di recente al sig. Pachitch, perché la questione degli ufficiali cospiratori sia al più presto risolta.

3 1 Vedi serie terza, vol. IX, D. 701.

Approvo che la S.V., colla abituale sua prudenza, si sia limitata, in questa circostanza, a parlare in suo nome personale. Per ora infatti, non credo che sia il caso di fare certi passi ufficiali né a proposito di quella questione, né a proposito delle altre accennate nel rapporto, al quale rispondo.

2 1 Gruppo mancante.

4

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI,

AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, TORNIELLI, E A PIETROBURGO, MELEGARI

T. 1285. Roma, 3 giugno 1906, ore 14.

La questione cretese forma in questo momento oggetto di uno scambio preliminare di idee e proposte tra i Gabinetti di Londra, Parigi e Pietroburgo. Per quanto ci concerne, non tocca certamente a noi, avuto riguardo alle nostre tradizioni nazionali ed agli oneri ed imbarazzi che ci ha procurato e continua a procurarci il nostro intervento nella questione cretese, di metterci in prima linea per eccepire contro la eventuale annessione dell’isola alla Grecia, benché di tale soluzione non possiamo dissimularci le difficoltà e le complicazioni che potrebbero derivarne. E neppure ci conviene di prendere la iniziativa di rilievi circa i progetti che, del predetto scambio di idee, formano il tema, benché la materia di rilievi ed obiezioni non manchi, a noi sopratutto premendo di evitare la responsabilità di un insuccesso, e non essendo noi stessi in grado di presentare altre proposte. In tale stato di cose è naturale che il nostro atteggiamento sia quello di una benevola aspettazione, in attesa che, dall’uno o dall’altro dei tre Gabinetti ci sia comunicata una concorde conclusione delle presenti loro trattative.

5

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. 12911. Roma, 5 giugno 1906, ore 14,35.

Secondo era già stato proposto dai delegati italiano e britannici nel convegno di Roma del dicembre 19032, Governo britannico consente dichiarare che strade carova-

51 Trasmesso via Asmara. 2 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 84.

niere fra le stazioni italiane sul Giuba e provincie meridionali Etiopia saranno lasciate aperte al commercio del Benadir attraverso territorio britannico sulla riva destra del Giuba e del Daua. Governo britannico autorizza Harrington ad appoggiare la S.V. nella questione Lug.

6

IL MINISTRO A SOFIA, CUCCHI BOASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 739/174. Sofia, 4-5 giugno 1906 (perv. il 13).

Al mio ritorno a Sofia ho trovato la situazione politica internazionale assai mutata. Le relazioni del Principato colla Turchia sembrano divenute migliori tanto da lasciar supporre una felice conclusione degli accordi commerciali in corso a Costantinopoli e ciò mi venne pure confermato dal dott. Natchevitch venuto a Sofia per qualche giorno e ch’ebbi occasione di vedere l’indomani del mio arrivo.

I rapporti poi fra l’Austria-Ungheria e la Bulgaria che erano tanto tesi, son divenuti, pel momento, dei più cordiali come lo riferiva con esattezza all’E.V. il r. incaricato d’affari nel suo rapporto delli 23 maggio u.s. 685/1641. Il Gabinetto di Vienna sembra voler ora esser largo di blandizie quanto lo fu prima di minaccie. Di questo nuovo atteggiamento si è avuta una prova non solo col premuroso invio dell’i. r. stazionario a Varna ma anche col telegramma diretto il 31 maggio dall’imperatore Francesco Giuseppe al principe Ferdinando per felicitarlo calorosamente ad un tempo per la sua festa patronale e per la inaugurazione del nuovo porto bulgaro sul Mar Nero. Tale telegramma riuscì particolarmente gradito in quanto che non era mai accaduto che S.M. I. e R. facesse pervenir direttamente i suoi auguri a Sua Altezza Reale né si aspettava qui ch’egli volesse associarsi anche personalmente alle feste celebrate a Varna.

Dopo queste feste considerate qui come un gran successo della politica del Principe ed una specie di riconoscimento solenne da parte di tutte le grandi potenze della situazione di fatto della Bulgaria, corrono voci che il Principe, sicuro della consueta benevolenza della Russia e delle potenze occidentali, approfittando delle nuove disposizioni dell’Austria-Ungheria ed anche della Germania (manifestatesi in occasione della visita del Duca e della Duchessa di Schleswig-Holstein alla sua Corte) possa tentare di conseguir l’indipendenza del Principato ed il titolo regio.

Si dice pure che per raggiunger tal fine il Governo bulgaro, conscio della impossibilità di veder prossimamente realizzarsi il sogno grandioso di questo popolo, sarebbe anche disposto a qualche atto che in apparenza significasse una rinunzia alle idee d’espansione oltre i confini attuali e che l’opinione pubblica (la quale sempre si

oppose per le ragioni ben note a V.E. ai voti del Principe) potrebbe, colle lusinghe della soddisfazione morale che ne verrebbe alla Bulgaria, esser condotta ad accogliere l’idea della proclamazione del Regno.

Credo mio dovere di riferir tali voci a V.E. ma difficile, pel momento, è il dire se abbiano o meno un fondamento. A semplice titolo di cronaca aggiungo che l’agente diplomatico d’Austria-Ungheria ed il commissario imperiale, dopo le feste di Varna, si son recati per mare a Costantinopoli.

P.S. Sofia, 5 giugno 1906 (sera).

Avendo avuto oggi l’occasione di vedere il sig. Petkoff, dopo il suo ritorno da Varna, S.E. mi disse che le voci corse circa la proclamazione dell’indipendenza non hanno alcuna base.

6 1 Non pubblicato.

7

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. PERSONALE. Vienna, 5 giugno 1906.

Permetta ch’io le faccia pervenire in occasione del suo ritorno alla Consulta le mie deferenti congratulazioni e le esprima, in pari tempo, il vivo mio compiacimento di poter servire di nuovo sotto l’alta sua direzione.

L’annuncio della nomina di lei a ministro degli affari esteri è stata accolta qui col maggior favore e nel parlarmi di essa il conte Goluchowski mi disse che aveva appreso avec joie che l’E.V. riprendeva la direzione della nostra politica estera.

In questi ultimi tempi un certo qual cambiamento a nostro favore è avvenuto nell’opinione pubblica della Monarchia, per ora appena percettibile in Austria, ma più accentuato in Ungheria, ove non si celano i sentimenti di simpatia verso l’Italia. È da augurare che le disposizioni benevoli che cominciano a manifestarsi verso di noi, in occasione della polemica cui diede luogo nella stampa di entrambi i paesi il telegramma dell’imperatore Guglielmo al conte Goluchowski dopo la chiusura della conferenza di Algeciras e la progettata visita di Sua Maestà in Vienna, siano per prendere piede e possano condurre a stabilire, col dissipare man mano le diffidenze latenti che sussistono tuttora, una corrente di cordialità giovevole ai nostri reciproci rapporti.

La visita dell’imperatore Guglielmo che aveva qui provocato, appena se ne ebbe notizia, i più svariati commenti, è ora considerata con più ponderatezza: credo superfluo di riandare quanto ebbi a riferire al predecessore dell’E.V. coi miei telegrammi personali nn. 70, 71 e 76 del 13, 16 e 25 maggio scorso1 per confutare le erronee supposizioni che si facevano allora circa la medesima.

La situazione del conte Goluchowski nel Ministero comune dell’Impero è divenuta da qualche tempo piuttosto precaria. Gli attacchi, dei quali era stato fatto segno da parte della stampa e degli uomini politici ungheresi, sembrano essersi per ora alquanto rallentati dopo la riconciliazione della Corona colla coalizione, ma si sono per contro resi più manifesti in Austria ove egli viene accusato di non aver tutelato con sufficiente energia, di fronte alle esigenze magiare, gli interessi della Cisleitania nel recente conflitto originato dalla tariffa doganale comune. Si prevede quindi che non tanto la sua politica estera quanto il suo contegno negli affari interni della Monarchia formeranno oggetto di viva discussione nelle prossime delegazioni, specialmente da parte dei membri di quella austriaca.

Quantunque non si possa dire che la situazione del conte Goluchowski sia veramente scossa, godendo egli per il momento della fiducia dell’Imperatore, il suo allontanamento dal Ballplatz è considerato, in generale, come probabile se nel frattempo non sopravvengano eventi atti a modificare le disposizioni poco favorevoli a suo riguardo che si constatano in entrambi le parti della Monarchia.

D’altra parte l’allontanamento di lui potrebbe forse esser giudicato necessario dallo stesso Imperatore se egli, che si è finora pronunciato sempre contrario all’introduzione del suffragio universale, si trovasse, coll’andare del tempo, nel persistere in tale parere, in contrasto di opinione coi Governi austriaco ed ungherese che si accingono ora a procedere alla sua attuazione.

Egli del resto si dimostra stanco ed infastidito per le continue accuse che gli vengono rivolte e che gli rendono meno agevole che per l’innanzi il compito affidatogli.

La sua partenza dal Ballplatz, ove avvenisse, non potrebbe non essere da noi vivamente lamentata per il contegno amichevole che tenne sempre a nostro riguardo e per le benevoli disposizioni che ci dimostrò in più circostanze, le quali è da sperare si possano incontrare in eguale misura nel suo eventuale successore.

Il candidato che avrebbe maggiori probabilità di essere scelto come tale, sembra sia, al momento in cui scrivo, il barone di Burian, attuale ministro delle finanze, che conosco da più anni essendo stato suo collega durante la mia missione in Grecia. Il suo carattere eccessivamente riservato non permette però di portare un giudizio esatto sulle disposizioni di lui se egli fosse per insediarsi al Ballplatz. Ma non è da dubitare che egli procurerebbe di seguire la linea di condotta savia e prudente del conte Goluchowski e di coltivare con cura i nostri reciproci rapporti, tale essendo il desiderio di S. M. l’Imperatore. Del resto le condizioni interne della Monarchia non gli permetterebbero, ove anche ne avesse l’intenzione, di accingersi ad una politica più attiva ed intraprendente di quella del conte Goluchowski.

Queste condizioni non sono certamente molto confortanti. La calma regna ora nei circoli politici ungheresi, ma i problemi la cui soluzione fu in parte eliminata ed in parte rimandata ad una data posteriore, in seguito alla riconciliazione della Corona colla coalizione, ritorneranno all’ordine del giorno, trascorso quel periodo di sosta, e formeranno indubbiamente oggetto di vivaci discussioni quando si dovrà por mano alla revisione dell’Ausgleich che scade nel 1907.

Quanto all’Austria il nuovo Ministero, a cui si è riuscito di dare una base parlamentare nonostante le divergenze che separano tra loro i varii partiti nazionali, si è costituito innanzi tutto nell’intento di procedere alla revisione di quel patto e di

opporsi alle esigenze dell’Ungheria se queste fossero intese ad ottenere una modificazione qualsiasi parziale ed unilaterale di esso. Le disposizioni che si manifestano da entrambe le parti fanno prevedere nuove difficoltà che potrebbero aggravare e dare una maggior estensione alla crisi da cui la Monarchia è travagliata da più tempo.

Ma un indizio che non erasi ancora avvertito nella opinione pubblica in Austria si è quello di una certa qual opposizione latente verso il Sovrano per l’autorizzazione da esso data al sig. Wekerle di presentare al Parlamento ungherese la tariffa comune della Monarchia, nonostante il parere contrario emesso dal Governo austriaco, ciò che provocò le dimissioni del principe di Hohenlohe.

Nella discussione, di cui tale questione fu oggetto nel Parlamento austriaco, si manifestarono sentimenti poco deferenti verso S. M. l’Imperatore, specialmente da parte di coloro che nutrivano, per l’innanzi, la maggior devozione per la sua persona, né si celò la viva irritazione che il suo contegno aveva provocato.

In tale circostanza corse pure la voce di una probabile abdicazione dell’Imperatore, voce però del tutto infondata e che non era altro che l’espressione di coloro che avrebbero visto con piacere che la Corona fosse affidata a mani più giovani ed energiche. Qui non s’ignora però che Sua Maestà non si deciderebbe ad abbandonare il trono, venendo così meno alla missione alla quale crede di essere stato chiamato per volontà divina, che nel solo caso, forse, in cui movimenti popolari, che egli abborre, non lo costringessero a fare un tal passo.

Ho creduto mio debito, al momento in cui V. E. riassume la direzione del Ministero degli affari esteri di esporle succintamente le condizioni della politica del Governo imperiale e reale, sia interna che estera, specialmente per ciò che riflette i nostri reciproci rapporti.

7 1 Vedi serie terza, vol. IX, DD. 710, 716 e 734.

8

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL COMMISSARIO CIVILE PER L’ERITREA, MARTINI1

T. 13002. Roma, 6 giugno 1906, ore 20.

I telegrammi nn. 1045 e 11883 le furono inviati quando si credeva il negoziato per l’Etiopia potesse non riuscire. Non mi risulta che il mio predecessore si fosse messo d’accordo col Ministero del tesoro circa il modo di fornire a Menelik mezzi per proseguimento ferrovia, la cui continuazione è già un fatto compiuto dalla parte di Addis Abeba per alcuni chilometri verso l’Auasc, né l’attuale ministro del tesoro è disposto a dare i fondi. Io ho ora ripreso negoziato per il detto accordo che, con

2 Trasmesso via Asmara. 3 Vedi serie terza, vol. IX, DD. 672 e 721.

opportune modificazioni, spero sarà, con reciproca utilità, conchiuso. Così stando le cose, parmi pericoloso spiegare presso Menelik, alla insaputa di Francia e Inghilterra, un’azione isolata, di molto dubbia efficacia, non avendo noi i mezzi di contrastare proseguimento di una impresa che Menelik vuole e per la quale Francia ed Inghilterra sono ormai d’accordo. Un nostro tentativo, mentre non avrebbe alcuna probabilità di successo, ma solo, forse, quello di ritardare una soluzione, avrebbe certo effetto di metterci in urto con le due potenze con cui stiamo trattando. Per queste ragioni, mentre non revoco le istruzioni impartitele dal mio predecessore, le modifico nel senso che sieno sospese fino a che l’E.V. non abbia sul luogo esaminata la situazione e scrutate le vere intenzioni di Menelik, in attesa di ricevere da me definitive istruzioni dopo che sarà noto l’esito del negoziato per l’accordo.

8 1 Ed. in F. MARTINI, Il Diario Eritreo, vol. IV, Firenze, Vallecchi, [s.d.], pp. 420-421.

9

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI

T. RISERVATO 1307. Roma, 6 giugno 1906, ore 20.

Voglia comunicare ufficialmente a sir. Edmond Grey ed a Cambon che il Governo italiano è pronto a firmare subito la convenzione per l’Abissinia, quando nella formula dell’accordo proposta ultimamente dalla Francia siano introdotte le tre modificazioni seguenti:

ad art. 4, lettera b: «les intérêts de l’Italie en Éthiopie par rapports à l’Erythrée et à la Somalie (y compris le Benadir) et plus spécialement en ce qui concerne le hinterland de ces possessions et la communication territoriale entre elles»;

ad art. 6 e 7: aggiungere all’inciso «les nationaux des trois pays» 1e parole «ainsi que des autres nations». Togliere all’art. 7 l’ultima clausola relativa al diritto di transito;

ad art. 9: aggiungere dopo l’inciso «s’interdisent de construire» le parole «en dehors de leurs territoires»; e dopo la parola «concurrence» aggiungere «directe».

Con ciò s’intenderebbe eliminata la dichiarazione segreta. Senza che io le dia ulteriori spiegazioni, le conversazioni che io ho avuto con lei a Londra in argomento, la pongono in grado di dimostrare quanto siano giuste le nostre domande. La prego di telegrafarmi per qualunque chiarimento le occorresse1.

9 1 La risposta non è stata rinvenuta.

10

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 68. Londra, 6 giugno 1906, ore 19,44 (perv. ore 22,10).

Gorst, che io ho visitato oggi per altro affare, mi ha detto, di sua iniziativa, che Grey è assai curioso di conoscere deliberazioni nuovo Gabinetto italiano circa convenzione Abissinia. Che esso ricorda promessa fattagli da V. E. come ambasciatore d’informarlo al più presto e che conta che V. E. la manterrà come ministro, perché sarebbe dolentissimo se le circostanze lo obbligassero ad intendersi con Francia senza noi. Gorst mi ha personalmente promesso che, se qualche cosa accadesse in tal senso, io ne sarò informato preventivamente.

11

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

DISP. 30089/100. Roma, 6 giugno 1906.

Ho il rapporto della S.V. del 29 dec. aprile1 col quale mi si accusa ricevimento di un esemplare del Libro verde ultimo della «Somalia Italiana Settentrionale».

Nell’occasione la S.V. mi fa notare, come sia ben difficile all’Imperatore di Abissinia di impartire ordini ai suoi capi di confine, affinché essi si astengano dal fare razzìe fra le popolazioni somale da noi riconosciute quali soggette alla autorità del Mullah.

Comprendo tali difficoltà, anche perché Menelik non può materialmente far sentire la sua autorità a genti tanto lontane dalla sua sede, né penso che egli debba fare una spedizione militare sempre che un capo tribù sconfini, e venga a razziare in territorio nostro. Trovo però che a qualche cosa varrà la conoscenza fra le popolazioni soggette all’Imperatore d’Abissinia che questi disapprova tutti quelli atti che possono turbare le relazioni di buon vicinato e la pace stessa.

L’apprezzamento che coll’accordo d’Illig si siano concessi al Mullah territori della regione dell’Ogaden, sui quali Menelik crede di avere diritti indiscutibili di sovranità, non mi sembra esatto: ad ogni modo questo punto si riallaccia alla questione generale della delimitazione di frontiera fra Abissinia e Somalia italiana, e per essa mi riservo, nell’inviarle in questi giorni istruzioni per Lugh, di fare speciali proposte al riguardo.

11 1 Non pubblicato.

12

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. PERSONALE 881. Vienna, 7 giugno 1906, ore 19,35 (perv. ore 21).

Conte Goluchowski che ho potuto vedere oggi mi ha detto confidenzialmente che i due Imperatori fin dal primo momento del loro incontro avevano deciso di comune accordo indirizzare S. M. il Re il telegramma che avevangli inviato ieri della cui redazione avevano incaricato personalmente verso le undici del mattino rispettivi loro ministri degli affari esteri. Tale telegramma dimostrava quanto erronei fossero gli scopi che eransi voluti attribuire da certa stampa alla visita imperatore Guglielmo in Vienna. Nella lunga udienza accordatagli dall’Imperatore aveva potuto constatare come Sua Maestà fosse animato dalle disposizioni più amichevoli verso l’Italia e R. Governo e come alcuna traccia di malumore non esistesse nell’animo di lui a nostro riguardo. Identica espressione aveva ritratto dai suoi colloqui col sig. Tschirschky.

Del resto il telegramma suddetto era una manifestazione evidente dei sentimenti che si nutrivano verso noi da S. M. l’Imperatore e dal Governo germanico.

Conte Goluchowski ha aggiunto che non dovevasi dare soverchia importanza agli incidenti passeggeri avvenuti per l’innanzi in seguito Conferenza Algeciras. Tali incidenti che non potevansi sempre evitare non intaccavano solidità alleanza che i tre Governi tenevano mantenere salda.

13

L’AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENzIALE 672/332. Madrid, 8 giugno 1906 (perv. il 12).

Non è senza soddisfazione che vedo nei giornali madrileni ricomparire la menzione della Triplice Alleanza, alla quale, per quanto a torto, più non si credeva in questi ambienti ufficiali, spagnuoli e diplomatici.

La conoscenza personale ed i rapporti intimi e continuati da me avuti prima e dopo la malaugurata Conferenza marocchina con quelli che in quel consesso furono i principali delegati delle potenze, mi fanno un dovere, a cose calme e dopo il lungo lasso di tempo trascorso, di riferire a V.E. sull’impressione qui generalmente riscontrata, che la condotta dell’Italia a Algeciras sia stata più favorevole alla Francia di

quanto l’esigessero gli impegni da noi assunti ed oramai a tutti noti, relativi al Marocco, e che tale condotta abbia dato un colpo letale all’alleanza delle potenze centrali. L’importanza dell’argomento varrà a scusare i miei giudizi anche dove differiscano da quelli dei nostri circoli politici e della così detta stampa italiana.

La portata precisa dei patti di disinteressamento contenuti nelle varie convenzioni africane e la loro natura puramente negativa sono troppo conosciute perché la Germania, alla quale, già da tempo, comunicammo i nostri accordi sul Marocco e su Tripoli, potesse aver il diritto di censurare l’atteggiamento che essi imponevano all’Italia nel seno della Conferenza. Bisognava, per farlo, poterci accusare d’essere stati non già passivi, ma parziali verso la Francia, e la stampa tedesca s’incaricò dell’accusa. Quel compito poco grato le fu, del resto, assai facilitato da tutta la stampa francese e da buona parte della nostra, nonché dai principali giornalisti italiani che furono ad Algeciras. Non deve quindi recarci meraviglia se il pensiero delle sfere governative tedesche e quello dominante fra i «reduci» dalla Conferenza, per quanto assai più temperato nella forma, non differiva nella sostanza dalle conclusioni del giornalismo berlinese.

Sarebbe difficile dire quali fatti specifici abbiano determinato siffatta impressione: se i rapporti costanti ed intimi che il nostro delegato ebbe ad Algeciras coll’ambasciatore russo Cassini, ben conosciuto come irrequieto francofilo, o il voto del 3 marzo sull’ordine della discussione. È fors’anche probabile che i veri motivi, assai più che in atti speciali addebitati al delegato italiano, debbano ricercarsi all’infuori della Conferenza, ed anzitutto nei maneggi francesi pertinaci e continui diretti a guastare i nostri rapporti colle potenze centrali.

La scelta stessa del marchese Visconti Venosta, probabilmente consigliata dal sig. Barrère, riuscì troppo gradita a Parigi perché non fosse freddamente accolta a Berlino ed a Vienna. Sopra di che le espressioni di sorpresa che al momento della nomina udii dagli ambasciatori Radowitz e Welsersheimb non mi lasciano dubbio. E se il primo arrivò allora a dirmi che avrebbe preferito me per collega, non intese certo di mettermi a confronto coll’illustre uomo di Stato che prendeva il mio posto, ma unicamente ricorse a quella frase per esprimere il suo malcontento in una forma che non peccasse di scortesia. Sono costretto a riferire questi privati e confidenziali colloqui avendo cercato invano nei documenti diplomatici della serie XL regolarmente pervenutimi, il pensiero del Governo germanico sulla nomina del marchese Visconti Venosta, ed in un rapporto da Vienna (doc. n. 25031) invece del parere del conte Goluchowski avendoci trovato soltanto quello dell’ambasciatore di Francia Reverseaux.

Il 14 gennaio, alla partenza dei delegati per Algeciras, io mi trovava alla stazione ad accompagnare il marchese Visconti Venosta. Il sig. Cambon ambasciatore di Francia venne a chiedermi di presentarlo a S.E. e davanti ai numerosi diplomatici e giornalisti di tutti i paesi che si trovavano serrati come noi presso al treno egli disse ad alta voce: «Monsieur Barrère m’a écrit de votre nomination; nous en sommes très contents ...».

Ma v’ha di più. Appena avvenuta la nomina del marchese Visconti Venosta, certi nostri giornali stamparono che il nuovo ministro degli affari esteri marchese di

San Giuliano non era uomo sedentario come l’on. Tittoni; viaggiava invece ogni anno in Levante, e si preoccupava attivamente degli interessi italiani nel Mediterraneo. Non avrebbe seguito perciò la politica passiva voluta dal suo predecessore, e s’era deciso a cambiare di delegato, tanto più che «Silvestrelli parente di Tittoni, non eseguirebbe a dovere le mutate istruzioni». Simili giudizi furono riprodotti testualmente da tutta la stampa europea, e persino dai giornali spagnuoli, dei quali trasmisi i ritagli coi rapporti del 4 e del 14 gennaio nn. 5 e 162. Ora in mancanza di intelligenze col Gabinetto di Berlino riguardo al mutamento del nostro delegato ed all’azione che avrebbe esercitato alla Conferenza, non poteva essere dubbio l’effetto prodotto in Germania dalla affermazione non rettificata dal R. Governo, che la politica dell’Italia a Algeciras non sarebbe più stata passiva. Si pensò, e non senza buona logica, che avremmo preso le parti della Francia.

Anche ultimamente riscontrai in un collega la persistente persuasione che la scelta fatta alla ultima ora d’un personaggio troppo superiore per la sua importanza e pel suo passato ai delegati di tutte le altre potenze nascondeva qualche intesa e qualche scopo determinato: «il doit y avoir été quelque chose, mais on ne sait pas quoi».

Da altre situazioni ben più difficili seppe uscire con abilità e con tatto l’Italia; in questa occasione prestò invece assai leggermente il fianco a chi voleva ben altro che il nostro debole appoggio nella questione marocchina.

Mi si perdoni un’ultima affermazione. Io non ritenni mai felicemente ispirato il proposito di adoperarci attivamente a comporre il grave dissidio relativo al Marocco, perché la nostra speciale situazione verso i due contendenti ci legava troppo le mani; ma in ogni caso il tentativo avrebbe dovuto farsi a mio avviso cercando sopratutto di riavvicinare l’Inghilterra alla Germania. Qualunque azione avessimo esercitato in tal senso oltreché più conforme ai veri nostri interessi politici, non sarebbe stata sgradita a Berlino ed a Vienna, e non avrebbe provocato i sospetti che la sola apparenza di favoreggiare la causa francese valse a suscitare contro di noi3.

12 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto.

13 1 Non pubblicato.

14

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. Londra, 9 giugno 1906 (perv. il 15).

Scusi la carta non ufficiale. Torno dal Foreign Office e, fermatomi al club, le scrivo subito perché nella lunga via non si sfaccia il tenue filo delle mie idee.

Io spero fra pochi giorni, forse prima che questa lettera le giunga, di mandarle per telegrafo le risposte definitive della Francia e della Gran Brettagna in merito

3 Per la risposta vedi D. 21.

quanto anticipato da Gorst e che si attendeva la decisione della Francia.

2 Per la risposta vedi D. 17.

alle modificazioni da lei proposte al progetto di convenzione per l’Abissinia1. Gorst mi ha detto or ora che sir Edward Grey è disposto ad accettare tutto, tranne la soppressione della clausola relativa ai diritti di transito nell’articolo settimo, e ciò per la ragione seguente: che cioè se noi esigiamo la soppressione di quella clausola, la Francia esigerà la soppressione della simile clausola nell’articolo sesto. Quest’ultima risponde ad un interesse attuale e vero dell’Italia e della Gran Brettagna perché la linea di Gibuti esiste già; mentre quello che l’Italia e la Gran Brettagna promettono nella clausola dell’articolo settimo che si vorrebbe sopprimere, risponde soltanto ad un vantaggio ipotetico e futuro della Francia, in quanto che essa clausola concerne linee non ancora esistenti e che forse non esisteranno per molto tempo ancora. In tali circostanze, mi ha detto Gorst, il Governo britannico deve assolutamente rifiutarsi dall’aderire a simile soppressione, giacché essa sarebbe del tutto contraria agl’interessi del commercio britannico ed anche, si ritiene qui, agl’interessi del commercio italiano.

Tutto ciò io dico a V.E. in via puramente preliminare perché sir Edward Grey prima di dare una risposta definitiva vuol sapere quale sia la risposta di Cambon, il quale sta attendendo le sue istruzioni da Parigi.

Cambon, appena ricevuta la comunicazione che io gli feci d’ordine di V.E., mi chiese di passar da lui e mi disse che la sua impressione generale sulle nostre proposte era buona; e Geoffray mi disse più tardi che l’ambasciatore aveva scritto a Parigi raccomandando l’accettazione di quelle proposte.

Cosicché non dispero che questa volta possiamo giungere ad un buon risultato. Certo contribuirebbe a questo se V.E., al ricevere questa mia lettera, potesse per telegrafo autorizzarmi a cedere all’occorrenza, e senza rinunziare a sostenere fino all’ultimo il nostro punto, sulla clausola concernente il commercio di transito. Mi auguro che V.E. sia in grado di farlo perché ciò faciliterebbe certo molto la sospirata conclusione2.

13 2 Non pubblicati.

14 1 Con T. 1534/71 del 13 giugno, De Bosdari scrisse di aver ricevuto conferma da Grey di

15

L’AMBASCIATORE A BERLINO, LANzA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1522/144. Berlino, 10 giugno 1906, ore 18,30.

A complemento delle notizie che V.E. avrà certo ricevuto da Vienna, le comunico seguente dettaglio su recente convegno imperiale di quella capitale come mi fu dato da Tschirschky e dal mio collega austro-ungarico.

2 Non si pubblica.

Preoccupazione in vista della possibile attitudine dell’Imperatore di Germania esisteva tanto presso questi uomini di Stato, quanto Vienna. Ma terreno fu così ben preparato qui e là, che l’idea del telegramma diretto a S.M. Re venne messa innanzi dallo stesso Imperatore d’Austria-Ungheria, il quale già precedentemente disposto in senso favorevole ad una indubbia affermazione della Triplice Alleanza e dello accordo sincero e leale delle potenze che la compongono. Imperatore d’AustriaUngheria non tralasciò opportunità per dare al suo ospite suggerimento di una attitudine conciliante riguardosa verso l’Inghilterra; siffatto suggerimento venne bene accolto dall’Imperatore di Germania, il quale si è mostrato convinto della utilità di tale attitudine e manifestò speranza che entro quest’anno gli sia possibile incontrarsi col re Edoardo VII. Mi risulta che anche a nostro riguardo l’Imperatore d’Austria-Ungheria si è simpaticamente pronunciato: egli ha, tra l’altro, accennato alla linea di condotta prudente osservata dai tre ultimi ministri degli affari esteri italiani succeduti all’on. Morin. Per quanto si riferisce condizioni interne della Monarchia austro-ungarica, i due Ministeri che governano a Vienna e Pest sono secondo il parere di questi uomini di Stato, quanto di meglio si poteva trarre dalla situazione complicata. Si spera che i due Ministeri presieduti da personaggi d’alto valore possano dare tutto ciò che le due parti Monarchia e Imperatore nel comune interesse attendono da essi, ma qui non si disconosce che le due coalizioni ministeriali rappresentano ultimo mezzo che potrassi esperimentare dopo il quale viene l’ignoto. Posizione conte Goluchowski è apparsa scossa tanto che qui si conta sulla eventualità di un suo ritiro a delegazioni scisse; per la successione sono in prossima vista barone Burian e questo mio collega austro-ungarico, il quale, secondo quanto a me ha detto, egli stesso cerca però allontanare da sé peso della grave responsabilità. Al termine della mia conversazione con il segretario di Stato ho rilevato linguaggio poco riguardoso per noi di parte della stampa germanica esprimendo voti che S.E. si adoperasse per farlo cessare. Tschirschky mi ha dato affidamento in questo senso aggiungendo che però trattavasi di un resto della diffidenza nata per gli affari del Marocco e che alla cosa non dovevasi attribuire importanza.

16 1 T. 1525/91, non pubblicato.

16

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1307/662. Vienna, 12 giugno 1906 (perv. il 15).

Facendo seguito al mio telegramma n. 91 di ieri sera1 ho l’onore di trasmettere, qui unito, all’E.V. il testo della relazione sugli affari esteri della Monarchia fatta da S.E. il conte Goluchowski in seno alla Delegazione ungherese l’11 corrente2.

Il ministro i. e r. degli affari esteri ha constatato innanzi tutto, parafrasando le dichiarazioni contenute nel discorso del trono, le ottime relazioni della Monarchia con tutte le potenze, rilevando principalmente l’intimo accordo con la Germania, i non meno fiduciosi rapporti con l’Italia e l’efficace accordo con la Russia. Da quest’ultimo egli prese occasione per parlare dell’opera riformatrice che le due potenze coll’ assenso degli altri Stati firmatari del Trattato di Berlino, vanno compiendo nella Penisola Balcanica; ed a questo proposito, dopo un severo apprezzamento sulla condotta della Porta per l’opposizione ch’essa fece all’istituzione della Commissione internazionale di finanza e che condusse alla dimostrazione navale, egli constatò come molti favorevoli risultati siano già stati raggiunti pel benessere e per l’ordine in quelle provincie. Annunziò quindi come prossima la riforma relativa al miglioramento della giustizia nei vilayets macedoni e concluse smentendo categoricamente le voci tendenziose giusta le quali l’opera delle riforme sarebbe andata finora fallita e riaffermando che l’azione dell’Austria-Ungheria era intesa a rendere vano ogni desiderio egoistico ed ogni aspirazione ad espansioni territoriali ed a conservare la tranquillità e l’ordine ai propri confini per uno scopo superiore di pace. Egli lodò, a questo proposito, il contegno della Bulgaria la quale, coll’impedire la formazione delle bande, contribuì ad aiutare l’opera delle potenze.

Il conte Goluchowski accennò pure al conflitto fra la Rumania e la Grecia e segnalò l’azione pacificatrice esercitata dal Governo imperiale e reale su entrambi quegli Stati, manifestando la speranza di un prossimo loro accordo e dichiarandosi pronto a «dare una mano» per agevolarlo.

S.E. parlò quindi estesamente della questione sorta con la Serbia a proposito dell’unione doganale con la Bulgaria e dell’andamento dei negoziati commerciali col Governo di Belgrado. Degno di nota è specialmente il passaggio in cui si afferma in modo categorico la tradizionale politica austro-ungarica essere fautrice del consolidamento della indipendenza e dello sviluppo degli Stati balcanici.

Parimenti a lungo trattò il conte Goluchowski della questione del Marocco e con questo argomento, nel quale non trascurò di porre in evidenza i buoni risultati dell’efficace intervento del Governo imperiale e reale, egli chiuse la sua esposizione ripetendo con altre parole l’affermazione di Sua Maestà che «il grande pensiero della pace è costantemente la stella guidatrice» della politica austro-ungarica.

La relazione del conte Goluchowski è commentata favorevolmente in questi circoli politici. Vi si ravvisa bensì una tal qual ricerca di esaltare l’opera del suo Ministero ponendolo in prima linea in tutte le grandi questioni internazionali, ma non si disconosce la moderazione ed equità del suo linguaggio e si apprezza sopra tutto lo spirito profondamente pacifico da cui tutto l’insieme delle sue enunciazioni è informato. Per riguardo alla questione del Marocco, la Neue Freie Presse ha osservato, non senza qualche ragione, che il conte Goluchowski ha sembrato voler dimostrare come l’Austria-Ungheria non abbia poi rappresentato quella parte di Sekundant che il telegramma imperiale voleva attribuirle, ma abbia invece preso una posizione indipendente, conforme ai propri interessi ed a quelli generali della pace europea. Lo stesso giornale rileva nel medesimo articolo di commento — che qui pure unito trasmetto — che a suo avviso il più pregevole incremento della politica estera austro-ungarica consiste nelle migliorate relazioni con l’Italia, categoricamente affermate dal conte Goluchowski.

2 Per la risposta vedi D. 22.

Quanto alle dichiarazioni del ministro degli affari esteri relative alla Serbia, esse portano un carattere apologetico pel contegno adottato dal Governo imperiale e reale e che si differenziava dalle favorevoli disposizioni manifestate dall’Ungheria verso il medesimo.

Dopo ascoltato l’exposé del conte Goluchowski, la Delegazione ungherese deliberò di rimandare la discussione intorno ad esso al 18 corrente e chiese frattanto per bocca di varii delegati il ripristinamento del Libro rosso per le comunicazioni periodiche concernenti la politica estera della Monarchia, pubblicazione che comparve regolarmente dal 1867 al 1874, fu ripresa nel 1876 e saltuariamente negli anni successivi per cessare completamente dopo il 1881.

S.E. il conte Goluchowski rispose di non trovarsi in grado, per ora, di sottoporre alla delegazione un Libro rosso, ma si dichiaró pronto a comunicarle, per l’avvenire, una tale raccolta di atti. Il delegato Rakowsky ed altri con lui, insistettero tuttavia per ottenere dal ministro degli affari esteri che venisse loro data visione degli atti relativi al Marocco ed ai negoziati con la Serbia, ma S.E. declinò ripetutamente tale domanda che, per l’intervento del dott. Wekerle, finì per essere ritirata dai proponenti.

17 1 Vedi D. 14.

17

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI

T. RISERVATO 1354. Roma, 14 giugno 1906, ore 14.

Rispondo alla sua lettera del 9 corrente1. Condivido pensiero di Grey che non convenga mantenere soppressione clauso-

la transito dell’art. 7 dell’accordo Etiopia, se ciò debba condurre alla soppressione della stessa clausola dell’art. 6. Non ho quindi difficoltà consentire mantenimento clausola voluto da Grey nel caso che Governo francese ne faccia questione sine qua non per mantenere la stessa clausola nell’art. 6.

Conto essere a Londra il 23 corrente; partirò da qui il 20. Prego dire a Grey che, se prima del 20 avrò ricevuto adesione Inghilterra e Francia, al testo da me proposto per convenzione Etiopia, potrò giungere costà con pieni poteri per firmare io stesso2.

18

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. PERSONALE. Vienna, 14 giugno 1906, ore 22 (perv. ore 22,50).

Avendo avuto occasione di vedere oggi il conte Goluchowski mi sono espresso con esso nel senso del telegramma di V.E. di ieri notte1. Conte Goluchowski mi ha pregato di ringraziarla e mi ha manifestato il suo compiacimento per l’impressione favorevole che le sue dichiarazioni avevano prodotto sul R. Governo e sull’opinione pubblica italiana. Nonostante che la delegazione austriaca abbia votato ieri il bilancio del Ministero degli affari esteri la situazione del conte Goluchowski è considerata tuttora incerta.

Essa non sarà chiarita orizzonte che quando Delegazione ungherese avrà proceduto stessa votazione ciò che avverrà nella riunione di lunedì prossimo nella quale si attende, a quanto mi diceva oggi, di essere oggetto di vivaci attacchi per parte di membri più esaltati di quella Delegazione.

19

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI1

T. 1564/50. Addis Abeba, 15 giugno 1906 2.

Oggi 11 antimeridiane S.E. governatore ricevuto da Menelik con speciali onori. Menelik ciò che non ha fatto qui per alcuna altra missione, uscì dal Ghebbi insieme principali ras etiopici per ricevere governatore. Seguì rivista e sfilamento circa 60 mila uomini. Tutti i membri missione ottima salute, grandemente soddisfatti eccezionale dimostrazione amicizia e rispetto nostro paese. Telegrafa anche governatore a V.E.3.

conte Goluchowski gli esprimerà la mia grande soddisfazione per le sue dichiarazioni alle Delegazioni. In Italia una discussione sulla politica estera si farà nel prossimo novembre ed allora io parlandone diffusamente farò uguali dichiarazioni».

2 Trasmesso da Asmara il 16 giugno. 3 Con T. 1565, pari data, Martini comunicava che le accoglienze «furono indescrivibilmente

solenni, per giudizio di europei e di indigeni. Ricevimento fatto al rappresentante Italia è senza esempio».

18 1 La sera del 13 giugno Tittoni aveva telegrafato ad Avarna: «Quando le capiterà di parlare col

19 1 Ed., con varianti, in MARTINI, Diario Eritreo, cit., pp. 427-428.

20

L’AMBASCATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1362/686. Vienna, 15 giugno 1906 (perv. il 21).

Mi risulta da buona fonte, in via riservata, che il sig. Izvolskij nel prendere la direzione del Ministero degli affari esteri avrebbe fatto conoscere conte Goluchowski il suo fermo proposito di seguire verso l’Austria-Ungheria la stessa linea di condotta del suo predecessore e di mantenersi fedele agli accordi assunti coll’accordo di Mürzsteg, cooperando col Governo imperiale e reale al buon esito delle riforme ed al mantenimento dello status quo nella Penisola Balcanica.

Di tale proposito del sig. Izvolskij si ebbe in certo modo la conferma ufficiale dalle dichiarazioni fatte di recente alle Delegazioni dal conte Goluchowski nella sua relazione sulla politica estera della Monarchia come nella risposta da lui data alle interrogazioni rivoltegli da alcuni membri austriaci di quel consesso.

Uguali assicurazioni, per ciò che riguarda l’alleanza che unisce la Russia alla Francia, furono fatte dal sig. Izvolskij al Gabinetto di Parigi, al quale egli fece conoscere in pari tempo, la comunicazione che era sua intenzione di fare al Gabinetto di Vienna in ordine all’esecuzione del programma di Mürzsteg.

Tali assicurazioni però, quantunque siano state accolte con soddisfazione tanto a Vienna che a Parigi, non sembrano abbiano fatto dissipare del tutto l’incertezza che sussisterebbe sul contegno ulteriore del sig. Izvolskij e che sarebbe originata in parte dall’indole e dai precedenti che gli vengono attribuiti.

Il Governo imperiale e reale non ignora bensì che egli ha modificato alquanto le sue idee panslaviste che prima professava e che, nonostante la sua attività ed ambizione, egli non è che l’esecutore della politica del suo Sovrano, sul quale si fa pieno affidamento, ma si teme che nell’applicazione di essa non sia per usare gli stessi procedimenti del suo predecessore, che possano prodursi oscillazioni atte ad adombrare la fiducia che si aveva nel conte Lamsdorf di cui si lamenta la partenza per la lealtà e prudenza, delle quali aveva sempre dato prova in più circostanze.

La nomina poi ad aggiunto del ministro del sig. Gubastov, attuale rappresentante di Russia a Belgrado, non ha prodotto molto buona impressione in questo Ministero degli affari esteri per le disposizioni che gli si attribuiscono poco favorevoli all’Austria-Ungheria. Egli viene qui imputato di essersi pronunciato e di aver anche agito, in via indiretta, contro il Governo imperiale e reale durante la sua missione presso il Vaticano in occasione della questione relativa alla congregazione di San Girolamo degli Illirici in Roma e di essersi dimostrato apertamente favorevole verso la Serbia ed ostile alla Austria-Ungheria nel recente conflitto doganale; in opposizione al contegno del conte Lamsdorf che aveva fatto giungere al conte Goluchowski le assicurazioni più franche ed esplicite circa quel conflitto.

Ciò non ostante, pur non dubitando delle intenzioni come delle assicurazioni del sig. Izvolskij, lo si attende all’opera per giudicare se si possa avere sopra di lui, siccome si spera, l’istessa ed eguale fiducia che si aveva nel conte Lamsdorf.

21

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI

DISP. RISERVATO 32532/152. Roma, 16 giugno 1906.

Ho ricevuto il rapporto di V.E. in data 8 giugno n. 672/3321, avente per oggetto: «Impressione riportata dalla condotta dell’Italia ad Algeciras».

La ringrazio delle osservazioni comunicatemi in ordine a detta «impressione», che, effettivamente si manifestò, da varie parti ed in vari modi, circa l’azione spiegata dall’Italia in occasione della Conferenza internazionale per il Marocco.

Per quanto il fatto che tali manifestazioni abbiano avuto luogo sia per se stesso spiacevole, è certo, però, che l’impressione, di cui si tratta, finirà (come già se ne scorgono gli indizi) per cedere il luogo a più equi apprezzamenti, poiché quei primi giudizi non corrispondevano in realtà né alle intenzioni, né, sostanzialmente, all’atteggiamento dell’Italia in quella Conferenza.

22

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1579/73. Londra, 18 giugno 1906, ore 18,10.

Rispondo al suo telegramma n. 13541. Convenzione abissina. Cambon continua asserire che è senza istruzioni del suo

Governo, ma mi ha lasciato intendere che la principale difficoltà da parte della Francia, sarà menzione nostro hinterland. Gli ho chiesto se credeva avrebbe risposta definitiva durante il breve soggiorno di V.E. in Londra, ed egli mi ha detto che lo sperava, ma non poteva assicurarlo.

Quanto a disposizioni del Foreign Office, non ho che da riferirmi, a quanto scrissi a V.E.

Ad ogni modo, ritengo che sarebbe bene che V.E. portasse seco i pieni poteri, ed a voce la informerò meglio sulla esatta situazione.

22 1 Vedi D. 17.

21 1 Vedi D. 13.

23

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, ROMANO AVEzzANA

DISP. 32601/48. Roma, 18 giugno 1906.

Segno ricevuta e ringrazio la S.V. del rapporto del 6 corrente, n. 1241, relativo alla prossima ripresa dei rapporti diplomatici tra l’Inghilterra e la Serbia.

Il r. incaricato d’affari in Londra mi ha testé telegrafato che quel ministro degli affari esteri, nel dargli ufficiale comunicazione della nomina di Whitehead a ministro d’Inghilterra a Belgrado, lo ha pregato di interessarmi far pervenire i ringraziamenti del Governo britannico alla S.V. per l’azione amichevole ed efficace sua, che ha molto contribuito a rendere possibile la ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due paesi.

Nel portare quanto precede a conoscenza della S.V. mi compiaccio dell’esito dell’opera di lei, e dei lusinghieri apprezzamenti del Governo inglese…

24

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL COMMISSARIO CIVILE PER L’ERITREA, MARTINI1

T. 1386. Roma, 19 giugno 1906, ore 19,30.

Sono veramente lieto della molto lusinghiera accoglienza fatta al rappresentante d’Italia nella persona della E.V. Prego V.E. di esprimere a Menelik tutto il compiacimento del Governo del Re aggiungendo che ne traggo buon auspicio per la soluzione delle importanti questioni che interessano le nostre colonie.

25

IL MINISTRO A TANGERI, MALMUSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 493/126. Fez, 19 giugno 19061.

Come ebbi l’onore di informare V.E., con telegramma che con un corriere speciale mi affrettai di mandare a Tangeri per la spedizione, ieri il Sultano mi fece avere il rescritto imperiale col quale Sua Maestà dichiara di accettare e ratificare integral-

24 1 Ed. in MARTINI, Diario Eritreo, cit., p. 439. 25 1 Manca l’indicazione della data di arrivo.

mente l’atto generale di Algeciras. Qui acclusa l’E.V. troverà una traduzione italiana di quel documento2.

Raggiunto per tal modo il risultato che V.E. mi additava con suo telegramma n. 1357 del 15 corr.3, giuntomi in questo istante, non crederei, per ciò che può riguardarmi, avere da intrattenerla delle alternative varie e dei contrasti attraverso cui il negoziato affidatomi ha dovuto passare, se non credessi stretto dovere mio riferire brevemente, come una missione latrice di una lettera del Nostro Augusto Sovrano abbia potuto ottenere quanto nella lettera stessa S. M. il Re domandava al Sultano del Marocco, malgrado gli interessi e le passioni che si agitano qui in un senso contrario a quello che la missione italiana perseguiva.

La cronaca del negoziato non presentando ormai più, in ogni modo, se non un interesse storico e retrospettivo, mi limiterò a informare V.E. che, fin all’ultimo momento, una parte notevole dei membri del Governo ha tentato di influire sull’animo del Sultano per indurlo a rifiutare la ratifica o almeno temporeggiare.

Il Sultano peraltro, dopo i nostri primi colloqui, erasi mostrato meno persuaso in massima della bontà degli argomenti da me espostigli in favore della ratifica e aveva finito per darmi l’affidamento che l’avrebbe concessa con un rescritto redatto giusta una formola che io gli avevo confidenzialmente sottoposta; Sua Maestà aveva mostrato comprendere come io dovevo, declinando le sue ripetute insistenze, rifiutare che in quello atto si accogliessero osservazioni, voti o riserve, non potendo il rescritto contenere se non l’espressione dell’adesione integrale; si era contentato di riservarsi di dirigermi poi una lettera ove avrebbe esposti certi suoi desideri relativi principalmente alla polizia, e dei quali non vedevo alcun inconveniente ad accogliere almeno l’espressione. Mi chiedeva solo che fornissi prima al suo Governo gli schiarimenti necessari circa certi articoli dell’atto di Algeciras, il cui senso era rimasto qui oscuro. Al che mi prestai con la maggiore buona volontà, finché le esitazioni poteron giustificarsi con lo stato d’incertezza in cui il Sultano ed il suo Governo si trovavano di fronte a molti punti del protocollo di Algeciras, dei quali era naturale non afferrassero la portata, o anche il semplice significato, trattandosi di idee ed istituti completamente nuovi per loro.

Ma quando vidi che la parte avversa tendeva a che i miei schiarimenti si cambiassero in una nuova discussione del protocollo, quando udii che il Sultano convocava i notabili delle tribù per raccogliere il loro parere (mezzo questo già usato efficacemente qui quando si trattò di contrastare un anno fa un’impellente influenza straniera); quando apparve che l’effetto prodotto sull’animo del Sultano dai colloqui col ministro d’Italia veniva controbilanciato dalle rimostranze di molti fra i dignitari, credetti necessario di rompere ogni indugio e chiesi perentoriamente un’immediata decisiva udienza dal Sultano.

Sua Maestà me l’accordava senza ritardo, il 17. Le dichiarazioni recise che credetti dover far intendere a questo Sovrano, il mio richiamo all’affidamento che mi aveva dato, sulla fede del quale avevo telegrafato, gli dissi, al mio Governo l’adesione potersi ritenere assicurata, il mostrargli i pericoli gravi cui sarebbe andato incontro se si

3 Con T. 1357 del 15 giugno Tittoni confidava che Malmusi ottenesse l’adesione del Sultano

all’atto generale di Algeciras.

fosse alienate le simpatie dell’Europa, poiché io, delegato presso di lui dal mio Sovrano in nome di tutte le potenze, non avrei sofferto indugi o ripieghi e avrei senz’altro lasciato Fez, sortirono l’effetto desiderato. Sua Maestà mi promise il rescritto, che, di fatto conforme alla parola sovrana, ricevevo il dì seguente. Porterò meco alla mia partenza da questa capitale, l’originale del rescritto imperiale destinato ad essere conservato presso il Ministero di Stato spagnuolo insieme alle altre ratifiche dell’atto di Algeciras.

Circa il modo di effettuarne la consegna al Governo di S.M. cattolica attenderò di ricevere le istruzioni dell’E.V.

P.S. Per l’eventuale comunicazione alle potenze interessate pregiomi accludere pure una letterale traduzione francese del rescritto, del quale non comunicherò ad altri né qui né a Tangeri, il testo, sembrandomi opportuno che la pubblicazione ne sia fatta da Roma.

23 1 R. 422/124, non pubblicato.

25 2 Non si pubblica.

26

L’INCARICATO D’AFFARI A BERLINO, MATTIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI1

R. 1338/4402. Berlino, 20 giugno 1906 (perv. i1 25).

Col mio telegramma in data 26 aprile u.s.3 io ebbi l’onore di riferire a V.E. come il Governo imperiale avesse attentamente seguito le notizie pubblicate dalla stampa nostra, inglese e francese concernenti gli accordi italo-anglo-francesi per l’Abissinia. Il Governo germanico teneva a sapere che cosa di vero vi fosse in quelle notizie e sperava che gli accordi in discorso non avrebbero leso gli interessi germanici garantiti dal nuovo trattato coll’Abissinia. Io comunicai al sig. von Tschirschky la risposta di V.E. contenuta nel telegramma del 29 aprile u.s.3. Gli dissi cioè, che le notizie dei giornali non erano esatte e che i negoziati, allora, erano appena ripresi: aggiunsi che il Governo del Re non avrebbe mai consentito a passi che possano ledere i legittimi interessi della Germania garantiti dal suo trattato con l’Abissinia.

Il segretario di Stato mi ringraziò della comunicazione della quale prese nota, tenendosi in una piuttosto diffidente riserva.

Negli stessi giorni la stampa riferiva della organizzazione di una missione germanica per l’Abissinia diretta dal consigliere di commercio sig. Bosch, e composta di una cinquantina di persone. Mi recai presso l’ufficio competente al Dipartimento imperiale degli affari esteri, ove mi fu detto che la cosa era vera ma che trattavasi di impresa del tutto privata.

per condurre a termine le trattative sull’accordo tripartito. Ripartì dalla capitale londinese l’11 luglio e giunse a Roma il 14 (F. TOMMASINI, L’Italia alla vigilia della guerra, vol. III, Bologna, zanichelli, 19351937, pp. 3-26). I telegrammi a firma del ministro conservati su registro recano “Roma” come luogo di appartenenza, mentre quelli degli altri fondi riportano a volte “Roma”, a volte “Londra”. Nell’edizione sono state rispettate le indicazioni originarie dei documenti.

2 Autografo. 3 Non pubblicato.

Riferii quanto precede all’ambasciatore di S.M. al suo ritorno dall’Italia e S.E. si riservò di riprendere l’argomento con E.V. quando il sig.Tschirschky gliene avesse parlato o altro fosse venuto a conoscenza.

Ora il Governo imperiale fa pubblicare il «programma» dell’ azione germanica in Abissinia. Il sig. Bosch, dice il comunicato ufficioso, prese parte alla missione del Governo tedesco, lo scorso anno, come perito commerciale: egli ha tratto dai suoi studi la conclusione che il commercio tedesco nell’Abissinia si può avvantaggiare soltanto elevando la cultura e quindi la potenzialità economica del popolo abissino. Il commercio è ancora allo stato iniziale: il terreno abissino straordinariamente fertile è coltivato in piccola parte. Lo studio del suolo e l’esercizio razionale dell’agricoltura eleverebbero il benessere del paese; verrebbero così creati nuovi bisogni per soddisfare i quali avrebbero nuovi sbocchi i prodotti delle industrie europee. La Germania ha concluso con l’Abissinia un trattato di commercio che è da poco entrato in vigore. Spetta ora ai circoli commerciali germanici l’utilizzarlo praticamente. Il sig. Bosch ha fatto un primo passo su questa via: fanno parte della sua spedizione un professore d’agricoltura, un architetto, un commerciante, una maestra, una massaia, una balia etc. Questa spedizione è giunta in Addis Abeba sulla fine di maggio e vi fu accolta con benevolenza dal sovrano abissino. Lo scopo di essa è sopratutto civilizzatore: la sua sfera di azione è comune con quella delle altre nazioni commerciali di Europa, è pacifica ed i favorevoli risultati che si otterranno gioveranno oltre che al commercio tedesco al commercio dell’Inghilterra, della Francia dell’Italia, dell’Austria etc. Questa impresa germanica deve quindi essere all’estero valutata con soddisfazione e giudicata con simpatia. Il Governo tedesco non partecipa a questa impresa che ha carattere del tutto privato e non mira ad alcuno scopo politico.

Tale è la chiusa del comunicato ufficioso. Non si renderebbe esatto conto del carattere vero della missione Bosch e di tutte le altre imprese germaniche le quali seguiranno questo «primo passo» in Abissinia [scil. se non si tenesse conto] che dietro ai privati pionieri del commercio, dell’industria e del capitale germanico, vi è costantemente il Governo imperiale.

26 1 Il 20 giugno Tittoni partì per Londra per presentare le lettere di richiamo a re Edoardo VII e

27

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, POMPILJ, AL DELEGATO ALLA CONFERENzA DI GINEVRA, MAURIGI

T. 1424. Roma, 24 giugno 1906, ore 18.

Qualora Austria-Ungheria e Germania entrambe accettino proposta russa, con o senza limitazione al tempo di pace, ella è parimenti autorizzata ad accettarla. In caso diverso, e cioè persistendo il dissenso della Germania, ella deve pronunciarsi nel senso che, mancando l’unanime consenso in simile materia, parrebbe cosa cauta evitare una formale votazione e lasciare impregiudicata, mercé il silenzio della Convenzione, la questione se sia, o non, ammesso, nel caso di cui si tratta, il ricorso alla Corte dell’Aja; dopo di che se, ciò malgrado, si passasse a votazione ella dovrebbe, coerentemente alla sua dichiarazione, astenersi dal voto.

28

IL COMMISSARIO CIVILE PER L’ERITREA, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI1

T. 1667. Addis Abeba, 25 giugno 19062.

Menelik consente istituzione linea telegrafica Borumieda-Assab; consente modificazioni trattato di commercio, meglio specificando clausole antiche, ed aggiungendo facoltà istituire agenzia o stazione commerciale ovunque ci piace ed unico posto dogana per mercanzie da e per Colonia.

Se V.E. non ha obiezioni, trattato potrà essere stipulato prima della mia partenza.

29

IL MINISTRO A CETTIGNE, CUSANI CONFALONIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1638/30. Cettigne, 26 giugno 1906, ore 14,40.

Sono lieto annunziare all’E.V. che, felicemente superate gravi difficoltà, oggi fu qui firmata convenzione fra Compagnia Antivari e Governo principesco la quale assicura primato influenza italiana vita economica Montenegro.

30

L’AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 447/185. Pietroburgo, 26 giugno 1906 (perv. il 2 luglio).

Già da qualche tempo i giornali russi ed esteri parlano con qualche insistenza di probabili viaggi dello zar durante la prossima estate. Fu riferito fra l’altro di una villeggiatura in Crimea, ma più particolarmente di un incontro del Sovrano russo coll’Imperatore di Germania in qualche porto del Baltico. In taluni circoli di questa capitale è circolata pure la voce – il di cui fondamento non mi fu possibile controllare – secondo la quale sarebbe qui stata nuovamente posta sul tappeto la questione della restituzione della visita al nostro Re.

2 Trasmesso da Asmara.

Nell’ultimo colloquio che ebbi con questo ministro degli affari esteri gli chiesi incidentalmente – anche nella speranza che ciò potesse fornirgli occasione per qualche più ampia dichiarazione – quanto vi fosse di vero nelle notizie date dalla stampa circa progettati viaggi imperiali in Crimea od all’estero. Il sig. Izvolskij mi rispose smentendo senz’altro tali voci, ed aggiungendo che le sole gite imperiali previste sarebbero state al campo di Krasnoe-Selo per assistere alle solite manovre del corpo della guardia.

Conosco per esperienza quanto poco valore sia spesso da attribuire in Russia alle dichiarazioni ufficiali, né oso perciò prestare alle parole del sig. Izvolskij soverchia fidanza. È fuori di dubbio che la criticissima situazione politica renda attualmente poco opportuno l’allontanamento, sia anche di breve durata, del Sovrano russo fuori dei confini del suo Impero, ma è sempre ammissibile - se non probabile - l’ipotesi che questa situazione possa, anche transitoriamente, migliorarsi nel corso dell’estate. Non mi stupirebbe d’altra parte che ad attutire in qualche modo verso la Germania l’effetto della visita della flotta britannica a Kronstadt, lo zar si sentisse obbligato a qualche atto di deferenza verso l’ombrosa vicina, che potrebbe bene assumere le forme di un incontro dei due Sovrani in qualche porto tedesco del Baltico, che costituirebbe in pari tempo un contraccambio alla visita fatta l’anno scorso dall’imperatore Guglielmo nelle acque finlandesi.

Ritengo che vi sia per noi motivo di preoccuparci di questa eventualità, anche al punto di vista della ripercussione ch’essa avrebbe sull’opinione pubblica italiana, nonostante quindi le tranquillanti assicurazioni del sig. Izvolskij, continuerò ad invigilare riferendo eventualmente all’E.V. quanto in proposito mi fosse dato di conoscere.

28 1 Ed. in MARTINI, Diario Eritreo, cit., p. 448.

31

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1646/98. Vienna, 27 giugno 1906, ore 15,20.

La missione del generale Saletta è stata accolta dall’opinione pubblica viennese colla più viva soddisfazione e continua ad essere oggetto dei commenti più favorevoli di questa stampa che scorge in essa una dimostrazione evidente dei cordiali rapporti esistenti tra l’Italia e l’ Austria-Ungheria. L’accoglienza, poi, fatta da S.M. l’Imperatore al generale Saletta è stata impressa alla maggiore benevolenza e simpatia.

Sua Maestà ha espresso a me personalmente la sua viva compiacenza per la presenza di lui in Vienna ed egual sentimenti ha manifestato, altresì, a più riprese, al generale stesso che ha pregato rendersi interprete presso S.M. il Re dei suoi saluti come dei suoi ringraziamenti per l’autorizzazione che volle accordagli di recarsi a Vienna. Generale Saletta lascerà stasera Vienna diretto Venezia.

32

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, POMPILJ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 1449. Roma, 29 giugno 1906, ore 19,15.

Faccio seguito al mio telegramma del 27 corrente1. Ufficio Coloniale opina che menzione nell’accordo per Abissinia delle due con-

venzioni indicate nel suo telegramma n.782, è pericolosa e non utile per le seguenti ragioni:

1) gli accordi esistenti sono indicati nell’art. 1 unicamente con un dato di fatto costituente lo status quo in Etiopia, e non come guarentigia di ciascuna delle tre potenze della osservanza di essi presso Menelik: ora, con la domanda della Francia, si vorrebbe appunto introdurre, in certo modo, questa guarentigia, turbando tutta la economia dell’accordo e mettendo le altre due potenze nella necessità di fare anche esse una enumerazione di atti allo stesso scopo. Le due convenzioni poi non potrebbero trovare posto nell’art. 5 dell’accordo, in cui si parla unicamente di atti ferroviari, perché ne turberebbero l’intima natura.

2) Dovendo l’accordo essere comunicato a Menelik, lo aderire alla domanda della Francia ci farebbe andare incontro alle difficoltà che si sono volute evitare, eliminando la enumerazione degli accordi all’art. 1.

3) Gli accordi esistenti, indicati all’art. 1, sono esclusivamente accordi o tra le potenze tra di loro per l’Etiopia, o tra una delle tre potenze e l’Etiopia, mentre quello del 1862 è un accordo tra Francia e alcuni capi dancali, un atto quindi di ben diversa natura e che condurrebbe alla necessità di altre enumerazioni per parte dell’Italia, riferendosi esso all’azione della Francia nella valle della Uasce e nel lago Assal, nella regione dancala su cui Menelik affaccia pretese di alta sovranità, e per cui l’Italia ha tuttora pendente una questione di confine. Questo accordo del 1862 è da credere che sarebbe specialmente ostico a Menelik.

Quanto poi all’accordo anglo-etiopico del 1897, non si comprende l’utilità della menzione, dal momento che tanto esso e i suoi annessi che ne fanno parte integrante, quanto quello anglo-francese del 1888, citato nel primo, sono appunto da annoverarsi tra gli accordi esistenti dell’art. 1, ed erano compresi nella enumerazione che fu poi tolta3.

2 Con T. 1645/78 del 27 giugno, Tittoni richiese informazioni relative all’inserimento da parte della Francia di alcune convenzioni nell’accordo con l’Etiopia tra cui l’anglo-etiopica del 1897 e quella tra la Francia e i Dancali del 1862.

3 Per la risposta vedi D. 38.

32 1 T. 1441 con cui Pompilj si chiedeva le ragioni per cui la Francia intendesse inserire le convenzioni di cui alla nota 2.

33

L’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1769/7531. Parigi, 29 giugno 1906.

Conformemente al desiderio manifestatomi verbalmente da V.E. la sera del 22 corrente, ho preso varii appunti del colloquio che ella ebbe in quel giorno con il sig. Leone Bourgeois alla presenza mia e del sig. Giorgio Louis direttore degli affari politici al Ministero francese degli affari esteri.

Il colloquio si svolse sovra le seguenti cinque questioni: 1) affari di Creta; 2) accordo fra l’Italia, la Francia e la Gran Bretagna relativo all’Etiopia; 3) traffico d’armi alimentato dai negoziati di Gibuti; 4) affari di Tunisia; 5) protezione degli enti religiosi cattolici in Oriente. 1) Affari di Creta. La conversazione si aggirò principalmente sovra il «Memo-

randum» francese del 13 giugno. S.E. Tittoni dichiarò che le proposizioni contenute in quel documento erano in gran parte accettate dal Governo italiano il quale però, benché voglioso egli stesso di ritirare i suoi uffiziali che attualmente inquadrano la gendarmeria cretese, non era disposto ad ammettere che al comando delle forze armate cretesi siano chiamati ufficiali ellenici e che un contingente, anche se esiguo, di truppe elleniche vada a rinforzare gli attuali presidii internazionali dell’isola.

Il sig. Bourgeois, riferendosi alle successive fasi dei recenti scambi di idee seguiti con i Gabinetti di Londra e di Pietroburgo, espose come le proposizioni formulate dalla Francia nel dispaccio del 25 maggio al ministro della Repubblica ad Atene, le quali tendevano a tradurre in atto le conclusioni adottate dalla Commissione internazionale d’inchiesta, fossero sembrate al Governo inglese insufficienti e come le aggiunte ed ampliazioni contenute nel memorandum del 13 giugno costituissero conseguentemente le concessioni alle quali la Francia, per conto suo sarebbe disposta ad annuire insieme alle altre potenze per accostarsi alle idee dell’Inghilterra ed offrire così un termine di conciliazione fra le divergenti vedute già manifestatesi. Nel mettere in evidenza l’indole e lo scopo della più recente sua comunicazione ai Gabinetti delle altre tre potenze protettrici della Creta, il ministro francese degli affari esteri non sembrò afferrare subito la differenza sostanziale esistente fra le sue vedute e quelle del ministro degli affari esteri d’Italia. Mentre infatti lo spirito informatore delle proposizioni della Francia è l’avviamento alle risoluzioni più radicali che le potenze potranno adottare quando le circostanze lo permetteranno, le attuali disposizioni del Governo italiano escludono ch’egli voglia associarsi a simili proposizioni intermedie.

S.E. Tittoni si era espresso in proposito con molta chiarezza. Egli avea detto: se le potenze, malgrado le difficoltà di vario ordine che l’abbandono della Creta alla Grecia potrebbe suscitare, sono pronte ad adottare questo partito, l’Italia non vi si oppone; ma se le potenze opinano invece che questa risoluzione sarebbe prematura e pericolosa, è mestieri che i loro sforzi si concentrino per il mantenimento dello stato politico attuale introducendovi le riforme ed i miglioramenti necessari, ma eliminando accuratamente tutto ciò che potrebbe al contrario essere causa di maggiori difficoltà e di nuovi turbamenti. Nel memorandum è giustamente osservato che le potenze protettrici intendono evitare che la loro opera nell’isola abbia a riuscire ad una specie di fallimento morale. Questo loro evidente interesse non è diviso manifestamente dallo Stato che agogna ad annettersi la Creta. L’introduzione di elementi militari ellenici nell’isola costituirebbe pertanto un sicuro pericolo per la stabilità della condizione di cose esistente. S.E. Tittoni ricordò che, appunto quando fu visibile la difficoltà per le quattro potenze protettrici di esplicare la loro azione in modo utile ed efficace rimanendo nei limiti dello stato di cose accettato dalla Turchia e del mandato ricevuto dalle altre potenze garanti dell’Impero ottomano, l’Italia emise l’idea di riunire una conferenza che avrebbe potuto deliberare sovra le risoluzioni che apparirebbero necessarie. Ma egli ricordò pure che il Gabinetto di Pietroburgo si pronunciò in modo decisamente contrario a tale progetto.

Il sig. Bourgeois, condotto a dire d’onde egli tragga la previsione espressa nel memorandum di atti di rappresaglia ed anche di un’azione militare della Turchia contro la Grecia ove questa procedesse all’annessione della Creta, rispose che tale atteggiamento da parte dell’Impero ottomano gli sembra prevedibile, ma che di esso non si ebbero fin qui manifestazioni. Egli dichiarò parimente di ignorare le disposizioni dei Gabinetti di Vienna e di Berlino benché sia lecito il ritenere che il primo, a causa della ripercussione che si produrrebbe fra le popolazioni balcaniche, ed il secondo, a causa dell’appoggio che suole dare al Governo del Sultano, non si dimostrerebbero propensi a mutamenti radicali nello status quo politico della Creta.

La conversazione si prolungò alquanto sovrà considerazioni retrospettive e circostanze presenti, ma in sostanza condusse soltanto alla seguente conclusione. La risposta dell’Italia non tarderà a giungere a Parigi e la Francia la esaminerà secondo la dichiarazione contenuta nel suo memorandum con il proposito di associarsi a tutti i provvedimenti che otterranno il consenso degli altri Stati protettori e saranno atti a garantire una pace durevole in Oriente.

2) Accordo fra l’Italia, la Francia e la Gran Bretagna. Nell’intento di agevolare la conclusione del negoziato aperto a Londra per l’accordo relativo all’Etiopia, il sig. Bourgeois propose a S.E. Tittoni di esaminare insieme le obbiezioni fatte dall’Italia all’ultimo testo di convenzione che la Francia e l’Inghilterra erano pronte ad accettare. Fattosi perciò recare lo schema della convenzione stessa, il Ministero francese pregò il suo interlocutore a volerne seguire l’esame che farebbero insieme. Egli ripeteva con insistenza, e come premessa, che la Francia in questo affare limitava il proprio interesse a quello che rappresenta l’avvenire della linea ferroviaria fra Gibuti ed Addis Abeba, conceduta da Menelik alla Compagnia sovvenzionata dal Tesoro francese. Alla linea principale si collegherà il tronco che dovrà mettere Harrar in comunicazione con la medesima. «Questo è il nostro piccolo giardino», disse a più riprese il sig. Bourgeois, «e del resto ci disinteressiamo». Ma la difficoltà sostanziale non tardò ad affacciarsi quando, nell’esame dello schema di convenzione, si trovò che, dove la Francia propone che sia tenuto conto dell’interesse italiano di stabilire una comunicazione fra l’Eritrea e il Somaliland italiano, l’espressione adoperata è communication terrestre, mentre da parte nostra si era usata la parola territoriale.

Benché dal sig. Bourgeois si mostrasse quasi di non afferrare bene la differenza del significato da noi attribuito alle due espressioni, egli non parve in ultimo alieno dallo accettare l’espressione alla quale noi ammettiamo speciale importanza. Però egli continuò a parlare della comunicazione fra le due nostre colonie come se si trattasse semplicemente di stabilire il punto di giunzione di linee stradali, o ferroviarie le quali, egli diceva, probabilmente convergerebbero appunto ad Addis Abeba. Se sovra questo punto fu messo soltanto in sodo che la Francia non è disposta ad ammettere eventualmente che l’Italia venga in possesso di una zona di territorio che intersecherebbe la sua linea ferroviaria, nulla è stato pregiudicato relativamente alle intelligenze che in proposito potrebbero stabilirsi fra l’Italia e l’Inghilterra se questa fosse pronta ad accettare che tale zona venga tracciata sul territorio che da Addis Abeba va verso il Nilo.

Sul punto relativo all’applicazione del principio dell’uguaglianza di trattamento per tutte le nazioni, ossia del principio detto della porta aperta non vi fu discussione. Il sig. Bourgeois si dichiarò subito d’accordo con S.E. Tittoni.

Vi furono invece spiegazioni e ricerche di una migliore espressione per determinare il limite entro il quale gli Stati stipulanti s’interdirebbero reciprocamente la costruzione di linee ferroviarie le quali si farebbero fra di loro la concorrenza. Non fu precisata l’espressione da adoperarsi; ma risultò chiarito il concetto.

3) Traffico d’armi alimentato dai negoziati di Gibuti. Il sig. Bourgeois non poté contestare che se non si provvede prontamente ad impedire il completo armamento delle popolazioni indigene presto verrà il tempo in cui gli Stati europei non potranno più mantenersi negli attuali loro possedimenti della Somalia senza disporre di numerosi eserciti. Furono da parte nostra ricordate le continue pratiche fatte presso il Gabinetto di Parigi per indurlo a adottare i necessari provvedimenti onde mettere un freno all’introduzione delle armi e munizioni che si fa principalmente dai commercianti di Gibuti. Lo scambio di comunicazioni che ebbe luogo a tale riguardo non condusse fin qui ad effetti pratici; ma ha permesso di riconoscere quali rimedi riuscirebbero efficaci. Questi vennero pertanto nel corso della conversazione così precisati.

Primieramente occorre che dai depositi di Gibuti si permetta la sortita per l’Etiopia soltanto delle armi e munizioni specificatamente e direttamente domandate dall’Imperatore etiopico e che ogni altra introduzione verso l’interno venga severamente proibita.

In secondo luogo bisogna che l’azione concorde dell’Italia, della Francia e dell’Inghilterra si eserciti presso il Sovrano abissino per ottenere ch’egli interdica rigorosamente la rivendita delle armi e munizioni ch’egli fece o farà introdurre nel suo paese.

Finalmente, dappoiché l’illecito traffico viene esercitato anche esportando per mare con dichiarazioni false di destinazione, dai cabotieri indigeni, importa che all’accordo italo-britannico per la sorveglianza e la repressione sul mare, aderisca anche la Francia. Avendo il sig. Bourgeois fatto un breve accenno alla questione del diritto di visita, gli fu tosto risposto che tale questione non dovrebbe fare difficoltà giacché il diritto di visita sarebbe reciprocamente riconosciuto fra le potenze contraenti dell’accordo.

Il ministro degli affari esteri francese si riservò in ultimo di intrattenere di questo affare il suo collega delle Colonie.

4) Affari di Tunisi. Benché concordi nel ritenere che la stabilità nel mantenimento dello stato di cose creato a Tunisi dalle Convenzioni del 1896 sarebbe meglio assicurata da una formale proroga delle Convenzioni stesse, i due ministri degli affari esteri d’Italia e di Francia parvero ugualmente desiderosi di non esporre questo importante interesse alle incertezze che sempre accompagnano le risoluzioni parlamentari. Il sig. Bourgeois insistette sovra la difficoltà d’impedire che, più di tutto per le scuole, vengano introdotte restrizioni se la proroga delle Convenzioni tunisine dovesse venire davanti alle Camere francesi. Il miglior partito, a giudizio suo, è lasciare che quegli atti internazionali continuino a rimanere in vigore per tacita riconduzione annuale. Egli per certo non prenderebbe l’iniziativa di denunciarli.

A questo punto fu osservato che di tale sua dichiarazione l’ambasciatore italiano a Parigi potrebbe informare il proprio Governo e questi potrebbe di essa prendere atto in un dispaccio che verrebbe rimesso in copia al ministro francese degli affari esteri. Ma il sig. Bourgeois replicò tosto ch’egli non potrebbe assentire ad un tale procedimento poiché egli non potrebbe, neppure personalmente, alienare il diritto di denuncia delle Convenzioni che indubbiamente ora esiste.

5) Protezione degli enti religiosi cattolici in Oriente. Circa questo interesse furono scambiate fra il sig. Bourgeois e S.E. Tittoni poche parole. Senza entrare nel merito delle questioni aperte, il ministro francese degli affari esteri si limitò a chiedere che in questo affare si abbia a procedere con qualche lentezza e precauzione perché non era da escludersi che da parte degli enti religiosi si mirasse a creare un movimento d’opinione in Francia contro ciò che si chiamerebbe l’abbandono degli interessi del protettorato cattolico in Oriente e, mentre ne potrebbero derivare imbarazzi per il Governo nel Parlamento, ne potrebbero pure essere disturbate le relazioni fra i due paesi.

L’intonazione generale del colloquio fu delle più cortesi ed amichevoli. Però né dall’una parte, né dall’altra si cercò di uscire dal campo entro il quale si agitano i singoli interessi che furono esaminati e così non vi fu occasione a scambio di idee generali intorno alla condotta ed all’azione politica dei due paesi.

33 1 Dall’archivio Segreto di Gabinetto e privo dell’indicazione della data di arrivo.

34

L’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1679. Parigi, 30 giugno 1906, ore 9,15.

I giornali del mattino si limitano riprodurre telegramma Agenzia Havas annunziante in tutti i suoi particolari il fatto compiuto1, ma astenendosi finora da commenti. L’Eclair pone intestazione al telegramma il titolo «Il Rinascimento economico d’Italia» e la Petite Republique dice che questo grande evento finanziario è prova del buono stato delle nostre finanze. Fra i giornali della sera, i Debats dicono che alla borsa, condizioni della conversione furono ben accolte e che sembra che questa operazione non debba produrre molto effetto sui corsi.

34 1 Promulgazione della legge di conversione della rendita (legge 29 giugno 1906, n. 262).

35

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, POMPILJ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI1

T. 1461. Roma, 1° luglio 1906, ore 20,10.

Martini telegrafa in data di Addis Abeba 25 giugno: «Da una prima conversazione avuta con Menelik, ho motivo di credere che egli non riconoscendo altra frontiera che Bardera, non è in grado di impedire razzie a nord di quella linea; tuttavia, per evitare sconfini, propone porre residente presso il capo Ogaden che sorvegli ed avverta limiti territorio Etiopia. Accogliendo questa proposta, ciò che si può altro o solamente tentare, è ottenere intanto, come primo passo, riconoscimento formale nostra situazione Lugh dove Menelik vorrebbe invece mettere dogana. Attendo istruzioni sollecite»2.

Accettazione proposta Menelik mentre implicherebbe, da parte nostra, riconoscimento della linea di confine voluta dal Negus, non risolverebbe neanche completamente questione stazione Lugh, poiché riconoscimento formale detta stazione potrebbe essere da noi in certo modo reclamato anche in base nuova clausola consentita da Menelik nella revisione del trattato di commercio e che riguarda la facoltà di impiantare stazioni commerciali in Etiopia. D’altra parte accettazione detta proposta non garantirebbe neanche regione Lugh da razzie abissine, essendo detta regione a nord linea voluta da Menelik.

Parmi si debba insistere su primitiva nostra domanda consistente nella determinazione di una linea a monte di Lugh da non oltrepassarsi dagli abissini, in modo che regioni ad est dei Borana ed a sud degli Arussi non siano né razziate né occupate. Se non fosse possibile di ottenere questa soluzione proporrei di chiedere a Menelik mantenimento statu quo quanto alla questione di Lugh e riservando questione confini, accetterei invio residente italiano presso capo Ogaden per salvaguardia hinterland Benadir da razzie. Prego V.E. telegrafarmi se approva e se ha altre particolari istruzioni.

36

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, POMPILJ, AL COMMISSARIO CIVILE PER L’ERITREA, MARTINI

T. 1464. Roma, 2 luglio 1906, ore 22.

Rispondo telegramma 96 per Lug1. Accettazione proposta Menelik implicherebbe, da parte nostra, riconoscimento

linea confine voluta dal Negus, e non guarentirebbe neanche regione Lug da razzie abissine essendo detta regione a nord detta linea. Quanto a riconoscimento formale nostra stazione Lug che potrebbe, secondo V.E., ottenersi come primo passo, dopo

2 T. 1658/96 trasmesso via Asmara il 28 giugno 1906.

accettazione proposta Menelik, osservo che esso riconoscimento non sarebbe, nel fatto, un risultato poiché potrebbe, in certo modo, essere reclamato anche in base nuova clausola già consentita da Menelik nella revisione trattato di commercio e che riguarda facoltà impiantare stazioni commerciali in Etiopia. Prego V.E. insistere, per quanto può, nella primitiva nostra domanda di cui mio telegramma 12922. Se non fosse assolutamente possibile ottenere questa soluzione, voglia chiedere a Menelik mantenimento statu quo quanto alla questione di Lug, e, riservando questione confini, accettare intanto invio residente italiano presso capo Ogaden per salvaguardia hinterland Benadir da razzie. Le saranno presto inviate istruzioni per trattato commercio3.

35 1 Ed. in MARTINI, Diario Eritreo, cit., p. 448.

36 1 Vedi D. 35, nota 2.

37

IL DELEGATO ALLA CONFERENzA DI GINEVRA, MAURIGI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, POMPILJ

T. 1716. Ginevra, 3 luglio 1906, ore 17.

Bülow mi ha testé espresso, anche a nome del ministro d’Austria-Ungheria, loro vivissimi ringraziamenti e loro piena soddisfazione per mia azione conciliatrice in ordine proposta russa, e per la dichiarazione da me fatta ieri alla Conferenza. Tali sentimenti mi aveva già particolarmente manifestati ieri stesso Martens.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, POMPILJ

T. 1732/811. Londra, 4 luglio 1906, ore 19,23.

Da parecchio tempo nelle trattative dell’Abissinia era scomparsa all’art. 1 la frase «et par les accords en vigueur». Perciò Inghilterra e Francia insistono per la menzione della convenzione anglo-etiopica del 1897 e della convenzione con i Dancali del 1862, la quale altro non è che la concessione della baia di Obock e suo territorio. Naturalmente Inghilterra e Francia visto la soppressione della frase «et par les accords en vigueur» riconoscono all’Italia di menzionare all’art. 1 tutti gli altri atti, ai quali l’Italia credesse di avere interesse. Prego perciò l’Ufficio Coloniale telegrafarmi entro domani la nota di quegli atti che, nel nostro interesse, dovremo far comprendere tra quelli menzionati nell’art. 1.

occupate ne razziate regioni a est dei Borana e a sud degli Aussi».

3 Per la risposta vedi D. 49. 38 1 Risponde al D. 32.

36 2 Con T. 1292 del 5 giugno Tittoni precisava: «Per assicurare pacifica zona commerciale attorno a Lug e tranquillità stazione e hinterland Benadir è necessario ottenere da Menelik che non siano

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, POMPILJ

T. RISERVATISSIMO 821. Londra, 4 luglio 1906.

Dopo lunga e vivace discussione tra sir E. Grey, ambasciatore Cambon e me, siamo oggi addivenuti ad un accordo circa l’Abissinia. Le differenze tra la convenzione da me proposta e quella oggi concordata consistono specialmente in ciò che noi abbiamo dovuto far delle concessioni alla Francia riconoscendo la sua zona d’influenza sino ad Addis Abeba e l’Inghilterra in compenso ha fatto delle concessioni a noi accettando con una frase molto più chiara l’unione futura dell’Eritrea al Benadir ed annullando con una esplicita riserva a favore degli interessi italiani i suoi diritti sulle acque scorrenti verso il Nilo nella parte che sarà attribuita in futuro all’hinterland italiano ed alla zona che unirà l’Eritrea al Benadir.

Posta la questione in questi termini a me non rimaneva che o accettare o lasciare che Inghilterra e Francia si accordassero tra di loro senza di noi, ciò che sarebbe stato per noi disastroso.

La firma dell’accordo è rinviata a dopo la comunicazione dell’accordo a Menelik e alla Germania. Grey e Cambon avrebbero voluto che l’accordo fosse parafato oggi stesso. Però io ho fatto rinviare a sabato mattina tale formalità che la mia adesione era subordinata all’approvazione di Sua Maestà e del presidente del Consiglio. Intanto ci siamo impegnati a mantenere il più rigoroso segreto. Pertanto è necessario che tu porti subito a Giolitti questo mio telegramma pregandolo in mio nome di darne immediata comunicazione a Sua Maestà e pregandolo anche di telegrafarmi l’approvazione entro la giornata di venerdì al più tardi.

Io credo la convenzione buona per noi. Ad ogni modo allo stato delle cose rappresenta tutto quel che noi possiamo ottenere avendo io fatto gli sforzi più energici a favore, degli interessi italiani, facendo intervenire per noi anche il presidente del Consiglio sir H. C-Bannermann che in questi giorni mi ha dimostrato grande benevolenza e simpatia. Perciò io mi permetto pregare Sua Maestà e il presidente del Consiglio di volermi dare l’autorizzazione richiesta, poiché il rimanere fuori della convenzione che sarebbe egualmente stipulata fra Inghilterra e Francia porterebbe al sacrificio dei nostri interessi coloniali e politici, non avendo io alcuna fiducia che noi soli possiamo opporci in Abissinia all’Inghilterra e alla Francia unite e perché l’ostilità dell’Inghilterra ad Addis Abeba porterebbe ad ostilità di rapporti in Europa. Ciò dico senza dissimularmi che la convenzione sarà scelta dall’opposizione come terreno per attaccare il Ministero e me specialmente.

Ciò posto il testo della convenzione è quello da me ultimamente proposto all’Inghilterra e Francia e che trovasi presso Agnesa, però colle seguenti modificazioni.

L’art. 1 è cosi concepito: «La Francia, la Gran Bretagna e l’Italia sono d’accordo per mantenere lo status quo politico e territoriale in Etiopia quale è determinato dallo stato degli affari attualmente esistente e dagli accordi seguenti: qui segue l’elenco dei detti accordi cui vanno aggiunti la convenzione anglo-etiopica del 14 maggio 1897 e suoi annessi e la convenzione dell’11 marzo 1862 fra la Francia e i Dankali più quelle altre convenzioni che l’Italia nel suo interesse credesse di aggiungere al detto elenco. Inoltre all’art. 1 sarebbe fatta la seguente aggiunta: «resta inteso che le diverse convenzioni menzionate nel presente articolo non toccano in alcun modo i diritti sovrani dell’Imperatore d’Abissinia e non modificano in alcun modo i rapporti fra le tre potenze e l’Impero etiopico quali sono stipulati nel presente accordo».

I paragrafi a, b, e c dell’art. 4 sarebbero così concepiti: par. a: «gli interessi della Gran Bretagna e dell’Egitto nel bacino del Nilo e più specialmente in ciò che concerne il regolamento delle acque di quel fiume e dei suoi affluenti, dando la dovuta considerazione agli interessi locali e sotto riserva degli interessi italiani menzionati nel par. b»; par. b: «gli interessi dell’Italia in Etiopia in relazione all’Eritrea e Somalia, Benadir compreso, e più specialmente in ciò che concerne l’hinterland di questi possedimenti e l’unione territoriale fra loro all’Ovest di Addis Abeba»; par. c: «gli interessi francesi in Etiopia in relazione al protettorato francese della costa somala, all’hinterland di questo protettorato ed alla zona necessaria per la costruzione e traffico della ferrovia da Gibuti ad Addis Abeba».

Il paragrafo 3 dell’art. 5 verrebbe soppresso. All’art. 6 alla frase «sia prolungata da Dire Daua ad Addis Abeba» si aggiunge-

rebbe l’inciso «con eventuale diramazione verso Harrar». All’art. 7 alla frase «che fosse stata formata o si formerebbe per la costruzione o

l’esercizio di strade ferrate in Etiopia» si sostituirebbe la frase «che fosse stata formata o si formerebbe per la costruzione o l’esercizio di vie ferrate da un punto qualunque in Abissinia a un punto qualunque dei vicini territori inglese o italiano».

Inoltre all’art. 7 si farebbe la seguente aggiunta «le tre potenze firmatarie sono d’accordo per estendere ai nazionali di tutti gli altri paesi il beneficio delle disposizioni degli art. 6 e 7 relative all’uguaglianza di trattamento in materia di commercio e di transito».

Nel secondo comma dell’art.9 alla frase «strada ferrata in Etiopia riunente il Benadir all’Eritrea» si aggiungerebbe la frase «ad Ovest di Addis Abeba» e l’ultima parte dell’art. 9 sarebbe così concepita «i tre Governi s’interdicono di costruire senza accordo preventivo alcuna linea penetrante nel territorio abissino o raccordantesi a linee abissine e di natura a fare concorrenza diretta a quelle che sono o che saranno stabilite sotto gli auspici di uno di essi».

La convenzione terminerebbe cogli art. 10 ed 11 come erano stati dapprima proposti.

È naturale che di questo telegramma tu dia anche comunicazione colla raccomandazione del segreto al capo dell’Ufficio Coloniale comm. Agnesa. Giolitti giudicherà se è il caso di udire in argomento il parere di alcuni dei ministri.

39 1 Dall’archivio dell’ambasciata a Londra.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A BERLINO, LANzA

T.1. Roma, 4 luglio 1906.

All’ambasciatore Metternich comunicai che l’accordo tra Italia, Francia ed Inghilterra si era fatto solo per due punti e cioè: mantenimento dello status quo in Abissinia e porta aperta per tutte le nazioni. Gli altri punti e specialmente la questione della ferrovia è ancora oggetto di discussione. Ella può ripetere al segretario di Stato che prima di firmare l’accordo io lo comunicherò per suo mezzo al Governo germanico col quale desidero in tutte le questioni i più intimi e fiduciosi rapporti.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A BERLINO, LANzA

T.1. Londra, 4 luglio 1906.

Per maggiore chiarezza e precisione ella dirà al segretario di Stato che i due punti ancora controversi della convenzione per l’Abissinia sono la questione della ferrovia e la definizione degli interessi delle tre potenze.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, POMPILJ, AL MINISTRO AD ATENE, BOLLATI,

E AL CONSOLE GENERALE A LA CANEA, FASCIOTTI

T. 1481. Roma, 5 luglio 1906, ore 20,30.

Con dispaccio del 25 giugno scorso1 le trasmisi copia di un memorandum francese e di un nostro memorandum, relativi entrambi a riforme e provvedimenti per Creta. In seguito alle nostre osservazioni ed a quelle di altri Gabinetti, il Governo francese, d’accordo col Governo russo, ci propone per mezzo di questa sua ambasciata, che le quattro potenze si accordino sulle seguenti basi. I punti A, B, C, D, F e H del memorandum francese sarebbero adottati senza modificazione. Il punto E sarebbe completato con la guarentigia che il prestito sia esclusivamente consacrato, dopo

41 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale. 42 1 Non pubblicato, ma vedi D. 33.

pagate le indennità, a lavori pubblici. Per il punto G rimarrebbe inteso che se l’Austria-Ungheria e la Germania non aderissero, il controllo sulle finanze cretesi sarebbe esercitato dai soli delegati delle quattro potenze protettrici. Infine, rispetto al punto I sarebbero bensì ammessi nella gendarmeria e nella milizia ufficiali greci, ma alla condizione che si tratti di ufficiali usciti dal servizio attivo, esclusa, inoltre, ogni idea di contingente greco. Il R. Governo è disposto, in quanto lo concerne, ad accettare il programma così modificato. Epperò la S.V. è autorizzata ad associarsi ad una collettiva [scil. nota collettiva]con la quale i quattro rappresentanti presenterebbero i punti concordati tra le quattro potenze protettrici, facendo, nel tempo stesso comprendere le ragioni d’ordine generale che vietano attualmente una modificazione radicale dello statu quo politico in Creta ed il richiamo delle truppe internazionali.

(Per Atene) Importa sopratutto additare a codesto Governo i pericoli a cui si esporrebbe la Grecia stessa con una soluzione del problema cretese contraria agli impegni presi verso la Turchia e tale da minacciare l’equilibrio balcanico. Gioverà inoltre insistere sulle soddisfazioni d’ordine morale e materiale accordate all’ellenismo mercé l’introduzione di ufficiali greci nella milizia cretese, e mercé l’assicurato pagamento delle indennità dovute ai greci dell’isola.

(Per La Canea) La S.V. ed i colleghi dovranno rilevare presso il Principe e presso i principali uomini politici l’importanza dei provvedimenti concernenti la gendarmeria, la milizia, il prestito dei 4 milioni e la proroga della sopratassa doganale. Gioverà, inoltre, a Creta la ripresa dei negoziati, a Costantinopoli, per una soddisfacente soluzione delle questioni rimaste in sospeso tra il Governo principesco e la Sublime Porta. In compenso di questi loro atti di benevolenza, le potenze, non solo hanno ferma fiducia che l’assemblea si asterrà da intempestive manifestazioni, ma fanno altresì assegnamento sulla saviezza dell’alto commissario e dell’assemblea, acciocchè siano introdotte nella costituzione le modificazioni enumerate nell’annesso al memorandum francese, modificazioni suggerite dalla recente Commissione d’inchiesta come utili all’amministrazione della isola ed atte a rendere possibile il ritiro delle truppe internazionali.

(Per entrambi) Lascio alla S.V. la cura di concordare coi colleghi i precisi termini della nota collettiva come pure di stabilire, d’accordo coi colleghi, quali delle considerazioni che precedono debbano piuttosto riservarsi a comunicazioni verbali e completive. L’essenziale è che apparisca ben chiara, insieme con l’intendimento benevolo delle quattro potenze, la fermezza delle loro risoluzioni.

40 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, POMPILJ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 1484. Roma, 5 luglio 1906, ore 23.

Oltre gli atti compresi nell’elenco dell’art. 1 dell’accordo per l’Abissinia, vi sarebbero altri atti relativi alla Dancalia e alla Somalia meridionale che sarebbe nel nostro interesse far comprendere tra quelli già indicati; ma, dovendo l’accordo essere

comunicato a Menelik, la loro enumerazione sarebbe pericolosissima nelle nostre relazioni col Negus il quale, del resto, solleverebbe certo, per alcuni di essi, obiezioni, tanto più che detti atti si riferiscono a regioni come la Dancalia e Lug su cui pende contestazione con l’Etiopia e che proprio ora formano oggetto negoziato a Addis Abeba, mentre poi quelli relativi alla Dancalia riflettono quelli che dalla Francia potrebbero essere pretesi come hinterland. Ciò premesso, ecco l’elenco degli atti: Convenzioni 15 marzo 1883, 7 luglio 1887 e 10 agosto 1887 e 9 dicembre 1888 col capo dei Dancali, relativi specialmente al libero transito sulla via Assab-Aussa, Scioa; Convenzioni 15 novembre 1869, 11 marzo 1870, 15 maggio 1880 coi capi Dancali pel territorio di Assab; Convenzioni 30 dicembre 1879, 15 marzo 1880 e 20 settembre 1880 per Raheita; trattati di amicizia 1° gennaio e 4 aprile 1904 col Biru e col Teru; trattato di commercio con l’Etiopia del 24 giugno 1897; trattato col Sultano di Lug del 25 novembre 1895. L’Ufficio Coloniale è d’opinione che sia pericolosa questa enumerazione tanto più che ignorasi se per alcuni di essi, come quello del Teru e del Biru, governatore Eritrea non avesse obiezioni.

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IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 500/150. Belgrado, 5 luglio 1906 (perv. il 17).

A complemento di quanto scrivevo nel rapporto del 3 corrente, n.1461, e a conferma del telegramma di questa mane2, ho l’onore di informare la E.V. che nella risposta fatta dalla Serbia il 3 corrente alla nota austro-ungarica del 28 giugno, si dichiara accettare in massima le proposte del Governo di Vienna come base di un modus vivendi commerciale provvisorio, esprimendo però il desiderio che esso duri fino al 31 dicembre anno corrente, oppure fino alla conclusione di un nuovo definitivo trattato di commercio. Il Governo serbo dichiara, inoltre, mantenere ferme le precedenti promesse di ordinare, cioè, all’industria austro-ungarica, forniture di Stato pel valore almeno di 26 milioni e per un valore anche maggiore qualora le reti ferroviarie si sviluppino maggiormente, tutto ciò, bene inteso, a condizioni di parità di prezzo e qualità coi prodotti di altre nazioni.

Il Governo serbo si è riservato solamente la mano completamente libera in tutto ciò che riguarda il materiale di artiglieria. Pare che questa risposta non abbia soddisfatto il Governo di Vienna perché, poche ore dopo la sua consegna al barone Czikann, senza alcun preavviso, giunse l’ordine di chiudere la frontiera ai prodotti

2 T. 1746/29, non pubblicato.

serbi. Questa chiusura a vero dire è, fino al momento in cui scrivo, più formale che effettiva. Ora siccome la Serbia in fondo acconsentiva a tutte le domande austroungariche meno alla richiesta delle artiglierie, si ha diritto di concludere essere questa la causa unica della rottura commerciale fra i due paesi, quantunque innanzi alla Delegazione ungherese, in occasione del bilancio degli esteri, il conte Goluchowski prima, poscia in di lui nome il ministro Burian, abbiano solennemente dichiarato che, da parte del Governo di Vienna, non si era mai chiesto a quello di Belgrado ordinazioni di artiglierie.

Il modo fortunato nel quale si era riusciti a risolvere la questione dei rapporti coll’Inghilterra e dei capi cospiratori, evitando i pericoli e lo strascico di astiose polemiche, l’ottimo risultato delle elezioni, che assicuravano una notevole maggioranza ad un Governo savio e forte, dovevano far sperare, almeno per qualche tempo, giorni calmi e sereni. Ma è canone immutabile della politica viennese non lasciare mai un giorno di pace o di tregua a questo disgraziato paese.

Venuta meno la speranza di impedire le relazioni coll’Inghilterra, di turbare l’ordine pubblico mediante i dissidi fra cospiratori ed anti-cospiratori, di frapporre ostacoli alla costituzione di una maggioranza e di un Governo forte, passata la burrasca che imperversò nella Delegazione ungherese circa la politica balcanica, si torna fuori colle nuove tariffe, coi majali, coi cannoni Skoda, colla chiusura della frontiera, insomma con tutto l’antico arnese di guerra.

La condotta del Governo austriaco, come dissi più volte, è il risultato di un complesso di cause. Interessi economici di Stato, interessi di speculazione privata, ragioni di indirizzo politico.

È certo che nessun paese, ormai, la Serbia meno di ogni altro, può sperare di concludere trattati di commercio veramente ottimi, perché ciascuno pretende inondare coi propri prodotti i paesi stranieri e impedire l’entrata ai prodotti altrui. Si aggiunga, in ogni Stato, l’ antagonismo fra le varie regioni che lo compongono, fra gli interessi della parte agricola e dell’industriale.

Se queste sono le condizioni nelle quali trovasi oggidì quasi ogni paese, peggio saranno certamente per la Serbia che ha una sola specie di prodotti, un solo mercato, una sola via di sbocco.

È mestieri, dunque, che la Serbia si rassegni a concludere un mediocre trattato colla vicina Monarchia, almeno fino al giorno in cui non si troverà in grado di sostenere con speranza di lieto successo una guerra di tariffe, ciò che importa necessariamente creazione di nuove industrie, modificazione delle esistenti, nuova copia di strade, varietà di sbocchi.

Ma fra il rassegnarsi ad un cattivo trattato di commercio e lasciarsi proprio mettere i piedi sul collo, vi è una certa differenza. L’Austria-Ungheria si è fitta in testa di trattare la Serbia come in altri tempi le metropoli trattavano le loro colonie. Si arriva perfino a volerle, non solo interdire qualsiasi altro mercato che non sia l’austro-ungarico, ma anche imporre la quantità e il genere della merce da comperare, l’epoca dell’acquisto, le fabbriche da preferirsi.

Questa pressione che si esercita a vantaggio di interessi economici pubblici e privati, riceve poi vigore e direzione dalle antiche tradizioni della politica di Ballplatz rispetto alla Serbia, politica ora non molto diversa da quella di mezzo secolo fa. Cioè fomentare le intestine discordie, impedire ogni progresso economico e morale,

creare ostacoli alla costituzione di un governo forte, al risveglio della coscienza serba, adoperare le minaccie e le male parole.

Ma se la politica di Vienna è rimasta quella che era, si è però, d’altra parte, accresciuta la forza di resistenza del popolo serbo. Ogni anno che lo allontana dai ricordi della schiavitù musulmana, e accresce le consuetudini del vivere libero e civile sviluppa nel suo animo il sentimento di dignità umana, la coscienza della propria forza.

Ormai esso crede aver raggiunto il limite massimo della rassegnazione e preferisce i rischi di una virile resistenza all’onta e al danno che lo minaccia.

Questo spirito di resistenza trova poi incoraggiamento nel conflitto fra le due parti della Monarchia. I magiari nella lotta intrapresa non hanno dimenticato gli insegnamenti del 1848-49, e quanto allora alla finale sconfitta contribuisse l’odio dei croati e dei serbi. Questa volta pertanto si sono adoperati con grande ardore a conciliarsi il favore delle genti slave. Sei milioni nella Corona di Santo Stefano, dei quali, la metà circa, croati e serbi. Fra Belgrado, Agram, Pest, continui sono i rapporti palesi e segreti. L’intesa procede rapida e ne furono segni non dubbi le violenti accuse al conte Goluchowski per la politica balcanica.

Statisti ungheresi che vanno per la maggiore, proclivi come tutti di loro gente, a lasciare le briglie sul collo al Pegaso della vanità immaginosa, sognano già l’egemonia magiara sopra una grande confederazione balcanica che troverebbe nell’Adriatico, nell’Egeo e nel Mar Nero i suoi ultimi confini.

La Serbia dunque con calma e fermezza si prepara a resistere, e per quanto concerne la quistione del prestito e dei cannoni, mi risulta essere progredite molto innanzi le trattative colle banche francesi e colla fabbrica Schneider del Creuzot. Credo abbia contribuito a questo risultato anche l’attitudine di questo ministro di Germania che, affermando la solidarietà d’interessi fra Skoda e Krupp, ha nociuto al secondo senza giovare al primo.

44 1 Non pubblicato.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A BERLINO, LANzA

T.1. Roma, 6 luglio 1906, ore 19.

L’accordo tra Italia, Francia e Inghilterra per Abissinia è stato oggi solamente parafato da me Cambon e Grey ed è stato convenuto che non sarà firmato né reso di pubblica ragione fino a che Menelik non ne avrà avuta comunicazione ed espresse le sue vedute in proposito.

Voglia dar subito notizia di ciò al segretario di Stato facendogli rilevare come da ciò derivi la necessità di continuare a mantenere il segreto sull’accordo stesso, e voglia anche dirgli che avendo io oggi riferito a Grey e Cambon che stante rapporti di alleanza tra Italia e Germania io avevo creduto mio dovere comunicare a quest’ultimi in via confidenziale la Convenzione, essi mi hanno pregato di far dichiarare da lei al segretario di Stato germanico che essi sono intesi della comunicazione confidenziale che io gli ho fatta per conto dell’Italia e quindi essa va ritenuta come fatta d’accordo con loro senza che essi abbiano bisogno di fare nuova comunicazione per conto dell’Inghilterra e della Francia. Ciò beninteso vale solo per la presente comunicazione confidenziale del progetto d’accordo che deve restar segreto e non per la comunicazione ufficiale della Convenzione che avrà luogo quando questa sarà resa definitiva e sarà firmata2.

45 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, POMPILJ

T. RISERVATO1. Londra, 6 luglio 1906, ore 11,40.

Ricevo telegramma 14842 e ne terrò conto. Intanto mi occorre d’urgenza una notizia. Francia e Inghilterra mi dichiarano

che in nessun documento o proposta esistente nei loro atti circa convenzione abissina vi è una redazione dell’art. 1 colla frase «et par les accords en vigueur». Desidero sapere subito se questa frase fu proposta da noi e quando, e se dagli atti di codesto Ministero risulta che la proposta sia stata comunicata a Francia e Inghilterra, e, nell’affermativa, quando e in qual modo3.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, POMPILJ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. SEGRETO 14901. Roma, 6 luglio 1906, ore 20,45.

Redazione art. 1 dell’accordo Etiopia con la frase «par les accords en vigueur» e quindi senza l’elenco degli accordi fu proposta dal marchese di San Giuliano in un

46 1 Dall’Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana.

2 Vedi D. 43. 3 Per la risposta vedi D. 47.

colloquio con Barrère del 28 gennajo. Come risulta dal telegramma di questo Ministero a codesta ambasciata del 3 febbraio scorso n. 3102, il Governo francese insistette per ristabilire elenco convenzioni. Senonché codesta ambasciata con telegramma del 7 febbrajo n. 3793 riferiva che Cambon approvava personalmente la soppressione dell’elenco e si riservava di raccomandarla al suo Governo.

Con telegramma di questo Ministero dell’8 febbrajo4 si insisteva presso codesta ambasciata per soppressione elenco. Dal rapporto di codesta ambasciata del 14 febbraio n. 574 risulta che il Governo inglese aveva accettato soppressione, ma che il Governo francese persisteva ad opporvisi. Così sono rimaste le cose, senza una definitiva soluzione ed il nostro testo dopo di allora figurò all’art. 1 colla frase «par les accords en vigueur» e senza elenco, e fu così comunicato da V. E. a Barrère prima della sua partenza ed a Lanza a Milano.

45 2 Per la risposta vedi D. 54.

47 1 Risponde al D. 46.

48

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, POMPILJ

T. RISERVATISSIMO1. Londra, 6 luglio 1906, ore 19,19.

Dei trattati da menzionare all’art. 1 è stato risoluto con la seguente dichiarazione che non saranno comunicati a Menelik insieme alla convenzione, ma che saranno poi firmati e pubblicati insieme alla dichiarazione stessa.

Ecco la dichiarazione: «Il ministro degli affari esteri d’Italia fa osservare che l’Italia ha dei trattati col sultano di Lugh, col sultano di Raheita e con i Danakil riguardanti punti di frontiera, questi trattati dovendo formare oggetto di negoziato col Governo etiopico, è impossibile comprenderli nell’enumerazione dell’articolo 1, ma il Governo del Re d’Italia si riserva di comunicarli all’Inghilterra ed alla Francia dopo il negoziato stesso.

Ministro degli affari esteri di Inghilterra e ambasciatore di Francia danno atto al ministro degli affari d’Italia di questa dichiarazione».

3 Vedi serie terza, vol. IX, D. 473. 4 Non pubblicato.

47 2 Vedi serie terza, vol. IX, D. 467.

48 1 Dall’Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana.

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IL COMMISSARIO CIVILE PER L’ERITREA, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI1

T. 1780. Addis Abeba, 6 luglio 19062.

Rispondo suo telegramma 3 luglio3. Nel mio telegramma 25 del mese passato4 accennai tentare ottenere da Menelik

riconoscimento Lugh in nostro possesso territoriale, come Itang per inglesi. In questo caso nostro agente presso capo Ogaden potrebbe impedire razzie nostro territorio, ed agire per preservare regione circostante Lugh. A questo posso adoperarmi, se V.E. crede necessario, secondo telegramma 12925. Lascerò a Ciccodicola lo insistere. Mio dovere è avvertire che indipendentemente dalla volontà del Negus, che credo fermo su questo punto, momento non corre in Etiopia favorevole alle pressioni europee, e che le insistenze possono preparare effetti molto pericolosi.

50

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. 14941. Roma, 7 luglio 1906, ore 12,45.

Le tre potenze sono giunte ad un accordo, ed hanno parafato il testo. Secondo la promessa già fatta a Menelik la firma è posposta dopo che Sua Maestà abbia esposto le sue vedute.

Appena i suoi colleghi francese e britannico avranno ricevuto simile istruzione, ella farà con essi una comunicazione collettiva dell’accordo a Menelik, chiedendo la sua adesione.

Avrei dovuto telegrafare il testo dell’accordo, ma poiché ministro degli affari esteri inglese mi assicura averlo telegrafato ad Harrington, voglia chiederne copia a lui, o, se egli è partito, a chi rappresenta legazione d’Inghilterra.

2 Trasmesso da Asmara il 9 luglio. 3 Vedi D. 36. 4 Vedi D. 35. 5 Vedi D. 36, nota 2.

49 1 Ed. in MARTINI, Diario Eritreo, cit., p. 468.

50 1 Trasmesso via Asmara.

51

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, POMPILJ

T.1. Londra, 7 luglio 1906, ore 11,27.

Per evitare ulteriore perdita di tempo telegrafo direttamente Berlino. Mi dispiace molto che ritardo faccia sì che Governo germanico abbia notizia dai giornali prima che da me.

Ti autorizzo informare Martini nei termini da te indicati2, avvertendolo che abbiamo obbligo del segreto, poiché accordo è solamente parafato, ma non firmato.

52

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, POMPILJ

T. 1758. Londra, 7 luglio 1906, ore 18.

Risposta al telegramma 14951. Jeri con Grey e Cambon discussi eventuale ritiro principe Giorgio, cui incompa-

tibilità è da tutti riconosciuta. Cambon disse che Francia e Russia intendevano suggerire, che le potenze, per la scelta, si rivolgessero al Re di Grecia e che tale proposta venisse dall’Inghilterra. Feci notare essere prudente, ad ogni modo, intendersi bene prima col Re di Grecia, per evitare che venisse scelta persona disadatta. Grey e Cambon riconobbero ragionevolezza della mia osservazione.

53

L’AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, SALVAGO RAGGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1779/35. Il Cairo, 9 luglio 1906, ore 18,53.

È giunta oggi stesso lettera dall’Imam diretta a me, ma per S.M. il Re. Imam dicesi calunniato presso il Sultano, ed invoca intervento di Sua Maestà presso il Sultano, onde ottenere possibilmente autonomia Yemen, oppure amnistia per l’Imam e

2 Con T. 1491 del 6 luglio, Pompilj precisava: «Colgo l’occasione per domandare se posso

informare Martini avvenuto accordo sia in genere sia accennando principali clausole, soprattutto per evitare che rappresentanti Addis Abeba, Francia e Inghilterra ricevano siffatta comunicazione, rimanendone ignaro solo governatore Eritrea e legazione».

per suoi seguaci, governare secondo la Sciaria e prelevare tasse prescritte dalla Sciaria. A queste condizioni vi sarà pace generale.

Della futura prosperità del Yemen profitterà Sultano, ma anche Italia, al cui Re Yemen sarà riconoscente per la pace generale di cui godrà.

Insieme ad altre molte lettere vi è una a me diretta da sette capi tribù, fra gli altri qualcuno molto notevole, che promettono pace generale, seguendo i consigli dell’Italia.

Arrivato contemporaneamente telegramma da Aden di Saied Hussein el Kipsi, figlio di Yahya, il quale chiede mezzi proseguire viaggio per venire Cairo. A quanto mi viene riferito, egli ha altra lettera più dettagliata dell’Imam. Qualora V.E. lo creda a proposito, sarebbe il caso telegrafare consolato d’Italia Aden chiamare Saied Hussein el Kipsi per sapere se ciò è vero, e per provvedere prosecuzione lettera, ma raccomando non dargli, in nessun caso, somma considerevole, ma tutto al più qualche tallero per poter ritornare a casa1.

51 1 Dall’Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana.

52 1 Con T. 1495 del 7 luglio Pompilj comunicava la disponibilità del Governo francese a prendere in considerazione la possibilità di sostituire il principe Giorgio.

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L’INCARICATO D’AFFARI A BERLINO, MATTIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T.1. Berlino, 12 luglio 1906 (perv. il 14).

Piego raccomandato mi è giunto da Londra stamane. Esso porta indicazione «registrato 9 luglio». Ho rimesso poco fa al segretario di Stato testo completo convenzione per l’Abissinia leggendogli telegramma da lei direttomi ieri circa comunicazione confidenziale e la comunicazione seconda2. (?)3. Segretario di Stato mi ha ripetutamente vivamente pregato ringraziare lei della comunicazione eseguita per mezzo mio. Egli mi ha detto che aveva potuto soltanto scorrere testo convenzione, la quale verrebbe ora esaminata sulla base del testo completato. Come impressione in generale da lui riportata, segretario di Stato si è espresso in senso che sostanzialmente corrisponde al comunicato [...]4 da me [...]4 ieri sera. Segretario di Stato ha richiamato poi la mia attenzione sul primo periodo dell’art. 9 concernente costruzione di ferrovia ad ovest di Adis Abeba. Egli mi ha espresso la sua meraviglia per essere stata inclusa una tale disposizione la quale riguarda «ogni costruzione» ferroviaria su territorio abissino e quindi lede gli interessi delle altre potenze che si sono assicurate beneficio della nazione più favorita. Germania per suo conto avrebbe prima visto quale sarebbe stata attitudine del Negus e si sarebbe poi regolata. La informo di ciò per sua opportuna informazione sebbene segretario di Stato mi abbia ripetutamente pregato di non farne parola a V.E.

54 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale. Risponde al D. 45.

2 Non rinvenuti. 3 Il punto interrogativo è del decifratore. 4 Gruppo mancante.

53 1 Per il seguito vedi D. 142.

55

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. PERSONALE. Vienna, 12 luglio 1906.

Con lettera particolare in data del 20 marzo scorso1 ebbi l’onore di esporre all’on. conte Guicciardini quanto già accennai all’E.V. con altra lettera particolare del 27 dicembre 19042 circa la convenienza di addivenire colla Austria-Ungheria ad un accordo inteso a tutelare i nostri interessi nei Balcani e dissipare così le diffidenze latenti esistenti in entrambi i Paesi per i fini che vengono loro attribuiti a vicenda verso quelle regioni. A questo proposito feci rilevare come tale accordo non avendo noi modo di farlo basare, per le ragioni già note al R. Governo, su quello di Mürzsteg, non avrebbe potuto avere che uno degli scopi seguenti: di determinare cioè i mezzi che meglio corrispondono agli obblighi risultanti del Trattato di Berlino, da quello di alleanza e dall’intesa sull’Albania per garantire più efficacemente lo statu quo nei Balcani in previsione di possibili eventi; o di precisare vieppiù l’azione dei due Governi nelle questioni balcaniche ed eventualmente i rispettivi compensi previsti negli obblighi reciproci qualora lo statu quo non potesse essere mantenuto.

Ma aggiunsi, in pari tempo, che un’azione che fosse da noi esercitata presso il conte Goluchowski nel senso suddetto non avrebbe potuto avere, per i motivi esposti nella lettera stessa, alcun pratico risultato nel momento attuale.

Per cui non restava ad esaminare se in vista della riorganizzazione delle circoscrizioni amministrative in Macedonia, contemplate dall’art. 3 del programma di Mürzsteg, non ci convenisse, per precisare in certo modo l’intesa sulla Albania, di procedere col conte Goluchowski ad uno scambio di idee a cui avrebbe potuto dare occasione la dichiarazione verbale dell’E.V. nel Convegno di Venezia nel 19053, relativa alla riunione all’Albania delle regioni abitate in prevalenza da popolazioni albanesi attualmente aggregate ai vilayet macedoni.

Credo dover sottomettere all’E.V. le considerazioni che dall’esame di tale questione mi sono suggerite.

Secondo le dichiarazioni fatte dall’addetto militare austro-ungarico all’ambasciata imperiale e reale in Costantinopoli, colonnello barone di Giesl, nella riunione del 20 febbraio 1904 della Commissione internazionale militare per il riordinamento della gendarmeria in Macedonia, sarebbe stato inteso tra l’Austria-Ungheria e la Russia, nell’accordo di Mürzsteg, che le regioni in cui predomina l’elemento albanese non debbano essere comprese in quel riordinamento previsto dall’art. 2 dell’accordo e che, quantunque della loro esclusione non sia stata fatta esplicita menzione, nelle decisioni prese in quella occasione, essa risulterebbe siccome una conclusione naturale dal significato del successivo art. 3 (doc. dipl. n. 1332 serie CVII).

2 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 792. 3 Vedi serie terza, vol. IX, DD. 72, 79.

Le regioni che per tale motivo vennero escluse dalla riforma della gendarmeria furono oltre i vilayet di Scutari e di Jannina, il sangiaccato di Koritza, eccettuato il cazà di Kastoria, il sangiaccato di Elbassan e la parte sud-ovest del cazà di Okrida, i sangiaccati di Dibra, Prizrend, Pristina e Jpek, ed i cazà di Tachlidja (Plevlje) e di Sjenica, nel sangiaccato di Novi-Bazar.

Però, mentre nei vilayet di Scutari e di Jannina e nei cazà di Tachlidja e Sienjca la riforma della gendarmeria venne eliminata in modo assoluto, questa potrà essere effettuata nei sangiaccati di Koritza e di Elbassan, nella parte est del cazà di Okrida, nord-ovest e sud dei sangiaccati di Dibra e Prizrend ed ovest e sud-est di quello di Jpek in epoca da determinarsi ulteriormente dalle Potenze in virtù della facoltà loro attribuita dalla nota austro-russa diretta alla Sublime Porta il 29-16 febbraio 1903 (processi verbali della seduta del 30 febbraio 1904 della Commissione internazionale militare in Costantinopoli).

Per contro rispetto al sangiaccato di Pristina, alla parte nord-ovest di quello di Jpek, sud-est del sangiaccato di Prizrend e nord-est di quello di Dibra, tale facoltà venne data al generale de Giorgis ed agli aggiunti militari (processi verbali della riunione del 13 marzo 1904 e precedente della Commissione militare suddetta).

Nel pensiero quindi della Commissione internazionale militare le regioni sopra indicate sarebbero da ritenersi, perché abitate in prevalenza da popolazioni albanesi, come facenti parte dell’Albania, la quale, per conseguenza, verrebbe ad esser circoscritta nei confini seguenti: al nord dal Principato di Montenegro, dalla Bosnia e dal Regno di Serbia, ad est dal Regno di Serbia, dal sangiaccato di Uskub, di Monastir e di Serfigé e dal Regno di Grecia, ad ovest dal Mar Adriatico, ed al sud dal Golfo Ambracico.

Dall’intesa sull’Albania non risulta quale significato i Governi italiano ed austro-ungarico abbiano voluto attribuire a tale espressione e se in questa siano da comprendersi i vilayet di Scutari e di Jannina soltanto od anche tutti i territori abitati da popolazioni albanesi. Nè appare d’altra parte che nel colloquio avuto dal marchese Visconti-Venosta in marzo del 1897 col conte Goluchowski si sia parlato di tale argomento. Ma basta accennare al significato differente che potrebbe esser dato all’espressione suddetta per dimostrare quale danno sarebbe per ridondare alle popolazioni albanesi ed agli interessi italiani se l’intesa dovesse riferirsi al primo di essi ed abbracciare soltanto i vilayet di Scutari e di Jannina.

Nella mancanza quindi di una designazione delle regioni a cui siano da applicare le stipulazioni dell’intesa è da ricercare quali potrebbero essere nel pensiero del Governo imperiale e reale queste regioni e se esso sarebbe disposto ad ammettere che essa abbracci tutti i territori, che, giusta quanto fu inteso in occasione dell’accordo di Mürzsteg e sanzionato poi dalla Commissione internazionale militare a Costantinopoli, furono esclusi dalla riforma della gendarmeria in modo assoluto e, in parte, in via provvisoria, perchè abitate da popolazioni prevalentemente albanesi.

Quantunque tra questi territori siano stati compresi i cazà di Tachlidja (Plevlje) e di Sjenica ed i sangiaccati di Jpek, Pristina e Prizrend non è da supporre che il Governo imperiale e reale sia per consentire che essi possano costituire, in dato momento, nella loro totalità, insieme ai vilayet di Scutari e di Jannina ed ai sangiaccati di Dibra, Elbassan e Koritza quell’autonomia che è una delle eventualità dell’intesa: se esso vi consentisse verrebbe a chiudere la frontiera sud-est della Monarchia ed a sbarrarsi la via verso Salonicco e verso ogni eventuale espansione nei Balcani.

Sebbene il mantenimento dello status quo territoriale e politico nella Penisola sia per l’Austria-Ungheria la base cardinale della sua politica, tuttavia essa non potrebbe ammettere che nelle confinanti regioni orientali si costituisca uno stato di cose che le impedisse tale espansione, che non è certamente nelle sue previsioni né nelle sue intenzioni attuali, ma che non esiterebbe a realizzare se lo statu quo fosse turbato da altri sia con un’occupazione di un punto qualsiasi nei Balcani da parte di una potenza, sia con un’insurrezione che minacci la sua frontiera.

Si è perciò che la linea di condotta seguita per l’addietro dal Governo imperiale e reale fu sempre diretta ad impedire la formazione di un grande stato alla frontiera orientale della Monarchia. Infatti oltre i compensi concessi dalla Russia all’Austria–Ungheria in prezzo della sua neutralità nella guerra contro la Turchia nel 1878, questa ottenne dall’imperatore Alessandro III nel convegno di Reichstadt4 l’assicurazione che alcun forte Stato slavo non sarebbe costituito a quella frontiera e quando, contrariamente a tale assicurazione, venne progettata nel Trattato di Santo Stefano la formazione di una grande Bulgaria, il Governo imperiale e reale sostenuto potentemente dall’Inghilterra, si adoperò nel Congresso di Berlino perché quel trattato venisse distrutto e sostituito da altra stipulazione intesa a ridurre il Principato di Bulgaria a proporzioni più modeste.

Da una carta geografica dell’Albania, a cui si attribuisce un’origine ufficiosa austro-ungarica e che mi riuscì di procurarmi in via indiretta, si constata che i confini di quella regione sarebbero circonscritti entro una linea, la quale muovendo dalla frontiera del Principato di Montenegro sopra Jpek scenderebbe per Glina fino al di là di Prizrend e dirigendosi per Kalkandelem (Tetovo) e Kostovo (Gostivar) sul lago di Okrida, che dividerebbe a metà, seguirebbe i monti Gramos passando per Koritza (Gortscha) e Leskovik, da dove risalendo verso l’ovest si biforcherebbe per raggiungere il mare Adriatico, da un lato, nella direzione di Malokastro lungo il corso della Voioussa, dall’altro, per il sud, sopra Ergeri.

In tale carta però non sono segnati i confini degli altri territori che fanno parte del vilayet di Jannina, i quali furono eliminati dalla riforma della gendarmeria dalla Commissione internazionale militare di Costantinopoli perchè abitate in prevalenza da popolazioni albanesi e che sono chiusi tra il mare Adriatico e tra Leskovik, Koritza, Metzovo, Arta ed il Golfo Ambracico.

Ma da Leskovik, punto estremo dei confini sopra accennati partirebbe una linea, la quale, inoltrandosi verso l’est nel vilayet di Monastir, si dirigerebbe sopra Grevena e di là risalendo al nord attraverserebbe la parte meridionale del vilayet di Salonicco per seguire il corso della Vistritza fino al mare Egeo sopra Katerina.

In questo tracciato sarebbe compresa la parte sud–ovest e sud–est del cazà di Grevena e la totalità del sangiaccato di Serfigè, i cazà di Elassona, di Katerina, nonché la parte sud–est di quello di Verria come se queste regioni dovessero essere destinate, nel pensiero dell’autore della carta, ad essere unite, in eventualità future, insieme all’Epiro, al Regno di Grecia.

È evidente che da tale delimitazione l’Albania ne escirebbe ristretta. In essa infatti non sarebbero compresi, oltre i territori che si estendono da Ergeri a Konitsa e dal fiume Kalamas a Metzovo, l’Epiro, i cazà di Tachlidja e Sjenica, la parte nord–ovest e sud dei sangiaccati di Jpek e Prizrend, come la totalità di quello di Pristina, per cui rimarrebbe aperta all’Austria-Ungheria la via di Salonicco.

Se fosse quindi esatto ció che si afferma circa la sua origine, la carta suddetta, nel confermare il dubbio da me già manifestato farebbe intravvedere entro quali limiti, secondo il pensiero del Governo imperiale e reale debba esser circoscritta l’Albania.

Da quanto ho fin qui esposto risulta evidente la necessità di chiarire questo punto capitale, perché l’intesa possa avere un effetto pratico e rispondere agli scopi per i quali venne stipulata col specificare, ove sia possibile, di comune consenso col Governo imperiale e reale a quale regioni sia da applicarsi all’evenienza.

Non v’ha dubbio che la dichiarazione verbale fatta all’E.V. dal conte Goluchowski nel convegno di Venezia il 29 aprile 1905, secondo la quale «le regioni abitate in maggioranza da popolazioni albanesi aggregate ora ai vilayet macedoni debbano essere riunite all’Albania propriamente detta in occasione della riorganizzazione delle circoscrizioni amministrative della Macedonia, prevista nell’art. 3 del programma di Mürzsteg» potrebbe essere considerata quale un corollario dell’intesa venendosi, con essa, a determinare, in certo modo l’Albania e a darle quel significato geografico di cui non si fa cenno nell’intesa stessa.

Ma perché tale dichiarazione, che non fu seguita da alcuna ulteriore spiegazione possa avere un reale valore, bisognerebbe intendersi sulla designazione delle regioni alle quali si riferisce, e se le medesime siano da essere contemplate nell’intesa.

Si potrebbe supporre che nel fare quella dichiarazione il conte Goluchowski abbia voluto alludere alle regioni escluse momentaneamente dalla riorganizzazione della gendarmeria perché abitate in maggioranza da popolazioni albanesi, cioè ai sangiaccati di Pristina, Jpek, Prizrend, Dibra ed Elbasan, alla parte ovest del cazà di Okrida ed al sangiaccato di Koritza, compresi, i primi quattro, nel vilayet di Kossovo e gli altri in quello di Monastir.

Per evitare però qualsiasi equivoco in avvenire sarebbe necessario di procedere col conte Goluchowski ad uno scambio di idee per averne la conferma ufficiale, la quale sarebbe tanto più opportuna che le mire della politica austro-ungarica farebbero dubitare che il Governo imperiale e reale sia disposto a dare all’intesa un’estensione simile, ma a restringerla, per contro, a quelle regioni che costituiscono i due vilayet di Scutari e di Jannina o che trovansi compresi nei limiti assegnati alla Albania dalla carta geografica suddetta.

È da domandare ora se il conte Goluchowski sarebbe disposto ad addivenire ad un tale scambio di idee.

Se devesi tener conto del ritegno da lui sempre dimostrato in addietro di intrattenersi con noi delle cose albanesi e specialmente della risposta data al mio predecessore quando manifestavagli nel marzo 1903 (doc. dipl. n. 535 del 17 marzo 1903, serie CVII) il desiderio del R. Governo di scambiare le proprie idee al riguardo, sarebbe da supporre che egli non sia disposto ad accogliere favorevolmente una nostra entratura circa l’argomento suddetto.

In quell’occasione però si trattava nel pensiero del R. Governo di avvisare i mezzi meglio rispondenti agli accordi esistenti per l’efficace tutela dello status quo in

Albania, ciò a cui il conte Goluchowski non stimò allora opportuno di accondiscendere per non sollevare altre questioni in altre parti dell’Impero ottomano, che avrebbero potuto complicare l’azione diplomatica delle potenze assorbite da quella macedone.

Mentre lo scambio di idee da proporre ora avrebbe tutt’altro scopo: esso sarebbe inteso unicamente a precisare il senso della dichiarazione in discorso per ottenere che le eventualità previste dall’intesa possano avere una esecuzione pratica col determinare il significato da darsi dal punto di vista etnico alla parola Albania senza sollevare la questione albanese.

Ma quantunque la nostra domanda forse ristretta entro tali termini è da dubitare che il conte Goluchowski si induca a riandare su quella dichiarazione per farne oggetto di uno speciale scambio di idee.

Egli evita infatti per massima, ed anche perché non suole approfondire sempre le questioni, di entrare a parlare dei loro particolari, onde ad una domanda simile potrebbe rispondere: che sarebbe prematuro di occuparsi della questione, l’AustriaUngheria e la Russia non avendo intenzione, per ora, di dar seguito alla riorganizzazione delle circoscrizioni amministrative in Macedonia, la quale potrebbe essere più utilmente esaminata quando sarebbe giunto il momento di procedere alla sua attuazione; che la questione non riguarderebbe soltanto l’Austria-Ungheria e l’Italia, ma pure le altre potenze firmatarie del Trattato di Berlino, che avrebbero il diritto di interloquire sopra i vari affari riguardanti la Penisola; infine che l’argomento si collegherebbe con un punto del programma di Mürzsteg, l’organizzazione delle circoscrizioni amministrative in Macedonia essendo contemplata dall’art. 3 di esso, per cui non potrebbe formare oggetto di un accordo diretto coll’Italia, ció potendo risvegliare le suscettibilità della Russia.

L’ E.V. ricorderà che nel concretare meco la dichiarazione verbale fattale nel convegno di Venezia, il conte Goluchowski mi manifestò il desiderio che, nel comunicarla al Parlamento, ella non si esprimesse come se un nuovo accordo fosse intervenuto in Venezia sulla questione, perchè ciò avrebbe potuto far supporre al conte Lamsdorff che una intesa speciale avesse avuto luogo tra i due Governi sopra un punto riguardante il programma di Mürzsteg, sul quale l’Austria-Ungheria e la Russia erano chiamate in primo luogo a pronunciarsi e dovevano intendersi per procedere alla riorganizzazione delle circoscrizioni amministrative in Macedonia (mio telegramma n. 56 del 10 maggio 1905)5.

Tra le obiezioni sopra accennate quella che si riferisce all’accordo di Mürzsteg sembra avere un valore maggiore delle altre e contro di essa non ci sarebbe agevole di argomentare per vincere la resistenza del conte Goluchowski, il quale potrebbe schermirsi dal darci una risposta soddisfacente fondandosi sugli obblighi assunti con quell’accordo.

Siccome però è nel nostro interesse di venir a capo della cosa converrebbe per non esporci ad un rifiuto di accertarci delle disposizioni del conte Goluchowski prima di fare una vera e propria entratura nel senso suddetto, cogliendo una occasio-

ne propizia per ricordargli la dichiarazione da lui fatta nel convegno di Venezia ed entrare quindi a parlare di essa come fosse quasi una continuazione del discorso interrotto in quel convegno di cui si riprenderebbe ora il filo per condurlo ove fosse possibile, alle conclusioni da noi desiderate.

Per i motivi sopra accennati non è probabile però che il conte Goluchowski, dato che consenta a discutere con noi un tale argomento, si induca a comprendere tra le regioni da unirsi in avvenire all’Albania i cazà, di Tachlidja e Sjenica, come il sangiaccato di Pristina e la parte sud-ovest e sud di quelli di Jpek e Prizrend.

Questi territori, del resto, formano pure oggetto delle aspirazioni della Serbia, perchè, oltre all’essere abitate da popolazioni serbe non meno numerose di quelle albanesi che ivi risiedono, sono da essa considerate, come doventi essere riunite al Regno facendo parte della Vecchia Serbia.

Quanto vive siano queste aspirazioni lo dimostrano le apprensioni che provocò nell’opinione pubblica e nel Governo serbo stesso l’annunzio che nel convegno di Venezia si fosse completata l’intesa col definire in modo più preciso i paesi da ritenersi come appartenenti all’Albania, ciò che fece nascere il timore che tra i medesimi fossero stati compresi i territori suddetti (doc. dipl. n.735 del 19 maggio 1905, serie XXII).

Se si volessero quindi includere totalmente nei confini dell’Albania si incontrerebbe non solo l’opposizione della Austria–Ungheria, ma si verrebbe anche ad urtare il sentimento nazionale della Serbia che conviene rispettare ovunque abbia un reale fondamento.

Per conciliare però questi disparati interessi bisognerebbe procurare di segnare un confine geografico della Albania che pur vagliando colla dovuta imparzialità le pretese di coloro che vorrebbero estenderlo oltre misura, alle regioni, cioè, ove l’omogeneità delle popolazioni albanesi non è sufficientemente constatata di fronte alle altre popolazioni colle quali convivono, corrisponda, da un lato, ai diritti del popolo albanese, tutelandone la futura indipendenza politica ed economica e venga, dall’altro a dare soddisfazione alle giuste aspirazioni della Serbia come alle vedute dell’Austria-Ungheria, lasciando impregiudicata la questione dell’attribuzione dei territori surriferiti, svincolando così da essa la responsabilità dell’Italia.

Per quanto difficile sia di determinare questo confine per le complicate questioni di nazionalità che solleva, potrebbesi tuttavia stabilire una linea la quale, muovendo dal nord di Murgas, presso la frontiera montenegrina sotto Berani, seguirebbe, dopo aver percorso l’Emiljevica planina, la catena dei Monti Mokra fino a Mletian, da dove, dirigendosi verso l’est, costeggerebbe in parte il fiume Obiljic, al di là della Djevic planina e scendendo al sud per la Dronica planina e la Cronoljeva planina, attraverserebbe i Rodza Balkan e la Sar planina, per passare all’est di Kalkandele (Tetovo) e Kostovo (Gostivar) e raggiungere, per Javorievac, Pesocan e Mislevo, il lago di Okrida, che dividerebbe a metà.

Dall’estremo punto di questo lago, cioè da Starovo, si potrebbe adottare il tracciato segnato dal Weigand nel suo libro Die Aromunen facendo proseguire la linea verso l’est per Podgar, zvedza, sotto il lago di Presba, Bitniski, Biglista, Rapista e Sliven fino alle vicinanze di Kastoria, da dove, dopo aver abbracciato la regione di Nasselitch, retrocederebbe all’ovest per scendere per le creste del Pindo, fino al Golfo Ambracico.

Il confine sopra segnato abbraccerebbe, oltre le regioni che vennero considerate dalla Commissione internazionale militare di Costantinopoli come abitate in prevalenza da popolazioni albanesi, all’eccezione dei cazà di Tachlidja e Sjenica, del sangiaccato di Pristina e della parte nord-ovest e sud di quelli di Jpeck e Prirzend, i distretti di Kalkadelen Tetovo, e di Kostovo (Gostivar) colle loro adiacenze, nonché i territori chiusi fra Starovo, Gortscha ed i monti Gramos e tra Podgar, i monti Sucha, il lago di Presba, Biglista, Rapsista, Sliven e la regione di Nasselitch. Questi territori però, che, quantunque popolati in massima parte da gente albanese, sono rivendicati dalla Bulgaria e dalla Grecia, che pretendono siano abitati in prevalenza dai rispettivi elementi, vennero riconosciuti dalla Commissione suddetta come facenti parte della Macedonia e furono loro applicate le riforme, circostanza che potrebbe essere addotta dal Governo imperiale e reale per opporsi alla loro inclusione nei confini dell’Albania.

Per contro sarebbero escluse da quel confine le popolazioni albanesi più o meno numerose, che trovansi sparse al di là della Boiana, nel Principato di Montenegro, nelle montagne che dominano le valli dell’Ibar e del Drin e su quelle tra la Morawa bulgara e la Toplitza, le quali si spingono, le une fino alla vicinanza di Novi Bazar e di Lescovatz, nel Regno di Serbia, le altre in varie località del sangiaccato di Uskub. Queste popolazioni però, sono in minoranza di fronte alle popolazioni serbe colle quali convivono, onde conviene lasciarle unite a queste con cui hanno maggiori vincoli morali, storici e geografici, perchè i confini dell’Albania possano comprendere popolazioni omogenee prettamente albanesi.

Se l’entratura che noi fossimo per fare presso il conte Goluchowski potesse indurlo a dare alla dichiarazione da lui fatta nel convegno di Venezia il desiderato svolgimento, essa, col precisare la nota intesa, segnerebbe il primo passo verso quella via che deve condurci a stringere coll’Austria-Ungheria accordi maggiori per dissipare del tutto le diffidenze che esistono tra noi, le quali sono originate non già dal sospetto che entrambi i Governi vogliano venir meno agli obblighi assunti coll’occupare in dato momento l’Albania, bensì dal timore che la penetrazione economica e la propaganda scolastica che vanno esercitandovi possa permettere all’uno di essi di estendere a danno dell’altro la propria influenza in modo tale da padroneggiare quella regione, ciò che non potrebbe, collo accrescere le loro rivalità, non condurre ad un serio conflitto.

Tale timore, che è avvalorato in certo modo dalla linea di condotta opposta che gli agenti dei due Governi tengono in Albania e che è intesa, in realtà, a combattere o a neutralizzare a vicenda gli effetti di quanto fanno rispettivamente, potrebbe bensì essere dissipato soltanto se ci fosse dato di regolare col Governo imperiale e reale, a similitudine di quanto avvenne tra esso ed il Governo russo, la comune nostra azione in quella regione che rappresenta per l’Italia e l’Austria-Ungheria ciò che la Macedonia è per le potenze suddette e determinare quindi le riforme da proporsi alla Sublime Porta ed alle potenze firmatarie del Trattato di Berlino da introdursi, colà, le quali, col diffondervi i benefici della civiltà potrebbero metterla in grado di raggiungere l’indipendenza a cui la si vuol destinare. Sarebbe, nell’interesse nostro come altresì in quello austriaco di non tardare ad adoperarci in tal senso, altrimenti col continuare a lasciar correre le cose come vanno di presente, si potrebbero esporre le relazioni reciproche alla mercé di ogni incidente che fosse per sorgere in Albania.

Devesi però riconoscere che tale scopo non sarebbe certamente da conseguire nel momento attuale, innanzi tutto per l’esistenza dell’accordo di Mürzsteg che, col vulnerare il patto d’alleanza ha pregiudicato la nostra azione nei Balcani, ed in secondo luogo per le pretese che l’Austria-Ungheria accampa in Albania, ove crede avere una situazione superiore alla nostra per la protezione che colà si attribuisce sul culto cattolico, la quale le impone l’obbligo, come qui si afferma, di occuparsi più d’ogni altra potenza, delle questioni riguardanti quella regione.

Ma esso potrebbe forse essere raggiunto in avvenire se ci riuscisse, da un lato, a vincere quella avversione che sembra esistere in Russia contro il popolo albanese e ad associarla alle nostre idee, interessandola a cooperare con noi alla costituzione della sua autonomia, e se, col modificarsi, dall’altro, delle condizioni interne della Monarchia, prendessero vieppiù piede le disposizioni favorevoli che si constatarono qui di recente a nostro riguardo e si accentuasse poi, nell’indirizzo della sua politica orientale, la tendenza, manifestatasi in entrambe le delegazioni e con maggior forza in quella ungherese, di astenersi da ogni mira di espansione territoriale e da ogni ingerenza negli affari interni degli Stati balcanici, per mantenere con essi i più cordiali rapporti e favorirne lo sviluppo autonomo ed indipendente.

Ignoro quali siano le disposizioni del R. Governo circa quanto ho avuto l’onore di esporre all’E.V. ma ho creduto di sottoporle le considerazioni che precedono per il caso ella stimasse prenderle in benevolo esame6.

P.S. Trasmetto qui unita la carta dell’Albania a cui si attribuisce un’origine ufficiosa austro-ungarica non che quella nella quale è segnato il confine di tale regione descritto in questa lettera.

55 1 Vedi serie terza, vol. IX, D. 608.

55 4 Vedi serie seconda, vol. VII, D. 231.

55 5 Vedi serie terza, vol. IX, D. 83.

56

IL COMMISSARIO CIVILE PER L’ERITREA, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI1

T. 1831. Addis Abeba, 13 luglio 19062.

Come già ho riferito a V.E. col precedente mio telegramma3, momento corre poco propizio influenza europea. Menelik diffidente muta pensiero, parole ogni giorno.

Quali le probabili ragioni dirò in particolareggiato rapporto4. Dopo di avere accettata stipulazione trattato identico al tedesco, dichiarò di voler escluso l’art. quinto, dimostrandogli io che clausola nazione più favorita ci dava diritto istituzione

56 1 Ed., con varianti, in MARTINI, Diario Eritreo, cit., p. 486.

2 Trasmesso da Asmara il 15 luglio. 3 Vedi D. 49. 4 Non pubblicato.

residenza anche con antico trattato, chiamò ministro residente Germania. Avendo risposto credere ciò impossibile, Menelik convocato consiglio fra cui Lagarde. Ho naturalmente insistito, trattato identico tedesco sarà stipulato con aggiunta relativa unica dogana. Ho creduto a proposito di comunicare tutto questo V.E. per dar conto di uno stato di cose in tutto o in parte conseguenza imprudenze europei. Per Dancali stabilito, occorre immediatamente carta precisa mediante la quale determinare confine omogeneo. Provveduto anche in modo soddisfacente evitare, reprimere razzie colonia. Testo accordo giunse ora Harrington.

55 6 Vedi D. 71.

57

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 940/241. Londra, 13 luglio 1906 (perv. il 17).

Ho l’onore di trasmettere qui unito a V.E., un memorandum testé inviatomi dal Foreign Office sugli affari di Creta. In esso il Governo britannico, rallegrandosi che le potenze protettrici si sieno in sostanza messe d’accordo su tutti gli altri punti accennati nel primo memorandum inglese (rapporto di questa ambasciata 19 maggio u.s. n. 641/185)1, insiste sulla necessità che sia ormai regolata la questione del successore al principe Giorgio come alto commissario in Creta.

Ritornando quindi alla sua primitiva proposta, il Governo britannico propone che il potere di nominare il futuro alto commissario sia dalle potenze protettrici conferito al Re di Grecia, salvo l’approvazione di esse potenze e la definitiva conferma da parte del Sultano.

Per mettere in pratica tale divisamente il Governo britannico chiede ora ai Governi italiano, russo e francese l’autorizzazione di preparare una comunicazione a tal riguardo, la quale dovrebbe esser firmata dai rappresentanti delle quattro potenze ad Atene e poscia rimessa al Re di Grecia dal rappresentante britannico nella stessa residenza.

Ignoro se codesto ambasciatore britannico abbia sottoposto a V.E. l’anzidetta proposta e se quindi V.E. abbia già avuto occasione di manifestare le sue idee al riguardo. In caso che ciò non sia avvenuto, parrebbemi opportuno che V.E., al ricevere questo mio rapporto, mi telegrafasse le sue istruzioni da darsi al Governo britannico2.

2 Con T. 1597 del 23 luglio, non pubblicato, Tittoni proponeva un accordo confidenziale tra il

Re di Grecia e le potenze protettrici per evitare che quest’ultime si trovassero in condizioni di non accettare il candidato scelto dal Re.

57 1 Non pubblicato.

58

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI

T. RISERVATISSIMO1. Roma, 18 luglio 1906, ore 13.

Incaricato d’affari Berlino mi riferisce che il solo art. nove della convenzione d’Abissinia ha dato luogo ad osservazioni confidenziali ed amichevoli da parte del Governo germanico2 al quale pare che detto art. stabilisca un monopolio di costruzione delle ferrovie abissine a favore dell’Inghilterra, Francia ed Italia. Perciò Governo germanico ci domanda come noi consideriamo art. nove in relazione al principio della porta aperta e del trattato di commercio che la Germania ha coll’Abissinia. Prima di rispondere desidero che ella ne informi sir Edward Grey e gli chieda il suo parere circa la risposta da dare3.

59

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATISSIMO1. Belgrado, 18 luglio 1906.

Il sig. Vesnić, ora ministro della giustizia e dei culti, già rappresentante della Serbia a Roma (1901-02) e a Parigi, uomo di ingegno e coltura non comuni, mi ha testé parlato a lungo di un argomento che formò in gran parte oggetto del mio rapporto 2 dicembre 1905, n. 2692, cioè delle ragioni di alto interesse politico che consigliavano questo paese a concludere, a somiglianza del Montenegro, un concordato col Vaticano per l’esercizio della religione cattolica.

In Serbia, come ebbi l’onore di scrivere alla E.V., dimorano fra quindici e ventimila cattolici, dei quali circa quattromila a Belgrado. Al servizio religioso di tutti costoro, provvedono o, almeno, dovrebbero provvedere due soli preti, pagati dal Governo austro-ungarico che li considera come suoi funzionari, giacché, come alteramente dichiarava fin dal 1882 il conte di Khevenhüller: «È principio della politica austriaca, ereditato da Schwarzenberg e da Metternich esercitare mediante la giurisdizione di un vescovo austriaco, una specie di controllo sui cattolici di Serbia».

Dei due preti ai quali ho accennato, uno risiede qui, l’altro a Kragujevac. A Belgrado non havvi altra chiesa cattolica che la cappella della legazione austro-

2 Vedi D. 54. 3 Vedi D. 64.

2 Non pubblicato.

ungarica, la quale può, quando vuole, e talora lo volle, vietarne l’accesso a chi crede, impedire funerali o altre cerimonie del culto. Non è pertanto esagerazione affermare che qui i cattolici, dal punto di vista dell’esercizio del loro culto si trovano in condizioni molto inferiori a quelle dei musulmani e degli israeliti.

Ma indipendentemente da qualsiasi considerazione religiosa, lo stato di cose al quale ho accennato, crea una persistente ingerenza ed una pericolo [sic] propaganda politica da parte di un Governo straniero. La Serbia preferirebbe pertanto, un clero autonomo sotto la direzione del Vaticano, piuttosto che un clero agli stipendi di Vienna e sotto la sua diretta dipendenza. La situazione si è poi fatta anche peggiore dopo la morte del celebre monsignor Strossmayer sotto la cui giurisdizione quale vescovo di Diakovar, si trovavano, non solo i cattolici della Croazia, del Sermio e della Bosnia, ma anche quelli di Serbia, giacché quell’illustre prelato, non solo non ispirava timore ai jugo-slavi, ma era anzi da loro considerato come il più ardente apostolo della grande idea. Lungamente mi svolse il sig. Vesnić le ragioni che rendono ora politicamente urgente la conclusione di un concordato con Roma, ma aggiunse che, prima di spingere innanzi le trattative, desiderava la certezza non spiacessero all’Italia ove si è sempre molto suscettibili per tutto ciò che riguarda le relazioni dei Governi stranieri col Vaticano.

Colla massima riserva, richiesta dalla delicata importanza dell’argomento, porto quanto precede a notizia dell’E.V., attendendo una parola la quale mi serva di norma nella risposta da dare al sig. Vesnić che la aspetta con molta impazienza3.

58 1 Minuta autografa. Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

59 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto e privo dell’indicazione della data di arrivo.

60

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 1577. Roma, 19 luglio 1906, ore 18,15.

R. console zara, con successivi rapporti, m’informa di voci contraddittorie circolanti colà circa commemorazione battaglia Lissa che quest’anno si vorrebbe celebrare con solennità speciale, coll’intervento comandante Marina imperiale e reale, luogotenente imperiale Dalmazia, colla presenza di tutta la flotta. Si accredita anche notizia che S.M. l’Imperatore, ai primi settembre si recherebbe da Ragusa a Lissa, per deporre corona sulla tomba caduti in quella giornata. Prego V.E. procurarmi possibilmente positive notizie circa progetti che, su questo argomento, si maturassero da codesta autorità1.

60 1 Per la risposta vedi D. 63.

59 3 Per la risposta vedi D. 89.

61

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

L. PERSONALE CONFIDENzIALE. Roma, 19 luglio 1906.

Al telegramma n. 112 che l’E.V. mi diresse il 17 di questo mese1, risposi col mio telegramma confidenziale del giorno seguente nel quale le annunciavo che le avrei inviato prossimamente il testo dell’accordo anglo-franco-italiano per l’Etiopia, affinché ella ne desse comunicazione in mio nome al conte Goluchowski sotto riserva del segreto al quale, si sono reciprocamente impegnate le tre parti contraenti sino a quando la Convenzione non potrà essere regolarmente firmata dai rispettivi plenipotenziari.

Con che resta per me inteso che il testo della Convenzione non uscirà per ora dalle mani del conte Goluchowski.

Nel trasmetterle oggi, a tal fine, sotto questo piego un esemplare del testo di detto accordo, mi preme manifestarle che avevo già divisato in precedenza di procedere all’odierna comunicazione verso il Governo austro-ungarico, come già verso il Governo tedesco, e per gli stessi motivi che a quest’ultimo: per fare, cioè, atto amichevole verso i Governi, alleati ed affinché gli alleati medesimi prendessero nota sin da ora degli impegni che, mediante la Convenzione in parola, due potenze, Francia ed Inghilterra, venivano ad assumere verso l’Italia e del conseguente nostro buon diritto di sostenere in avvenire lo scrupoloso mantenimento degli impegni stessi.

Ma poiché l’E.V. manifestava nel suo telegramma che le era parso comprendere che la comunicazione, da parte nostra, dell’accordo era costì attesa, quasi ad intendere che al ministro austro-ungarico degli affari esteri destasse meraviglia l’apparente disparità di trattamento usato a suo riguardo, mentre la Germania era già in possesso del testo della Convenzione, gioverà che, nel consegnare al conte Goluchowski il documento qui acchiuso, ella gli confermi il mio anteriore proposito, quale le ho testé enunciato, aggiungendo che l’avere comunicato in precedenza al Gabinetto di Berlino le clausole dell’accordo, dipese da ciò che era in allora imminente la partenza in congedo del generale Lanza, dal quale mi premeva fosse personalmente fatta la comunicazione in parola al Governo germanico.

Gradirò ch’ella mi confermi l’arrivo in sue mani della presente lettera...2.

2 Per il seguito vedi D. 69.

61 1 Non rinvenuto.

62

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1483/517. Therapia, 19 luglio 1906 (perv. il 31).

Il r. console generale in Salonicco mi ha inviato copia del rapporto n. 1337/264 da lui diretto in data del 2 luglio all’E.V.1 per caldeggiare l’urgente introduzione della riforma giudiziaria in Macedonia.

Nell’esprimere il parere, condiviso dal suo collega britannico, che l’attuazione della riforma medesima si impone oggi all’Europa come un sacrosanto dovere, il cav. Milazzo cita anche l’opinione del sig. Steg, il quale ritiene che, se l’Italia e l’Inghilterra prendessero l’iniziativa di quella riforma, la Russia non mancherebbe in questo momento di aderirvi senza difficoltà.

Che, in tesi generale, la riforma giudiziaria s’imponga quale indispensabile corollario delle altre già introdotte in Macedonia, non è chi non veda. Su questo punto non vi possono essere discrepanze, viste le condizioni lacrimevoli e disastrose nelle quali, salvo rarissime eccezioni, viene amministrata la giustizia non solo in Macedonia, ma in tutto l’Impero ottomano.

Importa soltanto chiarire due punti: 1) È opportuno mettere, oggi come oggi, in campo la questione della riforma giudiziaria? 2) Conviene all’Italia prendere l’iniziativa o quanto meno associarsi a quella che partisse eventualmente dall’Inghilterra, dato pure, ma non concesso, che la Russia abbandonasse la linea di condotta finora tenuta di fronte all’Austria-Ungheria?

Su questi due punti debbo confessare all’E.V. che le vedute mie non collimano con quelle manifestate dal cav. Milazzo e dai suoi colleghi.

Che l’ora presente sia inopportuna, pare a me si possa dimostrarlo con due argomenti dirimenti: 1) che una riforma giudiziaria, in qualunque modo la si voglia tradurre in atto, non costituisce meno un grave attentato ai diritti di sovranità del Sultano. È facile quindi il prevedere che egli non vi si acconcerebbe senza prima opporvi vivissima e tenace resistenza. Il sollevare poi la questione oggi, quando non sono ancora cancellati gli amari ricordi della energica pressione di recente esercitata dalle potenze per imporgli la riforma finanziaria, equivarrebbe ad infliggere una novella e più grave offesa all’amor proprio, al prestigio del Sultano, e come sovrano e come califfo. Si verrebbe con ciò ad eccitare sempre più l’odio ed il fanatismo musulmano contro le popolazioni cristiane, si metterebbe il Sultano con le spalle al muro, e, facilitando il giuoco del partito militare, si correrebbe rischio di spingerlo, forse, a prendere la risoluzione disperata di farla finita una buona volta con tutte queste vessazioni e dare addosso ai bulgari, dei quali, a torto od a ragione, S.M. Imperiale è convinta di poter trionfare senza troppe difficoltà. Qualora ciò si verificasse, si giungerebbe ad un risul-

tato diametralmente opposto al duplice scopo prefissosi finora dalle potenze, cioè mantenimento della pace e conservazione dell’integrità dell’Impero.

Inoltre, sollevata eventualmente la questione della riforma giudiziaria, io dubito forte che la medesima incontrerebbe oggi quell’unanime consenso di tutte sei le grandi potenze, senza il quale è vana speranza il fiaccare la resistenza della Turchia. Non ho, per giustificare il dubbio mio, che a ricordare le dichiarazioni precise e categoriche replicatamente fattemi dall’ambasciatore di Germania, dichiarazioni che a suo tempo non mancai di riferire all’E.V. Il barone Marschall si mostrava recisamente avverso ad ogni progetto di riforma giudiziaria e S.E. non esitava a dichiarare agli altri colleghi ed a me che, al postutto, la giustizia turca lasciava certamente a desiderare, ma non era certo peggiore di quella greca bulgara e serba.

E vengo ora al secondo punto: alla eventualità, cioè, della iniziativa inglese alla quale si associerebbe l’Italia. Io non riesco in verità a ravvisare i vantaggi che la medesima presenterebbe per noi: vi ravviso invece inconvenienti, ed essi mi sembrano molteplici e rilevanti.

È chiaro in primo luogo che, con l’associarsi ad una eventuale iniziativa inglese, l’Italia sarebbe per la forza stessa delle cose a prendere di fronte alla Turchia posizione di combattimento al lato alla potenza in questo momento più di ogni altra invisa al Sultano.

Da cosiffatto contegno, quali che possano essere le eventuali nostre rassicuranti dichiarazioni, il Sultano trarrebbe, a torto od a ragione, il convincimento che le relazioni cordiali amichevoli con l’Impero ottomano non entrano più nelle direttive della politica italiana. Non intendo, perché non spetta a me, discutere la convenienza o meno che per noi presenta la politica di amicizia con la Turchia. Debbo però contemplare i risultati del nostro mutato contegno. E tali risultati — mi sembra ovvio — sarebbero di scuotere la fiducia del Sultano nell’amicizia dell’Italia, ed alienare da noi quel tanto di simpatia e di amicizia che attualmente S.M. Imperiale professa, o almeno ha l’aria di professare a riguardo nostro.

E con siffatte disposizioni poco benevoli del Sultano – non vi è da farsi allusione di sorta – la realizzazione già così difficile dei nostri piani di espansione economica in questo Impero, incontrerebbe ostacoli e difficoltà ben più gravi, ben più ardui a superare.

Né sembrami, d’altra parte, si possa nemmeno omettere di esaminare le conseguenze che da una iniziativa italo-inglese per la riforma giudiziaria verrebbero per quanto concerne le nostre relazioni con l’Austria-Ungheria, cui siffatta iniziativa riescirebbe ostica in sommo grado. Andremmo pertanto verosimilmente incontro ad un nuovo raffreddamento, forse anche ad una nuova e più acuta tensione delle relazioni con la potenza alleata, di quelle relazioni appunto che - per quanto mi è noto - il Governo di Sua Maestà attende da qualche tempo a ricondurre allo stato normale dal quale eransi negli ultimi tempi sensibilmente dipartite. Ma qui mi si potrebbe obbiettare: se noi non ci associeremo ad un’eventuale iniziativa inglese, corriamo il rischio che essa venga di nuovo presa dall’Austria-Ungheria e la Russia, le quali riesciranno in tal modo a riaffermare in Macedonia la posizione preponderante che, con l’istituzione della commissione finanziaria, noi siamo riesciti a scuotere.

A questa obbiezione rispondo che di tal pericolo io mi preoccupo, in oggi, e per quanto concerne l’azione riformatrice in Macedonia, soltanto moderatamente.

L’esperienza acquistata negli ultimi tempi insegna che per tradurre in atto una riforma qualsiasi, la potenza o le potenze che se ne fanno iniziatrici, hanno assoluto bisogno del concorso attivo ed efficace di tutte le altre.

Ciò premesso, mi sembra evidente che il giorno in cui l’Austria e la Russia verranno fuori con la riforma giudiziaria, esse saranno giuocoforza costrette ad invocare l’appoggio nostro. Quell’appoggio, siccome abbiamo fatto per la riforma finanziaria, noi concederemo solo a condizione che l’esecuzione della riforma medesima avrà carattere europeo. Del resto, malgrado le recenti dichiarazioni fatte per evidenti scopi parlamentari dal conte Goluchowski, nulla, che io ne sappia, lascia prevedere che l’Austria-Ungheria e la Russia sieno oggi in procinto di sollevare la delicata e complessa questione. Non vi pensa di sicuro il barone Calice, il quale si prepara, nel prossimo settembre, a lasciare per sempre la carrriera diplomatica.

In conclusione io penso che la politica saggia e prudente tanto opportunamente inaugurata dall’E.V. e proseguita dai due suoi successori, politica cioè tendente a ricondurre poco a poco, e senza irritare né la Turchia, né la «entente Mächte» la questione macedone sotto l’azione direttrice di tutte le potenze firmatarie del Trattato di Berlino, ha dato finora risultati abbastanza soddisfacenti per fornirci, oggi, come oggi, plausibile motivo di mutar indirizzo.

Lo scopo precipuo, essenziale, quello cioè di europeizzare la questione macedone, indebolendo sensibilmente la posizione arrogatasi dagli agenti civili, l’abbiamo raggiunto il giorno in cui è stata istituita la ommissione finanziaria. Oramai un periodo di sosta mi sembra consigliabile. Quando quella commissione, avrà avuto campo di esplicare efficacemente la propria attività, quando dei risultati benefici dell’opera sua, al pari che di quelli dell’altra importantissima riforma, ossia la riorganizzione della gendarmeria, le popolazioni cristiane cominceranno a toccar con mano i beneficii, quando la Turchia avrà avuto il tempo di respirare, quando sopratutto la necessità di introdurre la riforma giudiziaria in Macedonia troverà tutte le potenze non solo consenzienti in principio, ma anche ugualmente pronte e disposte ad imporla al Sultano, allora e non prima, la questione potrà essere sollevata con speranza di vederla praticamente risoluta.

Resta da ultimo da vedere pure se l’Inghilterra, mutando anche essa le linee direttrici della politica finora eseguita, abbia, al momento attuale, realmente l’intenzione di mettersi in prima linea per quanto concerne quella riforma. Al riguardo nessuno meglio dell’E.V. é in grado di possedere precise ed esatte informazioni.

La sola indicazione di cui dispongo io, mi viene dal collega britannico. Discorrendo meco, in via accademica, sull’argomento, sir Nicholas O’Conor, che, siccome V.E. non ignora, è stato ed è tuttora uno strenuo propugnatore della riforma giudiziaria in Macedonia, mi diceva, giorni sono, che, a suo avviso personale, della cosa non si dovrebbe parlare prima che siano trascorsi almeno un paio di anni2.

dei giusti apprezzamenti» dell’ambasciata.

62 1 Non pubblicato.

62 2 Con Disp. 42259/567 del 7 agosto Tittoni si limitò a comunicare di aver preso: «buona nota

63

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENzIALE 1872/113. Vienna, 20 luglio 1906, ore 19,40.

Risposta al telegramma n. 15771. Da informazioni assunte in via riservata fonte competente, risulta che flotta

essendo in questo momento rimasta acque Dalmazia e comandante marina trovandosi colà per ispezionarla, avrebbe presa occasione da ciò per fare commemorare dalla flotta in Lissa il quarantesimo anniversario della battaglia che cade oggi. A quanto mi è stato affermato commemorazione non avrebbe carattere di solennità, ma sarebbe ristretta soltanto a circolo marina, né si ha alcuna informazione circa partecipazione luogotenente Dalmazia e altre autorità politiche. Programma della commemorazione consisterebbe in un servizio religioso dopo il quale verrebbe deposta corona tomba caduti battaglia. Quanto andata Imperatore Lissa in settembre non si ha alcuna notizia né di ciò si fa cenno nel programma ufficiale viaggio di Sua Maestà Dalmazia su cui comunicai col rapporto n. 8282. Non mancherò assumere al riguardo ulteriori informazioni e telegraferò all’E.V. Aggiungo via personale che a questo Ministero affari esteri non si aveva avuto fino a stamane alcun sentore decisione comandante marina.

64

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE1. Londra, 24 luglio 1906, ore 17,52 (perv. ore 20,50).

Facendo seguito al mio telegramma n. 912, Grey mi ha incaricato dire a V.E. che a suo parere art. nove trattato Abissinia lega solamente ed esclusivamente tre potenze firmatarie a non fare l’una a danno dell’altra quanto nell’art. stesso è indicato. Esso articolo lascia invece completamente libera ogni altra potenza di chiedere, e Menelik di accordare, qualunque concessione ferroviaria all’infuori di quelle già accordate. Non pare quindi a Grey che Germania abbia motivo di adombrarsene.

2 Non pubblicato.

2 Non pubblicato.

63 1 Vedi D. 60.

64 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale. Risponde al D. 58.

65

L’IMPERATORE DI ETIOPIA MENELIK, AL RE D’ITALIA VITTORIO EMANUELE III1

L. Addis Abeba, 25 luglio 1906.

Il Leone vincitore della tribù di Giuda, Menelik II, eletto da Dio Re dei Re d’Etiopia. Che arrivi al rispettato nostro amico Vittorio Emanuele III, Re d’Italia. I miei saluti siano per lei. Ho ricevuto la rispettata lettera che Vostra Maestà mi ha indirizzata il 3 febbraio e che mi fu consegnata dal governatore Martini. Con lui abbiamo parlato delle cose nostre per rendere sempre più amichevoli le relazioni fra i nostri paesi. Come Vostra Maestà mi scriveva ho anch’io riconosciuto che il governatore è uomo di buon consiglio e perciò gli ho affidato l’incarico di dire a Vostra Maestà un mio desiderio con speranza che sarà preso in esame da Vostra Maestà. Come segno di vera amicizia mando a Vostra Maestà, per le mani del governatore Martini, la grande decorazione d’Etiopia che spero sarà gradita. Prego Iddio che la salute e la felicità siano per Vostra Maestà, la prosperità e la pace per il suo popolo.

66

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A BERLINO, MATTIOLI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE1. Roma, 26 luglio 1906, ore 12.

Monts non mi ha fatto ancora comunicazione alcuna circa art. 9. Mi propongo rispondergli eventualmente che detto articolo* lega soltanto ed esclusivamente tre potenze firmatarie a non fare l’una a danno dell’altra quanto nell’articolo stesso è indicato. Esso articolo lascia invece completamente libera ogni altra potenza di chiedere, e Menelik di accordare, qualunque concessione ferroviaria all’infuori di quelle già accordate. Non pare quindi che Germania debba avere motivo di adombrarsene*2.

Informo di ciò la S.V. per sua notizia personale e per eventuale norma di linguaggio per il caso in cui codesto ministro degli affari esteri tornasse con lei sull’argomento3.

p. 291, nota 1.

2 Vedi D. 64. 3 Per la risposta vedi D. 77.

65 1 Ed. in L. MONzALI, L’Etiopia nella politica estera italiana 1896-1915, Parma 1996,

66 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

67

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI

T. 1623. Roma, 26 luglio 1906, ore 20.

Avendomi l’incaricato d’affari d’Inghilterra comunicato che sir Edward Grey trova giuste le condizioni che io ponevo circa la proposta di deferire al Re di Grecia la nomina di un eventuale successore del principe Giorgio, autorizzo la S.V. a far costì conoscere la mia adesione nei termini enunciati nel mio telegramma del 231 e cioè con l’intesa che circa la scelta del candidato debba precedere un accordo confidenziale tra il Re di Grecia e le potenze protettrici.

68

IL COMMISSARIO CIVILE PER L’ERITREA, MARTINI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA1

L. Addis Abeba, 26 luglio 1906.

Nei ripetuti colloqui con S.M. l’Imperatore d’Etiopia, ai quali ella fu testimone, fu per comune consenso verbalmente pattuito:

1) S.M. l’Imperatore concede a noi facoltà di costruire a nostre spese una linea telegrafica da Borumieda ad Assab, a condizione ch’egli potrà servirsi di quella linea.

2) Mediante rilievi precisi da farsi il più sollecitamente possibile si determinerà nella Dancalia il confine fra il territorio etiopico e l’eritreo adoperandosi quanto sia possibile a far sì che ciascuna delle tribù ora divise per frazioni nei due territori, rimanga riunita in dominio dell’Italia e dell’Etiopia.

3) Per evitare gli inconvenienti che ebbero a lamentare ripetutamente finora a ragione dei necessari contatti fra i telegrafisti italiani e i telegrafisti indigeni al servizio dell’Imperatore si provvederà, mediante parte delle quote di introiti telegrafici che spettano all’Imperatore, alla separazione degli uffici telegrafici dai telefonici.

4) Ove si perpetuino ancora da sudditi dell’Imperatore o nei territori di dominio italiano, S.M. l’Imperatore ordinerà ai capi di frontiera il pagamento di una indennità ai danneggiati di quelle razzie, che il Governo eritreo s’impegna a sua volta, quanto gli sia possibile, di impedire mediante una più estesa sorveglianza alla frontiera.

Poiché nessun documento rimane di questi accordi, dei quali a lei spetterà, in ogni caso, procurare l’osservanza, ho stimato opportuno di prendere qui nota, e le sarò grato se ella vorrà confermarmene l’esattezza.

68 1 Da ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Carte Martini.

67 1 Vedi D. 57, nota 2.

69

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. PERSONALE 1151. Vienna, 27 luglio 1906, ore 19,25 (perv. ore 20).

Non ho mancato avvertire sig. de Meréy che ero possessore testo convenzione Etiopia da consegnarsi in nome V.E. al conte Goluchowski2.

Secondo quanto mi ha riferito sig. de Meréy, conte Goluchowski, rimarrà assente Vienna fino ventisei o ventotto agosto. A tale proposito mi permetto far rilevare a V.E. che, se in questo frattempo, convenzione fosse firmata da plenipotenziari potenze sua comunicazione conte Goluchowski avverrebbe dopo che sarebbe cessata riserva segreto cui contraenti si sono obbligati reciprocamente per cui essa non avrebbe più, mi sembra, il carattere di atto amichevole che è intenzione del Governo di attribuirgli3.

70

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 553/167. Belgrado, 27 luglio 1906 (perv. il 13).

Quando si rileggono i rapporti inviati da questa r. legazione durante parecchi degli anni trascorsi, si osserva come periodicamente, e quasi nelle stesse stagioni, fine dell’inverno e fine dell’estate, si rinnovano, con argomenti e parole quasi identici, le voci paurose di interventi militari austriaci. Si è tanto gridato al lupo, che ormai quasi non vi si crede più.

Non maraviglierà pertanto alla E.V. se anche in quest’anno le stesse voci si ripetono. Dà ad esse qualche giustificazione l’attuale conflitto doganale, il linguaggio arrogante di Vienna, la persuasione che per ragioni logistiche e strategiche un esercito austriaco non possa entrare in Macedonia che attraverso la Serbia.

Ma per quali ragioni il Governo imperiale avrebbe scelto il prossimo autunno per l’invasione della Macedonia? Perché, dicesi, difficilmente esso potrà avere in mano carte migliori per tentare il giuoco. La Serbia è male armata, la Russia prostrata, l’Italia non propensa a rischiare le sorti di una guerra, l’Inghilterra nella impossi-

2 Vedi D. 61. 3 Tittoni rispose il giorno seguente in questi termini: «Firma convenzione etiopica non immi-

nente né, ritengo, prossima. Se comunque dovesse verificarsi prima del ritorno del conte Goluchowski preverrei V. E. autorizzando la comunicazione testo al sig. de Meréy». Per il seguito vedi D. 90.

bilità materiale di intervenire militarmente nei Balcani, la Francia impotente a muoversi, qualora la Germania, come qui si crede, abbia segreti accordi coll’Austria per aiutarla nella sua politica balcanica o per impedire almeno che altri le contenda il passo. Una intesa austro-ungarica non sembra difficile sulla base di concessioni commerciali e ferroviarie. Rimane, è vero, la resistenza che la Turchia sarebbe in grado di opporre, elemento certo non trascurabile e che renderebbe necessaria da parte del Governo di Vienna la mobilitazione in assetto di guerra da due a trecento mila uomini. Ma l’insurrezione nel Yemen di altre cause possono rendere lenta e difficile la concentrazione in Macedonia di forze sufficienti alla difesa.

Rimangono i dissenzi interni, cioè il conflitto fra le due parti della Monarchia. Ma ora siamo in un periodo di tregua, e poi non sarebbe difficile trascinare i magiari, così vanitosi, così impressionabili, così amanti della gloria militare alle avventure di una guerra. Essi, come hanno fatto sovente, metterebbero ad alto prezzo il loro concorso, Vienna alla sua volta accetterebbe tutto, salvo forse a mancare di parola a guerra finita. In ogni modo è certo che anche la stampa ufficiosa di Vienna contribuisce a dare parvenza di verità a certe dicerie. Per esempio la Neue Freie Presse del 25, parlando della Macedonia, chiude un suo articolo collle seguenti parole: «Le condizioni presenti non sono sostenibili. L’assicurazione delle grandi potenze che colla inaugurazione di una gendarmeria europea la situazione si sarebbe migliorata, è sbagliata. La gendarmeria nelle campagne è completamente impotente, e nelle stesse città accadono delle enormità sotto gli stessi occhi dei consoli. La mancanza di sicurezza personale è ora molto maggiore di quella che fosse dieci anni fa. So essere il più vivo desiderio degli abitanti di quella regione, di essere annessi ad una grande potenza, qualunque essa sia, purchè finalmente li liberi dal dominio turco, sotto i1 quale soltanto è possibile una condizione di cose che è derisione di qualsiasi civiltà».

Ma sulla serietà di quanto si dice e stampa in Austria-Ungheria e sui pretesi preparativi militari, i rr. rappresentanti a Vienna e a Budapest saranno in grado di informare la E.V. meglio che non possa farlo io dal posto in cui mi trovo.

Non mi è sembrato però inutile investigare su questo argomento il pensiero di Féthy-Pascià che dimora qui da nove anni, dopo averne passati parecchi a Sofia, e che trovasi in speciali rapporti con Yldiz-Kiosk.

Egli mi disse che, a suo credere, le notizie odierne circa adunate di truppe austriache e presunti propositi di invasione della Serbia e della Macedonia non meritano maggior fede di quelle che corsero altre volte. Certo, aggiunse, il Governo austro-ungarico procede con costanza nella sua opera di propaganda, e cerca estendere la sua influenza disponendo il terreno per modo da non trovarsi impreparato il giorno in cui la questione della Macedonia dovrà essere risolta. L’Austria procurerà trarre allora il maggior vantaggio possibile, sopratutto se la Turchia o le altre grandi potenze si troveranno paralizzate nella loro azione od impegnate in altre imprese.

Dove certo più viva e persistente si manifesta l’azione austriaca è nella Vecchia Serbia e in Albania. A Vienna vi è un istituto speciale per lo studio della lingua e delle cose albanesi sotto la immediata direzione del Ministero degli esteri. Si spendono somme cospicue e si tengono numerosi e abili emissari sul luogo. Qualsiasi albanese ricorra per sussidi è bene accolto e si è larghi di promesse. I risultati ottenuti fra le tribù cattoliche, ed in generale fra quelle del nord, sono notevoli. Si dice loro, noi siamo buoni e fedeli amici della Turchia, ma presto o tardi essa non potrà più proteg-

gervi e saremo noi allora che verremo in vostro aiuto per difendervi dai montenegrini, dai serbi, dai bulgari, da chiunque tentasse dominarvi. Noi vi daremo denari, impieghi, protezione e vi lasceremo liberi come eravate sotto i turchi. Questo linguaggio, avvalorato da un poco di denaro, produce il suo effetto, e non è raro il caso di sentire degli Albanesi ai quali i funzonari turchi rifiutano alcun che, rispondere: «L’Austria questo ci avrebbe dato, o ci darebbe, o ci darà».

Però, concludeva questo ministro ottomano, l’Austria si ingannerebbe assai se credesse poter sottomettere veramente gli albanesi. Si potrà tentare di annientarli sacrificandovi molte e molte migliaia d’uomini, ma non si arriverà mai a fiaccare il loro selvaggio ed indomito spirito di indipendenza e sottoporli alle norme di un Governo civile, sopratutto duro, pedante, meticoloso come l’austriaco. Con noi turchi se la intendono, perchè abbiamo adottato una specie di modus agendi che permette loro di vivere come hanno sempre fatto: pagare o non pagare i tributi, sfuggire alle leggi, predare l’altrui gregge, farsi giustizia da sè e ottenere di tanto in tanto a Costantinopoli favori e denari.

69 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

71

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

L. Roma, 29 luglio 1906.

Ho ricevuto ed esaminato con molto interesse la lettera particolare che V.E. mi ha diretto, il 12 luglio corrente1, circa le cose di Albania.

Certo sarebbe utile, per i reciproci rapporti tra l’Italia e la vicina Monarchia, che fossero definiti i limiti della regione a cui debba considerarsi esteso l’accordo che, per l’Albania, si è da parecchi anni stabilito fra i due Governi. E sarebbe pure desiderabile che gli agenti dei due paesi in quella regione ricevessero istruzioni tali da escludere quelle competizioni e quei contrasti che spesso sorgono tra essi, e che contraddicono alla cordiale intesa esistente tra i due Governi. Però V.E. stessa avverte che il conte Goluchowski non le parrebbe attualmente disposto a prestare orecchio ad entrature nostre per l’uno e per l’altro intento.

Debbo quindi, pur apprezzando grandemente le considerazioni di lei così chiaramente svolte, limitarmi per ora a pregarla di volermi additare il momento opportuno, tosto che le sembri giunto.

71 1 Vedi D. 55.

72

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1947/94. Londra, 30 luglio 1906, ore 18.

Rispondo al telegramma 16431. Tosto che qui giunse telegramma identico dei quattro consoli generali in

Canea sir Carlo Hardinge fece sapere al duca di Sparta il quale trovasi a Londra ospite di S.M. Re Edoardo VII che ingerenza del Governo ellenico nei rapporti tra le quattro potenze e la Creta, nonché missione affidata al presidente della Camera greca, erano considerate qui come cose gravissime e che il Governo britannico non le avrebbe in nessun modo tollerate. Duca di Sparta ha telegrafato al Re di Grecia ed al principe Giorgio in termini assai forti ed il risultato di ciò è stato che il principe Giorgio ha fatto ripartire il presidente della Camera ellenica il quale, nel frattempo, era già giunto a Canea. Dopo di ciò il Governo britannico ritiene incidente chiuso ed avendo fiducia che il Governo ellenico, così seriamente ammonito, si sterrà, in avvenire, da ogni opposizione alla politica delle quattro potenze protettrici e non ritiene, per il momento, di fare altri passi ad Atene.

73

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1545/547. Therapia, 31 luglio 1906 (perv. il 7 agosto).

Non saranno di sicuro sfuggite all’attenzione dell’E.V. le notizie con tanta persistenza pubblicate dalla stampa francese ed inglese relativamente ad un vasto movimento panislamico nel nord dell’Affrica, dovuto all’attiva propaganda esercitata da emissari del Sultano.

Per quante investigazioni io abbia eseguite qui, non mi è riuscito di assodare alcun fatto positivo di natura a dare consistenza a quelle voci, o quanto meno ad attribuirvi straordinaria importanza, e carattere di attualità.

quattro consoli generali e precisava che il console a La Canea ribadiva che l’unico rimedio nei confronti dell’atteggiamento del principe Giorgio era un’azione energica delle quattro potenze protettrici ad Atene.

Sta di fatto che fino dal suo avvento al trono il Sultano ha sempre carezzato il piano di prevalersi della enorme influenza che gli viene dalla sua qualità di califfo, per mantenere ed aumentare sempre più il suo prestigio presso le popolazioni musulmane. Ed i soliti consiglieri occulti, per interessi loro privati non hanno mai cessato di spingere Sua Maestà in quella via da lui specialmente favorita. Senonché i mezzi di cui dispongono ed il Palazzo e la Sublime Porta sono assai limitati, di guisa che la propaganda non può essere né attiva né efficace come lo vogliono dare ad intendere i giornali inglesi e francesi. In realtà essa si limita, oggi come in passato, a sussidi largiti a qualche capo arabo, a qualche capo di confraternita musulmano, nello intento di farli servire da intermediari fra il califfo e le popolazioni dell’Egitto e dell’Affrica settentrionale.

Devesi oltre a ciò tener presente che a dirigere con probabilità di successo, un movimento così vasto e di così ampia portata, occorrerebbe una potenza di vitalità, un acume intellettuale, una tenacia di propositi, qualità tutte che, al momento attuale, io non credo che possegga il Sultano, di cui, per contro, la resistenza fisica e le condizioni mentali a me pare vadano di giorno in giorno, e per ragioni molteplici affievolendosi.

In altri termini non manca la volontà di agire, mancano le forze ed i mezzi adeguati a raggiungere lo scopo.

La mia impressione, condivisa da diplomatici ed anche da alti personaggi ottomani è che, nel fondo, le voci cui ho accennato dianzi sono state messe in giro, per tirare in ballo la Germania, ai consigli della quale si vuole malignamente attribuire il contegno della Turchia, nell’incidente di Tabah e nelle recenti questioni attinenti all’hinterland della Tripolitania. Per quanto è dato giudicare da qui siffatte insinuazioni inspirate da sentimenti anti-germanici tuttora prevalenti nel grosso pubblico di Francia e d’Inghilterra, mi sembrano assolutamente gratuite ed ingiustificate.

Nell’incidente di Tabah, l’ambasciatore britannico mi diceva recentemente che, la condotta del collega germanico non poteva essere né più corretta né più amichevole. Sir Nicholas O’Conor escludeva in modo positivo che l’ambasciatore imperiale avesse dato consigli di resistenza.

E della questione della Tripolitana, l’ambasciata medesima, siccome ho avuto più volte l’onore di riferirlo in passato, non si è mai ingerita, né ha mai sognato di spingere la Turchia in pericolose avventure.

Di quanto affermo la migliore prova consiste nel fatto venuto ieri a mia notizia, che cioè, le autorità del vilayet hanno proprio in questi giorni ricevuto ordine di procedere con la massima prudenza, a fine di evitare incidenti nelle località appartenenti all’hinterland tripolino.

72 1 T. 1643 del 29 luglio, non pubblicato. Tittoni trasmetteva il telegramma identico dei

74

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI,

E ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

DISP.1. Roma, 2 agosto 1906.

(Per Londra) Mi riferisco al rapporto in data 11 corrente n. 923/237 con annessa la nota inglese del 10 corrente relativa al traffico delle armi e delle munizioni2. Premetto che, (per tutti) nel mio recente viaggio a Londra ed a Parigi tra le varie questioni diplomatiche da me direttamente trattate, vi è stata anche quella del commercio delle armi e delle munizioni che si esercita dalla piazza di Gibuti e tanto sir Edward Grey quanto il sig. Bourgeois convennero meco sulla opportunità di provvedere in modo più efficace e rigoroso all’applicazione delle norme sancite dall’atto di Bruxelles per impedire l’illecito traffico che viene esercitato sulla costa orientale d’Africa.

Anzi sir Edward Grey non poté a meno di osservare che una tale grave questione in questo momento deve preoccupare ancor più l’Inghilterra che l’Italia; ed invero il continuo aumento delle armi possedute dalle numerose tribù somale, costituisce una seria minaccia per tutti gli Stati aventi contatto con dette tribù e quindi per l’Inghilterra, per l’Italia, la Francia e per la stessa Etiopia. L’illecito traffico di armi e di munizioni si effettua da Gibuti in due distinte maniere: una per l’interno dell’Africa col traffico simulato delle armi all’Impero d’Etiopia avendo il Negus aderito all’atto generale di Bruxelles; l’altra colla riesportazione di Gibuti delle armi e delle munizioni con destinazione parimenti simulata alla costa arabica e colla successiva reimportazione in Africa.

Date queste circostanze, ho creduto nel negoziato da me eseguito coi Gabinetti di Parigi e di Londra, di avere di mira i due punti seguenti:

a) ottenere dalla Francia la prova e la sicurezza che le armi e le munizioni siano effettivamente consegnate e servano al Negus e non a tutti i sudditi e capi abissini;

b) ottenere dalla Francia l’adesione all’accordo italo-inglese relativo alla sorveglianza ed alla visita dei navigli sospetti nelle acque territoriali dei protettorati per parte di qualsiasi nave armata, delle tre potenze interessate all’accordo.

(Per Londra) Ora mi sorprende che sir Edward Grey nella sua nota del 10 luglio sopraccennata,

(Per Parigi) Ora l’incaricato d’affari di Londra mi ha fatto pervenire col rapporto del quale si unisce copia, l’annessavi nota del Gabinetto di Londra; con essa sir Edward Grey (per tutti) nell’invitare il R. Governo ad approfittare del congresso di Bruxelles per la revisione della convenzione sugli spiriti in Africa, per discutere anche la questione del contrabbando delle armi, non si mostra proclive a fare separate rimostranze al Governo francese sull’argomento.

2 Con il quale De Bosdari riferiva che il problema del traffico delle armi doveva essere trattato

da tutte le potenze al prossimo Congresso di Bruxelles.

Ma io non partecipo a siffatto modo di vedere; il fatto che il sig. Bourgeois si mostrò persuaso dell’opportunità di risolvere la questione nei termini da me posti, avvalora la mia persuasione che si debbano continuare le trattative col Governo francese e che anzi si possa trarre da esse un preliminare accordo, il quale serva di base all’azione da svolgersi nel congresso di Bruxelles.

Ammesso dunque che si debba continuare l’azione diplomatica intrapresa, bisogna tenere presente per la prima proposta da sottoporre al Governo della Repubblica che attualmente nel protettorato francese della costa dei somali, vige il decreto 18 ottobre 1894, il quale regolando il commercio delle armi e delle munizioni, ammette i capi e sudditi abissini stabiliti o di passaggio alla costa medesima a profittare delle facilitazioni previste dall’art. 5 del decreto medesimo, cioè, di poter acquistare armi e munizioni mediante la semplice esibizione di un ordine scritto dall’Imperatore.

Ora non vi è chi non veda come da queste facilitazioni concesse ai sudditi abissini risultino le più patenti infrazioni all’atto di Bruxelles. È vero che a senso dell’art. 10 dell’atto medesimo la Francia non può negare l’autorizzazione di transito alle armi destinate ad una potenza che non ha accesso diretto sul mare e che ha aderito all’atto di Bruxelles, ma non è men vero che lo stesso articolo fa obbligo che la domanda di transito dev’essere accompagnata da una dichiarazione della potenza certificante che le armi non sono destinate alla vendita, ma all’uso delle autorità della potenza stessa. Su questa tassativa condizione della destinazione delle armi, le autorità compiacenti di Gibuti hanno interesse a chiudere sistematicamente gli occhi, mentre non è ammissibile che il Negus, che ha dichiarato d’interessarsi pure alla repressione del contrabbando, possa acconsentire a che i suoi sudditi abbiano a ricevere armi con tanta facilità dalla colonia francese.

Occorre dunque ottenere dalla Francia maggiori garanzie che le armi e le munizioni siano vendute e consegnate solo al Negus e non a tutti i suoi sudditi come ora si pratica a Gibuti e che inoltre il Governo di Gibuti abbia il dovere di segnalare volta per volta al Negus le armi a lui personalmente vendute prima d’avviarle verso l’interno, per modo che il Governo etiopico abbia modo di controllare la sincerità dell’acquisto ed ove vi sia malafede, possa provvedere al sequestro delle armi e munizioni comprate senza il suo consenso, ed alla punizione dei colpevoli.

In quanto alla seconda proposta, il R. Governo stabilì or sono due anni con quello britannico, in base alla più perfetta reciprocità, la visita dei navigli sospetti nelle acque territoriali dei protettorati e con dispaccio del 12 agosto 1904, n. 398983, furono trasmesse a cotesta ambasciata le istruzioni che il Ministero della marina ebbe ad impartire alle stazioni navali del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano per la repressione del contrabbando delle armi in Somalia.

Ora se la Francia è animata dallo stesso interesse d’impedire che armi e munizioni entrino dalle sue coste in Somalia, come si fa sulle coste italiane e su quelle inglesi, non si vede la ragione per cui essa possa rifiutare che i navigli sospetti battenti bandiera francese siano visitati dalle navi di guerra di quelle potenze che hanno stipulato l’accordo.

Del resto non si potrebbe giustificare che la Francia la quale nel Congresso di Algeciras, colle norme adottate agli art. 15, 24 e 25 per il contrabbando delle armi e munizioni al Marocco, ha già accettato analoghe formalità per il commercio delle armi e della visita ai navigli sospetti, non dovesse accettare le misure che mirano ad impedire il medesimo contrabbando in Somalia.

Ritengo quindi che anche la Francia debba desiderare una soluzione della questione del contrabbando delle armi, per modo che siano guarentiti gl’interessi degli altri, ma anche gli stessi interessi francesi. Ma se contro la mia ragionevole previsione ciò non si verificasse, io debbo dichiarare che sono deciso a pubblicare un libro verde sulla lunga vertenza diplomatica ed a prendere in seria considerazione il provvedimento per il quale i porti di Massaua e di Assab restino aperti al libero commercio delle armi e delle munizioni4.

74 1 Inviato a Londra e a Parigi rispettivamente con i numeri di protocollo 41488/328 e 41487/828.

74 3 Non pubblicato.

75

IL MINISTRO A CETTIGNE, CUSANI CONFALONIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATISSIMO 350/97. Cettigne, 2 agosto 1906 (perv. il 4 settembre).

Con lettera direttami a Roma, il 19 luglio p.p., il sig. Radović, ministro principesco delle finanze e dei lavori pubblici, mi chiese, d’ordine di S.A.R. il Principe Nicola, di procurargli comunicazione della relazione e dei piani tracciati dall’ingegnere Botto, ispettore del Genio Civile presso il R. Ministero dei Lavori pubblici, circa il lago di Scutari, la Boiana, il Drin ed il Kiri.

Quella lettera, giunta a Roma dopo la mia partenza, è pervenuta in mie mani soltanto oggi.

Il principe Nicola, non appena mi presentai ad ossequiarlo, al mio ritorno qui, il 27 luglio, mi chiese – dimostrando uno speciale interesse alla cosa – se avevo portato meco quei documenti. Avendogli io risposto che ignoravo di che si trattasse, mi spiegò come egli ed il suo Governo pensino seriamente a regolarizzare, a1 più presto possibile il corso della Boiana, i1 cui continuo insabbiamento, prodotto specialmente dal Drin, affluente turco, cagiona gravi inconvenienti e danni per il traffico montenegrino. S.A.R. aggiunse di essere entrata personalmente in trattative con questo ministro austro-ungarico, barone Kuhn, per affidare eventualmente questa grande operazione all’iniziativa austriaca. E siccome io lo guardavo molto fisso in faccia, e l’espressione della mia fisionomia gli diceva il mio pensiero, meglio di qualunque discorso, si affrettò a soggiungere non esservi nulla di fatto, sicché si potrebbe sempre dar la preferenza all’Italia.

della Conferenza internazionale di Bruxelles. Per la risposta da Parigi vedi D. 83.

Senza indugiare, manifestai a questo sig. ministro degli affari esteri una certa sorpresa circa queste trattative (per le quali, naturalmente, l’Austria ha colto il destro della mia breve assenza). Egli mi disse che l’intenzione del Principe, è «di tenere a bada l’Austria, per non averla ostile al progetto, tanto più che la sua azione e quella della Russia a Costantinopoli potranno essere utili, per ottenere il consenso del Governo turco». Concluse poi che «in fondo, tanto il Principe che il suo Governo preferiscono che la cosa vada in mano agli italiani».

Io mi limitai ad osservare non essere questa una politica leale. Aggiunsi poi che ignoravo se il Governo del Re fosse disposto a dar comunicazione degli studi in questione, ma che, in ogni caso, la via più pratica e spedita era che io ne parlassi personalmente a V.E., quando, per la nota conferenza al Ministero delle poste, dovrò tornare in Italia, al principio del prossimo settembre. Naturalmente, ho creduto prudente prendere tempo, in tal guisa, perché sarebbe veramente troppo ingenuo da parte nostra il prestare le armi, affinchè altri possano combattere i nostri interessi.

La questione può essere molto grave ed è perciò che credo necessario richiamare subito in proposito l’attenzione personale di V.E. Siccome il presente rapporto è riservato alla di lei persona, abituato, come sono, a parlar chiaro, per carattere e per effetto della sua lusinghiera fiducia, credo doveroso, in una simile emergenza, mettere da banda ogni eufemismo. Ho già avuto ripetute occasioni di dimostrare a V.E. come il Montenegro non abbia risorse sufficienti per vivere normalmente di vita propria. Quindi il Principe ed il suo Governo vivono in una continua affannosa ricerca di risorse esteriori occasionali, atte a colmare le deficienze del bilancio. A parole sovratutto, mostrano di esecrare l’Austria, ma il giorno in cui questa - per cercare di riguadagnar il terreno perduto - si decidesse a metter fuori qualche milione, a condizioni non troppo dure... il Montenegro lo accetterebbe tranquillamente. Questo in circostanze normali, si chiamerebbe tenere il piede in due scarpe, ma le circostanze sono lungi dall’essere normali e quindi a me sembra che dobbiamo essere equanimi, anzi indulgenti nei nostri giudizi, riflettendo che, appunto grazie ad una simile situazione, noi siamo riusciti a prendere qui il sopravvento nella penetrazione economica.

Ma non basta questo sopravvento bisogna conservarlo e il colpo che sta tentando l’Austria potrebbe essere fatale ai nostri interessi. Qualora essa riuscisse a prendere il predominio nella Boiana (ciò che sarebbe certamente agevolato dall’infame servizio che vi fa la «Puglia») l’avvenire della nostra navigazione sul Lago e della ferrovia della Compagnia d’Antivari potrebbe essere seriamente compromesso. Fortunatamente, a Vienna sono ancora più burocratici di noi e quindi, se ci mettiamo all’opera coll’energia necessaria, abbiamo la possibilità di arrivare per i primi, e conquistare il campo, come abbiamo già fatto qui.

Ma a tal uopo è indispensabile, a mio avviso:

1) che la Compagnia d’Antivari, conscia del pericolo, si appresti a trattare col Governo monteregrino, per assicurarsi la concessione esclusiva dei lavori;

2) che il Governo del Re sia pronto ad intavolare a Costantinopoli delle pratiche, le quali non saranno certo né piane né facili, per ottenere l’adesione del Governo turco alla detta regolarizzazione, escludendo possibilmente l’ingerenza di altre potenze. Se queste pratiche fossero coronate da successo, avremmo sufficiente

base per ottenere che il Governo montenegrino desse la preferenza alla «Compagnia d’Antivari» e così anche questa partita sarebbe vinta.

Scrivo subito al comm. Volpi, per avvertirlo confidenzialmente di quanto precede, e sempre pronto ad eseguire col massimo zelo gli ordini personali di V.E.1.

74 4 De Bosdari rispose con R. 1196/359 del 4 settembre, non pubblicato, con il quale comunicava che il Governo inglese riteneva necessaria un’intesa tra Italia e Gran Bretagna prima dell’apertura

76

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1593/5581. Therapia, 6 agosto 1906.

Ho l’onore di rispondere al dispaccio ministeriale delli 132 e 27 luglio u.s., Uff. Coloniale, n. 5373.

Come V.E. non ignora, a me riesce particolarmente malagevole l’eseguire qui investigazioni sulle cose di Tripolitania o Cirenaica. Ogni mia parola, ogni mia domanda, ogni semplice accenno da parte mia a quelle questioni, ad altro non serve se non ad accrescere e ribadire sempre più quei sospetti e quelle diffidenze radicate oramai, sia a Palazzo sia alla Sublime Porta, tanto saldamente da non poter essere dissipati da qualsiasi nostra dichiarazione. Naturalmente si ammette benissimo che per il momento noi non pensiamo ad occupare la Tripolitania. Ma le nostre aspirazioni verso quelle regioni, per quanto destinate a realizzarsi in un futuro non prossimo, bastano a turbare i sogni del Sultano e dei suoi consiglieri, e a spingerli ad escogitare senza tregua nuovi provvedimenti, nuove misure, nello intento di rendere vani tutti i nostri sforzi, ed impedirci a qualunque costo di realizzare i nostri intenti, anche se circoscritti meramente nel campo economico. In complesso si può affermare senza esagerazione — ed io non mi stancherò mai di ripeterlo — che per tutto quanto concerne la Tripolitania e la Cirenaica, la Turchia considera l’Italia come una nemica potente, contro la quale, per quanto le é possibile, essa cerca di premunirsi con tutti mezzi a sua disposizione.

Ciò premesso, debbo aggiungere che, per quanto è venuto a mia notizia, come risultato di informazioni attinte in via riservata, non sembra che il Governo imperiale abbia in animo – ora che sono freschi ancora i ricordi di Tabah – di lanciarsi in altra avventura sollevando a proposito dei confini della Cirenaica un nuovo incidente con l’Egitto spalleggiato dall’Inghilterra.

su tale questione, della quale apprezzo tutta l’importanza e la urgenza, e mi propongo di tener presente nel modo più opportuno gli interessanti apprezzamenti che ella mi espone in proposito».

2 Con Disp. 37376/499 Pompilj richiedeva di essere tenuto al corrente circa le aspirazioni del-

l’Egitto verso l’oasi di Giarabub. 3 Con Disp. 403l4/537 Tittoni richiedeva informazioni circa i timori di incidenti turco-egiziani

alla frontiera della Cirenaica.

Né d’altra parte – ho buoni motivi di ritenerlo – alla Sublime Porta si è annessa grande importanza al recente viaggio del Khedive, il quale non risulta qui che siasi spinto fino all’oasi di Giarabub.

In tutti i casi il Governo imperiale, per ora almeno, non preoccupato [sic]della influenza che l’Egitto potrebbe eventualmente guadagnare sulle tribù arabe della Cirenaica.

Occorre tuttavolta – come saggiamente osserva l’E.V. – vigilare allo scopo di impedire ad ogni costo che le intensificate aspirazioni dell’Egitto verso Ovest, si abbiano per avventura a verificare. Tale accurata vigilanza però, assai imperfettamente può essere esercitata qui alla Sublime Porta, dove degli affari delicati di Tripolitania e Cirenaica, diretti in gran segreto esclusivamente dal Palazzo imperiale, poco si sa, e pochissimo si vuol far sapere all’ambasciata d’Italia. Di una cosa sola possiamo essere sicuri, cioè che a qualunque tentativo di simil genere, nei limiti del possibile, il Sultano ed i suoi consiglieri tenteranno sempre di opporsi con la massima tenacia. È piuttosto al Cairo, donde traggono origine tutti questi intrighi, che bisogna tenere gli occhi bene aperti.

Non parlo poi della convenienza, che io fin dal mio giungere qui ho sempre ravvisato, di addivenire col Governo di Londra ad una spiegazione chiara ed esauriente e definitiva, la quale ci permetta di sapere in modo preciso entro quali limiti le nostre future aspirazioni in Cirenaica si potranno un giorno o l’altra verificare ed eliminare così le apprensioni da noi costantemente e con ragione nutrite di sgradite sorprese preparateci dal Khedive, col tacito consenso della Gran Bretagna.

75 1 Tittoni rispose il 12 settembre (Disp. 48992/81): «Ringrazio la S.V. della sua comunicazione

76 1 Dalle carte Imperiali.

77

L’INCARICATO D’AFFARI A BERLINO, MATTIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO 1731. Berlino, 7 agosto 1906, ore 21 (perv. ore 21,30).

Il sig. Tschirschky mi ha autorizzato a far conoscere a V.E. che le sue dichiarazioni concernenti l’art. nove sono qui considerate come soddisfacenti. Segretario di Stato mi ha detto inoltre aver ella informato codesto rappresentante germanico che anche il Governo inglese dava uguale interpretazione all’articolo stesso, mentre ella non conosceva il pensiero del Governo francese. A questo ultimo riguardo, von Tschirschky ha aggiunto, ritenere fino a prova del contrario che la Francia non dissentiva2.

2 Per il seguito vedi D. 78.

77 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale. Risponde al D. 66.

78

L’INCARICATO D’AFFARI A BERLINO, MATTIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO 1741. Berlino, 8 agosto 1906, ore 18,05 (perv. ore 19).

Segretario di Stato nel dirmi quanto io ho riferito ieri col telegramma 1732 circa Convenzione etiopica aggiunse che la nota comunicazione non era stata fatta a V.E. da Monts personalmente perché questi si trovava assente da Roma per motivi di salute. Tschirschky disse inoltre che Monts doveva recarsi a fare una cura in Sassonia e ricordando sgradevole indisposizione fisica di lui nei mesi passati rilevò che questa non era stata senza effetto sulle sue condizioni animo.

Bisogna tenere conto di ciò soggiunse segretario di Stato nel giudicare Monts e nell’apprezzare noto incidente di Milano.

Tschirschky qui si fermò e non fece alcuna allusione ai recenti attacchi della stampa italiana contro Monts il quale come ella sa è amico personale di lui. Forse V.E. vorrà permettere a me di dire che Tschirschky non mi sembrò ben inspirato quando volle mantenere a Palazzo Caffarelli Monts che ha dato già prova di non conoscere Italia e gli italiani. Però allo stato attuale delle cose certe manifestazioni della nostra stampa sono deplorevoli. Esse rischiano inoltre ottenere effetto opposto allo sperato, sono cioè di natura da rendere Monts inamovibile. Io credo che Governo del Re farebbe opera utile anche ai buoni rapporti tra i due paesi se riuscisse impedire ripetersi siffatte manifestazioni.

79

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

DISP. RISERVATO 43465/586. Roma, 13 agosto 1906.

Mi pregio segnar ricevuta del rapporto in data 9 luglio u.s. n. 4931. Gli apprezzamenti di V.E. sull’eventuale costruzione del porto di Bengasi per

opera di una società italiana, e sull’avviamento, in generale, d’intraprese economiche

2 Vedi D. 77.

italiane in Tripolitania e Cirenaica sono esattamente corrispondenti allo stato delle cose, ed io convengo coll’E.V. che, da una parte, lo scopo da raggiungersi per primo è l’istituzione a Costantinopoli di un organo serio, rappresentante un forte sindacato di capitali italiani, e che, d’altra parte, occorre non oltre indugiare se si vogliono evitare serie difficoltà di attuazione.

Mentre mi metto a questo proposito, nuovamente in relazione col mio collega, il ministro del tesoro, riconosco essere intanto necessario vegliare perché non siano fatte, dalla Sublime Porta, concessioni in Tripolitania e in Cirenaica, a nostro danno; tanto più che tale eventualità, come l’E.V. già osservava col rapporto del 15 luglio 1905 n. 4652, a suo tempo pervenuto a questo Ministero, malgrado le assicurazioni dateci costì, nel fatto non è del tutto da escludersi.

Mi affido per ciò alla esperimentata oculatezza dell’E.V., riservandomi, per parte mia, di far con ogni sollecitudine controllare ogni notizia che ella fosse per riferirmi, circa eventuali pratiche, per parte di esteri cittadini, che si dicessero iniziate costì allo scopo di ottenere da codesto Governo speciali concessioni in quelle regioni3.

78 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

79 1 Con il quale Imperiali sottolineava l’importanza e l’utilità per l’Italia di avviare imprese economiche in Tripolitania e Cirenaica.

80

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

DISP. RISERVATO 43578/129. Roma, 14 agosto 1906.

Continuano a giungere da Lugh notizie di incursioni Amhara ed Ogaden nei territori circostanti a quella stazione.

Al reggente il Governo della Colonia del Benadir, che me ne riferisce, ho risposto insistendo nel concetto che il programma che il R. Governo intende veder svolto dai proprii dipendenti, relativamente all’hinterland del Benadir, specie verso Lugh, è essenzialmente pacifico ed inteso sopratutto ad attirare sui mercati della Colonia il commercio dell’interno.

Ho voluto dar di ciò comunicazione alla S.V. perché all’efficace attuazione di questo programma, in cui si compendia gran parte dell’avvenire economico del Benadir, è essenziale che non venga a mancare il concorso di codesta r. legazione.

3 Per la risposta vedi D. 92.

79 2 Vedi serie terza, vol. IX, D. 183.

81

IL CONSOLE GENERALE A GIANNINA, MILLELIRE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 351/138. Giannina, 14 agosto 1906 (perv. il 17).

Ieri è venuto a vedermi Rustem bey sindaco di Coriza albanese musulmano, mio ottimo amico, ed uno fra i più ferventi dell’apostolato per l’idea albanese.

Lo stesso mi ha raccontato alcune cose abbastanza interessanti, che io reputo mio dovere sottomettere a V.E.

Egli mi ha detto che poco tempo addietro, gli albanesi del Nord di questo vilayet, assieme agli albanesi di Colonia, hanno diretto per mezzo della posta inglese di Salonicco, un memoriale redatto in lingua francese, coperto da più di 400 firme autentiche, nel quale erano esposte tutte le vessazioni, a cui gli albanesi erano soggetti, nonché lo stato di anarchia, che regnava nella loro regione; supplicavano perciò il Governo inglese, come il più vecchio Stato liberale d’Europa, di voler intervenire per metter rimedio a simile situazione, per evitare un indispensabile spargimento di sangue, a cui gli albanesi erano oramai risoluti, ed invocavano o che venisse loro concessa un’autonomia, o meglio ancora che fossero posti sotto l’amministrazione italiana, perché popolo più consanguineo degli albanesi, più vicino, e nel quale essi tutti avevano piena fiducia.

La persona in quistione mi disse che tale istanza sarà pure spedita al nostro Governo ed a quello francese, fra non molto, essendo ora il memoriale in giro per le firme.

Mi ha poi detto una notizia, che probabilmente a questa ora conoscerà V.E. dal mio collega di Monastir, ed è quella che Kiani bey di Colonia, il fuoriuscito, di cui ebbi varie volte ad occuparmi nei miei precedenti rapporti, venne amnistiato dal Sultano con iradè, e messo alla testa di una grossa banda albanese, la quale ha per iscopo di battere le bande di insorti greci. Mi disse inoltre, che Seyfoullah pascià ha mostrato desiderio di veder il famoso Kiani bey, e che quest’ultimo ha accettato di venire a Janina, non tanto per soddisfare al desiderio di Seyfoullah pascià, quanto perchè egli vorrebbe assolutamente vedermi, ed aver meco un abboccamento.

Se Kiani bey verrà a Janina e verrà a vedermi, non mancherò di riferire a V.E. quanto mi dirà.

Intanto Rustem bey mi ha confermato tutte le notizie sugli albanesi, che io ho già sottomesse a V.E., come il malcontento serpeggia incessantemente fra di loro, e che se le potenze non metteranno almeno un piccolo rimedio alle loro sofferenze, fosse anche soltanto le riforme europee applicate pure a questo vilayet, è quasi certo che avverrà una esplosione cruentissima.

Copia del presente rapporto è stata data alla r. ambasciata a Costantinopoli.

82

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 79/81. Addis Abeba, 17 agosto 1906.

In risposta al dispaccio dell’E.V. n. 33084/113, in data del 20 giugno u.s.2, con il quale mi è stata trasmessa copia di un memorandum del Foreign Office da cui risulta che sir John Harrington mi ha sempre appoggiato presso l’Imperatore nella questione di Lugh, ho l’onore di farle notare che tale appoggio si è sempre esplicato limitatamente alla questione del possesso di Lugh. Il ministro d’Inghilterra ignora le altre nostre richieste relative alla delimitazione della nostra sfera d’influenza in Somalia.

Del resto S.E. il governatore della Colonia Eritrea ha avuto occasione di parlare su tale argomento con sir John Harrington e potrà riferirne all.E.V.

83

L’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 2320/963. Parigi, 19 agosto 1906 (perv. il 27).

Mi è regolarmente pervenuto il dispaccio delli 2 corrente con il quale V.E.1, ricordando il verbale scambio di idee avuto al suo passaggio per Parigi con il sig. Bourgeois circa il commercio delle armi e munizioni che ha per centro il porto di Gibuti, mi incarica di prosseguire con questo ministro degli affari esteri le iniziate trattative.

Il Governo britannico che non si è mai deciso ad esercitare qui un’azione concorde con la nostra, per questo affare di comune interesse, ora ci propone di portare la questione del traffico delle armi davanti la conferenza che fra breve si riunirà a Bruxelles per la revisione della convenzione del 1899 relativa al commercio dei liquori.

Nelle corrispondenze che ho sotto gli occhi non trovo la data di convocazione della conferenza prossima, e mi rendo perfettamente conto dell’importanza che può avere, sotto vari aspetti, di giungere ad una intesa, se non completa, almeno di massima, col Gabinetto di Parigi, prima che la conferenza stessa si riunisca. Sfortunatamente il sig. Bourgeois che già da varie settimane è assente da Parigi, prolungherà,

82 2 Non pubblicato. 83 1 Vedi D. 74.

secondo ogni apparenza, le sue vacanze, e sarà difficile trattare con efficacia un simile affare durante la di lui assenza.

Mi pare evidente che il progetto d’introdurre nelle discussioni della Conferenza di Bruxelles, riunita per la revisione dei patti relativi al traffico dei liquori, un diverso soggetto, non sarà di facile esecuzione per poco che l’uno o l’altro degli Stati che interverranno a quella riunione internazionale, possa avere interesse ad opporvisi. Né per altra parte sarebbe forse un procedimento perfettamente amichevole quello di profittare di quella Conferenza per accusare la Francia di inosservanza di altri patti internazionali che la Conferenza medesima non ha mandato espresso di riprendere in esame.

Nel colloquio che V.E. ebbe con questo ministro degli affari esteri, il 22 giugno ultimo, il sig. Bourgeois non poté contestare che, se non si provvede prontamente ad impedire il completo armamento delle popolazioni indigene, presto verrà il tempo in cui gli Stati europei non potranno conservare i loro possedimenti della Somalia senza impiegarvi numerosi eserciti. In quel colloquio, mentre fu messa in sodo l’inefficacia delle pratiche, da noi seguite incessantemente presso il Governo della Repubblica, per indurlo a prendere i necessari provvedimenti, questi vennero precisati abbastanza chiaramente perché ora si possa domandare allo stesso sig. Bourgeois di dare seguito all’avvenuto scambio di idee. Né dal canto mio ritarderò a presentare qui le singole proposte se l’assenza di questo ministro degli affari esteri si dovesse protrarre oltre la fine del mese corrente.

Nel caso questo indugio sembrasse soverchio a V.E., le sarei grato di avvisarmene. Importa invero che questo negoziato sia per lo meno avviato prima che si riunisca a Bruxelles la Conferenza sovrindicata2.

82 1 Dall’Archivio storico del Ministero dell’Africa Italiana.

84

L’INCARICATO D’AFFARI A BERLINO, MATTIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 2094/182. Berlino, 20 agosto 1906, ore 11.

Nell’incontro di jeri, segretario di Stato mi ha parlato anche della intervista di Friedrichshof. Tutto, mi disse S.E., è passato nel modo migliore e con piena soddisfazione delle due parti. Re Edoardo VII ha riconosciuto essere nell’interesse reciproco che l’Inghilterra e la Germania procedano di buona intesa, e che i due paesi hanno, secondo l’impressione del Re, punti non di frizione, bensì di emulazione. Re Edoardo ha riconosciuti i cattivi servizi resi dalla stampa. Le conversazioni hanno avuto per tema le grandi linee della politica, non sono stati toccati dettagli, nei quali, mi diceva Tschirschky, non sarebbe forse ovvio facile raggiungere una piena intesa.

Tschirschky mi ha tenuto parola del nervosismo francese rispetto all’incontro dei due sovrani, nervosismo che egli rileva essere manifestato anche a Londra. Germania ne era al corrente, ma ha mantenuto una attitudine costantemente calma e serena.

83 2 Annessa al rapporto è la seguente annotazione: «indicare la data di convocazione della Conferenza, non bisogna ritardare più oltre l’inizio delle trattative (converrà telegrafargli la data di convocazione della Conferenza)».

85

L’INCARICATO D’AFFARI A BERLINO, MATTIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 2095/183. Berlino, 20 agosto 1906, ore 12.

Sig. Tschirschky mi ha chiesto se è vero che da noi si vuole procedere a riduzione di corpo d’esercito e nella eventualità, se ciò si farebbe in modo da conservare inalterata la compagine e la forza effettiva dell’esercito. Mi ha fatto notare che la Germania deve provvedere alla sicurezza sua su più frontiere, e che essa quindi non può pensare a diminuire i suoi effettivi militari. La Germania, mi diceva S.E., non può seguire l’esempio dell’Inghilterra che da nessuno è minacciata in casa propria. Di più, osservava il segretario di Stato, l’Inghilterra per quanto si riferisce agli armamenti navali non fa che qualche dilazione al fine di aspettare utilmente i progressi della tecnica.

Io ho avuto impressione che questo spontaneo discorso del sig. Tschirschky fosse l’eco delle conversazioni di Friedrichshof.

86

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2112/37. Belgrado, 21 agosto 1906, ore 6,30.

Mi risulta che stamane questo ministro degli affari esteri ha dichiarato all’incaricato d’affari di Russia, risultare da fonte certa Governo austro-ungarico proclamerà prossimamente annessione Bosnia-Erzegovina. Sarebbero già prese opportune precauzioni militari alla frontiera Turchia.

87

L’ADDETTO MILITARE A CETTIGNE E A SOFIA, RUBIN DE CERVIN, AL CAPO DI STATO MAGGIORE, SALETTA1

R. RISERVATISSIMO 10. Cettigne, 17-21 agosto 1906.

Di una lunga conversazione avuta oggi col principe ereditario del Montenegro, credo opportuno riferire a V.E. il sunto di un discorso ch’egli avrebbe tenuto col capo di Stato Maggiore dell’Esercito austriaco maresciallo Beck, nella circostanza in cui gli recava, a nome del principe Nicola, le felicitazioni pel giubileo. Alludendo al materiale di grosso calibro, il generale Beck osservò che tale acquisto non poteva considerarsi che ostile all’Austria, e siccome S.A. il Principe rispose che se la cosa era innegabile tuttavia essa rappresentava soltanto una semplice precauzione contro le numerose fortificazioni che nelle Bocche di Cattaro sono rivolte contro il Principato, il generale di rimando replicò con uno sfogo acre e poco lusinghiero per l’Italia.

«Soltanto contro di essa — egli disse — sono rivolte le nostre opere; essa che finge l’alleanza (e in ciò dire indicava con la mano il ritratto, grazioso dono del Nostro Sovrano) mentre è in realtà la nostra peggiore nemica; essa che non osando realmente affrontarci né in terra né in mare, va per vie traverse prendendoci alle spalle armando il Montenegro e costruendogli ferrovie strategiche!».

Secondo Sua Altezza, dal contegno del generale Beck e da altre parole pronunciate, avrebbe riportato l’impressione che lo Stato Maggiore austriaco sia molto impressionato dal pericolo che sovrasta le Bocche di Cattaro — dalla parte del Montenegro — e — soggiunge — dalla completa loro inutilizzazione come rifugio per la flotta, talché dovrebbero radiarsi le fortificazioni e verrebbero le Bocche sostituite da un porto militare a Sebenico. Se è vero e noto che Sebenico è destinato a diventare importante rifugio per la flotta, non posso tuttavia prestare alcuna fede all’abbandono di Cattaro; idea questa che parmi dettata da un esagerato valore attribuito alle nuove artiglierie acquistate, mercé le quali a quest’esercito — con comprensibile ma ingenua speranza — sembra di poter dominare l’Austria perché essa sta in basso nella valle, mentre il Montenegro è su in alto sulla montagna!

L’abbandono di Cattaro sarebbe in verità troppa offa per noi che non possediamo nessun rifugio nell’Adriatico, ma purtroppo — come riferisco con speciale rapporto al Comando in seconda — regna invece colà insolita attività d’organizzazione.

Cettigne, 21 agosto 1906.

S.A.R. il Principe Nicola nell’udienza accordatami oggi — appena rientrato dal Lovéen ove dimorava — mi ripeté presso a poco le stesse cose, aggiungendo che a Vienna2 gli furono dette tali durezze contro l’Italia e contro il Montenegro e fu assunto un tono talmente tragico ch’egli aveva creduto — per non invelenire oltre la questione — di non scriverne neppure a S.M. il Re.

2 Vienna sottolineato due volte nel testo.

87 1 Da UFFICIO STORICO DELLO STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO.

88

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL CONSOLE GENERALE A LA CANEA, FASCIOTTI

T. 1789. Roma, 23 agosto 1906, ore 20.

Dopo che sarà avvenuta la pubblicazione in Creta della nota al Re di Grecia, ella è autorizzata, d’accordo coi suoi tre colleghi a spiegare a codesta popolazione come il modo di nomina dell’alto commissario faccia parte integrale del piano di riforme proposto dalle potenze, le quali riforme non potranno ottenersi che alla condizione della loro accettazione da parte dell’Assemblea e del mantenimento dell’ordine nell’isola.

89

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI

T. RISERVATO PERSONALE1. Roma, 27 agosto 1906, ore 17,30.

In replica al suo foglio riservatissimo senza numero del 18 corrente2 la autorizzo a significare al sig. Vesnitch che l’Italia vedrà di buon occhio la stipulazione di un concordato tra la Serbia ed il Vaticano per l’esercizio della religione cattolica in Serbia. Tale provvedimento sottrarrà i cattolici serbi alla soggezione austriaca.

90

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. PERSONALE CONFIDENzIALE1. Vienna, 31 agosto 1906.

Il conte Goluchowski avendo fatto qui ritorno dal suo congedo mercoledì sera [il 29] gli consegnai jeri, in nome dell’E.V. giusta le istruzioni impartitemi colla sua lettera personale confidenziale del 19 luglio scorso2, il testo dell’accordo anglo-franco-italiano per l’Etiopia sotto riserva del segreto al quale eransi reciprocamente obbligate le tre parti contraenti fino a quando esso non potrà essere regolarmente firmato dai rispettivi plenipotenziari.

2 Vedi D. 59.

2 Vedi D. 61.

Dissi al conte Goluchowski che l’E.V. aveva divisato di procedere alla comunicazione di tale accordo verso il Governo austro-ungarico come verso il Governo germanico per fare atto amichevole verso i due Governi alleati ed affinché prendessero nota fin d’ora degli impegni che mediante quell’accordo la Francia e l’Inghilterra venivano ad assumere verso l’Italia e del conseguente nostro diritto di sostenere in avvenire lo scrupoloso mantenimento degli impegni stessi.

Aggiunsi che l’avere l’E.V. comunicato in precedenza al Gabinetto di Berlino le clausole dell’accordo era dipeso da ciò che era in allora imminente la partenza in congedo del generale Lanza dal quale le premeva fosse fatta personalmente la comunicazione in parola al Governo germanico.

Il conte Goluchowski mi pregò di ringraziare l’E.V. per la comunicazione di tale accordo.

Nel confermarle il mio telegramma personale n. 126 in data d’oggi3...

89 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto.

90 1 Dall’Archivio Avarna.

91

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1969/988. Vienna, 31 agosto 1906 (perv. l’8 settembre).

Nel colloquio che ho avuto oggi dal conte Goluchowski dopo il suo ritorno in Vienna, il discorso essendo caduto sulla comunicazione da me fatta al sig. de Mérey, unitamente ai miei colleghi d’Inghilterra, di Francia e di Russia, della nota presentata il 14 corrente al Re di Grecia, oggetto del telegramma di V.E. n. 17711, egli mi disse che non aveva alcuna obiezione contro la facoltà deferita dalle quattro potenze a Sua Maestà di designare il candidato al posto di alto commissario in Creta, ove questo fosse rimasto vacante. Credeva che tale facoltà fosse un atto di deferenza dovuto al Re di Grecia nelle presenti circostanze in cui si trattava della scelta del successore di suo figlio principe Giorgio.

Ma non avrebbe potuto ammettere che un simile procedimento fosse seguito in avvenire e che la designazione dell’alto commissario in Creta fosse fatta senza il concorso dell’Austria-Ungheria, che aveva il diritto, siccome firmataria del Trattato di Berlino, di essere interpellata preventivamente circa quella designazione.

Ricordando a questo proposito quanto aveva fatto conoscere nella nota diretta a me ed ai miei colleghi il 17 febbraio 1905 (mio rapporto n. 172, in data del 18 di tale mese)2 circa la qualità di potenze protettrici che le quattro potenze si attribuivano in Creta, rilevò di nuovo come il Governo imperiale e reale, quantunque avesse ritirato le sue truppe, non si era mai disinteressato delle sorti dell’isola e si fosse sempre riservato di cooperare con esse ogni volta che si trattava di una modificazione della situazione politica dell’isola e di un cambiamento fondamentale della sua amministrazione,

91 1 Del 21 agosto, non pubblicato.

2 Non pubblicato.

giusta quanto era stato stabilito nel dispaccio circolare del 29 marzo 1898 comunicato alle potenze. Ma fintanto che le quattro potenze avrebbero mantenuto in Creta i loro contingenti non stimava dovere insistere sul diritto che spettava al Governo imperiale e reale di occuparsi al pari di esse degli affari dell’isola. Se questi però fossero stati ritirati, ciò che sembra fosse loro intenzione, siccome Creta sarebbe ritornata dopo la partenza delle truppe internazionali nello stato in cui si trovava anteriormente al loro arrivo, non avrebbe tralasciato di far valere quei diritti, non esistendo allora più ragione alcuna perché le quattro potenze si arrogassero una situazione speciale nell’isola.

Nel riferirsi poi alla risposta da esso fatta il 15 corrente al promemoria da noi rimesso il 3 di questo mese al sig. de Mérey, da me trasmessa all’E.V. con rapporto del 20 corrente n. 9492 tornò a lamentare che le potenze non avessero tenuto conto nel procedimento da loro seguito delle riserve sopraccennate col fare alle popolazioni cretesi, senza chiedere preventivamente il parere del Governo imperiale e reale, concessioni importanti che modificavano in certo modo lo statu quo politico dell’isola. Tra queste concessioni quella a cui non poteva consentire si era l’estensione della competenza della commissione internazionale di controllo delle finanze elleniche, perché avrebbe fatto quasi comprendere l’isola nel Regno di Grecia, a cui non apparteneva, e fornito quindi alle popolazioni cretesi nuovo pretesto d’agitazione.

Sapeva che il Governo germanico erasi dichiarato parimente contrario a tale concessione. Egli non si sarebbe opposto, per contro, se fosse stato istituito in Creta un controllo finanziario speciale, purché al medesimo avessero pure partecipato i delegati austro-ungarici.

I provvedimenti che le quattro potenze erano disposte ad adottare in Creta non gli sembravano del resto che espedienti, i quali, oltre al non soddisfare i desideri delle popolazioni cretesi, non dimostravano in modo esplicito quali fini esse si prefiggessero. Avrebbe compreso che per fare cosa grata a quelle popolazioni, le potenze avessero affidato l’amministrazione dell’isola alla Grecia; tale provvedimento aveva almeno il pregio della chiarezza ed avrebbe avuto uno scopo ben determinato.

Nel corso del colloquio il conte Goluchowski mi fece intendere di aver fatto conoscere direttamente al sig. Iswolski il suo pensiero contrario all’estensione in Creta della competenza della commissione finanziaria ellenica, e gli risultava ch’egli aveva riconosciuto il buon fondamento delle sue obiezioni, né aveva mancato altresì di fargli rilevare come sarebbe stato opportuno che il Governo imperiale e reale fosse stato interpellato al riguardo prima che quella concessione fosse comunicata al Re di Grecia e notificata alle popolazioni cretesi. Al che il sig. di Iswolski avrebbegli risposto che ciò dovevasi attribuire unicamente a mera dimenticanza.

Le obiezioni mosse dal conte Goluchowski contro i provvedimenti delle quattro potenze in Creta non potrebbero certamente essere contestate per ciò che riguarda il diritto che il Governo imperiale e reale rivendica di occuparsi, al pari di loro, delle cose dell’isola, quale firmatario del Trattato di Berlino.

Ma potrebbesi osservare che l’Austria-Ungheria, col ritirare le sue truppe da Creta, se non si è disinteressata del tutto delle sue sorti, ha abbandonato l’isola alle cure delle quattro potenze, che, pur sobbarcandosi agli aggravi che ne risultano, non hanno cercato né cercano, come il conte Goluchowski sembra supporre, di arrogarsi una situazione privilegiata, escludendo il Governo imperiale e reale dal provvedere con loro al mantenimento dell’ordine ed al miglioramento delle sue condizioni interne.

Mentre, a differenza di quanto venne praticato in Creta, il Governo imperiale e reale, col pretesto di essere direttamente interessato nelle questioni balcaniche e coll’addurre di averne avuto il tacito mandato dalle altre potenze, che in realtà non gli venne affidato, ha escluso, in certo modo, l’Italia, l’Inghilterra e la Francia dal partecipare sull’istesso piede di essa alle riforme della Macedonia, delle quali ha assunto, di proprio arbitrio, la direzione, d’accordo con la Russia, non tenendo conto dei diritti derivanti a quelle potenze dal Trattato di Berlino.

90 3 T. 2188/126, non pubblicato. Il contenuto è qui riassunto.

92

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1808/633. Therapia, 1° settembre 1906 (perv. l’11).

Nel dispaccio n. 586 delli 13 agosto u.s. (uff. dipl.)1, del quale ho l’onore di segnare ricevuta, l’E.V. accenna alla necessità di vegliare perché non siano fatte dalla Sublime Porta concessioni in Tripolitania ed in Cirenaica a nostro danno.

Per quanto da parte mia nulla si ometta allo scopo di raccogliere quante più notizie sia possibile su questo argomento, non potrei tuttavia senza temerità assumere l’impegno di essere preventivamente informato di qualunque concessione che venisse chiesta od ottenuta per la Tripolitania e la Cirenaica. Attualmente, dopo le dichiarazioni categoriche fattemi l’anno scorso dal Sultano, non ho motivo di sospettare che sia in corso qualche progetto a nostro danno; ma il R. Ministero deve tener conto, e su ciò ho l’onore di attirare la speciale attenzione di V.E., che il più delle volte le trattative concernenti concessioni vengono condotte non già alla Sublime Porta, ma a Palazzo Imperiale, dal Sultano direttamente o per mezzo dei fidatissimi e pochissimi suoi segretari, dai quali nulla si può sapere. Se, per fare un’ipotesi, un ambasciatore conclude un affare di concessione personalmente e direttamente discorrendone col Sultano in udienza privata, non vi sarà certo alcuna possibilità per la r. ambasciata di esserne preventivamente informata. Ed il caso ebbe già a verificarsi: com’è noto al R. Ministero, la Germania ha ottenuto la concessione delle miniere di Tassos nonostante che sulle medesime fossero già in corso domande e progetti da parte di sudditi austriaci e francesi. L’ambasciatore di Germania si recò dal Sultano, a nome dell’Imperatore, ottenne la concessione direttamente e le ambasciate d’Austria e di Francia seppero la cosa a fatto compiuto.

È pure accaduto che il Sultano accordi concessioni a funzionarii di Palazzo che si acquistarono benemerenze poliziesche od altre. Questi poi vendono le concessioni a sudditi esteri direttamente e senza la minima pubblicità, e quando, in seguito agli intrighi occulti degli interessati, compare l’iradé, è troppo tardi per intervenire.

Col Palazzo, poi, io non ho e non posso avere alcuna relazione diretta e personale e nella stessa condizione si trovano tutti i miei colleghi. I famigliari del Sultano non si possono neppure recare a fare una visita senza l’autorizzazione del Sovrano. L’inverno scorso, ad esempio invitai a pranzo Izzet Pascià, secondo segretario del Sultano. Ma S.E. non potè intervenire e all’ultima ora mi fece sapere confidenzialmente che l’iradé necessario non era uscito.

Pertanto l’unico mezzo a mia disposizione per mantenere rapporti col Palazzo Imperiale, salvo il caso delle udienze accordatemi dal Sultano, è il primo dragomanno della r. ambasciata. Avendo dato comunicazione al comm. Cangià del dispaccio cui ho l’onore di rispondere, egli mi ha dichiarato che si fa forte di tenermi al corrente di un affare che venisse trattato alla Sublime Porta, ma che si trova nella assoluta impossibilità di avere preventiva notizia di quanto si trama a Palazzo Imperiale circa affari di concessioni.

Detto ciò, a scanso d’ogni mia responsabilità, ho l’onore di comunicare a V.E. che, giorni sono, discorrendo con l’ambasciatore germanico, a modo accademico, delle cose della Tripolitania, il barone Marschall ebbe a dichiararmi che i tedeschi non intendono far nulla in quella regione. Questa dichiarazione del mio collega era formulata in modo da non lasciare dubbio circa la sua spontaneità e veridicità. Il barone Marschall aggiunse che, a suo parere, il Sultano non darà concessioni per la Tripolitania né all’Italia né ad altri. Tale giudizio conferma quanto ebbi già più volte a scrivere a V.E. circa la diffidenza di S.M. imperiale a nostro riguardo per tutto ciò che concerne la Tripolitania. Quanto al modo di far cambiare d’idea al Sultano ed a quali vie ricorrere per ottenere tale scopo, é cosa che adesso sarebbe prematuro esaminare, visto che, da parte nostra, nessun progetto serio venne ancora cencretato2.

92 1 Vedi D. 79.

93

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA1

T. SEGRETO 18802. Roma, 3 settembre 1906, ore 20,15.

Governo francese è preoccupato dell’indugio di Menelik ad aderire all’accordo per Etiopia. Sarebbe opportuno che ella s’intendesse con colleghi di Francia e d’Inghilterra per un passo collettivo amichevole presso Menelik per sollecitare sua adesione. Prego telegrafarmi in proposito, indicandomi se ella conosca qualche speciale ragione di questo ritardo per parte del Negus3.

93 1 Ed. in MARTINI, Diario Eritreo, cit., pp. 579-580.

2 Trasmesso via Asmara. 3 Per la risposta vedi D. 96.

92 2 Per la risposta vedi D. 105.

94

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1835/64. Therapia, 4 settembre 1906 (perv. l’11).

L’agitazione qui verificatasi in seguito all’atteggiamento alquanto aggressivo assunto improvvisamente dalla Bulgaria, atteggiamento accentuato dalla partenza del sig. Natchowitz, il quale non ha dissimulato i motivi che lo hanno indotto a lasciare Costantinopoli, va a poco a poco calmandosi. Le dichiarazioni rassicuranti venute da tutte le grandi potenze hanno contribuito ad attenuare sensibilmente le apprensioni.

Il gran vizir, che degli affari bulgari si occupa direttamente, non essendo ieri venuto alla Porta, non mi fu possibile intrattenermi con lui. Mi intrattenni però col ministro degli affari esteri, il quale si mostrava perfettamente calmo. S.E. mi disse che alla Sublime Porta non era giunta la conferma ufficiale delle due notizie pubblicate ieri dalle agenzie telegrafiche, relativamente alla sospensione delle manovre, nonché ad una crisi ministeriale, in seguito alla quale il sig. Natchowitz assumerebbe il portafoglio degli affari esteri. Se tale seconda eventualità si verificasse, il Governo imperiale non potrebbe che compiacersene, il sig. Natchowitz, avendo dato, durante il suo soggiorno a Costantinopoli, sufficiente testimonianza delle sue disposizioni concilianti, e favorevoli allo stabilimento di relazioni cordiali ed amichevoli tra il Pricinpato e l’Impero. Aggiunse Tewfik Pascià che, in linea generale, egli non ritiene possibile che il principe Ferdinando abbia sul serio pensato a provocare un conflitto armato contro la Turchia, assumendosi a cuor leggero, dinnanzi all’Europa, la gravissima responsabilità di turbare la pace della Penisola Balcanica.

Il ministro era piuttosto disposto ad attribuire i recenti avvenimenti al carattere impetuoso del generale Petroff, il quale, non sembra possedere una nozione esatta dei veri interessi della Bulgaria. S.E. concluse che in tutti i casi il Governo imperiale non intende nullamente mutare la sua politica evidentemente pacifica.

Le dichiarazioni di Tewfik Pascià rispecchiano fedelmente le intenzioni del Governo, conforme agli ordini perentorii e tassativi del Sultano. Come è noto, S.M. imperiale è stato sempre fautore della pace. Questi suoi sentimenti pacifici si sono venuti in questi ultimi tempi maggiormente intensificando, gli attuali avvenimenti in Russia avendo fatto sorgere nell’animo del Sultano il timore che possa capitare altrettanto a lui, qualora si lanciasse in imprese bellicose.

E di queste disposizioni ultrapacifiche del Sovrano si è avuta, nella presente occasione, una novella prova. Non appena giunsero qui le notizie dei gravi incidenti di frontiera, delle violente manifestazioni con i greci, e del contegno veramente aggressivo assunto dalla Bulgaria, fu riunito un Consiglio straordinario di ministri, e il ministro della guerra propose di prendere provvedimenti militari tali da lasciare chiaramente travedere la sua tendenza a precipitare gli avvenimenti. Prevalsero invece consigli di prudenza e di moderazione, e Riza Pascià, non vedendosi assecondato dai suoi colleghi, ebbe una crisi di rabbia violentissima e scoppiò in un pianto dirotto. Riferita al Sultano la discussione avvenuta tra ministri, S.M. imperiale si

affrettò ad inviare l’ordine tassativo di astenersi da qualunque misura che avesse potuto aver l’aria di minaccia, e provocare uno scoppio di ostilità. In pari tempo il Sultano incaricò il suo fido Negib Pascià Melhamé di recarsi immediatamente a Marienbad, latore di un messaggio segreto da lui personalmente inviato al principe Ferdinando per indurlo – secondo si afferma – a ordinare la sospensione delle manovre e a non accettare le dimissioni del sig. Natchowitz, persona gratissima a Palazzo.

Se le due notizie sparsesi ieri ed alle quali ho accennato dianzi, sono esatte, la missione di Negib Pascià sarebbe stata coronata da completo successo, e su quel personaggio si accumuleranno sempre più onori e ricompense pecuniarie.

Le disposizioni così pacifiche del Sultano contrastano tuttavia con quelle della gran maggioranza dei personaggi più importanti e più influenti dell’Impero. Essi, partendo, a torto o a ragione, dal principio che la guerra colla Bulgaria presto o tardi, dovrà pure scoppiare, considerano ogni indugio vantaggioso soltanto per i bulgari, cui viene lasciato tempo ed agio di accrescere e perfezionare i loro armamenti, mentre, per contro, la potenzialità militare dell’Impero, per motivi complessi e di varia indole, che sarebbe troppo lungo di enumerare qui, si va di giorno in giorno affievolendo. «Se i bulgari ci avessero attaccato – mi diceva avant’ieri un ministro, io avrei dato due mila lire in opere di beneficenza. Così non si può andare avanti a lungo. Oggi noi possiamo ancora infliggere una severa lezione alla Bulgaria ed acquistare qualche anno di tranquillità. Ma, perdendo tempo, le nostre probabilità di vittoria diventeranno sempre più scarse».

Non credo di esagerare affermando essere questa la nota esatta circa la tendenza attuale dell’opinione pubblica ottomana. Fortunatamente il volere del Sultano è ancora supremo e dirimente: ed a queste aspirazioni bellicose dei suoi sudditi, pur tenendone il debito conto, non si può attribuire importanza tale da paventare, per il momento almeno, un conflitto armato provocato dalla Turchia.

Tutto ciò non esclude, beninteso, che alcune misure militari di natura puramente difensiva siano state già prese ed altre trovinsi in gestazione. Al riguardo riferisce particolareggiatamente il nostro solerte e diligente addetto militare, il quale mi ha dato cortesemente visione di un interessante rapporto da lui diretto al comando del corpo di Stato Maggiore.

A proposito dei preparativi militari turchi ho saputo, in via strettamente confidenziale, da sorgente attendibile, che l’ambasciatore di Germania ha in questi ultimi tempi attirato seriamente l’attenzione del gran vizir sul fatto che, mentre i bulgari possono in tre o quattro giorni mettere sul piede di guerra 250 mila soldati e passare la frontiera, la Turchia, per la lentezza della sua mobilitazione, si verrebbe a trovare a mal partito in caso di una improvvisa aggressione da parte del Principato. Le osservazioni dell’ambasciatore di Germania hanno formato oggetto di un rapporto segreto sottomesso in via d’urgenza al Sultano. Intanto si è sparsa ieri la voce, non ancora ufficialmente confermata, di una imminente chiamata sotto le armi di sedici reggimenti di redifs di seconda categoria, i quali verrebbero riuniti, a scopo di istruzione, nelle vicinanze della frontiera bulgara. Per quanto questa misura nulla avrebbe di minaccioso, a mio debole parere sarebbe pur preferibile che la chiamata non avesse luogo. Gli agglomeramenti di truppe a me sembrano sempre pericolosi, lungo una linea di frontiera non sempre bene tracciata, in molti punti della quale i soldati turchi e bulgari, e lo provano i recenti incidenti, sono separati da una distanza minima che

permette loro di fare facilmente alle fucilate. Data l’esasperazione degli animi e con un concentramento di truppe dalle due parti, un incidente di frontiera, più grave di quelli finora verificatisi, potrebbe forse avere conseguenze fatali ad onta delle disposizioni pacifiche del Sultano e del principe Ferdinando.

In conclusione, e per quanto sia temerario ed imprudente l’avventurarsi in profezie in paese dove gli avvenimenti i più inaspettati possono sempre verificarsi da un momento all’altro, io non vedo, per ora almeno, motivi serii di apprensione per il turbamento della pace. La Turchia, finché vive il Sultano, non ne prenderà certo l’iniziativa. E, quanto alla Bulgaria, a me pare difficile che il principe Ferdinando, a meno di esservi forzato, dal pericolo di un movimento antidinastico o da minacce di morte da parte dei Comitati macedoni, si decida a tentare le sorti della guerra, con una preparazione militare non ancora completa, con la Russia seriamente paralizzata, con l’Europa contraria e con la possibilità di disposizioni ostili, o, quanto meno, di una poco benevola neutralità della Rumania.

95

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1989/1000. Vienna, 4 settembre 1906 (perv. il 10).

Col dispaccio segnato in margine1 l’E.V. mi diede l’incarico di farle sapere se una nota verbale identica a quella rimessale da codesto incaricato d’affari di Turchia, relativa ai gravi fatti che continuavano a prodursi in Bulgaria a danno dell’elemento ellenico, fosse stata consegnata al Governo austro-ungarico e nel caso affermativo quale accoglienza avesse avuta presso di esso e quali fossero le sue intenzioni in proposito.

Il conte Goluchowski, che ho interrogato oggi a questo riguardo, mi ha detto che un’eguale comunicazione eragli stata fatta dall’ambasciatore di Turchia e che, in seguito a ciò, aveva impartito all’agente i. e r. in Sofia l’istruzione di far passi amichevoli presso il Governo bulgaro per fargli rilevare la necessità di porre fine all’agitazione esistente nel Principato e raccomandargli di provvedere perché i fatti suddetti non si rinnovino in avvenire.

Gli risultava che il principe Ferdinando era stato sgradevolmente impressionato dell’imprevidenza del proprio Governo nel non prevenire quei fatti e che il Governo stesso, che se ne era dimostrato dal suo lato dolente, aveva preso ora gli occorrenti provvedimenti per impedire che si ripetessero. Dalle informazioni pervenutegli dall’agenzia i. e r. in Sofia sembrava infatti che alcun nuovo eccesso non fosse stato commesso nel Principato a danno dell’elemento ellenico.

L’agitazione sorta nel Principato contro la Grecia è giudicata dal conte Goluchowski come una conseguenza degli eccidi commessi dalle bande elleniche in Macedonia sulle popolazioni bulgare e dal contegno tenuto dal Gabinetto di Atene, verso il quale ebbe parole di severo biasimo per non aver corrisposto alle ripetute rimostranze rivoltegli dalle potenze col non adoperarsi con la dovuta energia ad ostacolarne la formazione sul proprio territorio.

Ma il conte Goluchowski non crede che i fatti sopra accennati possano avere una ripercussione in Macedonia, né gli consta che i comitati bulgari abbiano intenzione di procedere alla formazione di nuove bande per provocarvi una ripresa di moti insurrezionali. Egli considera del resto la situazione presente di cose nella penisola col suo solito ottimismo, né da importanza, d’altra parte, agli incidenti avvenuti di recente alla frontiera turco-bulgara tra le truppe ottomane e quelle del Principato, i quali a suo parere, non potrebbero turbare i rapporti tra i due Governi né dar luogo per il momento a preoccupazioni di sorta.

95 1 Disp. 46176/690 del 28 agosto, non pubblicato.

96

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI1

T. SEGRETO 2247/66. Addis Abeba, 6 settembre 19062.

Rispondo al suo telegramma n. 18803. Menelik che ha limitato suo fortunato, profittevole equilibrio politico sul disac-

cordo delle potenze qui rappresentate, lo vede ora scosso dall’accordo notificatogli. Intravvede nello spirito di esso, una menomazione di sovranità, una prestabilita ripartizione Etiopia, una continua minaccia di nostra azione collettiva. Ciò crea diffidente incertezza, quindi indugio aderire. Lagarde, quale decano del Corpo diplomatico, non tralascia espedienti e sollecitazioni per ottenere pronta risposta. Ieri l’altro Menelik gli ha detto che avrebbe risposto fra qualche giorno. S.E. Martini, che sarà presto costì, potrà ampiamente riferire sulla questione che gli è completamente nota, e ben conosce la situazione del paese.

2 Trasmesso via Asmara. 3 Vedi D. 93.

96 1 Ed., con varianti, in MARTINI, Diario Eritreo, cit., p. 583.

97

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 98/9. Addis Abeba, 7 settembre 19061.

Insieme col dispaccio n. 42734/129, in data del 9 agosto u.s. l’E.V. mi ha trasmesso copia del rapporto n. 1959/839 in data del 19 luglio u.s., della r. ambasciata di Parigi, nel quale si accenna ad intrighi orditi da europei in Addis Abeba allo scopo di indurre Menelik a respingere l’accordo relativo all’Etiopia concluso precedentemente tra l’Italia, la Francia e l’Inghilterra2.

Credo quindi opportuno di accennare brevemente all’E.V. quale sia la situazione attuale in Addis Abeba per quanto riguarda l’accettazione da parte dell’Imperatore dell’accordo in questione.

La mia azione si è limitata, in conformità alle istruzioni impartitemi dall’E.V. alla presentazione dell’accordo stesso insieme con i miei colleghi di Francia e d’Inghilterra. L’Imperatore in quella occasione dichiarò che avrebbe esaminato con cura il documento ed alle insistenze dei ministri di Francia e d’Inghilterra affinché desse una sollecita risposta, rispose che non era giusto esigere da lui una decisione immediata quando le tre potenze avevano impiegato non meno di quattro anni per concretare l’accordo. Tale risposta fece subito comprendere a tutti che Menelik intendeva di ritardare per quanto fosse possibile ogni risposta definitiva per avere agio di accertare in modo sicuro che l’accordo non contenga nessuna disposizione contraria alla sua autorità sovrana e alla indipendenza dell’Etiopia.

Al desiderio di Menelik di ritardare per ora ogni decisione, si deve anche aggiungere l’azione di varii europei che sono a contatto continuo coll’Imperatore. Fra questi va menzionato, in primo luogo, il sig. Chefneux che, quale rappresentante degli interessi della Compagnia ferroviaria etiopica, non può essere troppo ben disposto verso la soluzione data dall’accordo alla questione della ferrovia; inoltre vi sono al Ghebì europei di varie nazionalità, speclalmente quella greca, i quali cercano farsi un merito presso l’Imperatore mettendolo in guardia contro pericoli più o meno immaginarii contenuti nelle disposizioni dell’accordo.

L’azione collettiva di tutte queste persone e lo stato d’animo di Menelik, cui ho sopra accennato, fanno sì che una risposta definitiva di questo non sia ancora giunta e forse tarderà ancora alquanto a venire.

2 Non pubblicati.

97 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

98

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 2014/1011. Vienna, 11 settembre 1906 (perv. il 14).

Ho ricevuto il dispaccio segnato in margine1 col quale l’E.V. mi trasmise per opportuna mia notizia copia di un rapporto della r. legazione in Belgrado del 27 luglio scorso2, concernenti le relazioni tra l’Austria-Ungheria e la Serbia e le voci di supposti preparativi militari per parte del Governo i. e r. diretti contro la Serbia e la Macedonia.

Ringrazio l’E.V. per la comunicazione di tale rapporto. Fino dal 5 agosto scorso ebbi l’onore di farle conoscere con rapporto n. 9163,

come dalle accurate indagini da me fatte risultasse che le voci che circolavano da qualche tempo in Ungheria, relative a preparativi militari dell’Austria-Ungheria in Croazia, Slovenia e Bosnia, in vista di una azione contro la Serbia, erano del tutto infondate. Nessun concentramento di truppe è infatti avvenuto verso la frontiera di quel Regno e l’insolito movimento militare che notavasi in Bosnia-Erzegovina fu motivato per le misure prese per le manovre, che devono aver luogo prossimamente in Dalmazia.

Aggiungo che l’addetto militare presso la r. ambasciata, da me incaricato d’informarsi giornalmente d’ogni provvedimento d’indole militare, che riguardi le guarnigioni austro-ungariche alla frontiera balcanica, mi partecipa che all’infuori delle misure ordinarie richieste dal mantenimento nella sua integrità numerica e sul solito piede di pace rinforzato del corpo d’esercito colà destinato, non si è segnalato né si segnala alcun indizio di aumento e di dislocazione dettato dalla previsione di speciali avvenimenti4.

99

L’AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 687/278. Pietroburgo, 12 settembre 1906 (perv. il 17).

Al suo primo giungere al Ministero degli affari esteri il sig. Izvolskij ha dovuto lottare con non poche difficoltà. Giunto affatto nuovo a capo di un Ministero che,

2 Vedi D. 70. 3 R. 916/1794, non pubblicato. 4 Con Disp. 50715/78 del 22 settembre Tittoni comunicò alla legazione a Belgrado le conclu-

sioni di questo rapporto.

tranne le due eccezioni del principe Lobanov e del conte Muraviev, fu per un interminabile periodo di anni retto da elementi usciti dal Ministero stesso immobilizzatori in metodi e tradizioni antiquate, il soffio rigeneratore che sapevasi voler apportare nell’amministrazione e nella politica gli avevano fin dagli inizii creato nelle file burocratiche un ambiente ostile contro cui, vista anche la poca stabilità della sua personale posizione, gli era arduo reagire. Gli fu d’uopo quindi pazientare ed aspettare. Oggidì invece essendo riuscito ad assicurarsi la simpatia e la fiducia del suo Sovrano e l’appoggio del primo ministro, per ora almeno onnipotente, egli sente il terreno sotto i suoi piedi abbastanza forte per poter iniziare un’azione utilmente riformatrice. Il primo compito che, a quanto pare, si è prefisso sarebbe di procedere ad una radicale trasformazione del Ministero degli affari esteri mutandone l’organizzazione ed il personale in senso che ritiene più conforme alle esigenze del servizio e ad una attività politica più moderna ed intensa. Gli antichi dipartimenti sarebbero in gran parte trasformati, verrebbe creato un Gabinetto politico, molti dei capi-ufficio – quasi tutti creature del conte Lamsdorf – sarebbero allontanati e sostituiti con uomini nuovi godenti la fiducia personale del nuovo ministro. Se al sig. Izvolskij potrà riuscire di trovare nelle file dell’amministrazione o della diplomazia russa elementi disponenti di quelle qualità di attività e modernità che mancano ad alcuni, se non a tutti, dei funzionari che dovranno sostituire, la riforma potrà riuscire veramente utile e meritoria.

Per gli esteri rappresentanti accreditati presso questa Corte, od almeno per la maggior parte di essi, l’assunzione del sig. Izvolskij al Ministero degli affari esteri ha costituito un reale benefizio. Al tempo del conte Lamsdorf rarissime erano le occasioni in cui era dato di vedere il ministro e quando occorreva fargli qualche comunicazione importante ed urgente, dovevasi sovente aspettare due o tre giorni prima di essere da lui ricevuti. La sua riservatezza di parola oltrepassava poi i limiti del permesso e ben raramente riuscivasi ad ottenere da lui, sopra dati argomenti politici dichiarazioni veramente conclusive ed esaurienti. Col sig. Izvolskij, nulla di tutto ciò. Quasi ogni settimana riceve il Corpo diplomatico ed è poi ogni giorno a disposizione degli ambasciatori e ministri che desiderano intrattenerlo. A differenza del conte Lamsdorf che viveva in assoluta segregazione dall’umano consorzio, che mai faceva una visita, mai accettava un pranzo, il sig. Izvolskij, di sua natura socialissimo, è un assiduo frequentatore dei ritrovi mondani, ove i diplomatici assai frequentemente lo incontrano. Di parola facile ed elegante, egli discorre volentieri e bene, pur astenendosi dal diffondersi sopra argomenti di politica generale; in ogni caso nelle sue risposte egli è sempre chiaro e preciso. Per parte mia non ho poi che a lodarmi sinceramente del contegno del nuovo ministro. A cagione anche della domestichezza contratta in due anni di soggiorno comune al Giappone egli dimostrasi sempre meco oltremodo premuroso e cordiale.

Alla politica estera della Russia il sig. Izvolskij non ha avuto ancora il tempo né l’occasione di imprimere un’impronta sua speciale. Egli si limita per ora a provvedere a che in tutte le questioni ove sono in gioco interessi dell’Impero la diplomazia russa si mantenga viva ed attiva: gli è così riuscito di fatto di ottenere che, dopo una guerra disastrosa e due anni di terribile rivoluzione, la voce della Russia sia ancora dall’Europa ascoltata e rispettata come per il passato. Ma per grandi cambiamenti politici, per nuove orientazioni non è questo il momento. Nella politica balcanica il sig. Izvolskij continuerà indubbiamente nelle sue grandi linee la politica del suo predecessore, basa-

ta sull’accordo coll’Austria, perché, nelle presenti condizioni interne il Governo imperiale è troppo interessato a mantenersi le buone grazie del Governo di Vienna per poter azzardare da quel lato pericolose innovazioni. Il nuovo ministro lo sa e non lascia perciò occasione di dar testimonianza a Vienna delle buone disposizioni del Governo russo. Non perciò le sue idee personali possono essersi mutate. Il sig. Izvolskij, è inoltre troppo intelligente ed accorto per non rendersi conto dei frutti disastrosi ottenuti dalla politica del conte Lamsdorf nella Penisola Balcanica ove sempre più manifestasi un regresso dell’elemento slavo a beneficio di altri elementi e dove gli interessi tradizionali della Russia minacciano di essere irrimediabilmente compromessi. Tale pericolo, segnalato con insistenza ogni giorno dalla stampa russa più accreditata, è troppo evidente perché non sia nelle aspirazioni del nuovo ministro aspirazioni così consone del resto alle sue tendenze e alle sue idee, di portarvi rimedio.

Sono per parte mia convinto che, se è riservato al sig. Izvolskij di mantenersi a lungo al potere (ipotesi non improbabile, attesa la difficoltà di trovare in ogni campo uomini adatti a sostituirlo) egli, non appena lo permetteranno le esigenze della situazione politica interna, cercherà di aprire una nuova via alla politica della Russia in Oriente, via su cui gioverebbe pure all’Italia il seguirlo in perfetta concordanza di interessi e di propositi. In attesa di questo momento dovrebbesi per parte nostra prepararci fin d’ora ad una maggiore intesa colla Russia, cercando per quanto possibile nella trattazione degli affari internazionali correnti, di non mettere la nostra azione diplomatica in antagonismo con quella del Governo di Pietroburgo. Ed è un sintomo promettente che, nelle ultime fasi della questione cretese, una comunanza di vedute e di azione si sia già manifestata più volte1.

98 1 Disp. 44890/668 del 21 agosto, non pubblicato.

100

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2286/107. Londra, 13 settembre 1906, ore 21,50.

Questo ministro degli affari esteri aderisce che sorveglianza finanze cretesi affidisi a titolo personale ai rappresentanti delle quattro potenze nella Commissione internazionale controllo Atene, giusta telegramma di V.E. n. 18701. Spera siasi fatta oggi stesso al re di Grecia ad Aix les Bains comunicazione limitata ad annunziargli autorizzazione data ai consoli a Canea di partecipare ai cretesi nota collettiva del 14 agosto. Egli spera che questa partecipazione potrà contribuire ad evitare complicazioni in Creta. Ho poscia, in forma privata, accennato alle lagnanze dell’Austria, perché le proposte delle quattro potenze sono state comunicate alla Grecia ed al principe Giorgio, senza aver prima consultato il Governo austro-ungarico, ed ho fatto osserva-

100 1 Del 3 settembre, non pubblicato.

re, come mia osservazione personale, che non essendo dubbio che qualsiasi modificazione dello stato politico di qualunque paese, contemplato Trattato di Berlino, debba essere concordato tra tutte le potenze firmatarie del trattato, non è prudente costituire precedente in senso contrario a tale principio e, quindi, consiglierei di consultare in avvenire preventivamente Austria, in caso di date proposte che possano interpretarsi come modificazione dello stato politico dell’isola.

Quindi ministro degli affari esteri mi rispose che consente con me in proposito, ma crede che proposte fatte finora per Creta dalle quattro potenze non abbiano questo carattere, e che parlando coll’ambasciatore d’Austria gli aveva spiegato ciò, ed aveva soggiunto di non avere comunicato le predette proposte preventivamente al Governo austro-ungarico solamente perché avendo quel Governo la fortuna di essere estraneo alle difficoltà cretesi, non credeva che quelle proposte, che considera come questione di dettaglio, potrebbero interessarlo. Austria e Germania avendo lasciato alle quattro potenze tutte le noje degli affari cretesi devono, secondo questo ministro degli affari esteri, trovare giusto che queste cerchino di liberarsene il più presto possibile. Egli crede che la soluzione ora concordata per la scelta del nuovo alto commissario e per la sorveglianza delle finanze cretesi non possa avere pericoloso contraccolpo nella Penisola Balcanica. Io gli ho fatto osservare che, appunto per evitare questo pericolo, bisogna procedere con molta prudenza nelle ulterioni fasi della questione cretese, ed egli ha risposto che divide questa mia opinione.

Subito dopo il mio colloquio con Grey, ho saputo dall’ambasciatore di Francia che la comunicazione a re Giorgio è stata fatta e ne trasmetto all’E.V. copia per posta.

99 1 Per la risposta vedi D. 112.

101

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1259/376. Londra, 14 settembre 1906 (perv. il 20).

In ripetute conversazioni prima che io partissi per Londra, ci siamo trovati V.E. ed io perfettamente concordi nel riconoscere come, per importanti interessi che dobbiamo discutere coll’Inghilterra, sia necessario conoscere ed eventualmente preparare l’animo di lord Cromer, il quale alla sua volta, come ho constatato direttamente io stesso l’anno scorso nel mio viaggio a Khartum, tiene nel debito conto le proposte e gli atti di sir Reginal Wingate. Credo quindi che il mio compito a Londra sarebbe facilitato dalla istituzione di un consolato generale a Khartum, con una dipendente agenzia consolare a Port Sudan.

Le ragioni di ordine amministrativo e d’ordine politico in favore di questo provvedimento sono molto chiare. Cominciando dalle prime, l’importanza dei lavori ferroviari e di irrigazione che si vanno compiendo al Sudan ha già attratto in quelle regioni un largo numero di lavoratori italiani, numero che il proseguimento dei lavori di Port Sudan, la costruzione della ferrovia Cassala-Ghedaref e quella della ferrovia Khartum

Roseires, nonché i grandi lavori di sistemazione idraulica per aprire alla coltivazione le due vaste provincie di Dongola di Ghesira, non farà [sic] che aumentare.

Presentemente quegli operai sono privi di ogni efficace tutela. Ignoranti il più delle volte delle due sole lingue che in quelle regioni abbiano corso, l’inglese e l’araba, si trovano spesso colti nei raggiri di ingordi appaltatori, accettando onerosi contratti di lavoro, contro i quali riesce poi vano ogni ricorso per le vie legali quando, e ciò accade sempre troppo tardi, si accorgano quegli operai dei tranelli in cui sono caduti.

Ricorrono essi allora alle autorità consolari dell’Egitto, ma oltre che queste si trovano troppo lontane perché sia loro concesso l’esercizio di una efficace tutela, la trattazione di tali affari esce completamente dalla loro competenza territoriale.

Più d’una volta è accaduto che le autorità nostre d’Egitto, diplomatiche e consolari, rivoltesi a quelle autorità inglesi per affari riguardanti gli interessi di rr. sudditi al Sudan, si sono sentiti rispondere che in Egitto si trattano gli affari d’Egitto e che quelli del Sudan si trattano al Sudan.

Le autorità consolari italiane di cui si propone l’invio al Sudan avrebbero quindi due compiti importantissimi da compiere: a) tutela preventiva degli interessi dei rr. sudditi, consigliandoli opportunamente in quanto riguarda la prestazione dell’opera loro e fornendo loro tutte quelle notizie che meglio valgano ad illuminarli circa gli obblighi ai quali vanno incontro; b) efficace tutela dei medesimi interessi presso le autorità sudanesi allorquando sorgano, come al presente spesso accade contestazioni fra rr. sudditi e terze persone.

Oltre a ciò l’opera loro sarà utile a tener desti nei nostri connazionali il patriottismo ed il senso d’italianità che, per quanto latenti, si risvegliano quasi sempre quando si toccano certe note, come ebbi occasione di constatare anch’io a Khartum, dove, avendo io pronunziato un discorso patriottico, ad un certo punto molti italiani piangevano a calde lagrime, benché da molti anni assenti dalla patria e tutti assorti nel loro mestiere, anzi qualcuno quasi dimentico degli usi e della lingua italiana.

Passando poi alle ragioni politiche che, come ho detto più sopra, più particolarmente riguardano il compito mio a Londra, V.E. sa che per tutto quanto si compie al Sudan, così in Egitto come a Londra, le autorità inglesi schivano di parlare coi rapprensentanti delle potenze, anche in forma meramente confidenziale, di quanto concerne gli affari del Sudan. Per l’Italia invece, sia per quanto riguarda la Colonia Eritrea, sia per quanto ha tratto agli affari d’Etiopia, è del massimo interesse conoscere minutamente l’andamento di quegli affari.

Gli accordi e le convenzioni che ci legano al Governo britannico e dovrebbero costituire una efficace salvaguardia dei nostri interessi in quelle regioni, sono opera del Governo britannico centrale il quale, il più delle volte, è stato ad essi tratto da considerazioni di politica internazionale, le quali non sempre conoscono né soverchiamente curano gli agenti locali di quel medesimo Governo; ragione questa per la quale senza una oculata e continua sorveglianza, questi agenti tendono ad allargare la cerchia della propria influenza, a creare interessi e preparare di conseguenza un diritto d’intervento là proprio ove la esclusività dei nostri interessi era stata dal Governo riconosciuta. Fatti recenti, come quelli di Noggara, ne forniscono ampia prova, e V.E. sa che di questa possibilità ci siam preoccupati tanto in rapporto all’Abissinia quanto in rapporto alla Cirenaica.

La tardiva constatazione di questa main mise e le conseguenti proteste quando già si sia dato largo tempo a quegli interessi di stabilirsi ed affermarsi, riescono, il più delle volte di nessuna efficacia, onde la necessità di evitare l’una cosa e l’altra con un diligente servizio di sorveglianza e d’informazioni.

Ora le informazioni di quanto si viene operando sulle frontiere eritree-sudanese e sudanese-etiopica, vano è sperare di attingerlo altrove che al Sudan.

A parte la considerazione che al Sudan, come in tutti i paesi nuovi in cui ogni più piccolo atto e del Governo e delle persone che lo rappresentano è subito largamente conosciuto, diffuso e commentato, la vita stessa che i pochi europei ivi residenti si trovan costretti a condurre, vedendosi di continuo e giungendo di tal guisa rapidamente ad una intimità di rapporti che solo eccezionalmente si può ritrovare altrove fra persone che rivestano cariche ufficiali e rappresentino opposti interessi, facilita in sommo grado la raccolta di tali informazioni. Senza tema di errare si può anzi affermare che Khartum rappresenti un ottimo punto di osservazione politica per tutto quanto riguarda gli affari, oltrechè del Sudan stesso, dell’Etiopia, del Congo e dell’hinterland tripolino, per non parlare che delle regioni che maggiormente ci interessano.

D’altro canto tutto lascia prevedere che gli uffici consolari di cui si propone l’istituzione al Sudan, non solo non sarebbero ostacolati, ma riuscirebbero invece graditi alle autorità britanniche che vedrebbero così riconosciuta la speciale situazione internazionale di quelle contrade. In questo senso si ebbero anzi pubbliche dichiarazioni di lord Cromer nello scorso gennaio, in occasione dell’apertura della ferrovia Berber-Suakim.

Perciò se il Governo crederà, come spero, opportuna ed urgente l’istituzione d’un consolato generale a Khartum, e pure d’un semplice consolato, con agenzie consolari e viceconsolati a Port Sudan, credo che, dopo che la nostra agenzia diplomatica al Cairo avrà concordata la cosa con lord Cromer, non mi sarà difficile ottenere il consenso del Governo inglese. È bene però sapere sin d’ora che il Governo inglese non consentirà a quei nostri consoli che l’esercizio delle attribuzioni che hanno i consoli in Europa e non mai quelle consentite in Egitto e negli altri paesi d’Oriente dalle capitolazioni, tanto più che l’amministrazione e la giustizia inglese nel Sudan offrono tutte le necessarie guarentigie ed i nostri connazionali ne sono giustamente assai soddisfatti. Resta d’altra parte da esaminare l’opportunità di questo precedente in rapporto all’eventuale modificazione e soppressione delle capitolazioni in Egitto, sebbene esso non possa giuridicamente pregiudicare quella qualunque condotta che a suo tempo il Governo vorrà tenere in Egitto, visto che la condizione giuridica dell’Egitto è diversa da quella del Sudan, dove è stata proclamata, per quanto condivisa con quella egiziana, la sovranità britannica.

102

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1277/381. Londra, 15 settembre 1906 (perv. il 22).

In conformità al telegramma di V.E. n. 19601, il conte de Bosdari si riunirà il 17 e il 18 corrente coi due funzionari britannici delegati alla prossima conferenza di Bruxelles, per tentare di venire ad un preventivo accordo circa la questione del traffico delle armi in Gibuti. Dovendosi forse entrare in minuti particolari per concordare in modo pratico disposizioni che non rischino, anche accettate dai Governi, di rimanere localmente inefficaci, io crederei (come lo ho telegrafato oggi a V.E. col n. 109)2 che potessse esser utile in quei giorni a quest’ambasciata la presenza ed il consiglio continuo di un funzionario dell’Ufficio Coloniale, il quale, essendo stato sui luoghi ed avendo visto come si svolga tale traffico e come praticamente si eludano dalle autorità e dai trafficanti i regolamenti e la vigilanza, porti nell’intricata questione il contributo della sua personale esperienza e metta noi in grado di rispondere immediatamente alle eventuali obbiezioni e di trovare pronti espedienti. Tale funzionario potrebbe poi assistere o non assistere alle conferenze fra il conte de Bosdari ed i delegati inglesi, secondo le circostanze e l’opportunità che mi riserverei di esaminare.

Mi riservo pure di vedere se si presenti occasione favorevole per parlare della questione con sir Edward Grey o con chi ne fa le veci, prima dell’anzidetta conferenza, o se questo passo si debba rimandare a quando i lavori di questa riunione siano cominciati e si possano così meglio conoscere le disposizioni e le tendenze dei delegati britannici e le difficoltà da superare.

Nel predetto telegramma n. 1960 V.E. conferma le istruzioni contenute nel suo dispaccio del 2 agosto n. 328, e non è dubbio che sarebbe desiderabile si potesse ottenere tutto quanto è indicato nel detto dispaccio. Io tenterò d’ottenere tutto o almeno il più possibile, ma non mi dissimulo che ciò mi pare assai difficile, e che sarà già un’assai buona cosa se si potrà venire a qualche equo e pratico temperamento.

Sebbene io sia qui da pochissimi giorni, e quindi ogni mio giudizio sia suscettibile di venire in seguito modificato, tuttavia, date le tendenze politiche qui oggi prevalenti, credo che non sarà facile far recedere sir Edward Grey dal proposito espresso nella sua nota del 10 luglio mandata in copia dal r. incaricato d’affari a codesto Ministero con suo rapporto n. 2673, di non fare per ora separate rimostranze alla Francia; e forse, dopo tastato nuovamente il terreno, potrà essere opportuno che io mi limiti a chiedere che il Governo britannico in forma molto amichevole faccia comprendere al Governo francese quanto grandemente interessato esso sia in modo diretto, e non soltanto né principalmente per far cosa grata all’Italia, a che le autorità di Gibuti traducano effettivamente in atto i provvedimenti da noi domandati contro il traffico delle

2 T. 2306/109 del 15 settembre, non pubblicato. 3 Non pubblicato.

armi. Tenterò di dimostrare al Governo inglese che, senza il sincero volere delle autorità di Gibuti, il quale può ad esse venir imposto soltanto dal Governo francese, gli accordi che si prenderanno in Europa, i principii che si proclameranno, le norme che la conferenza di Bruxelles potrà deliberare e che i Governi, compreso il francese, dichiareranno di accettare, rimarranno certamente lettera morta. Ciò conferma l’utilità della presenza qui per alcuni giorni di qualche funzionario italiano che sia stato a Gibuti e che possa dare particolari convincenti e suggerimenti pratici a misura che precederanno le conversazioni fra il conte de Bosdari e i delegati britannici, e quelle eventuali fra me e sir Edward Grey. Lo stesso funzionario coloniale italiano potrebbe anche, passando per Parigi, mettere quella r. ambasciata in grado di istruire il Governo dei modi con cui a Gibuti si eludono e si eluderanno le buone disposizioni che il sig. Bourgeois ha manifestato a V.E. e cui V.E. allude nel suo precitato dispaccio.

Entrando poi nel merito dei singoli desiderata del Governo italiano, pur cercando di farli prevalere, non dobbiamo dissimularci il valore delle obbiezioni sollevate dagli altri Governi interessati. Infatti l’articolo 5 del decreto francese 18 ottobre 1899, che ammette i capi e i sudditi abissini ad acquistare armi e munizioni a Gibuti mediante la semplice esibizione di un ordine scritto dell’Imperatore, si presta, è vero, ai lamentati abusi; ma purtroppo come osserva il Foreign Office nella sua nota del 3 corrente, è perfettamente conforme all’art. 10 dell’Atto di Bruxelles, il quale è concepito come segue, mentre l’inciso sottolineato è omesso nel citato dispaccio ministeriale del 2 agosto.

«Toute demande de transit doit être accompagnée d’une déclaration émanée du Gouvernement de la Puissance ayant des possessions à l’intérieur, et certifiant que les dites armes et munitions ne sont pas destinées à la vente, mais à l’usage des autorités de la Puissance, ou de la force militaire nécessaire pour la protection des stations de missionaires, ou de commerce, ou bien des personnes désignées nominativement dans la déclaration». A questo inciso è perfettamente conforme, ripeto, l’articolo 5 del decreto francese, e il nodo della questione non sta tanto nell’articolo stesso quanto nel modo come è applicato, poiché è molto probabile che le autorità di Gibuti non guardino troppo per il sottile e non si assicurino sempre della autenticità delle dichiarazioni del Negus, ed ancor meno se gli siano state abusivamente carpite per destinare poi le armi, non all’uso diretto delle persone designate dal Negus, ma bensì alla vendita. Da un lato quindi io dovrei tentare di ottenere dal Governo inglese che amichevolmente segnali questi abusi al Governo francese, e lo preghi di porvi rimedio chiedendogli non già di abrogare l’articolo 5, ma di applicarlo in modo accurato e conforme all’interesse comune che l’Italia, Francia ed Inghilterra hannno a non armare popolazioni barbare e turbolente: e lo preghi altresì di obbligare le autorità di Gibuti a mettere lealmente in pratica il savio suggerimento di V.E. di segnalare volta per volta al Negus le armi vendute a lui od ai suoi sudditi prima di avviarle verso l’interno. Dall’altro canto giudicherà V.E. se sia il caso che il Governo italiano faccia pratiche dirette nello stesso senso presso il Governo francese, mentre mi pare del tutto urgente che il Governo italiano, e possibilmente anche l’inglese, ne faccia presso il Negus, affinché sia meno largo nel rilasciare certificati e punisca chi ne falsifichi o glieli carpisca per fini illeciti. Il Negus infatti ha interessi identici ai nostri, giovandogli di conservare una grande superiorità di armamenti sulle altre popolazioni indigene, e credo che messo sull’avviso provvederebbe. Potrei per ciò tentare anch’io

qui, o direttamente con sir Edward Grey, o nelle conferenze che si terranno coi delegati britannici, secondo l’opportunità del momento, di ottenere che anche il Governo britannico faccia passi in questo senso presso il negus Menelik; e probabilmente riuscirebbe utile poter dire che già V.E. ha dato analoghe istruzioni al r. ministro in Addis Abeba. Vero è che, come risulta dal dispaccio ministeriale del 12 aprile n. 183, l’imperatore Menelik ha dichiarato di non disporre d’una organizzazione interna tale da impedire ogni contrabbando d’armi; ma io ora non propongo di chiedergli tanto, bensì solamente di essere più circospetto nel rilasciare le autorizzazioni all’acquisto di armi, e più severo nel punire quelli che ne abusano quando il fatto venga a sua conoscenza.

Per quanto poi concerne la visita a delle navi battenti bandiera francese, parmi difficile ottenere dal Governo inglese che si esponga ad un rifiuto quasi sicuro facendo pratiche nel senso da noi desiderato verso la Francia, la quale, come è noto, non ha dato ancora il suo assenso agli articoli 21-23 e 42-61 dell’Atto di Bruxelles.

Ho detto ciò per mettere in chiaro le difficoltà della situazione nonché i gradi di probabilità di ottenere qualche cosa. Ma ciò non esclude che io farò gli sforzi necessari per avvicinarmi il più possibile al conseguimento dei nostri fini.

102 1 T. 1960 del 13 settembre, non pubblicato, ma vedi D. 74.

103

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

DISP. RISERVATO 49951/742. Roma, 17 settembre 1906.

Le sono noti i fatti di Sussak. Colà, nella notte dal 5 al 6 settembre, una turba di popolo invase un certo numero di case e negozi appartenenti a sudditi italiani, oltraggiando, minacciando, percotendo quanti vi si trovano, distruggendo e saccheggiando ogni cosa. I fatti non si limitarono a Sussak, poiché anche nella vicina Martinshizza una baracca abitata da una famiglia italiana fu egualmente depredata; e continuarono la notte successiva, nella quale furono commessi altri due saccheggi vandalici, contro proprietà di rr. sudditi. La maggior parte dei nostri connazionali di Sussak, abbandonando ogni avere, le case ed i negozi aperti e davastati, dovette rifugiarsi a Fiume, nella tema non ingiustificata di nuovi disordini. E durante tutto ciò, il contegno degli agenti dell’autorità fu debole ed incerto, lasciando scorgere, se non altro, un difetto assoluto di prevenzione.

Presso le autorità locali croate il r.console generale a Fiume avviò immantinenti quelle pratiche d’urgenza che erano imposte dalla gravità delle circostanze. Presso il Governo imperiale e reale, finora, non abbiamo fatto altri passi, tranne la domanda di provvedimenti energici, che l’E.V gli rivolse il 7 corrente1, dietro il telegramma per-

venutole da Fiume, e ripeté l’undici successivo, in seguito alle istruzioni telegrafiche da me impartitele la vigilia2. Noi attendevamo, nel frattempo, che dal Governo austro-ungarico ci venisse spontaneamente una amichevole espressione di rammarico per i danni che, nella persona e negli averi, i nostri connazionali avevano sofferti. Questa espressione è mancata, fino ad oggi almeno, ma noi non crediamo di poterne fare a meno. L’abbiamo sempre ricevuta da altri Governi, in casi simili, come per esempio, dalla Francia per i fatti di Aigues-Mortes; e colla Francia eravamo allora in rapporti piuttosto tesi, mentre colla Austria-Ungheria abbiamo ora relazione d’alleanza e di cordiale amicizia.

Per prima cosa, l’E.V. vorrà dunque, in via confidenziale ed amichevole, far presente al conte Goluchowski, la necessità di enunciare questa espressione di rammarico, che noi, nel comune interesse, preferiremmo risultasse dovuta alla spontanea iniziativa del Governo imperiale e reale che fatta dietro richiesta del Governo italiano.

Il secondo punto, sul quale non può esservi dubbio, è quello che si riferisce. alla identificazione, alla ricerca ed alla punizione dei colpevoli. Il r. console generale a Fiume ci ha già fatto sapere che le locali autorità, politica e giudiziaria, stanno attendendo a ciò; ma noi gradiremmo che dal Governo austro-ungarico ce ne venisse data ufficialmente la conferma e l’assicurazione.

Rimane un terzo punto: quello della eventuale indennità ai danneggiati. In pratica, tutti gli Stati hanno sempre cercato di non riconoscere il principio dell’indennità a danneggiati stranieri; anche la dottrina, in generale, inclina a negarlo, benché non manchino scrittori, i quali sostengono che il diritto delle genti impone ad uno Stato l’obbligo del risarcimento per i danni sofferti da sudditi di uno Stato estero, durante disordini o sommosse, anche nel caso che tali danni non dessero luogo ad un’indennità secondo i principii generali della responsabilità civile ammessi nello Stato. Ma vi sono due casi, per i quali la maggior parte degli autori di diritto pubblico sono concordi ad ammettere la responsabilità dello Stato: quello in cui i danni riportati da stranieri siano dovuti a colpa o a negligenza delle autorità locali; e quello in cui l’aggressione da essi patita espressamente diretta contro la nazionalità loro (v’è, a questo riguardo, un’esplicita e rimarchevole decisione dell’Institut de droit International, Neuchatel, 1900).

Noi potremmo con ogni fondamento sostenere che i fatti di Sussak rientrano in quest’ultima categoria: ma io credo preferibile, pur non trascurando siffatto argomento, di portare la questione sopra un terreno essenzialmente pratico. Fatte le debite proporzioni, e salvo la minore gravità delle loro conseguenze, gli attuali casi di Sussak hanno una grande analogia con quelli di Aigues-Mortes: negli uni come negli altri, furono recati danni alle persone ed agli averi di rr. sudditi, non già per ragioni d’ordine privato od altro, ma perché erano italiani. Ora, in quella congiuntura, il Governo francese volle bensì evitata con cura qualsiasi dichiarazione che avrebbe potuto compromettere la questione di principio dell’indennità, e costringerlo poi a corrisponderla in tutti i casi di danni sofferti da stranieri; ma volle nello stesso tempo concedere l’indennità stessa, dando a questa concessione il carattere di spontanea

elargizione. Non potrebbe il Governo austro-ungarico imitare questo esempio? Una spontanea elargizione, sia del Governo medesimo, sia personale di S.M. l’Imperatore, – il che salverebbe anche meglio per l’Austria la questione di diritto – chiuderebbe l’incidente in modo definitivo.

È da tener presente, a questo proposito, che per i fatti di Aigues-Mortes il Governo austro-ungarico fu tenuto informato dal r. ambasciatore a Vienna delle nostre trattative con la Francia, e della loro soluzione. Ora, il conte Nigra, telegrafava, il 20 agosto 1893, al nostro ministro degli affari esteri: «Il conte Kalnoky riconosce la gravità dei fatti, ed è d’avviso che il Governo francese dovrebbe dare soddisfazione immediata. Kalnoky di sua propria iniziativa farà conoscere questo suo sentimento al Governo francese nell’interesse europeo3, e più tardi, il 30 agosto: «Oggi, al suo ritorno in città ho veduto Kalnoky che si mostrò lieto della chiusura dell’incidente di Aigues-Mortes. Egli trova che il Governo italiano fu abile, previdente ed energico; e mi ha autorizzato a dirglielo»4.

Ciò detto, a me pare che sarebbe difficile porre la cosa sopra un terreno più amichevole, più conciliante e più moderato di quello che io la pongo; ella rileverà che non metto nemmeno in campo – benché le constatazioni fatte vi darebbero sufficiente appiglio – la questione della domanda di una punizione dei funzionari interessati, né tampoco di un’inchiesta intesa ad accertare la loro responsabilità. Ella deve pure por mente come la situazione del R. Governo sia resa più difficile ancora dalle circostanze, che contemporaneamente avvennero in parecchi punti di codesta Monarchia, altri fatti di cui ebbero a soffrire italiani non appartenenti al Regno; fatti nei quali, beninteso, il R. Governo riconosce, a norma dei principii di diritto pubblico, di non avere alcuna veste per interloquire presso il Governo imperiale e reale; ma che pure rendono l’opinione pubblica del paese ancor più sensibile per quelli che furono commessi a danno dei rr. sudditi.

Per questi ultimi, dunque, le domande da me ora formulate: spontanea espressione di rammarico – assicurazione ufficiale della punizione dei colpevoli – spontaneo invio di somma corrispondente ai danni subiti dai sudditi italiani rappresentano il minimo di cui possiamo accontentarci.

Per ottenere che esse vengano esaudite, è mestieri che l’E.V. spieghi tutto il suo tatto, tutta la sua abilità, ed anche tutta la sua energia. Io devo farle rilevare fin d’ora che se – ciò che non credo – incontrassimo da parte del Governo imperiale e reale resistenza a queste domande, sarei obbligato a dare a V.E. un congedo perpetuo indeterminato, né potrei consentire che tornasse a Vienna fino ad incidente esaurito. Ciò sarebbe grave, perché è molto facile passare da queste prime manifestazioni di malcontento alla rottura delle relazioni diplomatiche ed io non credo che il Governo austro-ungarico voglia spingere le cose fino a questo punto.

Per evitare perdita di tempo, e perché, stante la gravità dell’argomento, intendo dirigerlo io personalmente, la prego, fino a nuove disposizioni, di inviarmi direttamente a Desio tutte le sue comunicazioni, sia epistolari che telegrafiche al riguardo5.

4 Vedi serie seconda, vol. XXV, D. 523. 5 Vedi D. 106.

103 1 Con T. 2234/128, non pubblicato.

103 2 T. 1921 del 9 settembre, non pubblicato.

103 3 Vedi serie seconda, vol. XXV, D. 493.

104

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1285/384. Londra, 17 settembre 1906 (perv. il 22).

Perdurando l’assenza di sir Edward Grey ho conferito oggi con sir Charles Hardinge intorno al traffico delle armi in Gibuti.

Ho premesso che, seguendo l’esempio opportunamente dato dal Governo britannico, che ha delegato agli imminenti colloqui oltre ad un funzionario del Foreign Office anche uno del Colonial Office, pure il Governo italiano avrebbe fatto altrettanto, e che la scelta sarebbe probabilmente caduta sul commendator Pestalozza, tanto a cagione della sua speciale competenza, quanto perché i suoi precedenti ci autorizzano a crederlo particolarmente gradito al Governo britannico.

Entrando poi nel merito, gli ho spiegato tutta l’importanza della questione e tutta la gravità del pericolo che deriva così all’Italia come alla Gran Bretagna ed alla Francia stessa, dalla vendita di armi da fuoco agli indigeni; ho poi aggiunto che il Governo italiano tiene ad una soluzione favorevole della questione assai più di quel che forse qui si crede, anzi, dando a questa dichiarazione un carattere speciale di sincerità e cordialità personale, non dissimulai che il fatto di aver trovato finora in proposito così scarso appoggio da parte del Governo britannico, aveva prodotto un’impressione che stimerei utile di cancellare.

Salvo l’esame di tutti gli altri provvedimenti che si potranno concordare, conchiusi che intanto il Governo britannico avrebbe potuto amichevolmente tentare d’ottenere da quello francese istruzioni severe e categoriche alle autorità di Gibuti e avrebbe potuto al tempo stesso scrivere ad Harrington di influire presso il Negus onde si mostri più oculato nel rilasciare i certificati di cui è menzione nel mio rapporto n. 3811.

Spiegai poi che io credo che il Governo francese, che deve vedere le cose più dall’alto, non possa non avere disposizioni favorevoli, ma che probabilmente le autorità locali di Gibuti, come accade a tutti gli specialisti, non vedono che l’interesse immediato della colonia, ed espressi la fiducia che il Governo francese non rifiuterà certamente di dar loro ordini espliciti se il Governo britannico gli farà comprendere che anch’esso ci tiene, trattandosi di un grande interesse, comune alle tre potenze, d’un pericolo comune da prevenire.

Sir Charles Hardinge mi parve impressionato in senso favorevole al nostro desiderio, da tutta la mia esposizione, che ho qui riassunto brevemente, ma che fu assai lunga, e rispose che per quanto si riferisce alle pratiche amichevoli per indurre il Governo francese a far comprendere alle autorità di Gibuti che questi abusi devono cessare, ne riferirà a sir Edward Grey, lasciando ben intendere che il parere che gli darà sarà favorevole. Gradì la scelta del commendator Pestalozza da aggiungere nella prossima conferenza al conte de Bosdari. Quanto alle pratiche presso il Negus, mi

disse che da qualche giorno si è telegrafato ad Harrington autorizzandolo a venir in congedo, così che, al suo non lontano arrivo qui, si potrà udire il suo parere sui modi migliori d’ottenere la cooperazione di Menelik ai provvedimenti necessari per porre fine al traffico delle armi in Somalia.

104 1 Vedi D. 102.

105

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

Disp. 50112/681. Roma, 18 settembre 1906.

Segno ricevuta e ringrazio del rapporto n. 6331, in data 1° settembre, col quale l’E.V. mi espone le difficoltà che ostano all’attuazione di un effettivo controllo per venire a conoscenza delle concessioni che in Tripolitania, o altrove, la Turchia fosse disposta a fare a favore di potenze estere.

Ho preso nota delle opportune avvertenze della E.V. Ritengo, ad ogni modo, che, in massima, sia da escludersi allo stato delle cose che i rappresentanti delle potenze presso la Sublime Porta possano avere istruzioni di procedere segretamente a trattative che abbiano a compromettere i nostri particolari interessi.

106

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, A DESIO

T. PERSONALE1. Vienna, 19 settembre 1906, ore 18,15 (perv. ore 23,20).

Ho ricevuto oggi lettera riservata di V.E. del 17 circa fatti Fiume2. Credo che non potrei meglio sdebitarmi istruzioni ivi contenute, che dando let-

tura suo testo via amichevole e confidenziale al conte Goluchowski, facendogli conoscere che io lo faccio di propria iniziativa, eliminando ben inteso ultima parte. Prego quindi V.E. dirmi se sono autorizzato3 a seguire tale via, rimettendo a Goluchowski anche copia testo stesso, ove ne esprimesse desiderio. Per ciò che riguarda Luigi Teodoro Kossuth, non sembrandomi opportuno scrivergli né recarmi Budapest per conferire con esso, sarebbe mia intenzione incaricare r. console generale, chiamandolo a Vienna, di interessarlo nel senso da V.E. desiderato. Siccome partenza Kossuth è

106 1 Dalle carte della Serie P.

2 Vedi D. 103. 3 Per il seguito vedi D. 108.

prossima, prego V.E. telegrafarmi d’urgenza se non ha obiezione contro ciò4. Per i fatti di Taranto mi conformerò istruzioni telegramma di V.E. da Desio del 18 corr.5. Prevengo V.E. però che fino ad oggi non mi pervenne dispaccio circa arresto nostri funzionari in Tirolo, annunciatomi con telegramma n. 19946.

105 1 Vedi D. 92.

107

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2362/69. Addis Abeba, 21 settembre 19061.

Miei colleghi di Francia Inghilterra ed io abbiamo avuto stamane lunga conferenza con Menelik relativa accordo. Egli ha sollevato obiezioni e chiesto schiarimenti sui vari articoli. Chiede testo dei trattati citati art. 1. Mostratosi sorpreso per citazione nell’accordo della ferrovia Eritrea Benadir che non gli è mai stata richiesta, domandando dove sarebbe passata. Ha rimandato ad un altro giorno proseguimento discussione. Dall’insieme delle obiezioni di Menelik, si può rilevare che è poco disposto ad aderire e cerca guadagnare tempo. Prego V.E. di farmi conoscere se posso dare a Menelik una traduzione Amhara del protocollo del 18912.

108

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. PERSONALE 1341. Vienna, 21 settembre 1906, ore 22,35.

Ho dato oggi lettura conte Goluchowski lettera V.E. 17 settembre circa fatti Sussak2 e ho fatto presso esso vive ripetute insistenze per convincerlo buon fondamento domande da lei avanzate e indurlo darvi soddisfazione. Conte Goluchowski mi

5 Con T. s.n. Tittoni comunicava: «In occasione comizio tenutosi ieri l’altro a Taranto per pro-

testare fatti Fiume, gruppo dimostranti lanciò sassi contro quel consolato austro-ungarico, rompendo qualche vetro. Finora incaricato d’affari imperiale e reale non ha reclamato. Se reclamasse, farò rispondere che sono pronto a dare tutte le soddisfazioni, appena Austria-Ungheria avrà accettato nostre domande per i fatti di Fiume, contenute in una lettera riservata che ella riceverà domani».

6 T. 1994 del 16 settembre, non pubblicato. 107 1 Trasmesso da Asmara il 23 settembre.

2 Per la risposta vedi D. 114. 108 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

2 Vedi D. 103.

ha detto che non era al corrente fatti suddetti non avendovi dato importanza. Egli non aveva ricevuto fino ad ora comunicazioni dal Governo ungherese che del solo rapporto autorità Fiume dal quale constava modo positivo che alcun eccesso era stato ivi commesso contro sudditi italiani. Rispetto fatto a Sussak attendeva tra giorni rapporti autorità locali le quali [...]3 non erano ferimenti, avessero mancato simultaneamente giacché gli risutava che avevano fatto quanto in loro potere per impedire eccessi. Mi ha espresso quindi suo rincrescimento per quanto era colà avvenuto e dichiarato che i colpevoli sarebbero [...]3. E ha aggiunto che non aveva difficoltà di incaricare ambasciatore Austria-Ungheria Roma manifestare R. Governo un’eguale espressione e dargli un’identica assicurazione ufficiale che le avrebbe impartito occorrenti istruzioni non [...]3 tosto che avesse avuto comunicazione conclusione inchiesta ora in corso; avendo fatto rilevare opportunità che tali istruzioni fossero inviate in breve, i fatti suddetti dei quali non potevasi dubitare essendo avvenuti già da più giorni, egli ha replicato che era innanzi tutto necessario attendere fine inchiesta. Circa spontaneo invio somma corrispondente danni subiti rr. sudditi, conte Goluchowski mi ha dichiarato che non poteva consentire maniera di vedere V.E. né credeva che fatti Sussak potevano aver qualche analogia con quelli di Aigues-Mortes. Se egli avesse soddisfatta tale domanda avrebbe stabilito precedente che avrebbe potuto essere invocato da altro Governo per casi simili. Ha [...]3 che e lo stesso non minor quello Sussak venivano più spesso Boemia da czechi contro tedeschi nei quali erano danneggiati pur sudditi germanici. Ma che Governo germanico non aveva mai chiesto che tali danni fossero indennizzati o venisse fatta spontanea elargizione dal Governo imperiale e reale. Del resto egli non poteva pronunziarsi ora su questione che riguardava pure Governo ungherese, ma mi ha assicurato che si sarebbe messo in rapporto con esso al riguardo e mi avrebbe comunicato sua decisione. Conte Goluschowski si è espresso meco modo più amichevole conciliante ma si è messo attesa arrendevole circa questa ultima questione nonostante [...]3 da me fatte più volte per indurlo soddisfare [...]3 V.E.

Nel corso della conversazione conte Goluchowski non ha fatto alcun cenno fatto Taranto.

106 4 Non rinvenuto nel registro dei telegrammi.

109

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T.1. Desio, 23 settembre 1906.

Lebrecht, che ha conferito meco, recasi da V.E. per mio ordine. Egli le esporrà con grande precisione lo stato delle cose, ponendola in grado – di fronte alla mancanza di informazioni del Governo ungherese, dovuta certamente a silenzio o reticenza

109 1 Dalle carte della Serie P.

interessata delle autorità locali – di affermare e dimostrare al conte Goluchowski gli eccessi avvenuti a danno di cittadini italiani. Perché non si faccia giuoco di parole, debbo avvertire, benché sia ovvio, che per fatti di Fiume abbiamo inteso designare con frase generica gli eccessi di Sussak. Di fronte a tali fatti urge che il Governo austro-ungarico ci autorizzi a render pubblico al più presto l’espressione del suo rincrescimento, e l’assicurazione della punizione dei colpevoli. Su ciò occorre che V.E. insista. Tenga però presente che la locale autorità giudiziaria, come Lebrecht con dati di fatto le dimostrerà, procede svogliata e parziale nella sua istruttoria. Urge quindi che il Governo centrale dia all’uopo ordini categorici. Quanto all’indennità, Lebrecht mi dice che i danni potranno ascendere da quindicimila a ventimila corone e bisogna assolutamente che il Governo austro-ungarico trovi modo di pagarla nella forma che più gli conviene per non pregiudicare la questione di diritto o creare un precedente invocabile in altri casi. Goluchowski non può non comprendere come il precedente di Aigues-Mortes darebbe luogo ad un confronto disastroso per l’amicizia austro-italiana, poiché sarebbe troppo stridente la differenza tra la Francia ostile che, pur sotto forma di spontanea offerta, paga l’indennità di quattrocentomila lire, e l’Austria alleata ed amica che non trova forma per pagare ventimila corone. Insista dunque V.E. energicamente su questo punto che è piccolo per sé stesso ma involve grandi conseguenze politiche. Lebrecht merita tutta la fiducia di un testimonio coscienzioso ed obiettivo; perciò ha da me ordine di rimanere a Vienna a disposizione di V.E. che, occorrendo, potrà anche presentarlo al conte Goluchowski2.

108 3 Gruppo cifrato.

110

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 2009/699. Therapia, 25 settembre 1906 (perv. il 3 ottobre).

Mi riferisco al mio telegramma n. 2061. Nel colloquio che io ebbi ieri col Gran Vizir ricondussi il discorso sulla ferrovia

Janina,Valona, Monastir, chiedendo in pari tempo a Sua Altezza se egli sapeva chi fosse il sig. Hans Halcool e qual scopo avesse la presenza di lui a Janina.

Rispose Ferid Pascià che egli ignorava persino il nome del sig. Halcool, nome che udiva per la prima volta, non avendo ricevuto dal valì di Janina alcuna informazione al riguardo. Supponeva che l’Halcool potesse essere una conoscenza personale di Seifullah Pascià, ovvero una persona raccomandatagli da un qualche suo amico, dall’estero. Il Gran Vizir mi ripeté, nel modo il più categorico, quello che mi aveva dichiarato la volta precedente, e cioè nessuna domanda di concessione è pervenuta in questi ultimi tempi alla Sublime Porta, nessun progetto è, per quanto a lui risulta, in

110 1 T. 2336/206 del 18 settembre, non pubblicato.

corso di studi per la ferrovia anzidetta, nessuna domanda di tal genere avrebbe al momento attuale probabilità di venire favorevolmente accolta dal Governo imperiale.

In vista della nota intimità esistente tra il Gran Vizir e l’ambasciata di Germania, ritenni più prudente di non far parola delle congetture, cui – secondo riferisce il comm. Millelire col secondo rapporto a V.E. n. 1592, pervenutomi ieri in copia, – ha dato luogo la gita a Janina del sig. de Below, incaricato di afffari germanico in Grecia. Al riguardo l’E.V. potrebbe, ove lo credesse, fare eseguire qualche indagine per mezzo della r. legazione in Atene.

D’altra parte, le informazioni assunte, per mio incarico, dal comm. Cangià al Palazzo imperiale, coincidono appieno con le dichiarazioni del Gran Vizir.

Tahsim Pascià, all’uopo opportunamente interrogato, rispose al nostro primo dragomanno che a Palazzo nulla si sa di un recente progetto austriaco di ferrovia Janina-Valona-Monastir, e nessuna intenzione si ha di dare simile concessione a capitalisti d’Austria-Ungheria o di altra nazione.

Le dichiarazioni, per quanto categoriche, del Palazzo, dovendo essere sempre accolte con una certa riserva, ho pregato il comm. Cangià di tener gli occhi aperti e di riferirmi qualsiasi notizia che sull’importante argomento sarà per venire alle sue orecchie.

Questo affare della ferrovia Janina-Monastir, ha formato anche argomento di un colloquio confidenzialissimo da me avuto recentemente con un personaggio ottomano appartenente ad una delle più cospicue famiglie dell’Albania del Sud, e bene in grado di sapere le notizie importanti d’interesse locale.

La persona da me interrogata mi diceva che la ferrovia anzidetta risponde ad un bisogno positivo della regione e che i vali di Janina e di Monastir ne propugnano la costruzione. «Il momento attuale», aggiungeva il mio interlocutore, «non è favorevole, perché il Sultano assai difficilmente s’indurrebbe a dare la sua autorizzazione. Ma, a mio avviso, la ferrovia presto o tardi dovrà farsi».

«Gli interessi tedeschi esplicandosi in altra direzione, io penso che, se voi italiani non studiate l’affare e non fate uno sforzo per ottenere la concessione, gli austriaci presto o tardi riesciranno ad averla, e voi non potrete impedirlo. Io sono un amico del vostro paese, perché so benissimo che la politica italiana in Albania non è in contrasto con gl’interessi turchi, visto che essa mira unicamente alla conservazione dello statu quo. Per conseguenza io vedo con piacere ogni indizio di affermazione dell’influenza italiana in Albania. Ma... scusate la franchezza del mio linguaggio, voi non seguite la buona strada per conseguire l’intento. Voi vi limitate ad aprire qualche scuola, a concludere qualche affare insignificante, ad inviare di tanto in tanto qualche nave, e tralasciate la politica migliore e piú sicura della penetrazione economica bene intesa ed esplicata con un programma concreto ben determinato e sistematicamente svolto con unico e costante intento direttivo. Se i tedeschi fossero nelle vostre condizioni, a tanta vicinanza del mio paese, a quest’ora avrebbero saputo trarre profitto anche dalla sabbia dell’Albania. L’Austria lavora indefessamente da anni, e tira dritta per la sua strada, profondendo denari e nulla tralasciando per radicare la sua influen-

za. Io sono covinto che, all’ora presente, il Governo austriaco deve avere pronti non uno ma dieci progetti di linee ferroviarie in Albania.

A mio avviso, la linea Valona-Janina-Monastir dovreste costruirla voi italiani. Evidentemente incontrerete difficoltà enormi, ma se non vi scoraggiate ed agite con prudenza non disgiunta da energia al momento voluto, e sopratutto se saprete e vorrete adoperare, senza esitazione e senza parsimonia i rimedi eroici senza i quali nulla si conclude in Turchia, dovreste finire per spuntarla, e la concessione ottenuta costituirà per voi un vero trionfo e contribuirà più che cento scuole ad assidere su basi salde l’influenza dell’Italia.

In conclusione, tenete sempre bene a mente che se voi nulla fate, faranno certamente gli altri, e voi non avrete né diritto né motivo plausibile per opporvi».

Ho riferito quasi testualmente le parola del personaggio. Io le ascoltai con attenzione. Mi tenni però nella massima riserva, limitandomi solo a rilevarne ed accentuarne quella parte che si riferiva ai fini leali della nostra politica, nullamente contraria agli interessi della Turchia, con la quale, dissi, è fermo intendimento del Governo del Re mantenere e consolidare sempre più le ottime e cordiali relazioni attuali.

Le confidenze fattemi e da me più sopra riferite contribuiscono a radicare sempre più in me il concetto che, in ogni occasione, io non cesso di sottoporre all’illuminato apprezzamento dell’E.V. Se l’Italia vuole sul serio assicurarsi in Levante, che, dopo tutto, è sempre il centro piú importante dei nostri interessi politici ed economici, quella posizione preponderante che le spetta, e che le darà diritto a far sentire la sua voce in un momento critico, conviene si decida a seguire l’esempio delle altre grandi potenze, avviando da questa parte i suoi capitali. Se l’azione economica, energicamente appoggiata dal Governo del Re, saprà dagli interessati esplicarsi a grado a grado, con criterii larghi ed accorti, conformi alle consuetudini ed alle tradizioni del paese, il capitale italiano dovrebbe trovare qui un impiego rimunerativo con vantaggio positivo dell’influenza politica del nostro paese.

La via è spinosa e piena di ostacoli, ma converrà pur decidersi ad incamminarvisi, se si vuole giungere a risultati serii ed impedire sopratutto che altri ci preceda e prenda il nostro posto.

109 2 Vedi D. 111.

110 2 Non pubblicato.

111

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1371. Vienna, 26 settembre 1906, ore 12,20.

Ho parlato oggi Goluchowski senso telegramma di V.E. 23 corrente2 pervenuto ieri tardi e fatto di nuovo più vive ripetute insistenze perché consentisse domande di

2 Vedi D. 109.

lei. Goluchowski mi ha dichiarato che autorizzava V.E. rendere pubblica fino d’ora che Governo imperiale e reale aveva espresso Governo italiano suo rincrescimento fatti Sussak e dato assicurazione ufficiale che colpevoli sarebbero puniti. Quanto a inchiesta per fatti stesssi mi ha detto che secondo un rapporto pervenutogli ora dal sig. Wekerle essa sarebbe ultimata. In tal rapporto di cui mi ha dato lettura si fa conoscere che tre soli rr. sudditi di cui due fabbricanti ed uno fruttivendolo avevano subìto danni. I vetri del negozio degli uni sarebbero stati rotti e le frutta dell’altro deteriorate. I danni da loro sofferti erano stati calcolati: quelli dei primi a corone 100 e quello del secondo a corone 40. Console di Spagna reggente consolato d’Italia aveva constatato esattezza tali calcoli. Nel rapporto si aggiunge che colpevoli danni sarebbero puniti che due rr. sudditi che avevano tirato sulla folla a [...]3 arrestati e quindi rimessi libertà. Si annunzia invio rapporto particolareggiato autorità locale si conclude pregando Goluchowski esprimere rincrescimento Governo ungherese fatti in questione. Ho rilevato che contenuto tale rapporto non corrispondeva affatto a quanto r. console generale Fiume aveva riferito V.E. giacché danni subiti da rr. sudditi erano di molto superiori ammontando essi da 15 mila a 20 mila corone. Goluchowski ha replicato che non poteva attenersi che a quanto Wekerle avevagli dichiarato ufficialmente. Al che ho replicato che V.E. dal canto suo poteva attenersi alle affermazioni del r. rappresentante a Fiume agente coscienzioso e di piena sua fiducia. Ho aggiunto che egli sarebbe del resto giunto domani Vienna e che sarei tornato a vederlo domani stesso per fargli conoscere quanto mi avrebbe riferito per provare verità sue asserzioni e all’occorrenza io avrei pregato riceverlo.

Goluchowski ha risposto che ove r. console generale Fiume illuminato avesse fornito nuovi dati io poteva riferirglielo ma che questo non avrebbe infirmato risultato inchiesta ufficiale fatta da autorità locale. Quanto alla [...]3 mi sono adoperato modo più energico per convincerlo [...]3 pagare lire ventimila come elargizione spontanea nella forma che credesse più conveniente ma Goluchowski ha resistito nel suo rifiuto adducendo questione principio e precedenti che avrebbe stabilito se Governo imperiale e reale l’avesse pagate e ha osservato che se Governo ungherese avesse creduto accordarla essa non poteva essere calcolata che a corone centoquaranta, siccome era [...]3 dal rapporto Wekerle.

Ho osservato che non mi sembrava che egli considerasse, [...]3 dal suo vero punto di vista né conseguenze che potevano derivarne rifiuto Governo imperiale e reale pagare elargizione spontanea potendo essere sfruttato da nemici alleanza e fornire occasione dati precedenti Aigues-Mortes ad un confronto poco conforme amicizia italo-austro-ungarica. Goluchowski ha soggiunto che non comprendeva mia insistenza. Fatti Aigues-Mortes, ove erano avvenute lotte accanite, morti numerosi, non potevano paragonarsi a questi né avevano importanza attribuita loro da certi giornali italiani, egli avrebbe potuto rivolgere dal canto suo al R. Governo reclami per varii fatti come per esempio per quelli recenti Taranto. Ma nonostante che stampa fosse di essi occupata non credeva farne perché date relazioni amichevoli reciproche non li attribuiva importanza e riconosceva del resto che rr. autorità avevano agito correttamente. Ho colto l’occasione per dichiarare che V.E. era pronto dare Governo imperia-

le e reale soddisfazioni che desiderava non appena avesse corrisposto domanda da me ora formulate. Ma Goluchowski proseguendo mi ha detto che era dolente trovarsi impossibilità assoluta per ragioni già esposte fare elargizione spontanea chiesta da Governo. In presenza persistente suo rifiuto lo ho pregato volere riferire considerazioni da me esposte Governo ungherese che sperava avrebbe riconosciuta giustezza domanda V.E. [...]3 convenienza parer diritto.

Goluchowski mi ha promesso comunicarle Wekerle che aspettava a Vienna, ma ha ripetuto che se Governo ungherese si fosse deciso far elargizione spontanea questa non avrebbe potuto ammontare che a somma da esso indicatami. Da modo col quale si è espresso meco non sembra che Governo ungherese gli abbia manifestato intenzione pagare indennità regnicoli siccome mi ha telegrafato r. console generale Budapest. Ma di fronte contegno che egli persistente al riguardo V.E. giudicherà forse opportuno far nuove pratiche personali presso Luigi Teodoro Kossuth questione non potendo ormai essere risoluta in modo soddisfacente che per inizitiva del Governo ungherese.

111 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

111 3 Gruppo cifrato.

112

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

DISP. 51483/218. Roma, 26 settembre 1906.

Mi è pervenuto il rapporto in data 12 settembre n. 2781 e ringrazio l’E.V. delle interessanti notizie sull’opera personale del sig. Izvolskij nel Ministero che presiede e nella direzione della politica estera della Russia.

Nel compiacermi della cordialità dei rapporti esistenti tra V.E. e il sig. Izvolskij e nell’apprezzare le considerazioni di lui quanto alla opportunità e alla utilità di una sempre più cordiale intesa dell’Italia colla Russia non posso per parte mia, se non constatare che nessuna ragione esiste per cui la nostra azione diplomatica generale abbia a trovarsi in diretto antagonismo con quella del Governo di Pietroburgo.

112 1 Vedi D. 99.

113

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

DISP. 51484/219. Roma, 26 settembre 1906.

Ho ricevuto il rapporto del 12 settembre n. 2811 col quale V.E. mi segnala un movimento che da qualche tempo va manifestandosi in autorevoli giornali russi, in favore di un ravvicinamento fra l’Italia e la Russia negli affari balcanici.

La opportuna proposta dell’E.V. di richiamare l’attenzione dell’Agenzia Stefani sugli articoli summenzionati per accentuarne il significato con adatti commenti, è stata da me tenuta presente.

114

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. SEGRETO 20761. Roma, 27 settembre 1906, ore 14,10.

1) Nessuna difficoltà da parte nostra comunicare testo trattati citati articolo 1 dello accordo; essi sono tutti di pubblica ragione tranne quello franco etiopico 20 marzo 1897 e dovranno essere annessi allo accordo; 2) non abbiamo neanche difficoltà comunicare traduzione amarica protocolli del 1891 purché si sia sicuri di dare una esatta e buona traduzione e sia ben spiegato a Menelik che essi non possono essere invocati verso l’Etiopia che è uno Stato libero ed indipendente, ma hanno unicamente valore nei riguardi di Italia ed Inghilterra; 3) nell’articolo 9 dell’accordo si parla in genere di ferrovie inglesi e italiane, precisando però i punti estremi di queste ultime che dovrebbero passare ad ovest di Addis Abeba senza che si possa indicare il punto. È naturale che sarebbe necessario il permesso di Menelik, l’impegno riguardando unicamente le potenze stipulanti e non l’Etiopia.

Prego comunicare quanto precede ai suoi colleghi di Inghilterra e di Francia, e quando questi abbiano ricevuto dai rispettivi Governi istruzioni che li mettano in grado di agire d’accordo con lei potrà essere fatta a Menelik una comunicazione collettiva che io desidero conoscere preventivamente.

114 1 Trasmesso via Asmara.

113 1 R. riservato 690/281. Il contenuto è qui riassunto.

115

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2405/120. Londra, 27 settembre 1906, ore 18,10.

Nel mio odierno colloquio con Hardinge questi prese iniziativa parlarmi convenzione etiopica, mostrando qualche dubbio sul consenso di Menelik. Aggiunse che, se anche questi farà obiezione, convenzione rimarrà in vigore nei rapporti reciproci tra le tre potenze firmatarie. Sebbene non me ne abbia fatta formale richiesta, credo che gradirebbe sapere se Governo italiano divide tale modo di vedere.

116

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2425/125. Londra, 29 settembre 1906, ore 18,25.

Faccio seguito al mio telegramma n. 1191. Foreign Office comunica che ieri alla ambasciata britannica a Parigi dicevasi

che il Governo inglese ed il Governo italiano sarebbero lieti di venire ad un accomodamento col Governo della Repubblica circa il traffico delle armi nel Mar Rosso prima che si riunisca la Conferenza di Bruxelles; e così si allontanarebbe il pericolo che in seno di questa si potrebbero sollevare questioni moleste. Ambasciata britannica deve esprimere la speranza che il Governo francese acconsenta ad aggiungere che, in tal caso, le discussioni potrebbero cominciare immediatamente a Londra, e che il risultato ne verrebbe comunicato alla Conferenza, spiegando, inoltre, che ciò non impedirebbe che alla Conferenza si discutesse la questione del traffico sulla costa Occidentale. Il Foreign Office aggiunge che questa sera vengono mandati, in completo accordo, lettere a sir Francis Bertie, con istruzioni di dichiarare al Governo francese che il Governo inglese è, in linea generale, d’accordo colle vedute del Governo italiano.

116 1 T. 2399/119 del 27 settembre, non pubblicato.

117

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL CONSOLE GENERALE A SOFIA, CUCCHI BOASSO

L. PERSONALE CONFIDENzIALE 229/1908. Roma, 29 settembre 1906.

Da fonte che, pur essendo dubbia, si mostra talvolta bene informata, mi si vorrebbe far credere che fra codesto Governo e quello austro-ungarico siano intervenuti segreti accordi per un’azione comune in Macedonia da svolgersi nell’eventualità, che potrebbe avverarsi anche prossimamente, della morte del Sultano. In virtù di tali pretesi accordi l’Austria lascerebbe alla Bulgaria libertà di movimento in Macedonia, sia per averne occasione di agire, a sua volta, sia per accattivarsi la benevolenza di uno almeno fra gli Stati balcanici, rompendo così il cerchio di antipatie che ostacola al presente l’azione della Monarchia in Oriente.

Le sarò grato se, intorno a ciò, ella vorrà indagare accuratamente e in guisa da potermi fornire al più presto notizie attendibili, accompagnate dai suoi personali apprezzamenti1.

118

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1357/406. Londra, 1° ottobre 1906 (perv. il 6).

Mi riferisco ai miei rapporti nn. 381 e 3841 ed ai miei telegrammi nn. 116, 1192 e 1253.

In seguito alla mia conversazione con sir Charles Hardinge in data 17 settembre, gli indirizzai la lettera qui acclusa in copia (annesso n. 1)4 colla quale, in attesa dei colloqui che dovevano aver luogo al Foreign Office, chiedeva intanto che il Governo britannico non perdesse tempo nel far presente al Governo francese la necessità di urgenti per quanto provvisorie misure. A detta lettera il Foreign Office rispose colla nota qui ugualmente acclusa in copia (annesso n. 2)4, la quale non prende in diretta considerazione la mia domanda, ma afferma che il Governo britannico aveva fatto vive istanze al Governo francese perché questo consentisse ad includere l’argomento del traffico delle armi nel Mar Rosso fra quelli da trattarsi nella prossi-

118 1 Vedi DD. 102 e 104.

2 TT. 2375/116 del 24 settembre e 2399/119 del 27 settembre, non pubblicati. 3 Vedi D. 116. 4 Non pubblicato.

ma conferenza di Bruxelles. Ci trovavamo dunque di fronte ad un equivoco, e per non farlo più ad oltre durare il conte de Bosdari si recò al Foreign Office ed insistette perché la riunione proposta dal Foreign Office nella sua nota del 3 settembre avesse ugualmente luogo prima del congresso di Bruxelles ed indipendentemente da esso. Si riuscì di fatti ad avere un’appuntamento per il giorno 26 settembre e su di essa riunione riferii sommariamente col precitato mio telegramma n. 119. Il conte de Bosdari ed il commendatore Pestalozza trovarono i due delegati inglesi Mr. Clarke e Mr. Read nella persuasione che si trattasse puramente e semplicemente d’intendersi per trattare a Bruxelles della questione; ma non tardarono essi ad entrare nel nostro ordine di idee e ad ammettere che lo spauracchio di sollevare in seno alla conferenza la questione in modo pubblico e non gradevole alla Francia, potesse servire ad indurre quest’ultima ad accettare l’idea di una riunione immediata. Il commendatore Pestalozza colla sua alta competenza in materia e colla sua lunga esperienza degli affari del Mar Rosso fu in grado di dimostrare ai delegati inglesi tutta la grandezza del male e l’urgenza di porvi rimedio. Tanto egli che il conte de Bosdari sostennero che le domande del Governo italiano già ripetutamente esposte al Foreign Office, erano le sole che contenessero una adeguata soluzione per tale affare. Come le telegrafai a V.E. il giorno dopo, i delegati inglesi fecero un progetto di telegramma nel senso di dare istruzione all’ambasciatore inglese a Parigi di appoggiare i passi già fattivi dal conte Tornielli e di chiedere al Governo francese di nominare uno o più delegati per discutere la questione in Londra con i delegati italiani ed inglesi prima ed indipendentemente da quanto si potrà fare alla conferenza di Bruxelles. Tale progetto di telegramma fu inviato a sir Edward Grey perché lo approvasse; e come ho riferito a V.E. col mio telegramma n. 125, sir Edward Grey approvò e le istruzioni sono state mandate. Accludo copia della lettera particolare di Mr. Clarke al conte de Bosdari4, dalla quale risulta quanto sopra. Qualunque sia per essere la risposta del Governo francese che ora attendiamo, non posso a meno di considerare questa prima fase dei nostri negoziati come un successo, nel senso che si è finalmente riusciti ad indurre il Governo britannico a fare unitamente a noi un passo decisivo verso la Francia. Tale successo essendo in buona parte dovuto alla speciale competenza in materia del commendatore Pestalozza, e la sua presenza qui dovendo riuscire ancor più utile nelle prossime conferenze dei delegati dei tre paesi che sperasi poter tenere in questi prossimi giorni, io prego V.E. di voler lasciare il commendatore Pestalozza a disposizione di quest’ambasciata per qualche tempo ancora, affinché essa possa valersi del mio prezioso aiuto.

Contemporaneamente alle pratiche fatte coll’esito qui sopra riferito dai due predetti signori, io non ho mancato d’insistere nelle stesso senso presso sir Charles Hardinge; ed ai miei colloqui è stata guida costante la persuasione che è certamente necessario di evitare ogni apparenza che le nostre trattative qui col Governo britannico abbiano alcunché di poco amichevole e di poco leale verso la Francia, e producano l’impressione non confacente alla dignità del nostro paese che questo per far valere le sue giuste ragioni voglia spingere una potenza maggiore a patrocinarle.

Per evitare tutti questi inconvenienti, nei miei colloqui con sir Charles Hardinge ed in quello che ebbi con sir Edward Grey, ho sempre mostrato di considerare la questione del traffico delle armi non come un interesse principalmente italiano né come una richiesta d’appoggio alla Gran Bretagna, ma come un interesse comune in prima

linea ed in misura uguale all’Italia ed alla Gran Bretagna, ed in minor grado anche alla Francia. Ho pure sempre avuto cura di dire al Governo inglese che ogni accordo su tale argomento non deve avere il carattere d’un accordo a due contro la Francia e per far pressione su di essa, ma di un accordo colla Francia per un fine comune alle tre potenze. Ho insistito su di ciò perché non potevo per una questione speciale perdere di vista i fini e l’indirizzo della nostra politica generale, e perché, dati gli attuali rapporti franco-inglesi, è questo l’unico modo di ottenere qualche cosa dall’Inghilterra; e quindi sarebbe inutile e pericoloso apparire meno benevoli di essa verso la Francia alla quale è probabile che quasi ogni nostro passo presso il Governo inglese sia fatto conoscere. Ho anche fornito a viva voce a sir Charles Hardinge parecchi schiarimenti sul come in via di fatto si svolge questo commercio a Gibuti e nel Sultanato di Mascate, e ho cercato di fargli ben comprendere che oltre agli accordi dei tre Governi in Europa, è necessario assicurarsi che praticamente le rispettive autorità locali li traducano in atto in modo efficace e secondo il vero spirito ed il vero intento degli accordi stessi. Sulla speciale questione del diritto di visita l’ho pregato di esaminare se, qualora la Francia non aderisca alle nostre proposte, sia possibile d’indurla almeno a consentirvi fuori delle sue acque territoriali e per le navi di un certo tonnellaggio, essendo suo interesse morale che le imbarcazioni indigene che battono bandiera francese non abusino di questa per trasportare come fanno nella Somalia italiana ed inglese da Mascate e da Sur le armi e le munizioni che in quel sultanato arabo vengono esportate da Gibuti. È infatti da notare che dopo esser state a Gibuti esportate per il sultanato di Mascate, che è fuori dalla zona determinata dall’articolo 8 dell’Atto di Bruxelles, le armi e le munizioni vengono trasportate in Somalia, e non tornano a Gibuti; così che l’interesse nostro è di visitare le imbarcazioni non nelle acque territoriali francesi, bensì in quelle italiane ed inglesi e nel mare libero.

Giunto poi giovedì 27 corrente il telegramma di V.E. che approva la mia idea di parlarne a Cambon, dubitando che Hardinge l’avrebbe fatto di sua iniziativa, ho voluto prevenirlo esponendo subito a lui questa idea, che l’ha caldamente approvata.

Intanto per esser sicuro di parlare io a Cambon prima che gli parlasse o Hardinge o altro funzionario britannico, mi sono recato dall’ambasciatore di Francia venerdì 28 settembre, e l’ho pregato di esercitare la sua influenza a Parigi dove si recherà il 5 ottobre, per ottenere dal Governo francese la adozione dei provvedimenti veramente pratici ed efficaci, e l’adesione ad inviare qui delegati speciali per prendere accordi coi nostri e cogli inglesi, e, comprendere la questione del traffico delle armi nel programma della conferenza di Bruxelles e finalmente accettare la visita reciproca delle navi con equi temperamenti.

Il sig. Cambon si mostrò disposto recandosi a Parigi, a far pratiche in questo senso, ma espresse il timore che, dovendosi mettere d’accordo i due Ministeri francesi degli esteri e delle colonie, passino ancora alcuni mesi prima di giungere ad una decisione qualunque. Alle difficoltà ben note sollevate sinora dal Governo francese per la visita delle navi, aggiunse quella derivante dai diritti che la Francia si è sempre riservata su Mascate, benché praticamente non li faccia valere, obbiezione questa che a me non pare di gran valore trattandosi di due questioni ben distinte. Disse che le navi indigene con bandiera francese che da Mascate e da Sur commerciano colla costa Somala non sono che 30 o poco più e seguono sempre gli stessi itinerari, il che faciliterebbe la sorveglianza: ma io gli feci notare che tale regolarità d’itinerario si

capisce quando fanno commerci leciti, ma che per quelle delle armi mutano spesso di rotta e di approdo. In sostanza esso non si mostra alieno dal patrocinare un accordo equo e pratico sulla questione della visita. Disse esser difficile alle autorità di Gibuti controllare l’autenticità della autorizzazione di Menelik a sudditi suoi per comprare armi, e accettare se questi le comprino per uso proprio e per rivenderle. Non negò che possa forse il desiderio d’impinguare il bilancio della colonia influire sull’animo delle autorità locali. Convenne con me sull’utilità d’indirizzare le trattative in modo da mirare sopratutto a risultati pratici ed efficaci, riducendo al minimo possibile le discussioni giuridiche.

Riassumendo questa parte della nostra conversazione nella quale ho anche messo in evidenza l’importanza della questione per l’Italia ed i benefici effetti di un’equa soluzione sui rapporti franco-italiani, a me pare che Cambon sia personalmente desideroso di far qualche cosa, ma che senza volerlo confessare, anzi dicendo il contrario, sia in cuor suo persuaso che il suo Governo non vuol far nulla di serio per reprimere il traffico delle armi, che ad essi reca utile finanziario e non pericoli. Per verità io ho cercato di fargli comprendere, forse anche esagerandoli, questi pericoli, e gli ho ricordato che gli Issa Somali hanno più volte minacciato e interrotto la via carovaniera tra Gibuti e l’interno e persino minacciato, se non interrotto, la ferrovia Gibuti-Dire-Daua.

Vengo ora ad un argomento, certamente da me inatteso, che il sig. Cambon volle trattare nello stesso colloquio. Egli senza farne proposta et pas même, aggiunse, une suggestion accennò all’opportunità possibile di estendere l’accordo contro il traffico delle armi alla Cirenaica, dove s’importano clandestinamente fucili e munizioni, che vanno nell’interno dell’Africa a popoli già compresi nella sfera d’influenza francese.

Già nel 1896, e sopratutto nel 1901, io, viaggiando in Tripolitania ed in Cirenaica, avevo saputo di questa importazione di fucili, in gran parte fucili gras, venduti dal Ministero della Guerra ellenica; anzi nel 1901 a Bengasi mi fu detto, forse esagerando, che in poco più d’un anno se ne erano introdotti circa 60 mila.

Io risposi al sig. Cambon dandogli questa notizia, e aggiungendo che non conosco in proposito le idee del Governo italiano, al quale ho ragione di credere che non sia mai stata fatta alcuna apertura in questo senso, il che il sig. Cambon mi confermò; ma, seguitai io, in previsione di possibili eventi futuri e anche interesse italiano che gli arabi della Cirenaica e della Tripolitania non continuino su larga scala a sostituire fucili moderni a retrocarica ai lunghi fucili tradizionali dei beduini, e che quasi certamente il Governo italiano prenderebbe in benevolo esame proposte di accordo in proposito, purché però fossero oggetto di trattative separate. Difatti se si conglobasse simile trattativa con quelle in corso per la Somalia, ciò costituirebbe una nuova ragione d’indugio. A ciò Cambon replicò che egli non faceva, ne era autorizzato a fare alcuna proposta, et pas même, ripeté, une suggestion.

117 1 Per la risposta vedi D. 123.

119

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATO PERSONALE1. Roma, 2 ottobre 1906, ore 22,30.

Ho ricevuto il suo telegramma n. 1402. È per noi sommamente importante che una pubblicazione circa i fatti di Fiume

possa esser fatta senza ulteriore ritardo, tale da rendere più esigente l’opinione pubblica e la situazione per il R. Governo ancora più difficile. Importa pure che questa pubblicazione non si limiti ai due punti già concordati: espressione del rincrescimento ed assicurazione della punizione dei colpevoli; poiché ciò potrebbe far credere che la questione della indennità è stata definitivamente scartata. Prego dunque V.E., in seguito alle dichiarazioni statele fatte dal sig. Wekerle, proporre al conte Goluchowski, la seguente formola da render pubblica fin d’ora: «II Ministero degli affari esteri della Monarchia austro-ungarica ha espresso all’ambasciatore d’Italia a Vienna il rincrescimento del Governo imperiale e reale per i fatti di Sussak, nei quali rimasero danneggiati cittadini italiani; e lo ha assicurato che l’autorità giudiziaria sta procedendo, per la punizione dei colpevoli a norma delle leggi dello Stato. Però indipendentemente dall’azione giudiziaria, non essendovi piena concordanza fra le allegazioni del r. console generale a Fiume, e quelle delle autorità amministrative locali, il presidente del Consiglio ungherese ha invitato il bano di Croazia a delegare a Sussak un suo funzionario, col mandato di eseguire una nuova inchiesta d’accordo col r. console».

Sembrami che questa redazione, la quale non pregiudica né l’ammontare, né la forma, e nemmeno l’accettazione in principio dell’indennità, dovrebbe essere senz’altro accolta da codesto Governo.

120

IL DIRETTORE DELL’UFFICIO COLONIALE, AGNESA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

PROMEMORIA. Roma, 2 ottobre 1906.

L’idea del conte Tornielli – rapporti 18 luglio e 5 settembre p.p. nn. 824 e 10281 – di una intesa col Governo francese per l’hinterland tripolino, merita di essere ora presa in attento esame, tenuto conto delle favorevoli disposizioni di cui sembra animato M. Bourgeois.

2 Del 29 settembre, non pubblicato.

Per stabilire le istruzioni da darsi in proposito al conte Tornielli, occorre anzitutto avere sotto gli occhi e studiare la natura degli accordi intervenuti per la Tripolitania, tra Italia e Francia e precisare poi, per quanto sarà possibile, la situazione di diritto e di fatto della Turchia nell’hinterland tripolino.

In quanto alla situazione di diritto la dichiarazione franco-inglese 21 marzo 1899, che traccia le sfere d’influenza rispettive, a partire dal punto di separazione delle acque del Nilo e del Congo, sino a raggiungere il tropico del Cancro, provocò le proteste della Sublime Porta (telegramma agli ambasciatori ottomani a Londra e Parigi 15 maggio 1899). Circa alla situazione di fatto, i recenti incidenti per Bilma e Janet confermano abbastanza chiaramente che la sovranità ottomana nell’hinterland tripolino è stata assai debolmente esercitata e che non vi si trova traccia di stabile occupazione militare, né di un regolare governo civile.

Dai rapporti summentovati del r. ambasciatore a Parigi risulterebbe che gli accordi intervenuti fra i Governi italiano e francese per Tripoli non contengano impegni positivi e precisi, altrimenti né M. Bourgeois, né il conte Tornielli riconoscerebbero l’opportunità di stipularne di nuovi.

Comunque ciò sia, per dare istruzioni al r. ambasciatore a Parigi, nel senso sopra indicato, occorre che l’Ufficio Coloniale prenda conoscenza delle convenzioni o dichiarazioni segnate fra Italia e Francia, al tempo dei ministri degli affari esteri marchese Visconti Venosta e marchese Prinetti.

119 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

120 1 Non pubblicati.

121

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2475/126. Londra, 5 ottobre 1906, ore 12,20.

Mi riferisco al dispaccio di V.E. del 13 settembre n. 3861. Foreign Office mi comunica adesso confidenzialmente, avere fino dal 5 di set-

tembre risposto al Governo spagnuolo che il Governo inglese, d’accordo col Governo francese, non ammette la possibilità di alcuna discussione sopra alcuno dei punti definiti dall’atto di Algesiras. L’esame di una sola delle domande del Magzen rimetterebbe tutto in causa. Inghilterra considera irrevocabile adesione ufficiale del Sultano del Marocco, e spera che Governo spagnuolo, fedele alla politica di unione con Inghilterra e Francia seguita nella Conferenza ed agli accordi che ne sono la base, dividerà questo modo di vedere e respingerà egualmente, in modo assoluto, la domanda marocchina.

121 1 Non pubblicato.

122

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. RISERVATO 53356/423. Roma, 6 ottobre 1906.

L’incaricato d’affari di Francia in Roma, venuto qualche tempo fa alla Consulta manifestò, a nome del suo Governo, preoccupazioni per l’indugio frapposto da Menelik a dare la sua adesione all’accordo per la Etiopia.

Telegrafai al ministro in Addis Abeba1, e ora questi mi telegrafa che l’imperatore Menelik, nel corso di una conferenza avuta con lui e i colleghi di Francia e Gran Bretagna, circa l’accordo italo-anglo-francese per l’Etiopia, aveva sollevato obbiezioni e chiesto schiarimenti sulle varie clausole, nonché comunicazioni sui trattati mentovati all’art. 1.

Il Negus si sarebbe inoltre mostrato sorpreso per la menzione fatta della ferrovia Eritrea-Benadir, la cui concessione non gli sarebbe stata domandata ed avrebbe espresso il desiderio di conoscere il tracciato di quella linea.

Il maggiore Ciccodicola aggiunge essere stato il proseguimento della conferenza rimesso ad altro giorno e d’aver riportata l’impressione che Menelik è poco disposto ad aderire all’accordo, cercando guadagnar tempo. Il r. ministro, infine, chiede se possa dare all’Imperatore una traduzione amarica del protocollo 1891.

Ho risposto: 1) che non abbiamo, per parte nostra, difficoltà a comunicare i trattati citati allo art. 1 dell’accordo, che dovranno a questo essere annessi, essendo tutti stati pubblicati, tranne quello franco-etiopico 20 marzo 1897; 2) che, del pari non abbiamo obbiezione a dare una traduzione amarica dei protocolli 1891 purché si sia sicuri della fedeltà della versione e si spieghi bene al Negus che quei protocolli hanno valore unicamente tra l’Italia e l’Inghilterra e non possono essere invocati nei rapporti diretti con l’Etiopia, che è Stato libero ed indipendente; 3) che per quanto concerne la ferrovia si parla genericamente nell’accordo di ferrovie inglesi ed italiane, precisando però i punti estremi di queste ultime, che dovrebbero passare ad ovest di Addis Abeba, senza che si fosse indicato il percorso, ma che è naturalmente necessario il permesso di Menelik, poiché l’impegno riguarda soltanto le parti stipulanti e non l’Etiopia.

Per procedere in perfetta intesa coi Governi britannico e francese, ho telegrafato al r. ministro in Addis Abeba che informi di codeste nostre disposizioni i suoi colleghi di Francia e Gran Bretagna e se essi riceveranno istruzioni di fare una comunicazione analoga e collettiva al Negus, egli vorrà concertarsi all’uopo con il sig. Lagarde e sir E. Harrington, ma facendomi prima conoscere il testo della comunicazione stessa.

Prego pertanto l’E.V. di informare di tutto ciò codesto Governo e chiedergli se, condividendo il mio parere circa le risposte da dare a Menelik, esso intenda inviare al proprio rappresentante in Etiopia istruzioni, per quanto lo concerne, analoghe a quelle da me inviate al nostro ministro in Etiopia2.

122 1 Vedi D. 107.

123

IL CONSOLE GENERALE A SOFIA, CUCCHI BOASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. PERSONALE CONFIDENzIALE1. Sofia, 6 ottobre 1906.

Ho l’onore di rispondere, per quanto mi è possibile, alla lettera che V.E. si compiacque dirigermi in data delli 29 settembre u. s.2, poiché, come è noto, il principe Ferdinando il quale tratta direttamente i più importanti negozii di Stato sa circondarli di un velo di mistero che è ben difficile di sollevare.

Ritengo sia innanzi tutto da escludere assolutamente che trattative del genere di quelle cui accenna V.E. possano esser state condotte a Sofia, né si ha qui alcun sentore di negoziati che potrebbero eventualmente aver avuto luogo fra il Gabinetto di Vienna e Sua Altezza Reale durante il suo recente e prolungato soggiorno in Austria.

L’attitudine del Principe, i discorsi dei ministri e degli uomini politici di tutti i partiti, il contegno del Governo (anche per quanto concerne le trattative commerciali sempre sospese), le manifestazioni popolari, il linguaggio della stampa, le ciarle degli affigliati ai partiti macedoni, tutto fa ritenere come cosa impossibile un accordo fra la Bulgaria e l’Austria-Ungheria concernente la Macedonia, poiché il maggior pericolo che questo popolo paventi (più ancor di quello di aver nemica la sorte delle armi ove avvenisse un conflitto colla Turchia) si è la calata dell’Austria in questa penisola, vedendosi nell’esercito della Monarchia l’avanguardia delle forze teutoniche sognanti la conquista dell’oriente europeo.

Né il Principe, che finora ha dimostrato di essere l’interprete più chiaroveggente dei sentimenti della sua patria di adozione, sembra esser colui il quale possa stringer accordi che favorirebbero la espansione austriaca fino a Salonicco, lasciando così stabilirsi in Macedonia una potenza che, fatalmente, finirebbe per soffocare il giovane Stato bulgaro.

Tutte le indagini che colla più gran cautela ho potuto fare in questi giorni mi confermerebbero che non esistono accordi austro-bulgari relativi alla Macedonia.

subito, parmi preferibile di fare, dopo la firma, e non prima, la comunicazione di cui nel dispaccio di V.E. del 6 ottobre n. 423, visto che obiezione principale di Menelik si riferisce alla parte che interessa l’Italia».

2 Vedi D. 117.

Ma siccome la prudenza non è mai di troppo, ritengo sia pur da prendere in qualche considerazione l’eventualità che il Gabinetto di Vienna possa pensare ad attirare nell’orbita sua la Bulgaria, se, come qui si teme, l’Austria, presentandosi una qualsiasi occasione favorevole, si decida a procedere verso il sud, utilizzando tutti i preparativi militari fatti da anni, con tanta perseveranza d’intenti, nei territorii d’occupazione che le schiudono le porte della Penisola Balcanica.

Come mi risulta in modo positivo il Governo austro-ungarico per le relazioni dei suoi addetti militari è perfettamente al corrente dei grandissimi progressi fatti da questo esercito e ben sa come il popolo bulgaro rappresenti l’elemento più vitale di questa regione d’Europa; pertanto potrebbe esser indotto a desiderar di procedere d’accordo colla Bulgaria.

Per giungere a tale intento potrebbe, a un momento dato, lavorar sull’animo ambizioso del Principe e tentarlo facendogli vedere che la fiducia da lui riposta nelle potenze Occidentali è rimasta finora sterile di risultati. Potrebbe anche garantire alla Bulgaria in ogni evenienza la neutralità della Romania e della Serbia nella certezza di poterne impedire qualsiasi movimento. Potrebbe per ultimo far balenar qui il miraggio di una facile espansione fino alle rive del Mar di Marmara.

Di queste tentazioni che potrebbero venire dal Gabinetto di Vienna è forse bene tener conto tanto più che con tali proposte, se mai fossero fatte, l’Austria, sostituendo (con suo vantaggio) la Bulgaria alla Russia, ormai paralizzata, verrebbe a tentar di metter in esecuzione l’antico piano, già elaborato nel XVIII secolo fra le Corti di Vienna e di Pietroburgo, per la spartizione della Penisola Balcanica in due zone longitudinali riservandosi per essa quella bagnata dall’Adriatico.

Pertanto continuerò con ogni diligenza a vigilare le manovre del Governo austro-ungarico a Sofia e non mancherò di segnalar a V.E. qualsiasi indizio potessi raccogliere al riguardo.

Tutto induce a credere, per chi vive in questa capitale, che i temuti gravi avvenimenti i quali potrebbero sconvolgere l’assetto della Penisola possano precipitar nell’eventualità della morte del Sultano. E se anche le parole, rivolte da Sua Altezza Reale al nostro addetto militare in occasione del pranzo di Corte dato ieri, dopo le manovre, agli ufficiali esteri, escluderebbero la possibilità di accordi bulgaro-austriaci, non è men vero che questo Sovrano (il quale tiene nelle sue mani esperte tutte le fila della politica estera del principato) in varie occasioni ha lasciato intendere di esser trascurato da noi e si è lamentato, colle sue frasi circonvolute, di non veder accolta, col favore che la situazione d’oriente richiederebbe la sua idea che un’intesa politica più intima fra l’Italia e la Bulgaria potrebbe riuscir utile ai due paesi.

Essendo mio dovere di esporre con tutta franchezza a V.E. il mio pensiero, basandomi anche sull’opinione recisa del nostro e quella di altri addetti militari qui residenti circa l’importanza sempre crescente dell’esercito bulgaro, ritengo sarebbe nostro interesse di coordinar la nostra politica a più intimi rapporti con questa giovane nazione la quale dimostra aver le qualità richieste per aspirare a maggiori destini3.

122 2 Con T. 2517 dell’11 ottobre di San Giuliano rispondeva: «Se convenzione per Etiopia firmasi

123 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto.

123 3 Per la risposta vedi D. 140.

124

L’INCARICATO D’AFFARI A BELGRADO, ANCILLOTTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI,

R. RISERVATO 763/215. Belgrado, 6 ottobre 1906 (perv. il 13).

Come ebbi l’onore di telegrafare alla E.V. i1 2 corrente1, l’ultima nota austriaca, che dichiara ancora non soddisfacenti le proposte serbe, benché concepita in termini più cortesi dell’usato, lascia la situazione invariata.

È da rilevarsi il fatto che la nota non accenna in particolare alle varie quistioni in dibattito, prima, fra le altre, quella della fornitura dei cannoni, ma, tenendosi sulle generali, chiede una specie di diritto di priorità per tutte le aste e le forniture dello Stato a condizione che la qualità della merce sia la stessa e i prezzi eguali a quelli offerti da altre ditte in concorrenza, di nazionalità non austriaca.

Avendo richiesto questo ministro degli affari esteri in proposito, egli mi disse cha mai, a queste condizioni si sarebbe venuti ad un accordo anche per il danno evidente che ne avrebbero avuto gli altri Stati, nonché assai probabilmente il suo paese.

Si sta pertanto determinando in Serbia un radicale mutamento degli scambi commerciali, e naturalmente l’orientazione politica ne risentirà le conseguenze.

La stampa locale inveisce più che mai contro l’Austria ed ha parole di viva simpatia per la Russia, l’Italia e la Francia che stanno trattando per le prime con la Serbia per un accordo commerciale egualmente vantaggioso ai contraenti.

Ma è con quest’ultimo paese, la Francia, che le trattative pare vadano assumendo una importanza speciale.

Per completare il suo armamento e per costruire nuove ferrovie e l’acquisto del relativo materiale, la Serbia dovrà fare un prestito di un centinaio di milioni. Per la sua riuscita, sembra che la Francia presenti delle buone condizioni. In questo caso, l’ordinazione dei cannoni dovrebbe esser data ad una casa francese credo il Creuzot. Intanto una missione militare serba è partita a questo fine per Parigi.

Un progetto di ben grande importanza e che non data certo da oggi occupa ora in particolar modo il Governo serbo. Si tratta di una linea ferroviaria di 522 chilometri di lunghezza che partirebbe dal Danubio al confine serbo-rumeno-bulgaro a Radujevatz, e per Nische Prizrendi, attraverso il territorio turco, dovrebbe arrivare all’Adriatico, a San Giovanni di Medua.

Ed è nelle presenti circostanze, in vista delle difficoltà per le sue importazioni ed esportazioni che la Serbia cercherebbe attuare, se possibile, d’accordo con gli Stati interessati e con l’aiuto del capitale straniero, questo per lei grandioso progetto, che la renderebbe veramente indipendente dal potente Impero vicino.

Ho visto che il comm. Mayor, all’epoca della sua missione in Serbia, si è occupato in particolar modo di tale quistione. Ora il tracciato sarebbe alquanto diverso. Esso riuscirebbe più accetto alla Rumania e alla Bulgaria, e il Governo serbo sembrerebbe disposto a garantire, in una determinata misura, l’interesse del capitale necessario all’impresa. Il sig. Pachitch, presidente de Consiglio, me ne parlò ripetutamente. Un sindacato europeo, mi disse, sarebbe forse indispensabile allo scopo, e l’Italia, tanto interessata a trovarsi in diretta comunicazione cogli Stati balcanici, potrebbe prenderne l’iniziativa, senza per questo compromettersi finanziariamente. Il sig. Pachitch aggiunse, che mi avrebbe mandato fra non molto il relativo progetto dettagliato.

Ho creduto dover riferire tutto questo all’E.V. malgrado finora non se ne sia potuto far niente, per dimostrare ancora gli sforzi tenaci di questa povera nazione diretti a sottrarsi all’influenza austriaca, che le diviene ora specialmente più dura.

È indubitato che l’Italia ha qui un naturale alleato che nelle possibili future complicazioni non è da disprezzarsi. Con le nuove relazioni commerciali e con l’eventuale appoggio che si vorrà o si potrà accordare, non potranno farsi che più stretti i vincoli di amicizia che legano la Serbia a l’Italia.

124 1 Con T. 2449/44, non pubblicato.

125

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL CONSOLE GENERALE A BUDAPEST, SALLIER DE LA TOUR

T.1. Desio, 7 ottobre 1906, ore 11.

Siamo per pubblicare d’accordo con Vienna formola che risolve in parte incidente Sussak mediante espressione rincrescimento promessa punizione colpevoli e nuova inchiesta con nostro console a Fiume. Però mie informazioni private mi fanno ritenere che Goluchowski abbia dato ad intendere al Gabinetto di Budapest che in tal modo l’incidente è definitivamente esaurito e la questione dell’indennità seppellita. Ora ciò non è affatto ed io non intendo rinunziare alla domanda di indennità senza la quale la nuova inchiesta fatta col concorso del nostro console a Fiume non avrebbe scopo. Lebrecht mi telegrafa che inchiesta fatta dal delegato del bano in sua presenza, accertò danni sudditi italiani in tredicimila corone. Prego V.S. di vedere Wekerle ed insistere perché questa somma sia pagata nella forma che al Governo ungherese sembrerà migliore. Pregola anche vedere Kossuth esprimergli la mia viva riconoscenza per quanto egli ha fatto a favore delle domande italiane che tendono a mantenere e promuovere i buoni rapporti tra Ungheria ed Italia e pregarlo di continuare ad adoperarsi perché la questione dell’indennità sia soddisfacentemente risoluta.

125 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

126

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, A DESIO

T. 1491. Vienna, 8 ottobre 1906, ore 19,35 (perv. ore 1 del 9).

Telegramma di V.E. circa informazioni trasmesse da Lebrecht circa nuova inchiesta mi pervenne [...]2 dopo mio colloquio Goluchowski riferito miei telegrammi 146 e 1473. Che Goluchowski abbia fatto credere a Budapest quanto V.E. mi fa [...]4 è più che verosimile. Ciò è confermato dalle dichiarazioni da lui fattemi nel giorno in cui gli ho riferito formula da lei proposta, cioè che doveva esaminarla attentamente prima di darvi suo consenso giacché desiderava non lasciare questione aperta, alludendo così al pagamento indennità, nonché da quelle fattemi ieri stesso col pronunziarsi contrario pagamento. Egli è stato sempre e si mantiene tuttora decisamente contrario nostra domanda e ha guadagnato alla sua opinione sig. Wekerle. Siccome feci presente a V.E. col telegramma 1435 Lebrecht mi telegrafò benché 6 corrente che bano di Croazia procedeva con esso interrogatori danneggiati e che de Velutiis avrebbe comunicato sue [...]2 nostra causa. Ma non mi fece conoscere essere intenzione di lui proporgli e raccomandargli pronto pagamento indennità. Nel mio prossimo colloquio Goluchowski tornerò sull’argomento e non mancherò comunicargli quanto V.E. mi ha telegrafato e farò [...]2 e più vive insistenze per lo [...]2 pagamento indennità facendogli rilevare nuovamente conseguenze politiche che sua opposizione potrebbe avere per nostre relazioni reciproche. Di fronte però tumultuoso suo nuovo rifiuto non resterebbe, mi sembra, altra via ove V.E. lo credesse opportuno, che tentare una ulteriore azione indiretta Budapest, senza intervento quel r. console, per indurre ministro Kossuth fare vive pressioni sig. Wekerle per ottenere pagamento indennità sia fatto di propria iniziativa da bano Croazia per ordine del quale [...]2 nuova inchiesta dalla municipalità Sussak. V.E. ricorderà [...]2 Croazia indennizzarono propria iniziativa scorso luglio nostri operai per danni da loro subìti in seguito sciopero ivi avvenuto [...]2. Procurando così di dare questione un carattere locale e del tutto interno all’Ungheria si ovvierebbe alle obbiezioni fattemi da sig. Wekerle che [...]4 ungherese non potrebbe prendere in affare internazionale decisione contraria quella di Goluchovski.

2 Gruppo cifrato. 3 Non pubblicati. 4 Gruppo mancante. 5 Non pubblicato.

126 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

127

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 2161. Roma, 9 ottobre 1906, ore 15,30.

Ringrazio V.E. rapporto 15 settembre n. 10851. Marchese di San Giuliano ha interessato Cambon che è partito 5 ottobre in con-

gedo di fare pratiche verbali presso codesto Governo circa questione armi anche per evitare possibili malintesi su carattere e scopo nostre trattative con delegati britannici. Questi chiesero che ambasciatore di Inghilterra Parigi riceva istruzioni per appoggiare nota verbale presentata da V.E. 15 settembre e perché Governo francese nomini pure suoi delegati per discutere Londra questione indipendentemente di quanto si farà a Bruxelles. Sir F. Berthie ha ricevuto già istruzioni in proposito per dichiarare che Governo inglese è in massima di accordo colle vedute Governo italiano e che i due Governi sarebbero lieti di intendersi col Governo francese prima della conferenza, aggiungendo che ciò non impedirebbe che a Bruxelles si discutesse anche questione traffico costa occidentale.

128

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2502/132. Londra, 10 ottobre 1906, ore 20,20.

Incaricato d’affari di Francia mi ha detto oggi che il suo Governo è disposto a firmare convenzione Abissinia salvo a discutere con Menelik le sue eventuali obiezioni. Suo Governo incaricatolo comunicare ciò al Governo britannico, lo ha anche informato che sa che io pure riceverò istruzioni in questo senso. Questo ministro degli affari esteri mi ha detto oggi che tra qualche giorno Harrington avrà udienza da Menelik per sentire le sue decisioni.

Fino ad ora il Governo britannico ignora intenzioni del Negus1.

traffico delle armi nella costa dei somali, tema da discutere nella Conferenza di Bruxelles.

127 1 Non pubblicato, relativo alla necessità di un’intesa tra Governi italiano e francese circa il

128 1 Per la risposta vedi D. 134.

129

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2508/138. Londra, 11 ottobre 1906, ore 13,35.

Incaricato d’affari [?]1 venuto adesso da me per dirmi che Cambon pronto a tornare per qualche tempo per firmare convenzione etiopica e che Grey dettogli stamane essere pur pronto firmarla subito. Se tali sono pure intenzioni del R. Governo italiano prego inviarmi subito poteri necessari e telegrafare risposta2.

130

L’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2510/125. Parigi, 11 ottobre 1906, ore 14,55 (perv. ore 18,45).

In presenza del rifiuto della Francia di discutere nella prossima Conferenza di Bruxelles la questione del commercio delle armi, il mio collega inglese non ha insistito ed ha trasmesso la risposta francese a Londra. Egli mi disse che non aveva istruzioni di domandare altro. Il giorno 9 Cambon ha conferito con Bourgeois col quale ebbi ieri un colloquio piuttosto vivace nella sostanza senza però che nella forma si esorbitasse né da una parte né dall’altra. Questo ministro degli affari esteri promise di mandare a Londra presto un delegato tecnico; ricusò formalmente di discutere la questione delle armi nella imminente Conferenza di Bruxelles; dichiarò che gli era impossibile di abbandonare la tradizionale politica francese nella antica questione del diritto di visita. Ho insistito pressantemente perché il delegato francese sia mandato subito con istruzioni che permettano di concludere senza indugio; dissi che in presenza del fatto incontestabile che i somali riescano a provvedersi di armi da guerra, nessuno poteva contestarci il diritto di proporre la questione di revisione delle disposizioni relative al traffico delle armi contenute nell’atto di Bruxelles, perché era provato che non raggiungono lo scopo che le potenze si erano prefisse; indicai il mezzo termine che, appunto quando fu più viva la questione del diritto di visita, si trovò per la sorveglianza delle navi negriere.

Questo ministro degli affari esteri convenne che conveniva che un accordo si stabilisse a Londra tra le tre potenze; protestò vivacemente contro l’idea che si possa

2 Con T. 2199 del 15 ottobre, non pubblicato, Tittoni si riservava di impartire istruzioni e

comunicava il telegramma di Ciccodicola per il quale vedi D. 131.

attribuire alla Francia il proposito di rinunziare indeterminatamente al comune interesse di impedire l’armamento dei somali; disse che la questione degli armamenti riguardava anche le contrade centrali dell’Africa che ricevono armi dalle coste mediterranee. Si dimostrò propenso a cercare il mezzo termine che, pur evitando di risvegliare la questione del diritto di visita riesca a qualche cosa di pratico e di efficace.

Nel corso del colloquio, il ministro degli affari esteri non mi dissimulò che l’Inghilterra sosteneva lo stesso interesse, ma non col cattivo umore nostro. Gli replicai che si facesse portare l’intero incartamento, e vedrebbe come da molti anni la nostra pazienza era stata messa a difficile e lunga prova. L’opinione in Italia ritornerebbe facilmente alle impressioni del tempo della nostra guerra abissina, se la Francia, invece di giungere ad amichevole intelligenza, persistesse nel sistema degli indugi.

129 1 Punto interrogativo del decifratore.

131

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2520/74. Addis Abeba, 11 ottobre 19061.

Oggi ebbe luogo altra conferenza con Menelik per fornirgli spiegazioni chieste su tutti articoli accordo. Terminato esame di essi e richiesto da noi quando e di quale natura sarebbe stata la sua risposta, disse che si riservava esaminare questione.

132

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1409/4251. Londra, 12 ottobre 1906.

Stamane è venuto a farmi visita l’ambasciatore di Russia. Nel corso della amichevole conversazione, egli mi ha detto che crede che, più o meno presto, si verrà ad un accordo fra l’Inghilterra e la Russia, il quale non sarà diretto contro alcuno ed avrà per caratteristica principale quella di un protocollo di disinteressamento e per oggetto le questioni asiatiche. Egli crede infondate le preoccupazioni della Germania in proposito, e spera che in Italia un tale accordo sarà veduto con favore.

Ho risposto che in Italia non può che far piacere tutto ciò che migliora le relazioni di due potenze amiche e consolida la pace del mondo. Ho aggiunto che le preoccupazioni tedesche derivano in gran parte dal timore che giungano al potere in

132 1 Dall’archivio dell’ambasciata a Londra.

Russia, ove vi prevalesse il regime parlamentare, partiti ostili alla Germania, ed ho detto pure che, sebbene l’accordo anglo-russo non avrà probabilmente per oggetto che l’Asia, tuttavia farà risentire, a mio avviso, i suoi effetti anche nella Penisola Balcanica, dove confido che favorirà i desideri dell’Italia, i quali sono per la conservazione, il più a lungo possibile, dello statu quo territoriale.

Il conte Benckendorff ha replicato che lo statu quo territoriale nei Balcani è e sarà l’intento della politica russa per due o tre generazioni almeno, e che, qualunque sia per essere l’esito della crisi politica interna in Russia, già si fa sentire nella politica estera, anzi sopratutto nella politica estera, l’influenza degli elementi più liberali, che sono per il riavvicinamento anglo-russo. Qualche difficoltà si temeva dalla annunciata visita di parlamentari inglesi in Russia, ma ormai quasi certamente non avverrà: tutt’al più potrà ridursi alla visita di pochi individui isolati, così che tale inopportuna manifestazione ha perduta la sua importanza, sebbene sia difficile far comprendere in Russia che l’abitudine inglese di esprimere senza ambagi la propria opinione su cose e persone straniere non significa intenzione di offendere quelle nazioni o di far loro la lezione, nello stesso modo come è difficile far comprendere agli inglesi gli effetti sulla politica internazionale di questa loro libertà di linguaggio e di giudizio.

131 1 Trasmesso da Asmara il 12 ottobre.

133

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 2232/1124. Vienna, 12 ottobre 1906 (perv. il 21).

Prima di ricevere il dispaccio riservato del 15 settembre scorso, n. 49278/7291, relativo alla riforma giudiziaria in Macedonia, pervenutomi il 4 corrente per corriere, avendo avuto occasione di intrattenere dell’argomento il sig. de Mérey, egli mi disse che l’agente civile austro-ungarico aveva rimesso al conte Goluchowski un voluminoso rapporto al riguardo, che era stato comunicato al barone di Calice, perché l’esaminasse e facesse conoscere il suo parere. In risposta, questi aveva informato il conte Goluchowski che si riservava di studiarlo, dopo che sarebbero stati ultimati i negoziati per l’aumento dei dazi d’importazione in Turchia, essendo necessario che quella questione fosse definita prima di porre mano alla riforma giudiziaria.

In tale occasione, il sig. de Mérey, nel ricordarmi quanto il conte Goluchowski mi aveva detto in proposito (mio rapporto del 3 luglio scorso n. 1529/789)1, aggiunse che, tra le proposte fatte dal sig. Oppenheim, eravi l’istituzione d’ispettori giudiziari per controllare l’opera dei giudici e l’applicazione per parte loro delle disposizioni legislative, nonché la modificazione di alcune di esse basate sul codice napoleonico, che erano considerate non confacenti alle condizioni delle popolazioni dei tre vilayet macedoni.

Nel colloquio. poi, che ebbi ieri col conte Goluchowski, il discorso essendo caduto sulla riforma giudiziaria, egli mi fece conoscere che questa avrebbe potuto essere intrapresa non appena la questione dell’aumento dei dazi doganali in Turchia sarebbe stata definita. Ed osservò spontaneamente che alla loro introduzione avrebbero vigilato, giusta il programma di Mürzsteg, l’ispettore generale e gli agenti civili austro-ungarico e russo, siccome già avevano provveduto a quella delle altre riforme sancite dal programma stesso.

Quantunque il conte Goluchowski abbia evitato di entrare in maggiori particolari ed io mi sia astenuto, data la delicatezza dell’argomento, di chiedergli spiegazioni al riguardo, dalle parole da lui dettemi sembra risultare che egli voglia seguire, per ciò che riguarda la riforma giudiziaria, il principio già propugnato dal Governo imperiale e reale di riservare, cioè, l’applicazione di essa all’opera esclusiva di Hilmi pascià e degli agenti civili.

Mi consta d’altra parte, da quanto mi riferì in via riservata il mio collega di Germania, che non sarebbe intenzione del Governo imperiale e reale di sottoporre l’amministrazione della giustizia in Macedonia ad un controllo europeo simile a quello a cui furono sottomesse le finanze dei tre vilayet macedoni.

133 1 Non pubblicato.

134

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. SEGRETO 2211. Roma, 15 ottobre 1906, ore 20.

Rispondo suoi telegrammi nn. 1321 e 1412. Gravi ragioni di diverso ordine ci consigliano in questo momento a non disgu-

stare Menelik; egli è evidente che egli non potrebbe ritenere atto amichevole la firma della convenzione prima che egli vi abbia aderito, dal momento che le tre potenze volevano questa adesione prima di firmare.

Vista però la situazione creata dalla domanda della Francia a cui si è accostata l’Inghilterra, io sono disposto sia alla firma della convenzione, sia ad uno scambio di note per le quali si consideri impegnativo l’accordo fra le tre potenze sebbene solamente parafato, ma alla espressa condizione che risulti l’impegno scritto delle tre potenze di mantenere il più assoluto segreto fino a quando Menelik non avrà aderito, o fino a quando indipendentemente da ciò, le tre potenze non si mettano d’accordo per rendere pubblica la cosa. Ella vorrà in questo senso fare opportuna dichiarazione a sir Grey ed al sig. Cambon; in questo senso io ho oggi parlato con incaricato d’affari di Francia che ne ha telegrafato al suo Governo3.

2 T. urgentissimo 2539/141 del 15 ottobre, non pubblicato. 3 Per la risposta vedi D. 135.

134 1 Vedi D. 128.

135

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2553/1461. Londra, 16 ottobre 1906, ore 19,37.

Ho espresso oggi a Grey il dubbio che la firma della Convenzione abissina prima della risposta di Menelik, possa parere a questi atto poco amichevole ed ho svolte troppe ragioni per cui pare preferibile scambio di note. Sebbene Grey mi abbia detto che crede che a Menelik sia indifferente firma, prima delle sua risposta, tuttavia la mia impressione complessiva è che egli riconosce fondamento dei nostri dubbi, ma trovasi legato dal fatto di avere già aderito al desiderio di firmare subito espressogli dal Governo francese, al quale la firma pare sia stata posta come condizione preliminare da finanzieri con cui tratta per la ferrovia. Aggiungasi a questo che Grey desidera sopratutto compiacere Francia. Dopo qualche titubanza ha finito per promettermi di telegrafare all’ambasciatore di Inghilterra a Parigi, che se Francia accetta proposta italiana di uno scambio di note, invece della firma, egli è disposto ad accettarla. Mi ha detto pure che si [sic] firma, non crede che si possa tenerlo lungamente segreto, perché riaprendosi 22 corrente...2, se sarà interrogato, ed avrà firmato, non potrà non dire la verità. Mi ha detto finalmente che Harrington crede che nella prossima udienza in questa settimana, Menelik darà una risposta; ma Grey inclina invece al contrario, che la ritarderà forse indefinitamente.

136

L’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2567/132. Parigi, 17 ottobre 1906, ore 19,25.

Questo ministro degli affari esteri consente alla reciproca comunicazione delle notizie che si avranno sullo stato mentale e condizioni di salute di Menelik, e si propone di chiederne alla legazione di Francia per telegramma.

Parlandomi di un telegramma ricevuto da Roma, circa il valore da attribuirsi fin d’ora all’accordo del 6 luglio, il ministro manifestò la sua preferenza per la firma immediata, aggiungendo però che il segreto potrebbe essere mantenuto da lui soltanto fino al momento in cui dovrà dar conto al Parlamento dell’affare della ferrovia, e mi parve consideri il momento stesso come assai prossimo.

2 Nota del documento: «Manca la parola. Forse "Camera" A. Galli».

Circa le obiezioni di Menelik all’accordo del 6 luglio fra le tre potenze, questo ministro degli affari esteri, entrando nelle nostre vedute, darà istruzione al rappresentante francese ad Adis Abeba per dare alla risposta delle tre potenze il carattere collettivo. Egli ci comunicherà la risposta francese. Sarà bene che io sia in grado di fare qui una ulteriore comunicazione, dalla quale abbia a risultare quale sarà definitivamente la risposta nostra. Naturalmente questo ministro degli affari esteri ritiene che la risposta debba essere concertata anche coll’Inghilterra.

Relativamente alle armi, questo ministro degli affari esteri mi ha detto che, d’accordo col suo collega delle Colonie, ha deciso di mandare un delegato per prendere parte alla trattativa da noi iniziata a Londra. Questo delegato si troverà colà tosto che il negoziatore inglese, attualmente recatosi a Bruxelles, vi sarà ritornato.

135 1 Risponde al D. 134.

137

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, DI SAN GIULIANO,

E A PARIGI, TORNIELLI

T. SEGRETO 2237. Roma, 18 ottobre 1906, ore 15.

Governo britannico seguirà decisione Governo francese circa firma accordo per Etiopia o scambio di note. Se firmando, non puossi mantenere il segreto che fino a quando Parlamento inglese e francese saranno convocati, noi dobbiamo insistere per scambio di note, che equivale alla firma quanto all’impegno e che mentre mette in grado il Governo francese di dare ogni maggiore assicurazione ai finanzieri con cui tratta per ferrovia, dà anche modo di rispondere al Parlamento che l’accordo non è stato firmato.

Prego V.E.di far conoscere quanto precede a codesto ministro degli affari esteri insistendo sulla necessità che noi abbiamo da tenere il segreto presso Menelik fino a che egli non abbia aderito e fino a che tra le tre potenze non sia stato convenuto di rendere pubblica la cosa.

138

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2575/151. Londra, 18 ottobre 1906, ore 17,20.

Cambon venuto a trovarmi adesso insiste vivamente in completo accordo firmare convenzione Etiopia; dice Grey avergli detto tale essere avviso di Harrington. Ha tentato di persuadere Grey mantenere segreto. Più tardi vedrò Grey, telegraferò

risultato colloquio1. Cambon aggiunge Governo francese tiene immensamente firmare; necessario completo accordo trattative banchieri ferrovie; crede Governo francese, per quanto lo riguarda, potrebbe probabilmente garantire segreto fino a metà novembre, teme influenza tedesca, nonché finanzieri interessati intrighi presso Menelik per rifiutare consenso. Probabilmente nostro rifiuto firmare oggi, renderebbe Governo francese meno disposto favorirci nella questione traffico armi.

139

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2580/154. Londra, 19 ottobre 1906, ore 12,25.

Prima di fare al Governo britannico comunicazione di cui telegramma di V.E. n. 22371, mi pare prudente attendere sua conferma in risposta ai miei telegrammi 1512 e 1533, con i quali predetto telegramma di V.E. si è incrociato.

Cambon dice che finanzieri esigono assolutamente dal Governo francese che convenzione sia firmata, perché quelli che devono sborsare denaro, inesperti cose diplomatiche, non considerano equipollente scambio di note. Dovendo però Governo francese stipulare accordo ferrovia prima del 1° dicembre, Cambon mi ha detto confidenzialmente che per detto Governo basterebbe probabilmente firmare metà novembre, e che urgenza firmare subito è piuttosto personale di lui, che vuole andare Egitto adesso vedere figli. Forse V.E. senza mostrarsi informata di questa circostanza personale, potrebbe per mezzo della r. ambasciata a Parigi, ottenere dal Governo francese che non insista per firma fino a metà novembre, guadagnando noi così tempo per eventuale risposta Menelik e per prepararlo con sufficienti spiegazioni e per trattative ed accordi tra i tre. Governo inglese vuole, come sempre, accontentare Governo francese, tanto più dopo parere Harrington riferito a V.E. mio telegramma n. 153, non giudica giustificato nostro rifiuto firmare. Infatti, sui soli dati qui conosciuti, reputandosi che Menelik sappia che convenzione parafata è valida o che non sapendolo sia facile spiegarglielo, non si vede perché fatto materiale firma dovrebbe parergli poco amichevole e sembra che, in ogni modo, dovrebbe parergli tale in assai minor misura che alcune parti della convenzione. Ho detto pure a Cambon e Grey che conoscendo senno di V.E., devono sussistere gravi e convincenti ragioni a me ignote. Io credo che, per complesso nostre relazioni con due Governi, gioverebbe

2 Vedi D.138. 3 Non rinvenuto nel registro dei telegrammi.

fare tutte [...]4 conoscere confidenzialmente, almeno al Governo britannico, senza che l’impressione del rifiuto potrebbe avere per noi effetti non desiderabili. D’altra parte, se si firma non sarebbe possibile mantenere segreto lungamente. Forse per guadagnare tempo, sarebbe opportuno sentire parere Ciccodicola sul valore delle ragioni sulle quali si fonda quello di Harrington, autorizzandomi dire ciò Grey, Cambon, qualora nel frattempo, non sia giunto V.E. informazione che consenta firmare5.

138 1 Con T. 2576/152 del 18 ottobre San Giuliano riferiva che Grey era disposto a fare passi presso Menelik per indurlo a prendere provvedimenti desiderati dal Governo italiano sul traffico d’armi.

139 1 Vedi D.137.

140

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL CONSOLE GENERALE A SOFIA, CUCCHI BOASSO

L. RISERVATA PERSONALE. Roma, 19 ottobre 1906.

Ho ricevuto la sua lettera confidenziale s.n., del 6 ottobre1 e la ringrazio delle informazioni fornitemi. Gli indizi ch’ella ha raccolti, e le considerazioni che ella espone, se da un lato vengono a togliere ogni fondamento di attualità alla voce – del resto poco accreditata – di accordi politici conchiusi fra la Bulgaria e l’AustriaUngheria non escludono completamente, d’altro canto, che quest’ultima possa, ad un momento dato, tentare di attirare nella sua orbita il vicino Principato, e di farsene un ausiliario per l’attuazione de’ suoi veri o supposti piani nella Penisola Balcanica. È un’eventualità che conviene certamente non perdere di vista. A questo proposito, ella mi riferisce come il principe Ferdinando siasi in varie occasioni espresso in modo da lasciare intendere che si riteneva trascurato dall’Italia, la quale non avrebbe accolto col favore che si meritava la sua idea di una più intima intesa fra essa a la Bulgaria. Io non so scorgere, a dir vero, qual base possano avere codesti lamenti di S.A.R. Fino dalla costituzione del Principato, ed in ispecial modo dacché il principe Ferdinando ne regge i destini, l’Italia non ha mai cessato di dar prova dei migliori sentimenti verso la Bulgaria. Se talvolta, nell’interesse della pace generale, i1 R. Governo ha dovuto – contemporaneamente e d’accordo con quelli delle altre grandi potenze –, rivolgere al Governo bulgaro qualche rimostranza per la sua attitudine, per il passato non sempre chiara e corretta, di fronte all’azione delle bande macedoni, esso lo fece costantemente nelle forme più miti, e senza mai dipartirsi da quella benevolenza cui si è ispirato nelle sue relazioni col Principato. Occorrerebbe sapere, per poterci pronunciare in conoscenza di causa, che cosa voglia dire il Principe quando ci addita l’opportunità di una «più intima intesa politica»; quali ne sarebbero, secondo lui, i limiti e gli scopi; e se gli interessi e le aspirazioni sue sarebbero conciliabili con quelli di una legittima influenza italiana nelle cose orientali, non meno che colle linee generali della nostra politica estera. Si intende bene che in queste parole ella non

5 Con T. 2279 del 23 ottobre Tittoni comunicò che avrebbe risposto dopo aver conferito con

Martini. 140 1 Vedi D. 123.

deve ravvisare il proposito da parte nostra di avviare un passo qualsiasi che possa avere anche soltanto l’apparenza di un negoziato. Col tatto e con l’abilità che la distinguono, ella troverà certo modo, invece, quando favorevoli occasioni le si presenteranno, di scrutare l’animo del principe Ferdinando e di conoscere quali sarebbero le proposte concrete che egli potrebbe, in caso, sottomettere all’apprezzamento del R. Governo.

139 4 Gruppo mancante.

141

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENzIALE 2142/739. Therapia, 20 ottobre 1906 (perv. il 30).

Durante il mio soggiorno a Salonicco – siccome ho già precedentemente riferito a V.E. – ho avuto occasione di intrattenermi con Hilmi Pascià, con gli agenti civili di Austria-Ungheria e di Russia, e con i consiglieri finanziarii d’Inghilterra e di Francia.

Nei due colloquii con l’ispettore generale ho attirato tutta l’attenzione di lui sugli inconvenienti segnalatimi dal generale De Giorgis e dal comm. Maissa, inconvenienti i quali importa di eliminare ad ogni costo, se si vuole assicurare il regolare andamento della riforma della gendarmeria al pari di quella finanziaria.

La questione più essenziale, più urgente, che conviene regolare senza ulteriore indugio, è quella del reclutamento dei gendarmi. Al riguardo non nascosi ad Hilmi Pascià la mia penosa sorpresa per quanto mi aveva narrato il generale De Giorgis, da cui avevo saputo che, delle 500 reclute concesse dal Sultano con iradé imperiale statomi direttamente comunicato per ordine di Sua Maestà, 42 erano state assegnate alla gendarmeria, e tali reclute rappresentano lo scarto di quelle destinate al Yemen. Delle medesime, 16 trovavansi degenti all’ospedale e 22, dopo esame, vennero riconosciute non idonee al servizio, sicché, in pratica, alla scuola preparatoria di Salonicco non sono finora entrate che due reclute soltanto. L’eloquenza delle cifre rendeva superfluo ogni commento.

In linea generale osservai che, a mio avviso, il Governo imperiale non si è reso ancora ben conto di una verità essenziale, e cioè che le riforme sono state introdotte dalle potenze per la Turchia e non contro di essa. Si è voluto mettere riparo ad una situazione incerta e pericolosa che, prolungandosi ed aggravandosi, avrebbe potuto generare complicazioni tali da porre a repentaglio il mantenimento dello statu quo e l’integrità dell’Impero. È pertanto interesse supremo del Governo imperiale di favorire in tutti i modi l’opera riformatrice, alla quale le potenze, con perfetta unanimità di vedute, si sono accinte, e non già ostacolarla con una resistenza passiva, tendente a paralizzare gli sforzi degli egregi funzionarii europei incaricati di attendere alla esecuzione delle riforme. La Turchia agisce così facendo contro i suoi più vitali interessi, e si prepara un avvenire irto di pericoli e di difficoltà.

La riorganizzazione della gendarmeria, ad esempio, è stata affidata ad uno dei più distinti ufficiali generali dell’esercito italiano, scelto da S.M. il Re e dal suo Governo, allo scopo di rendere servizio allo Turchia. Il generale De Giorgis, in così poco tempo, ha saputo avviare la riorganizzazione in modo che non si potrebbe migliore, attirandosi in pari tempo tutta la fiducia e tutta la benevolenza di S.M. Imperiale.

I risultati dell’indefessa opera di lui sono già visibili, tangibili. Perché comprometterli, perché negargli i mezzi necessarii per proseguire, perché sollevargli quotidianamente ingiustificate ed ingiustificabili difficoltà?

Il generale De Giorgis non è un ufficiale subalterno divenuto generale, grazie al suo ingresso al servizio ottomano. Egli occupa un’alta posizione militare nel nostro paese, e rimane al suo posto per obbedienza, per spirito di sacrificio, e per condurre a buon termine, con vantaggio esclusivo della Turchia, la missione affidatagli dalle potenze, e confermatagli dal Sultano. Ma tutto ha un limite, anche la pazienza di un bravo soldato. Ed il giorno in cui il nostro generale, non vedendo i suoi sforzi validamente secondati, decidesse di ritirarsi, – ed è uomo di farlo – a quali imbarazzi, a quali complicazioni non si esporrebbe il Governo ottomano, sul quale infallibilmente ricadrebbe la colpa e la responsabilità per la interrotta opera riorganizzatrice?

E quanto alla commissione finanziaria, rilevai che essa non va considerata come un semplice bureau d’enregistrement delle decisioni prese a Costantinopoli, ma come un consesso di uomini eminenti, incaricato di esplicare utilmente la sua azione, in nome bensì del Governo imperiale, ma con poteri reali, effettivi, ben definiti dal regolamento di cui vuolsi interpretare con larghi criterii non solo la lettera, ma anche e sopratutto lo spirito.

Questo, conchiusi, è il solo linguaggio che può e deve tenere chi, come me, ha l’onore di rappresentare un Sovrano sincero e disinteressato amico di S.M. Imperiale ed un Governo che, fra i cardini della sua politica estera, pone il rispetto dello statu quo, ed il mantenimento dell’integrità dell’Impero ottomano.

In replica, Hilmi Pascià si sforzava di darmi ad intendere che egli si adopera con la massima energia e la massima buona volontà a collaborare all’opera del generale De Giorgis e della commissione finanziaria, nonché ad assicurare il regolare e progressivo andamento delle riforme, le quali – mi diceva – sta tanto più a cuore a lui di veder condotte a buon termine, in quanto ben gli è nota la poca, anzi la nessuna simpatia che le medesime incontrano sia in Bulgaria che in Grecia.

Il linguaggio dell’ispettore generale, che a me fece l’effetto di uomo di valore intellettuale e di grande esperienza amministrativa, mi indurrebbe fino ad un certo punto a riporre alquanto fiducia nella sincerità dei suoi propositi. Sono però convinto che le sue buone intenzioni debbono essere costantemente paralizzate dalla imprescindibile necessità di conciliarsi la benevolenza del Palazzo, donde ed è questo il più gran male che travaglia oggi la Turchia, partono in definitiva ordini categorici e perentorii per ogni affare, anche se di importanza minima. Questa mia impressione è divisa anche dal comm. Maissa, il quale – mi è particolarmente grato di segnalarlo a V.E. – ha saputo in poco tempo acquistarsi, con la sua intelligenza e col suo tatto perfetto, una posizione realmente preponderante in seno alla commissione finanziaria, attirandosi in pari tempo la stima e la simpatia dell’ispettore generale.

Il consigliere finanziario inglese, che venne pure gentilmente a farmi visita, si mostrava assai pessimista. A suo giudizio l’avviamento attuale delle riforme, e sopratutto le restrizioni imposte dal regolamento ai poteri della Commissione finanziaria, restrizioni che i turchi si studiano in tutti i modi di ampliare e di esagerare in ogni circostanza, non gli danno alcun motivo di sperare in risultati pratici e conformi agli intendimenti di quelle potenze, come l’Inghilterra, che mirano a porre rimedio salutare e duraturo alla intollerabile situazione attuale.

Feci osservare, a mia volta, al sig Harvey, che l’opera riformatrice non si può, a mio avviso, considerare sotto un aspetto assoluto, ma soltanto relativo. È d’uopo anzitutto tener presenti non solo i criterii blandi cui le potenze si sono, per necessità politiche, ispirate nell’iniziare le riforme, ma anche e sopratutto le inevitabili difficoltà derivanti dal fatto dell’essere l’esecuzione delle medesime affidata ai Turchi. Questi ultimi purtroppo non sono ancora arrivati a capire che, al postutto, è proprio la Turchia che è destinata a trarre il principale beneficio dall’azione riformatrice, e quindi tale azione, con deplorevole cecità, intralciano o quanto meno non secondano come dovrebbero. Né, a volere essere imparziali, devesi d’altra parte dimenticare l’altro ostacolo grave al progresso delle riforme, ostacolo costituito dall’avversione di cui esse malgrado tutte le dichiarazioni in contrario, sono l’oggetto da parte degli Stati balcanici, i quali considerandole come impedimento alla realizzazione delle rispettive aspirazioni nazionali, si sforzano di tener desta l’agitazione rivoluzionaria, che paralizza in gran parte l’opera benefica dei rappresentanti europei, e fino ad un certo punto anche quel tanto di buona volontà, di cui, a volte, dà prova il Governo ottomano.

Se si tiene conto di tutte queste circostanze, è d’uopo convenire che il piano riformatore in generale non si può dire assolutamente fallito. Un poco di bene si è fatto, un certo tal quale miglioramento si è ottenuto, o si comincia ad ottenere nell’amministrazione. E tale miglioramento sarebbe più sensibile, se le condizioni della pubblica sicurezza diventassero normali, col cessare dall’azione deleteria delle bande e della guerra fraticida che è diuturnamente, con tanta ferocia, combattuta tra gli elementi cristiani. Certo, di tali deplorevoli condizioni è in gran parte responsabile il Governo, che non sa prevenire e reprime, senza discriminazione e senza alcun criterio di giustizia. Ma uguale responsabilità ricade sui comitati rivoluzionarii, impunemente organizzati e favoriti dagli Stati balcanici aspiranti, ciascuno per la parte sua, ad ampliare il proprio territorio a spese della Turchia.

Per tutti questi motivi e pur non facendomi – e l’ho scritto più volte – soverchie illusioni sui risultati finali dell’opera riformatrice, io non credo che sia il caso di lasciarsi invadere da eccessivo pessimismo. La riforma della gendarmeria, se lasciata per lunghi anni sotto la completa ed abilissima direzione del generale De Giorgis, secondato validamente e lealmente dagli altri ufficiali europei, e non intralciata più oltre dai Turchi, può e deve dare ottimi risultati.

E per quanto concerne la riforma finanziaria, io sono d’avviso – come lo dissi al sig. Harvey – che la Commissione deve perseverare per ora con fermezza e costanza nell’opera intrapresa, vincere gradatamente a forza di pazienza e di tenacia la resistenza passiva delle autorità ottomane, attirarsene la fiducia, e sopratutto mantenersi unita e compatta, fidando nell’appoggio che è sicura di trovare presso le ambasciate, nei momenti in cui si aggravassero e si moltiplicassero le difficoltà sollevate

dall’ispettore generale e per esso dal Governo ottomano. Del resto la Commissione non conta che un solo anno di vita, il che per la Turchia è meno che nulla. I poteri suoi scadono l’anno prossimo e nulla impedirà alle potenze di estenderli e amplificarli quando la necessità se ne faccia sentire nell’interesse precipuo dello scopo da conseguire, che, fino a nuovo ordine, rimane sempre quello della pacificazione della Penisola Balcanica e del mantenimento della integrità dell’Impero ottomano.

Sui risultati dell’opera riservata esclusivamente agli agenti civili, non oso esprimere un giudizio, non essendo francamente arrivato a capire in che cosa essa consista.

È questa l’impressione che ho tratta dalla mia fugace visita a Salonicco e dei colloqui naturalmente brevi e superficiali quivi avuti. Di questa impressione che sottopongo ora all’E.V., non ho mancato di far parte anche a quelli tra i miei colleghi che mi hanno al riguardo interpellato.

142

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO 2607/234. Therapia, 22 ottobre 1906, ore 21.

Mi riferisco al mio rapporto n. 7361. Mi risulta che il Valì di Yemen ha telegrafato a Sua Maestà avere egli saputo

che Imam si è rivolto al Governo di Sua Maestà. Notabili musulmani di Aden hanno altresì riferito arrivo ivi emissari Imam accompagnati da un Seid, con intenzione di recarsi in Italia. In seguito a tali informazioni, la Sublime Porta ha telegrafato all’ambasciatore di Turchia, il quale ha risposto non avere egli notizie arrivo in Italia noti ribelli. Giusta notizie attendibili, il Sultano, per mezzo di emissari, starebbe ora trattando direttamente coll’Imam cui verrebbero fatte opportune concessioni, nello intento di giungere alla pacificazione del Yemen. A tali trattative, si riferiva telegramma pubblicato, giorni fa, dalla Frankfurter Zeitung. In pari tempo, altri emissari sarebbero incaricati di guadagnare con denaro alcuni capi tribù e persuaderli abbandonare causa Jman, il quale, una volta isolato, sarebbe più facile ridurre all’impotenza2.

2 Per la risposta vedi D. 151.

142 1 Non pubblicato.

143

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENzIALE 2150/747. Therapia, 22 ottobre 1906 (perv. il 30).

Venerdì scorso [il 19] mi recai al Selamlik e fui dopo ricevuto in udienza dal Sultano. Sua Maestà Imperiale che, a quanto potei giudicare de visu, aveva una cera normale, mi intrattenne cordialmente per quasi un’ora.

Manifestai anzitutto al Sovrano la mia ammirazione per le due belle, fiorenti e prospere città visitate, il mio compiacimento per l’ospitalità larga e cordiale concessa ai miei concittadini quivi residenti e la mia profonda sentita riconoscenza per la festosa ed onorifica accoglienza fattami dalle autorità. Osservai che, grazie alla bontà di Sua Maestà, le visite che io ero andato a fare alle colonie italiane, avevano assunto il carattere di una manifestazione delle relazioni cordiali ed intime esistenti tra i due Sovrani e i due Governi. Le mie parole fecero buonissima impressione al Sultano, il quale, come seppi poi, ne espresse viva soddisfazione ad un suo famigliare.

Disse il Sultano che aveva dato lui in persona direttamente l’ordine ai valì di Smirne e di Salonicco di rendere i massimi onori al rappresentante di un sovrano suo vero e sincero amico, nella cui lealtà e nella cui costante affezione fa sempre il più largo affidamento.

Il Sultano avendomi chiesto notizie del generale De Giorgis, profittai dell’occasione propizia per attirare l’attenzione di Sua Maestà sulla riforma della gendarmeria, la quale, malgrado gli ordini di lui e malgrado tutta la buona volontà, la competenza perfetta e lo zelo indefesso del nostro generale De Giorgis, non procede ancora così speditamente come dovrebbe, causa gli ostacoli e le difficoltà che senza alcun motivo vengono frapposte da qualche autorità locale, che forse non si rende abbastanza conto del fatto che di quella riforma al pari delle altre è la Turchia sola a trarre profitti e vantaggi. Per mettere i punti sugli i, citai l’esempio delle due sole reclute finora concesse al generale De Giorgis, invece delle 500 da me annunziategli due mesi fa, in seguito al grazioso messaggio fattomi pervenire da Sua Maestà.

Dopo avermi promesso nel modo più formale che il numero completo di reclute chieste dal generale sarà fornito al più presto possibile, Sua Maestà mi chiese se io ritenevo dovuti ad Hilmi Pascià gli ostacoli e le difficoltà da me lamentate. Aggiunse il Sultano essere stato proprio lui a destinare quel funzionario, di cui fa il più gran conto, al posto importante di ispettore generale dei tre vilayet della Rumelia. Risposi che io consideravo la scelta di Hilmi Pascià come perfettamente felice; non era lui che [sic] avevo voluto alludere, ma ad un altro importante personaggio che non era nemmeno il valì di Salonicco e che preferivo non nominare, sicuro che Sua Maestà avrebbe benissimo capito di chi si trattava.

Questo personaggio, per norma di V.E., è Hairi Pascià, comandante il Corpo d’armata, fanatico intransigente, di nessun valore militare, di cui tutta l’attività consiste nel sorvegliare Hilmi Pascià, nell’ostacolare con deplorevole tenacia l’opera del generale De Giorgis.

Della necessità di togliere di mezzo quell’inetto e pericoloso personaggio sono convinti tutti gli alti funzionarii della Sublime Porta, a cominciare dal Gran Vizir, il quale mi esortò, in via strettamente confidenziale, a farvi discretamente accenno nel mio colloquio con il Sultano.

In replica alla mia osservazione, Sua Maestà mi disse che avrebbe dato nuovi e più categorici ordini a tutte indistintamente le autorità di prestare il più valido appoggio al generale De Giorgis che gode sempre la sua stima e la piena sua fiducia. Intrattenni poscia il Sultano della questione dell’armamento della gendarmeria, questione che ha formato oggetto del mio telegramma n. 2331.

A spiegare il motivo della proposta da me presentata previi accordi col generale De Giorgis, debbo aggiungere che il Sultano, nessuno sa per quale motivo, si è fitto in testa che la gendarmeria non deve essere armata con gli stessi fucili in uso nell’esercito. La proposta anzidetta offrirebbe – se accettata – una via di uscita dalla difficoltà che incontra il Governo imperiale a soddisfare alle domande delle potenze circa l’armamento.

Esaurito il tema della Macedonia e della gendarmeria intrattenni S.M. Imperiale di un altro affare la cui soluzione mi sta molto a cuore, e cioè dell’ammissione della ditta italiana Salmoiraghi alla gara per la fornitura dei proiettori elettrici.

Quest’affare che, dopo due iradé imperiali con tanti stenti strappati dall’ambasciata (vedi R. n. 709 del 30 sett.)2, io avevo ogni ragione di ritenere esaurito in modo soddisfacente, è stato purtroppo in questi ultimi giorni per andare nuovamente a monte, sia a causa degli intrighi potenti delle ditte concorrenti che non indietreggiano nel distribuire largamente regali ai funzionarii interessati, sia anche a causa della scarsa abilità e dell’eccessiva parsimonia di colui che rappresenta qui quella nostra ditta. Cose di Turchia!

Dissi dunque al Sultano che io ero ben dolente di doverlo intrattenere di un affare di così scarsa entità, ma che, persuaso della verità del noto adagio «il vaut mieux s’adresser à Dieu qu’à ses Saints», mi vedevo costretto a rivolgermi direttamente a lui, dal momento che le promesse e gli affidamenti formali, due volte datimi in suo nome e da me già comunicati al mio Governo, rimanevano lettera morta. Nell’insistere pertanto per la pronta e definitiva soluzione dell’affare Salmoiraghi, colsi il destro per ritornare una volta di più sul mio tema favorito e cioè che, a rinsaldare le relazioni politiche tra i nostri due paesi, a renderle sempre più intime e cordiali, nulla contribuirebbe meglio e più efficacemente che lo accrescere e sviluppare sempre più i legami economici. Il conseguire tale risultato altamente benefico per la Turchia e per l’Italia è uno degli scopi principali che io mi sono prefisso di raggiungere nella mia missione presso la Corte imperiale, e spero fermamente di riescire nel mio intento, grazie alla benevolente fiducia di cui Sua Maestà mi onora.

Replicò il Sultano che condivideva le mie vedute, si augurò anche lui che gli italiani potranno concludere in Turchia affari vantagiosi, di natura a stringere sempre più i legami politici ed economici fra i due paesi. E per quanto concerne l’affare Salmoiraghi, S.M. Imperiale incaricò in mia presenza Ghalib bey di significare subito

2 Non pubblicato.

2 Vedi D. 114. 3 Per il seguito vedi D. 145.

a Izzet Pascià l’ordine di adoperarsi per rimuovere senz’altro tutte le difficoltà finora sollevate. Il Sultano non mancò di osservare sorridendo che, evidentemente, le complicazioni da me lamentate erano dovute ai soliti intrighi degli altri interessati.

Il mio recente colloquio col Sultano nonché indicazioni attinte d’altra parte contribuiscono a radicare in me l’impressione che S.M. Imperiale si rende conto della utilità che per lui vi sarebbe di cementare la buona amicizia con l’Italia, permettendo anche a noi di concludere qualche affare vantaggioso, bene inteso non in Tripolitania.

Il momento è assai favorevole. Tutti gli alti funzionari della Porta e del Palazzo si affannano e si arrabattano a strappare concessioni e, secondo si sussurra, anche i tedeschi avrebbero in vista qualche grosso affare, sulla natura del quale regna però impenetrabile mistero. Converrebbe quindi che anche i nostri capitalisti si faccino avanti e vogliano e sappiano conquistare il loro posto al sole, agendo con scaltrezza ed energia e non indietreggiando dinnanzi ai metodi eroici cui ho accennato più volte in altri rapporti. Non bisogna però perder tempo: nessuno può guarentire quello che avverrà in Turchia il giorno in cui il Sultano venisse a scomparire, e quel giorno potrebbe anche esser meno lontano di quanto si suppone. L’azione del R. Governo dovrebbe, a mio subordinato parere, farsi provvidamente sentire per stimolare i nostri finanzieri a costituire senza ritardo quel tanto desiderato e tanto desiderabile sindacato, grazie al quale io non dubito che il capitale italiano potrà trovare in questo Impero utilissimi investimenti con tornaconto degli interessati e con vantaggio dell’influenza italiana.

Tutto sta ad agire e presto. Per dare un’idea all’E.V. della grandiosità degli affari che qui si concludono, accennerò solo che in vista della prossima rinnovazione del contratto con la R. Tabacchi, si calcola a 300.000 lire turche, ossia sei milioni novecento mila franchi la somma già stabilità dai futuri concessionari francesi per regalie e mance agli alti e bassi funzionarii intermediarii.

143 1 T. 2602/233 del 21 ottobre, non pubblicato.

144 1 Trasmesso via Asmara.

144

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. SEGRETO 22801. Roma, 23 ottobre 1906, ore 13,35.

Risultando che Governi britannico e francese sono favorevoli alla mia proposta di una collettiva comunicazione a Menelik in risposta alle sue obiezioni al triplice accordo, pregola telegrafarmi ciò che è stato concordato con Harrington e Lagarde giusta istruzioni telegramma 20762, e se i suoi colleghi opinano che risposta debba darsi prima o dopo la firma3.

145

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. SEGRETO 22821. Roma, 23 ottobre 1906, ore 14,35.

Governo francese d’accordo con Governo inglese insiste per firma accordo Etiopia, anche senza adesione Menelik, essendo ciò necessario per poter trattare con banchieri per ferrovia che esigono assolutamente firma convenzione. Harrington avrebbe manifestato avviso essere opportuno firmare.

Ho dichiarato a Londra ed a Parigi che parevami atto non amichevole verso Menelik e non privo di pericoli firmare senza avere avuto suo consenso, ma che avrei consentito alla firma o a scambio di note purché vi fosse l’impegno del segreto. Francia ed Inghilterra rispondono che non possono garantire segreto che fine apertura Parlamento, cioè metà novembre.

Governo del Re sta esaminando desiderio di Menelik di avere sbocco sul mare, con buone disposizioni di consentire mediante compensi che indicheremo alla S.V. Intanto è necessario mantenere per ora il segreto su questo punto e esaminare se firma convenzione per parte nostra possa pregiudicare esito negoziato con Menelik per sbocco sul mare.

Prego dirmi suo preciso pensiero su tutto, indicandomi ragioni su cui fonda Harrington suo parere circa opportunità firmare subito2.

146

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. PERSONALE 1631. Vienna, 23 ottobre 1906, ore 20,30 (perv. ore 21,35).

Non ho potuto vedere il conte Goluchowski che oggi appena. Gli ho espresso mio rincrescimento per sua partenza Ballplatz come pure mia viva gratitudine per accoglienza benevola che mi aveva sempre fatta e per azione conciliante e amichevole esercitata in ogni occasione per rendere più intime nostre reciproche relazioni. Conte Goluchowski mi ha detto che non poteva che lodarsi degli eccellenti rapporti intrattenuti sempre con V.E. e per parte sua aveva fatto quanto era in suo potere,

2 Per la risposta vedi D. 148.

contrariamente affermazioni certa stampa viennese, per cooperare con V.E. a rendere nostre relazioni più cordiali possibili e doveva constatare con soddisfazione che esse non potevano essere ora migliori.

Ha aggiunto che non dubitava che barone Aehrenthal che era persona che aveva per il momento maggior probabilità succedergli si sarebbe adoperato stesso senso e avrebbe seguito nostro riguardo linea di condotta amichevole da lui seguita. Egli non aveva veduto Imperatore da due giorni, ma si augurava che trattative che erano ora in corso con barone Aehrenthal avrebbero condotto sua nomina ministro esteri.

Goluchowski si è dimostrato meco sensibile per parole di simpatia con cui stampa italiana si era espressa verso di lui nel registrare sue dimissioni.

145 1 Trasmesso via Asmara.

146 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

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L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 2279/1150. Vienna, 23 ottobre 1906 (perv. il 27).

Col mio rapporto n. 1125 del 13 corrente1 e col successivo telegramma n. 1612, ebbi l’onore di far conoscere le cause che provocarono le dimissioni del conte Goluchowski. Esse sono d’ordine puramente interno riguardanti l’Ungheria, la quale anche in questa occasione è riuscita a far trionfare nei consigli della Corona la sua maniera di vedere che era decisamente contraria al cessato ministro degli affari esteri.

Il ritiro quindi del conte Goluchowski esclude qualsiasi cambiamento nell’attuale indirizzo della politica estera della Austria-Ungheria. La Triplice Alleanza come l’accordo colla Russia concretato a Mürzsteg rimangono ora come prima la base di questa politica.

Ma non è cosa indifferente per noi ch’essa non abbia più per organo e ministro principale un personaggio che aveva dato ripetute prove della sua lealtà ed amicizia per l’Italia e mediante la cui opera conciliante erasi riuscito sempre ad eliminare ogni malinteso e a definire in modo soddisfacente per entrambi i Governi i piccoli incidenti che di sovente erano avvenuti nei rispettivi territori.

La partenza del conte Goluchowski dal Ballplatz non potrà perciò non essere sinceramente lamentata da noi, per i sentimenti che aveva dimostrato a nostro riguardo, essendosi egli sempre adoperato colla maggiore premura possibile a rendere migliori i reciproci rapporti.

A Vienna nei circoli politici è opinione generale che il cambiamento prodottosi nel Ministero degli affari esteri, non avrà un’azione speciale sulla politi-

2 T. 2600/161 del 21 ottobre, non pubblicato.

ca estera della Monarchia. Ma si riconosce la necessità per ciò che riguarda la politica interna che la persona che sarà chiamata a succedere al conte Goluchowski sia di carattere fermo e cerchi di mantenere tra l’Austria e l’Ungheria l’accordo, pur mantenendo la propria indipendenza e si esprime poi il voto che nelle circostanze presenti in cui si deve procedere alla stipulazione del nuovo Ausgleich egli non si faccia l’istrumento di aspirazioni parziali e non turbi col suo contegno l’equilibrio tra le due parti della Monarchia.

La situazione del nuovo ministro degli affari esteri sarà oltremodo difficile e, date le pretese dell’Ungheria, egli dovrà agire colla maggiore circospezione e prudenza per non urtarne la suscettibilltà, evitando però di cattivarsene troppo le simpatie per non andare incontro alle ostilità degli uomini politici austriaci. È da augurare che il successore del conte Goluchowski sia per continuare nella linea di condotta da esso seguita a nostro riguardo non tanto nelle sue linee generali quanto nei varii particolari e si persuada della opportunità di addivenire con noi ad accordi rispetto alla Macedonia ed all’Albania, che offrano garanzie positive a tutela dei rispettivi interessi, accordi a cui il conte Goluchowski non si dimostrò mai proclive, ma della cui stipulazione sembra cominci ora a convincersi uno dei più importanti giornali viennesi se devesi tenere conto di alcune sue recenti pubblicazioni. Tra le persone che hanno maggiore probabilità di succedere al conte Goluchowski è da citarsi innanzitutto il barone Aehrenthal, attualmente ambasciatore d’Austria-Ungheria a Pietroburgo.

Conosco da lunga data il barone di Aehrenthal, avendo avuto con esso frequenti rapporti nei dieci anni in cui esercitai le funzioni di consigliere a questa ambasciata sotto gli ordini di S.E. il conte Nigra, nella quale epoca egli era segretario particolare del conte Kalnoky che molto l’apprezzava e di cui godeva la piena fiducia.

Durante la sua missione a Pietroburgo il barone di Aehrenthal si è adoperato a stringere vieppiù le relazioni tra la Russia e l’Austria-Ungheria, ha contribuito alla stipulazione dell’accordo di Mürsteg ed era partigiano, a quanto si afferma, di una alleanza tra i due Imperi, ma le sue idee in proposito si sarebbero modificate in seguito ai rovesci subìti da quella potenza nella guerra col Giappone ed alle conseguenze interne che ne risultarono. Egli è considerato per la sua intelligenza e capacità come il migliore diplomatico della carriera austro-ungarica, è di opinioni moderate, pendente e ligio alla Triplice Alleanza.

Sebbene il barone di Aehrenthal non sia il vero candidato dell’Austria-Ungheria all’ufficio di ministro come per gli affari esteri, la sua nomina non incontrerebbe difficoltà da parte di quegli uomini politici, non essendosi mai dimostrato apertamente avverso alle loro aspirazioni. Egli è del resto imparentato con gran parte dell’alta aristocrazia ungherese, avendo preso in moglie una contessa Szechényi.

147 1 Non pubblicato.

148

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. SEGRETO 2642/791. Addis Abeba, 25 ottobre 19062.

Governo francese e Governo inglese hanno massima premura che accordo sia, da parte nostra, firmato anche senza adesione Menelik per agire immediatamente in favore loro interessi ferroviari, cosa che è loro interdetta finché non si siano assicurati del nostro appoggio materiale e morale. Solamente la nostra adesione ai patti dell’accordo permette a quei Governi avere forza sufficiente per costringere Menelik a sottomettersi. Menelik, da parte sua, riconosce che accordo rappresenta per lui accettazione di una tutela alla quale e popoli [?]3 non intendono sottostare e ritiene pure che se noi restiamo legati ai patti concordati non avremo possibilità trattare esclusivamente e direttamente con lui per nota questione sbocco al mare che certamente gli altri non possono ammettere, essendo cosa che può annientare tutte le libertà [...]4 che i patti dell’accordo concedono per affermare il loro predominio politico e commerciale nelle zone più estese o più ricche dell’Etiopia. Se Governo francese insiste per firma, la cosa resta ampiamente spiegata dalle considerazioni esposte, e se Governi non accettano la clausola del segreto è perché con questa verrebbe ad essi a mancare verso Menelik il necessario coefficiente di forze per costringerlo ad aderire, dimostrandogli l’inutilità della sua resistenza innanzi alla somma delle forze morali e materiali dei tre Governi uniti. D’altra parte se noi siamo impegnati con la firma, la nostra azione per l’avvenire resta subordinata alla volontà altrui ed alle iniziative più ardite ed immediate dei nostri amici. All’Inghilterra interessa soluzione immediata ferrovia Gibuti quanto può interessare alla Francia, perché se questa è moralmente impegnata finanziariamente con casa inglese che è già intesa, avrà anche costruzione ed esercizio linea ferroviaria oltre Adis Abeba al Nilo. Non tralascio ricordare che finora inglesi in Etiopia hanno agito sempre in senso veramente contrario ai nostri interessi Colonia Eritrea e Benadir; né i fatti che si svolgono qui accennano ad altra linea di condotta più a noi favorevole5.

149

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. 66531/461. Roma, 25 ottobre 1906.

Faccio seguito all’ultimo dispaccio sulla Convenzione italo-anglo-francese per l’Abissinia.

2 Trasmesso da Asmara il 26 ottobre. 3 Punto interrogativo del decifratore. 4 Gruppo mancante. 5 Per la risposta vedi D. 155.

Ho l’onore di comunicare a V.E., in copia, l’unito rapporto del r. ministro in Addis Abeba, in data 7 settembre1, con cui egli riferisce sulla presentazione fatta al Negus, d’accordo coi suoi colleghi di Francia e Gran Bretagna, della predetta convenzione e sulle disposizioni non favorevoli di Menelik, incoraggiato da alcuni europei alla sua Corte, per quell’istrumento internazionale.

Benché le informazioni del comm. Ciccodicola risalgano a più d’un mese indietro, giusta gli ultimi suoi telegrammi la situazione non appare modificata in quanto all’indugio di Menelik a dar il consenso alla Convenzione del 6 luglio p.p.

Mi riservo di impartire alla E.V. telegrafiche istruzioni, dopo la proposta del Governo francese di addivenire alla firma dell’accordo, anche prima che Menelik aderisca all’accordo stesso.

148 1 Risponde al D. 145.

150

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2651/166. Vienna, 26 ottobre 1906, ore 20.

Nuovo ministro degli affari esteri è venuto oggi farmi sua visita ufficiale. Mi ha pregato trasmettere V.E. suoi complimenti e esprimerle sua soddisfazione essere divenuto suo collega. Mi ha detto avrebbe continuato verso Governo italiano identica politica seguita da suo predecessore e si sarebbe adoperato a rendere sempre più cordiali nostri rapporti, basandoli su reciproca fiducia e evitando che fossero offuscati da malintesi e da piccoli incidenti, che era sua intenzione eliminare colla migliore volontà possibile, ciò che rispondeva alle vedute di entrambi i Governi, tra i quali non credeva potessero esistere divergenze di interessi. Mi ha pregato rendere di ciò informata V.E., e, rievocando legami amicizia che ci univano da venti anni, ha soggiunto non dubitare che io mi sarei adoperato, per ciò che mi riguardava, nello stesso modo.

Ho risposto al barone Aehrenthal che mi sarei fatto premura comunicare V.E. sua dichiarazione, ma che, intanto, potevo assicurarlo che Governo italiano, come V.E., erano animati verso Governo imperiale e reale da uguali sentimenti, e che V.E. sarebbe stata lieta cooperare con lui per rassodare e rendere più intimi reciproci rapporti, eliminando qualsiasi cosa che potesse turbarli, e che la fiducia che egli riponeva in V.E. rispondeva a quella che V.E. sperava trovare in lui.

Barone Aehrenthal mi ha detto che sarebbe partito per Pietroburgo giovedì o venerdì prossima settimana per presentare lettere di richiamo, e che sua assenza sarebbe durata una settimana1.

150 1 Per la risposta vedi D. 152.

149 1 Vedi D. 97.

151

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. RISERVATISSIMO 2315. Roma, 27 ottobre 1906, ore 19,25.

Ricevuto il rapporto 18 corrente 7361 e telegramma 22 corrente2. Non intendiamo offrire mediazione ciò che sarebbe pericoloso e molto delicato tanto piu essendo domanda Imam rivolta al nostro Sovrano, ma informiamo di tutto il Sultano, aspettando che egli ci dica il suo desiderio ed esprimendo noi il nostro di fargli in qualunque modo cosa gradita. V.E. pertanto dovrà limitarsi a far conoscere lealmente chiaramente al Sultano la domanda rivoltaci dall’Jman dichiarando che il Governo del Re non intende far nulla che possa riuscire men gradito al Sultano e quindi lo informi di quanto è avvenuto per debito di lealtà e di amicizia dispostissimi a volgere la nostra azione a vantaggio del Sultano se egli la desideri.

Aggiungo, ad ogni buon fine, che non può dirsi esista una questione religiosa tra Iman e Sultano poiché entrambi seguono la Sunna ed il rito Hanofita.

152

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 2321. Roma, 28 ottobre 1906, ore 11,45.

Ricevo il telegramma n. 1661 e mi preme di dirle quanto io mi compiaccia delle schiette ed amichevoli dichiarazioni di codesto nuovo ministro degli affari esteri. Prego V.E. di ringraziarmelo vivamente e di assicurarlo che esse coincidono pienamente col mio pensiero e coi miei propositi.

Particolarmente grato per le cortesi espressioni rivolte alla mia persona, sarò ben lieto di operare con S.E. a rendere sempre più cordiali ed intimi i rapporti tra i due Governi. Desidero, poi, che col debito tatto ella voglia indagare se il barone di Aehrenthal stimerebbe opportuno, come a me lo sembra, che delle dichiarazioni scambiate, in questa circostanza, tra i due ministri degli affari esteri si pubblichi un cenno in forma conveniente, non essendo dubbia la favorevole impressione che ne risulterebbe in entrambi i paesi.

2 Vedi D. 142.

151 1 Non pubblicato.

152 1 Vedi D. 150.

153

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2674. Vienna, 29 ottobre 1906, ore 20.20.

Ho dato oggi lettura al barone Aehrenthal della prima parte del telegramma di V.E. n. 23211. Egli si è mostrato molto soddistatto della franche e cordiali dichiarazioni di lei e mi ha pregato di esprimerle i suoi più vivi ringraziamenti ed ha aggiunto che questo scambio amichevole di dichiarazioni metteva ministri degli affari esteri delle due potenze alleate in grado di procedere d’accordo in piena fiducia nello interesse dei rispettivi paesi.

Ho procurato quindi di indagare il pensiero di Aehrenthal circa la opportunità di pubblicare un cenno in forma conveniente delle reciproche dichiarazioni suddette facendogli rilevare che ciò potrebbe produrre favorevole impressione nell’opinione pubblica di entrambi paesi.

Egli ha accolto con premura tale idea che ha trovato dal suo lato opportuna, ma ha osservato che non gli sembrava necessario che la pubblicazione da farsi nei due paesi dovesse essere identica nei termini bensì nel pensiero soltanto e mi ha interessato a pregare l’E.V. volermi telegrafare testo della pubblicazione che sarebbe sua intenzione di fare, per prenderne notizia giovedì prossimo [il 1° novembre] al suo ritorno da Budapest e prima della sua partenza per Pietroburgo per determinare quella da farsi qui.

154

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 2337. Roma, 30 ottobre 1906, ore15.

Riproduco qui sotto il comunicato che intendo far pubblicare dalla Stefani circa il recente scambio di dichiarazioni. Prego V.E. di comunicarlo al barone di Aehrenthal e di telegrafarmi l’avvenuta comunicazione acciocché io possa provvedere alla pubblicazione. Ecco il testo del comunicato: «Nell’assumere l’alto ufficio di ministro degli affari esteri della Monarchia austro-ungarica il barone di Aehrenthal ha avuto col ministro degli affari esteri italiano on. Tittoni, uno scambio di amichevoli dichiarazioni dal quale è risultato il comune e fermo proposito dei due ministri di procedere in pieno accordo e di adoperarsi a rendere sempre più cordiali ed intimi gli eccellenti rapporti che uniscono i due Governi»1.

154 1 Per la risposta vedi D. 159.

153 1 Vedi D. 152.

155

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. SEGRETO 23421. Roma, 30 ottobre 1906, ore 9,40.

Considerazioni telegramma 792 toccano contenuto dell’accordo e non rispondono alla mia domanda; esse erano già apparse al Governo del Re e furono valutate insieme coi vantaggi che dall’accordo derivano. Al punto in cui sono le cose, esistendo già un impegno morale per la validità dell’accordo dopo che questo è stato parafato, desideriamo che Menelik comprenda come la firma sia ormai una formalità, e vorremmo che la S.V. prepari a ciò l’animo del Negus; quanto al negoziato per lo sbocco al mare, esso non può e non deve interessare il contenuto dell’accordo, trattandosi d’interesse riferentesi a nostro territorio, nel quale non ammettiamo intervento di altre potenze. Il nostro Sovrano risponderà in proposito alla lettera di Menelik, e, da parte sua, il R. Governo metterà tutto il suo impegno per condurre il negoziato con reciproco vantaggio. Di ciò desidero che fin d’ora Menelik sia informato.

156

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. 67553/472. Roma, 30 ottobre 1906.

Mi riferisco al suo rapporto n. 1359/407 del 2 ottobre1. Mi rendo pienamente conto delle ragioni che inducono V.E. a lasciare trascorre-

re un po’ di tempo prima di trattare col Governo britannico le questioni che interessano l’Eritrea, l’Etiopia e la Somalia – quali sono ricordate nel rapporto suddetto. Né io avrei alcuna obbiezione da fare se proprio in questi giorni non si osservasse più attiva l’azione inglese ai nostri danni sulla frontiera occidentale della Somalia, e cioè sul Giuba, come risulta da un telegramma, qui unito in copia del reggente il Governo del Benadir1. L’indugio quindi tornerebbe a noi sommamente dannoso, e pertanto pur posticipando la trattazione delle questioni relative all’Etiopia, sarebbe sommamente desiderabile provvedere al più presto possibile per la Somalia. Trovo giustissimo il pensiero espresso da V.E., secondo cui il riconoscimento di un territorio nella sfera altrui non vieta allo Stato che lo ha fatto di svolgervi i propri traffici ciò però a condizione che il commercio si svolga normalmente ossia senza coercizioni o soprusi. Ma come V.E. rileverà dal telegramma sopraindicato del comandante Cerrina l’azione

2 Vedi D. 148.

commerciale inglese sul Giuba si sta delineando violenta facendo obbligo, ad esempio all’avorio diretto da Lugh al Benadir di prendere la via di Chisimaio, pena la confisca di metà della mercanzia.

È certamente nel vero quando V.E. scrive che con ben altra voce e con ben altra autorità potrebbe costì parlare in difesa degli interessi nostri se questi si affermassero in iniziative reali e pratiche, e correnti commerciali più notevoli delle attuali si formassero, ma pur troppo prima che ciò si verifichi, troppo tempo – e E.V. non vorrà certamente disconoscerle – dovrà trascorrere nonostante il desiderio e la buona volontà di tendere al raggiungimento di questo scopo sollecitamente; e quindi l’attesa sarebbe a noi molto dannosa.

E poiché le proteste a fatti compiuti in passato dolorosamente ci ammonisce di quanto poco valore sieno, così sembra opportuno esprimere a codesto Governo nettamente quali siano i nostri intendimenti riguardo al Benadir ed al basso Giuba, in modo da evitare che con la nostra acquiescenza possano gli inglesi danneggiare gravemente i nostri interessi in quella regione.

E quindi pur lasciando al tatto ed al senno dell’E.V. di scegliere il momento opportuno per trattenere il Foreign Office sulla questione di cui si tratta, ho voluto accennare a V.E. le ragioni che, a mio avviso, richiederebbero una sollecita soluzione delle questioni medesime.

Quanto alla carta dall’E.V. richiesta, in cui sieno delineati chiaramente i limiti delle sfere d’influenza inglese ed italiana in Africa, ed indicati i nomi delle località più vicine a detti limiti, essa è in compilazione presso l’ufficio coloniale: appena ultimata sarà mia cura l’inviare copia a codesta ambasciata.

Intanto con piego a parte, le trasmetto qui unito un esemplare della carta dell’Eritrea e regioni limitrofe alla scala di 1:500.000 da poco pubblicato dal R. Istituto geografico militare, che può essere altrimenti consultato, anche per le gare di confine, fino al parallelo di Noggara.

Unitamente al presente dispaccio, ed in via riservata, mi pregio inviare all’ E.V. copia del trattato commerciale italo-etiopico, non ancora approvato dal Parlamento.

155 1 Trasmesso via Asmara.

156 1 Non pubblicato.

157

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. PERSONALE. Vienna, 30 ottobre 1906.

Il barone di Aehrenthal m’informò jeri, siccome feci conoscere all’E.V. col mio telegramma riservato in data di jeri stesso n. 1701, che era sua intenzione di partire giovedì o venerdì prossimo per Pietroburgo per presentare a S.M. l’Imperatore le sue lettere di richiamo e che avrebbe profittato del suo ritorno a Vienna per fermarsi a

Berlino al fine di visitare il principe di Bülow col quale aveva avuto occasione di conferire ogni qualvolta si recava nell’antica sua residenza. Egli non avrebbe potuto chiedere un’udienza all’imperatore Guglielmo, Sua Maestà essendo a quella data assente da Berlino.

In tale circostanza il barone di Aehrenthal mi disse spontaneamente in via personale che era del pari sua intenzione di recarsi in Italia per chiedere un’udienza a S.M. il Re e far visita all’E.V. Ma egli non avrebbe potuto realizzare tale progetto ora a causa della riunione delle Delegazioni che dovevansi tenere a Budapest alla fine di novembre, né durante l’inverno e la primavera dell’anno prossimo, la sua presenza in Vienna essendo richiesta in tale epoca dalla trattazione dei varii affari connessi alla Monarchia e quindi dalla nuova sessione delle Delegazioni che avrebbe avuto qui luogo nel maggio o giugno di quell’anno. Per cui non avrebbe potuto recarsi in Italia per adempiere a tale dovere che nel corso dell’estate del 1907.

Il barone di Aehrenthal mi pregò di far conoscere in via personale all’E.V. questa sua intenzione sotto riserva del più assoluto segreto.

Nei varii colloqui da me avuti col nuovo ministro degli affari esteri egli si è mostrato fermamente risoluto di procedere d’accordo coll’E.V. per rendere sempre più intimi i nostri rapporti e farli riposare sopra una mutua fiducia. Mi risulta del resto che egli è animato dalle migliori disposizioni e che è convinto della necessità di fare quanto da lui dipende per raggiungere intento suddetto ciò che corrisponde interamente alla linea di condotta che S.M. l’Imperatore intende sia seguita verso l’Italia colla quale sarebbe anzi suo sincero desiderio che i legami d’alleanza che uniscono i due Governi divenissero più stretti ancora in vista specialmente dei pericoli che fanno correre al principio monarchico le agitazioni rivoluzionarie in cui si dibatte la Russia e che minacciano colà la stabilità del trono.

Conosco da più anni intimamente il barone di Aehrenthal e non ho motivo di dubitare della sincerità dei sentimenti da esso manifestatimi al riguardo. È da augurare che di essi egli ci dia in seguito una prova manifesta coll’addivenire con noi ad accordi positivi circa le questioni che ci stanno più a cuore. E credo che la sua presenza al Ministero degli affari esteri potrebbe fornirci l’occasione di tentare qualche passo in tale direzione. Ma di ciò mi riservo d’intrattenere a voce l’E.V. nella sua prossima venuta a Roma.

P.S. Qui unita trasmetto all’E.V. una lettera che mi è stata rimessa al suo indirizzo dal conte Goluchowski.

157 1 T. 2671/170 del 29 ottobre, non pubblicato.

158

IL CONSOLE GENERALE A GIANNINA, MILLELIRE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATISSIMO 447/181. Giannina, 30 ottobre 1906 (perv. i1 2 novembre).

Credo mio dovere di segnalare a V.E. che si sta preparando un nuovo risveglio nei patrioti albanesi musulmani di questo distretto, e di quello di Monastir. Queste informazioni le ho da fonte sicura ed attendibilissima.

Kiani bey di Kolonja Monastir, la persona di cui furono oggetto altri miei precedenti rapporti, e che aveva ottenuto la grazia del Sultano, si è di nuovo dato alla latitanza; con lui presero il largo anche altri sette od otto beys influentissimi di Kolonia; molti altri che rimasero nei loro villaggi, sono con loro in connivenza e lavorano di conserva.

Si attende di nascosto Shahin bey Kolonja, uno dei redattori della Drita il quale percorrerà nascostamenti i villaggi per preparare un futuro movimento. Si aspetta, dicono, per combinare un’azione collettiva, quando sieno chiamati sotto le armi, cosa che sarà fra qualche mese, gli Ilavè di Colonia; costoro appena armati, diserteranno in gran parte per formare un nucleo di rivoltosi. Mi fu pure assicurato che i beys di Clissura, Mohamed bey e Vely bey, ora in esilio, ritorneranno segretamente in patria per provocare colla loro influenza, una alzata di scudi al momento voluto. Pare che anche il celebre Malik bey di Frasciari, sta anche lui preparandosi.

Egli è certo che si stanno maturando dei movimenti albanesi specialmente nel vilayet di Monastir, che avranno anche una ripercussione in questo. Ora si stanno facendo dei preparativi seri, si stanno comprando armi, radunando munizioni ecc. ecc., e dato il caso che questi movimenti possano riuscire, perché la cosa più difficile, è una vera intesa fra gli Albanesi, io non credo che si possa aver nulla di grave innanzi la primavera, poiché le montagne cominceranno fra breve a coprirsi di neve, e non possono quindi dar rifugio ai fuorusciti.

Sono assicurato che finora gli Albanesi non avevano potuto intendersi e fare qualche cosa di serio, per mancanza di fondi e di direzione, ma che ora invece i fondi vi sono, ed essi sarebbero stati somministrati dal comitato valaco, che si è unito e fuso interamente cogli Arnaùti; quando si dice Comitato valaco, bisogna comprendere rumeno, e quando si dice Rumania in questi paesi si dubita sempre, non vi sia sotto lo zampino dell’Austria. Che il connubio fra il comitato albanese e valaco sia avvenuto, non vi è dubbio, e la prova patente è l’uccisione del vescovo ortodosso di Corizà, opera dei due Comitati.

Copia del presente rapporto è stata data alla r. ambasciata a Costantinopoli.

159

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2698/175. Vienna, 1° novembre 1906, ore 13.

Feci conoscere ierisera barone Aehrenthal al suo ritorno da Budapest, testo comunicato trasmessomi da V.E. col telegramma n. 23371.

3 Con T. 2355 del l° novembre Tittoni approvava la comunicazione austriaca.

1601 Trasmesso via Asmara. 2 T. 2679 del 22 ottobre con il quale Ciccodicola suggerisce di tentare di recuperare Let Mare-

fià dove è la tomba di Antinori, dato l’interesse francese e tedesco a ottenerla. 3 Per la risposta vedi D. 164.

Barone Aehrenthal trovò testo eccellente e mi disse che mi avrebbe fatto rimettere stamane testo comunicato che intendeva pubblicare suo lato. Capo di sezione de Jettel è venuto or ora rimettermi tale testo in tedesco, che trasmetto alla E.V. nella sua traduzione italiana:

«Le prime conversazioni che hanno avuto luogo tra il ministro degli affari esteri barone Aehrenthal e l’ambasciatore d’Italia duca Avarna in cui si parlò delle relazioni tra Austria-Ungheria ed Italia, [...]2 ad uno scambio di dichiarazioni amichevolissime tra i due ministri degli affari esteri.

Tanto da parte del barone Aehrenthal che da parte del ministro Tittoni, si addivenne così a constatare la completa e perfetta concordanza di intenzioni di dedicare la piena loro sollecitudine alla cura ed al rinforzamento degli stretti e cordiali rapporti esistenti tra la Monarchia e l’Italia».

Il sig. di Jettel mi ha espresso il desiderio a nome del barone Aehrenthal che comunicato sia pubblicato in entrambi i paesi sabato mattina [il 3].

Sarò grato a V.E. volermi telegrafare venerdì mattina se approva testo suddetto per poterne informare prima sua partenza Pietroburgo. Barone Aehrenthal mi ha fatto pregare di interessarla perché Agenzia Stefani, nel pubblicare comunicato, voglia telegrafarlo, in pari tempo, Agenzie Havas, Reuter e Wolff 3.

159 1 Vedi D. 154.

159 2 Nota del documento «Manca una parola. Forse "condussero" o "portarono"».

160

IL MINISTRO DEGLI ESTERI. TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. 23591. Roma, 2 novembre 1906, ore 15,15.

Ricevuto telegramma 822. Per stazione Let Marefià, che già appartenne alla Società geografica, riterrem-

mo atto poco amichevole che fosse data ad altri. Prego chiederla a mio nome a Menelik, dichiarandogli che la cosa potrà regolarsi, quanto al compenso, nel negoziato generale che inizieremo per la questione dello sbocco al mare. Governo del Re intende presentare proposte concrete per compensi, ciò che Menelik deve del resto aspettarsi, avendolo a lui detto chiaramente on. Martini, quando Menelik lo incaricò di far pervenire al nostro Sovrano il suo desiderio3.

161

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 2340/1178. Vienna, 3 novembre 19061.

I deputati Conci e Pitacco interpreti del desiderio, manifestato in una recente adunanza dagli studenti italiani, si sono recati ieri dal ministro dell’istruzione sig. dott. Marchet e gli hanno esposta l’incerta e difficile situazione, in cui si trovano i loro mandanti, in seguito a mancanza di provvedimenti a loro riguardo circa la questione universitaria. Avendolo quindi interpellato circa le sue intenzioni a tale proposito, il dott. Marchet rispose loro che il Governo stava adoperandosi per trovare un mezzo di soddisfare ai bisogni degli studenti italiani presso le scuole superiori, nel senso di riconoscere gli studi e gli esami, presso le Università e scuole superiori del Regno d’Italia, per quanto ciò possa essere consentito dai regolamenti degli esami e dall’insegnamento in vigore presso le Facoltà universitarie e le scuole tecniche superiori dell’Austria. Il ministro aggiunse essere intenzione del Governo di emanare fra breve le disposizioni precise circa il riconoscimento degli studi terminati in Italia ed eventualmente di quelli colà incominciati e compiuti di poi nell’Impero.

La dichiarazione del ministro, che si ritiene certamente concordata col presidente dei ministri, ha soddisfatto i deputati italiani, i quali pur considerando non chiusa la questione universitaria italiana fino a che non sorga un istituto superiore a Trieste, ammettono che per ora la situazione degli studenti italiani può essere regolata dal provvedimento suddetto. Gli studenti adunatisi ieri stesso, deliberarono, dal canto loro, di sospendere l’agitazione da essi minacciata e di attendere le promesse ordinanze governative, astenendosi frattanto dal provocare qualsiasi incidente, specialmente nell’Università viennese.

I giornali della capitale commentano favorevolmente le comunicazioni dell’on. Marchet, alle quali, secondo, l’avviso della Neue Freie Presse e della Zeit non sarebbe estranea l’influenza del nuovo ministro degli affari esteri, che nella crisi universitaria italiana avrebbe ravvisato una indiretta cagione di malumori anche nel terreno internazionale.

162

IL MINISTRO A SOFIA, CUCCHI BOASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. PERSONALE CONFIDENzIALE S.N.1 Sofia, 3 novembre 1906.

Approfitto del corriere che ripartirà da Sofia il 7 novembre per rispondere alla lettera confidenziale di V.E. in data delli 18 ottobre scorso2.

1621 Dalle carte della Serie P e privo dell’indicazione della data di arrivo.

2 In realtà del 19, vedi D. 140.

Riferendomi a quanto ebbi occasione di esporre a V.E. nella mia lettera delli 6 di ottobre3, mi onoro farle conoscere che il ministro d’Austria-Ungheria conte di Thurn-Valsassina è tornato a Sofia il 15 dello scorso mese, ma non ho raccolto nessun indizio che durante il suo lungo congedo di tre mesi e mezzo, passato nelle sue proprietà in Austria, egli si sia occupato di affari politici speciali. Continuerò a sorvegliare con ogni cura le relazioni, come qui si manifestano, dell’Austria-Ungheria colla Bulgaria che potrebbero anche assumere aspetti nuovi in seguito alla nomina del barone di Aehrenthal a ministro degli affari esteri della Monarchia.

Le lagnanze manifestate talvolta dal principe Ferdinando, soprattutto nei colloqui coll’addetto militare (e V.E. avrà presente il mio rapporto n. 1198/327 delli 4 ottobre 19054 relativo alla gelosia manifestata da questo Sovrano per le supposte preferenze italiane per la Serbia), debbono ascriversi principalmente alla naturale suscettibilità dell’animo di Sua Altezza Reale, suscettibilità la quale venne acuita da tutti gli avvenimenti svoltisi nel primo decennio del suo Regno e che lo porta a sospettare anche delle amicizie le più provate.

Se non mi inganno l’idea del Principe sulla opportunità di una più intima intesa fra l’Italia e la Bulgaria sarebbe basata sul concetto seguente: l’Italia, più di ogni altra potenza, deve temere la possibile espansione dell’Austria-Ungheria nella parte occidentale della Penisola Balcanica, quindi avrebbe interesse a che lo Stato bulgaro sempre più abbia a consolidarsi e progredire, poiché, per le forze di cui dispone, potrebbe essere il principale ostacolo alla realizzazione dei piani veri o supposti della Monarchia.

Il lavoro diplomatico costante del Principe mi sembra tender in particolar modo al fine di aver benevola la maggioranza dei Gabinetti delle grandi potenze in previsione dei pericoli cui la Bulgaria potrebbe essere esposta il giorno in cui scoppiasse una crisi nella Penisola: e credo sia sorto nell’animo di Sua Altezza Reale il dubbio che, in date evenienze, l’Italia possa esser da altri impegni costretta a dipartirsi da quella attitudine tanto benevola che ha sempre serbato verso il giovane Principato.

Ora poiché l’E.V. mi ha fatto l’onore di darmi precise istruzioni al riguardo, se si presenterà l’occasione favorevole, cercherò di raccogliere qualche indizio sui limiti e gli scopi dell’«intesa» cui Sua Altezza Reale ha fatto allusione, e l’E.V. può esser sicura che nessuna mia parola potrà menomamente dar luogo al sospetto che noi vogliamo avviare in proposito un negoziato qualsiasi. Soltanto mi è impossibile prevedere quando potrà presentarsi la favorevole occasione alla quale accenno.

Come è noto a V.E. sono rarissime le circostanze in cui i capi delle missioni qui accreditate possano avvicinare il Principe. Si dice che egli prolungherà il suo soggiorno a Varna fino alla metà di dicembre e, secondo ogni probabilità Sua Altezza Reale non riceverà il Corpo diplomatico che in occasione della festa di Capo d’anno.

4 Non pubblicato.

161 1 Dall’archivio dell’ambasciata a Vienna.

162 3 Vedi D. 123.

163

L’AMBASCIATORE A BERLINO, LANzA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2729/225. Berlino, 5 novembre 1906, ore 17,30.

Sig. von Tschirschky giunto iersera a Berlino è venuto stamane da me anche prima di riprendere sue funzioni al Dipartimento di Stato degli affari esteri. Segretario di Stato mi ha espresso tutta la sua soddisfazione per il viaggio compiuto in Italia e la sua riconoscenza per le delicate attenzioni usate a lui ed alla sua consorte.

Per la amabile accoglienza cui dalla benevolenza del Re fu fatto segno a San Rossore, von Tschirschky, mi ha manifestato animo suo devotamente grato: egli fu molto lusingato dei lunghi colloqui di cui Sua Maestà lo onorò prima e dopo il pranzo. La alta mente del Nostro Sovrano, ha prodotto profonda impressione in Tschirschky che potè ammirare chiarezza idee, larghe vedute, sicurezza giudizi di Sua Maestà, tanto nelle questioni politica interna, quanto in quelle di politica estera.

164

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. SEGRETO URGENTE 2739/85. Addis Abeba, 5 novembre 1906 1.

Riferiscomi telegramma di V.E. n. 23592. Ebbi jersera lunga conferenza con Menelik. Egli ha promesso non dare ad altri

Let-Marefià fino a che non ci saremo accordati circa compenso per sbocco al mare. Mi ha incaricato pregare V.E. fargli conoscere al più presto, e possibilmente per telegrafo, richieste che intendiamo fargli, desiderando risolvere subito la cosa.

2 Vedi D. 160.

164 1 Trasmesso da Asmara.

165

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1550/470. Londra, 5 novembre 1906 (perv. il 9).

Oggi ho avuto un amichevole colloquio col primo ministro. Parlando delle relazioni anglo-tedesche sir Henri Campbell-Bannerman disse che in Inghilterra e sopratutto in Scozia, sua patria, si riconosce alla Germania il diritto al proprio incremento economico, e che, più che avversione contro di essa, si ha risentimento per l’ostilità contro la Gran Bretagna nutrita dalle sfere dirigenti tedesche, dalla burocrazia, dalla nobiltà e dall’esercito, mentre si pensa che tali sentimenti non siano divisi dalla maggioranza della popolazione tedesca.

Benché egli si mostri assai incerto nelle previsioni sull’avvenire della Russia, che riconosce dipendere in grandissima parte dall’atteggiamento dei contadini, che ora pare migliorato, è assai inclinato alla politica di riavvicinamento con quell’Impero. Egli pensa che la Duma disciolta fosse una foolish Duma, ma che ciò non può far disperare dell’avvenire del costituzionalismo in Russia, perché ogni paese ha commesso errori nei primi esperimenti di regime liberale. Io gli dissi allora che avendo letto il suo famoso discorso finito col grido: «La Duma est morte, vive la Duma», mi pareva che fosse stato male interpretato da molti, essendo chiaro che egli non intendeva di approvare la Duma disciolta, ma acclamare al principio del Governo liberale in conformità alle intenzioni di S.M. l’Imperatore, da lui citate e lodate nello stesso discorso. Egli si mostrò molto lieto di questo mio giudizio e aggiunse che aveva offerto al conte Benkendorf di dargli per iscritto queste spiegazioni, ma il Benkendorf lo aveva reputato superfluo e s’era fin dal primo momento mostrato convinto che questa era la retta spiegazione.

Sir Henry Campbell-Bannerman conchiuse che tale è pure il modo di vedere del Governo russo: se ciò sia esatto o no saprà certamente V.E. dai rapporti del r. ambasciatore a Pietroburgo, e potrebbe essere utile che io ne fossi informato.

166

L’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 3073/1263. Parigi, 6 novembre 1906 (perv. il 9).

Una certa dimestichezza di rapporti stabilitasi altre volte con il sig. Izvolskij quando io era ministro in Rumania ed egli era ancora nei gradi subalterni della diplomazia, mi permise di avere con lui, durante il recente suo soggiorno in Parigi, qual-

che colloquio esente dalle cautele e riserve con le quali sogliono intrattenersi, nei primi incontri, i diplomatici di diverso paese. Né io gli chiesi, né egli mi disse, il perché della sua venuta qui, dove avea dato convegno agli ambasciatori russi di Vienna e di Londra; mi manifestò però l’impossibilità in cui sarebbe stato di venire in Francia se non si disponeva a fare una sosta anche a Berlino e non mi nascose una certa impazienza per non avere trovato, al suo primo arrivo a Parigi, un ministro degli affari esteri con cui parlare. Il sig. Izvolskij era infatti arrivato qui nel momento in cui il Gabinetto Sarrieu si scomponeva, ed è partito due giorni dopo che il portafoglio del sig. Bourgeois era passato alle mani del sig. S. Pichon. Egli fu tuttavia ricevuto a banchetto dal ministro nuovo appena insediatosi ed ebbe colloqui con lui e con il presidente del Consiglio. Il sig. Fallières lo ricevette in udienza.

Il nuovo ministro degli affari esteri di Russia avrebbe modificato radicalmente le sue idee, se ora fosse divenuto un innovatore liberale. È però uomo di mente aperta al concetto delle necessità della vita sociale e politica moderna. Lo spettacolo delle difficoltà interne che caratterizzano l’attuale momento in Francia, non era fatto per lasciarlo indifferente. Benché si sia espresso in proposito con molta cautela, era facile indovinare che le sue simpatie sarebbero state per gli uomini che fecero l’alleanza franco-russa, o per quelli dello stesso colore. Con una certa ingenuità che mi sorprese, egli mi chiese se il ritorno agli affari del sig. Hanotaux pareva a me impossibile. L’interrogazione suonava piuttosto rincrescimento che la cosa non fosse prevedibile.

Delle linee direttive della presente politica del Gabinetto di Pietroburgo, il sig. Izvolskij mi disse tutto, quando mi dichiarò, con una certa insistenza, che il principale suo intento era di evitare che si producessero gravi mutamenti prima che la Russia abbia potuto superare la crisi interna e riprendere in Europa la situazione che l’infausta politica asiatica le avea fatto perdere. «Vorrei poter tenere tutte le questioni che si agitano sous cloche», così si espresse il ministro russo, «per dare al mio paese il tempo di occuparsene con l’autorità che gli assegna la posizione sua di altre volte».

Questo soggetto del discorso mi portò naturalmente a far osservare che l’Italia si era, in certi momenti, impensierita del fatto che la Russia, assorta nella sua guerra con il Giappone, sembrava disinteressarsi più del dovere delle questioni dell’Oriente ottomano. Ne convenne il mio interlocutore, notando però che l’accordo austro-russo avea funzionato come un freno alla politica di espansione dell’Austria-Ungheria nella Turchia d’Europa. Ritardare il corso degli avvenimenti, tale è l’interesse, ripeté egli, della Russia. A questo interesse si era inspirata la condotta del Gabinetto di Pietroburgo anche negli ultimi incidenti della questione cretese.

Una mia osservazione circa la situazione territoriale in cui la Russia si trovava nell’Estremo Oriente dopo la pace con il Giappone, situazione che sembrava dover, a non lunga scadenza, far rinascere le stesse ragioni per le quali l’ultima guerra è stata fatta, provocò da parte del sig. Izvolskij una acerba critica della politica seguita dal suo paese che condusse a quella guerra disastrosa. Nello udire quegli apprezzamenti, nei quali era fatta completa astrazione della volontà suprema che avea accettato quella politica, io mi meravigliava internamente dei mutamenti che la progressiva forza dell’opinione pubblica ha potuto introdurre anche nei paesi prima d’ora considerati come i più rispettosi della disciplina monarchica. Wladivostock era uno sbocco più che sufficiente per i bisogni della Russia nei mari dell’Estremo Oriente, bisognava proprio che una fatale aberrazione avesse invaso la direzione degli affari in Russia

perché si fosse trovato necessario di espandersi in Manciuria e di occupare Porto Arthur. La ripresa di una simile politica non era seriamente prevedibile. L’alleanza anglo-giapponese non offendeva perciò menomamente il sentimento russo, né creava una difficoltà fra l’Inghilterra e la Russia.

Dell’intimità franco-inglese il sig. Izvolskij fece cenno incidentalmente come di cosa esistente e stabile.

Dei rapporti nostri col suo paese, egli si espresse in buoni termini. Professò, con parole cortesi, il buon ricordo che gli lasciava il soggiorno prolungato di Roma, quando egli vi fu accreditato presso la Santa Sede. Deplorò che in Italia rimanesse uno strascico dell’impressione prodottasi per la mancata visita dello Czar. Ma ancora più deplorava la assoluta impossibilità per il suo Sovrano di intraprendere nelle presenti circostanze, un viaggio attraverso l’Europa.

Ciò che può risultare da colloqui siffatti non può avere altro valore che quello di una indicazione che si applica alla attualità. Ma se io dovessi emettere un giudizio circa gli scopi del viaggio del ministro degli affari esteri di Russia inclinerei a credere che egli si propose uno scopo di esplorazione e che se, come egli stesso mi disse, gli sarebbe stato impossibile non consacrare qualche giorno ad una fermata a Berlino dopo di essere venuto a Parigi, è lecito pensare ugualmente che gli sarebbe stato impossibile fare una visita a Berlino senza prima aver fatto un soggiorno a Parigi.

167

L’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 3079/1266. Parigi, 6 novembre 1906 (perv. il 9).

La carriera parlamentare del sig. Stefano Pichon che durò dall’ottobre 1885 al maggio 1894, non lo avea ancora messo in vista quando, abbandonando i suoi elettori di uno dei collegi di Parigi, egli andò ministro plenipotenziario ad Haïti, poi a San Domingo ed al Brasile. La sua notorietà cominciò a farsi strada durante la missione in Cina. Il Governo lo chiamò in seguito al posto di residente in Tunisia dove la sua azione, in frequenti contatti con gl’interessi nostri, fu temperata. Benché il nuovo ministro degli affari esteri abbia con me a più riprese, anche prima di essere assunto all’alto suo ufficio attuale, menato vanto di essere stato ascritto alla lega franco italiana prima di entrare nella diplomazia, mi mancherebbero elementi più recenti e più sicuri per misurare al giusto la intensità delle sue simpatie per il nostro paese. Nella non ancora remota occasione delle preliminari indagini per la proroga a termine fisso delle nostre Convenzioni tunisine del 1896, non potrei dire che quelle simpatie si manifestassero, poiché il credito in cui egli era tenuto dal Governo gli permise di esercitare un’influenza che determinò il mantenimento puro e semplice dello statu quo mediante la tacita annuale riconduzione preveduta dalle Convenzioni medesime.

È però vero che il sig. Pichon ebbe il merito di resistere alla spinta di coloro che in Tunisia ed in Francia avrebbero voluto che, alla scadenza delle Convenzioni, si introducessero radicali innovazioni nel trattamento degli italiani stabiliti nella Reggenza.

Nel disbrigo ordinario degli affari con l’estero il sig. Pichon porterà delle qualità professionali che non ebbero tutti i predecessori suoi fino dal primo giorno in cui assunsero l’ufficio; ma egli non può dirsi una personalità parlamentare, nello stretto senso della parola. Benché nell’ultimo rinnovamento triennale del Senato abbia preso seggio nell’Alta Assemblea, a lui manca, per ora almeno, i1 seguito di amici politici che stabilisce il valore parlamentare di un uomo di Stato e se ne risentirà necessariamente la sua autorità nelle questioni più gravi che il Governo intiero è chiamato a trattare e risolvere.

Ancorché non siano state frequenti per me la occasioni d’incontrarmi prima d’ora con il sig. Pichon, le personali relazioni precedenti stabilitesi fra noi mi autorizzano ad accordare piena fede alle dichiarazioni di simpatia e di amicizia con le quali egli accompagnò quella di volersi attenere alla politica di perfetta intesa con l’Italia. L’espressione di questi suoi intendimenti trovò posto nella prima conversazione che ebbi con lui il 31 ottobre in occasione del suo primo ricevimento del Corpo diplomatico.

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L’AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 828/320. Pietroburgo, 7 novembre 1906 (perv. il 18).

Ho avuto occasione d’incontrarmi, per la prima volta dopo il ritorno dalla breve sua licenza, col sig. Isvolsky il quale mi assicurò essere stato soddisfatto del risultato delle sue visite sia a Parigi che a Berlino. Quantunque fosse capitato nella capitale francese proprio nel bel mezzo di una crisi ministeriale egli aveva avuto occasione di intrattenersi a lungo sia col ministro uscente sia col nuovo titolare degli affari esteri sig. Pichon, che non eragli del tutto sconosciuto avendo già avuto occasione di incontrarlo anni sono a Torino, quando questi, reduce dalla sua missione in China fu di passaggio al Giappone. Da questa come da altre conversazioni avute con personaggi dirigenti del mondo repubblicano il sig. Isvolsky aveva riportato il convincimento che il nuovo ministro non avrebbe arrecato alcuna seria modificazione alla politica estera della Repubblica. Il Gabinetto presieduto dal sig. Clemenceau era certamente radicalissimo, il più radicale che avesse avuto finora la Francia, ma dalla bocca stessa del sig. Fallières eragli stato detto che la chiamata alla presidenza del Consiglio del sig. Clemenceau era stata espressamente subordinata alla condizione che nulla sarebbesi cambiato alla politica estera seguita dai precedenti Gabinetti. I primi atti del nuovo Ministero, che ebbero appunto per oggetto la tanto spinosa questione marocchina, sono ora venuti ad attestare ch’esso non intende dipartirsi da una condotta sag-

gia e prudente. Anche a Berlino il sig. Isvolsky ha avuto campo di convincersi che nelle sfere governative germaniche la nomina del sig. Clemenceau a presidente del Consiglio non era stata punto accolta con quella diffidenza che il linguaggio di alcuni organi della stampa tendeva a far credere.

Rispetto poi alle condizioni interne della Russia, questo ministro degli affari esteri osservava con compiacimento aver constatato presso la parte più sana e ragionevole del pubblico europeo un notevole cambiamento di attitudine, che attribuiva in gran parte ad un più esatto apprezzamento della situazione particolare di questo Impero, nonché dei propositi pacificatori e delle tendenze lealmente riformatrici di cui è animato il presente Governo russo.

169

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2758/177. Londra, 8 novembre 1906, ore 17,20.

Oggi Cambon mi disse essere autorizzato dal suo Governo a prendere accordi con me e Grey, o con chi questi vuole delegare, circa traffico armi. Quando rispettivi Governi li avrà approvati è autorizzato a firmare convenzione e scambio di note.

Prego telegrafarmi quale di queste due forme V.E. preferisce1. Cambon oggi vedrà Grey e mi farà conoscere il giorno, l’ora del primo colloquio.

170

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 2383/1202. Vienna, 8 novembre 1906.

In occasione dell’anniversario dei fatti avvenuti nel 1904 a Innsbruck, circa 200 studenti italiani tennero lunedì sera [il 5] in questa capitale un’adunanza, per discutere circa l’ordinanza, che sarebbe intenzione del ministro dell’istruzione pubblica austriaco di pubblicare circa il riconoscimento in Austria degli studi e degli esami fatti nel Regno, di cui è parola nel mio rapporto del 3 corrente n. 2340/11781.

L’adunanza approvò ad unanimità il seguente ordine del giorno: «L’adunanza generale degli studenti italiani di Vienna constata con soddisfazione che le recenti

dichiarazioni del ministro dell’istruzione pubblica circa il riconoscimento degli studi fatti nel Regno d’Italia dimostrano come egli abbia l’intenzione a dare un passo innanzi per l’adempimento delle giuste domande degli italiani e riconosca il carattere provvisorio delle progettate disposizioni, fintantoché le condizioni parlamentari non sieno chiarite in modo tale da poter corrispondere intieramente al loro voto relativo alla istituzione di una università a Trieste».

L’assemblea fa rilevare che l’ordinanza da emettersi al riguardo non potrà avere l’effetto desiderato nei circoli italiani che nel caso soltanto in cui sia resa nota in tempo, perché gli studenti possano iscriversi nelle università del Regno ancora entro il prossimo decembre e non ingiunga loro l’obbligo di frequentare neppure per un semestre istituti superiori austriaci o di subire esami supplementari in lingua non italiana. Perciò che riguarda la facoltà giuridica infine, l’assemblea dichiara che l’unica soluzione della questione consisterebbe nel trasferimento a Trieste della «facoltà giuridica italiana» già esistente in Innsbruck.

169 1 Tittoni rispose con T. 2425 del 12 novembre con il quale precisava di voler concretare l’accordo relativo al traffico d’armi mediante convenzione.

170 1 Vedi D. 161.

171

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2796/185. Londra, 12 novembre 1906, ore 20 (perv. ore 7 del 13).

Ho veduto oggi questo ministro degli affari esteri che ho trovato, come prevedevo, più esitante dei giorni precedenti. Desidera di procedere d’accordo con Italia ma dice di non potere assumere impegni di combattere una proposta di cui ignora ancora i termini precisi. Avendo egli accennato alla possibilità che agenti civili, se incaricati controllo giudiziario, abbiano obbligo di riferire commissione finanziaria, io risposi che tale temperamento parrebbe sufficente al Governo italiano. Anziché essere posto nella alternativa, o di fare cosa non gradita all’Italia, o di combattere la proposta austro-russa, Grey preferirebbe evitare che fosse presentata, ed a questo scopo egli farà subito passi verso la Francia, sperando che questa possa influire Russia. Avendogli io detto che, pur non facendo obiezioni a questa sua intenzione il mezzo migliore per prevenire proposta, sarebbe che egli si affrettasse a presentare o, per lo meno, a pubblicare per mezzo interrogazione parlamentare, od altrimenti la proposta propria, cioè quella di estendere anche alla vigilanza sulla giustizia i poteri della commissione finanziaria. Grey si è riservato di esaminare anche questo metodo, e per rendere possibile, o questo, od altro modo di evitare la presentazione della proposta austro-russa, cercherà di ritardare alquanto esame di legge e regolamento proposta dal Governo ottomano su miniere, dogane ed altre, dovendo la questione dell’aumento dei diritti doganali essere definita prima di affrontare la questione giudiziaria1.

171 1 Vedi D. 174.

172

L’AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI. TITTONI

R. RISERVATO 835/335. Pietroburgo, 12 novembre 1906 (perv. il 18).

Il nuovo ministro austro-ungarico degli affari esteri, barone di Aehrenthal, giunto qui al principio della scorsa settimana, per presentare allo Czar le sue lettere di richiamo, è ripartito stasera per la via di Berlino, ove si fermerà un giorno per abboccarsi col principe di Bülow, e proseguire quindi direttamente per Vienna. Durante il suo soggiorno a Pietroburgo ebbi occasione d’incontrarlo a diverse riprese, ed oggi stesso è intervenuto colla sua signora, ad una colazione che ho dato in suo onore all’ambasciata.

Il barone d’Aehrenthal mi ha espresso in termini calorosi la sua soddisfazione per i telegrammi così cordiali scambiati coll’E.V. in occasione della sua nomina. Egli non dubita un solo istante che gli riuscirà facile di mantenere con noi quelle buone ed intime relazioni quali si addicono a due alleati, per ciò occorre soltanto prevenire per quanto possibile ogni causa di attrito fra i due paesi, ed evitare pure di scrutare con una lente d’ingrandimento, come spesso si è fatto a Vienna, tutto quanto avviene oltre le Alpi.

Avendo io osservato come non convenga difatti dar troppo peso a certe voci di stampa, ed alle manifestazioni di qualche elemento turbolento in Italia, mentre la parte più sana e ragionevole dell’opinione pubblica era perfettamente d’accordo col Governo nel desiderare una completa intesa coll’Austria-Ungheria, il barone d’Aehrenthal mi rispose esser di ciò assolutamente persuaso, ed aggiunse avergli l’imperatore Francesco Giuseppe a varie riprese dichiarato esser convinto della sincerità e della lealtà delle intenzioni della Corte ed anche del Governo italiano. Da un anno poi a questa parte, le relazioni fra i due Governi hanno assunto un sempre più confortante carattere di reciproca fiducia, che egli confida poter conservare ed ancora accentuare sempre più.

Riguardo alla questione balcanica, dissemi il barone Aehrenthal, essere nell’interesse generale che lo statu quo possa esser mantenuto, ed a questo fine devonsi convergere gli sforzi comuni, se però per un concaso imprevisto di circostanze, questo statu quo dovesse esser disgraziatamente turbato, egli confida che con un pò di buona volontà possa venire scartata fra le potenze ogni ragione di attrito. Per la pacificazione e la riorganizzazione delle provincie macedoni, egli spera poter proseguire l’opera iniziata colla collaborazione e l’assistenza delle altre potenze. I risultati finora ottenuti, se non brillanti, possono dirsi tuttavia soddisfacenti; la riorganizzazione della gendarmeria ha già dato buoni frutti, ed ora anche la riforma finanziaria trovasi ad un buon punto di avviamento, il resto è affare di tempo e di pazienza.

Il punto più nero è costituito indubbiamente dalle rivalità fomentate dai vari Stati balcanici; per farle cessare non bastano gli ammonimenti e gli appelli alla concordia delle Potenze; occorre anzitutto che in essi subentri la coscienza dell’inopportunità di tale politica dal punto di vista dei loro stessi interessi. Questa tendenza comincia a farsi palese in Bulgaria, e si accentuerà ancora, come è da sperarsi colla

chiamata alla direzione della politica estera del Principato di un diplomatico del valore del sig. Stanciow. Conviene però che le potenze a loro volta evitino ogni occasione di dar nuova esca a tali rivalità, ed a questo proposito il barone d’Aehrenthal dimostravasi preoccupato della perniciosa ripercussione che l’arrendevolezza dimostrata dalle potenze alle aspirazioni annessioniste elleniche per la Creta era suscettibile di avere nei Balcani.

Avendo poi io messo il discorso nella questione della riforma giudiziaria in Macedonia, il barone di Aehrenthal mi disse esser sul proposito un progetto allo studio, destinato ad essere messo sul tappeto non appena fosse definitivamente liquidata la quistione della riforma finanziaria, e che su di esso sarebbero, a suo tempo, «presenti», gli ambasciatori delle potenze a Costantinopoli. Presi allora occasione per rivolgergli il quesito se non sarebbe più opportuno, in vista anzitutto di rendere più efficace la pratica attuazione delle progettate riforme di affidarne la vigilanza anziché agli agenti civili dell’Austria-Ungheria e della Russia, come pare sia intenzione, ad un controllo di tutte le grandi potenze, come già d’altronde fu fatto per la riforma finanziaria. Al che il sig. d’Aehrenthal mi rispose non possedere abbastanza dati di fatto per potersi fin d’ora pronunziare sulla questione, con intera conoscenza di causa.

173

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

PROMEMORIA PERSONALE CONFIDENzIALE1. Vienna, 12 novembre 1906.

Siccome feci conoscere all’E.V. colla mia lettera particolare del 30 ottobre ultimo2, credo che la presenza del barone di Aehrenthal al Ministero degli affari esteri ci potrebbe dare agio di fare qualche tentativo per conoscere le sue intenzioni circa un eventuale accordo per l’Albania, al quale era decisamente contrario il conte Goluchowski, nonostante le sue buone disposizioni a nostro riguardo.

Bisognerebbe quindi profittare dell’occasione che ci è offerta per ottenere possibilmente di precisare e dare una maggiore estensione alla nota intesa, l’Albania rappresentando per noi di fronte all’Austria-Ungheria quello che la Macedonia è per l’Austria-Ungheria di fronte alla Russia.

Questa analogia tra le due questioni è negata però al Ministero imperiale e reale degli affari esteri, ove si afferma che l’Austria-Ungheria ha in Albania diritti di gran lunga superiori ed anteriori a quelli dell’Italia, la cui azione in tale regione non si sarebbe esercitata che in un periodo di tempo più recente.

Ma pur ammettendo come esatta tale affermazione, ciò che non è in realtà, è da rilevarsi che la Russia, che aveva nei Balcani una situazione e dei diritti superiori ed anteriori a quelli dell’Austria-Ungheria e da questa riconosciuti, non ha esitato di stipulare l’accordo di Mürzsteg, e l’Austria-Ungheria dal suo lato ha fatto quanto era in

2 Vedi D. 157.

suo potere per facilitarne la conclusione, perché aveva interesse, per evitare gravi conflitti futuri, di porre una tregua alle aspirazioni reciproche nella penisola.

Non si comprenderebbe quindi perché l’Austria-Ungheria non debba dimostrare a nostro riguardo relativamente all’Albania la stessa buona volontà che ha mostrato verso la Russia rispetto alla Macedonia, e consentire conseguentemente a tutelare i rispettivi interessi in quella regione stipulando con noi un accordo che potrebbe essere concretato in uno dei seguenti progetti, di cui mi permetto di sottomettere all’esame dell’E.V. i punti principali.

Il primo di tali progetti avrebbe per scopo di regolare l’azione penetratrice di entrambi i Governi per impedire che possa dar luogo ad eventuali attriti fra loro. Con esso quindi i due Governi, nel confermare l’intesa esistente, assumerebbero l’obbligo:

1) di riconoscere gli istituti di qualsiasi genere, ora esistenti, da loro fondati. 2) di sospendere momentaneamente la fondazione di altri istituti, impegnandosi

a concertarsi insieme per la creazione di nuovi istituti, ove questa fosse riconosciuta necessaria per gli interessi di uno di essi;

3) di sostituire i consoli attuali con altri funzionarii che dovrebbero esser muniti d’identiche istruzioni conformi al presente accordo;

4) di far passi in comune presso la Sublime Porta, ed eventualmente pure presso le altre potenze, per ottenere che, quando si dovrà procedere alla delimitazione delle unità amministrative contemplata nel programma di Müzsteg, venga attuata l’esecuzione delle dichiarazioni fatte all’E.V. dal conte Goluchowski, nel 1905, nel Convegno di Venezia, relative all’aggregazione all’Albania dei distretti abitati in prevalenza da popolazioni albanesi, ora uniti ai vilayet macedoni3.

Quanto alle questioni riguardanti la costruzione di ferrovie, di nuove vie di comunicazione, e la creazione d’istituti di credito, esse dovrebbero formare oggetto di discussione posteriore e separata per stabilire la partecipazione dei due Governi alla soluzione delle questioni stesse.

Prescindendo dai primi tre punti sopra indicati, il secondo progetto di accordo tenderebbe unicamente a completare l’intesa esistente col far delineare i confini dell’Albania e procurare così che vengano designati i territorii a cui dovrebbero essere applicate le stipulazioni dell’intesa stessa. Esso si restringerebbe perciò al solo punto segnato nel primo progetto d’accordo al n. 4, relativo alla dichiarazione del conte Goluchowski, e perciò che riguarda il modus procedendi per la sua stipulazione, mi riferisco alla lettera particolare che diressi all’E.V. il 12 luglio scorso4.

Il terzo progetto di accordo, pur comprendendo alcuni dei punti già citati, avrebbe un carattere speciale e più accentuato degli altri progetti. Esso consisterebbe nello scambio tra i due Governi di una dichiarazione in forma solenne nella quale, nel confermare l’intesa anteriore, essi assumerebbero l’obbligo:

1) di non occupare in alcun caso e per alcuna circostanza l’Albania o una parte del suo territorio, quale sarà delineato in seguito all’attuazione della dichiarazione del conte Goluchowski. In tal modo si verrebbe a riconoscere l’Albania come territorio

4 Vedi D. 55.

del tutto neutrale per entrambi i Governi senza però ch’essi s’impegnino a sottostare agli altri obblighi risultanti da tale parola secondo il significato attribuitole dal diritto internazionale;

2) di far passi in comune presso la Sublime Porta e presso le altre potenze per ottenere che venga attuata la dichiarazione del conte Goluchowski, di cui è cenno al punto 4 del primo progetto e che forma oggetto esclusivo del secondo;

3) di procedere di comune accordo in tutte le questioni riguardanti direttamente o indirettamente l’Albania o che fossero per sorgere per ciò che riguarda il suo sviluppo morale ed economico.

Ques’ultimo punto sarebbe una conseguenza della stipulazione contenuta nel par. 2 della nota intesa, in cui si contempla la costituzione della autonomia dell’Albania. Siccome per assicurarne il compimento è innanzi tutto necessario provvedere allo sviluppo suddetto, l’obbligo che i due Governi verrebbero a prendere col presente accordo non sarebbe che un corollario di quello già assunto nell’intesa.

È da esaminare ora se questi tre progetti di accordo avrebbero possibilità d’essere accolti dal barone di Aehrenthal, e se e quali obbiezioni potrebbe sollevare contro di essi.

Quanto al primo progetto non credo che i punti 1 e 2 sarebbero da lui presi in considerazione perché, oltre alle difficoltà che presenterebbe l’attuazione della sospensione della creazione di nuovi istituti per parte di entrambi i Governi, si sarebbe qui di parere che essa non ridonderebbe che a nostro vantaggio esclusivo, la propaganda dell’Austria-Ungheria in Albania avendo fatti progressi di gran lunga superiori a quelli della propaganda italiana, e perché si temerebbe che, nonostante tale sospensione, questa continui ad esercitarsi come per l’innanzi a danno dell’influenza austro-ungarica.

Il punto n. 4 relativo alle dichiarazioni del conte Goluchowski avrebbe forse, mi sembra, probabilità di essere accettato.

Le idee che sussistono in questo Ministero degli affari esteri, e che erano quelle propugnate dal conte Goluchowski, si riassumono nell’affermare che non esiste una vera questione albanese, che questa è stata da noi creata, che l’Italia non ha diritti in Albania, ove la sua propaganda si è affermata solo di recente, che lo stato di antagonismo e si può dire di ostilità in cui si trovano i consoli rispettivi è originata dal contegno di quelli italiani, che minano l’azione austro-ungarica, per cui i consoli imperiali e reali sono costretti a controbilanciare quell’azione per tutelare gli interessi della Monarchia in Albania. Essi si trovano quindi in stato di legittima difesa contro il procedere dei consoli italiani, i quali se cessassero dalla pretesa loro azione invaditrice intesa a soppiantare quella austro-ungarica, i consoli imperiali e reali modificherebbero il loro contegno. Prego V.E. di non dimenticare nel leggere le cose qui sopra riferite che io non faccio che comunicarle l’opinione che, a quanto mi risulta, si avrebbe a questo riguardo al Ministero imperiale e reale degli affari esteri.

Rispetto al secondo progetto di accordo, siccome esso non si riferirebbe che al solo punto n. 4 del primo progetto, esso non solleverebbe forse, siccome sopra accennai, serie obbiezioni.

Infine, per ciò che riguarda il terzo progetto, a quanto mi è dato di arguire, non si avrebbe forse qui difficoltà di addivenire alla dichiarazione solenne nei termini

stessi da me riferiti, come pure non si sarebbe alieni dall’esaminare il 2° punto, ma dubito che si incontrerebbero non poche difficoltà per indurre il barone di Aehrenthal a consentire al 3° punto, perchè l’attuazione delle condizioni in esso stabilite potrebbero dar luogo, a suo parere, ad attriti tra i due Governi. Dovrebbesi quindi trovare una formula tale che, pur contenendo ciò che è riassunto in quel punto, potesse eliminare i timori che qui sussisterebbero.

Prego 1’E.V. di voler scusare la libertà che mi sono presa di sottometterle i tre progetti suddetti accompagnandoli da alcune considerazioni che sono la risultante della conoscenza da me acquistata, durante la mia lunga dimora in Vienna, delle disposizioni di questi circoli politici, e le sarò grato, qualora ella li giudicasse meritevoli di esser presi in considerazione, di volermi far conoscere il suo pensiero al riguardo.

173 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto.

173 3 Vedi serie terza, vol. IX, DD. 72, 79.

174

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. 2445. Roma, 13 novembre 1906, ore 20.

Ringrazio V.E. per il suo telegramma n. 1851. Ormai abbiamo preso posizione di fronte ad una attuale proposta duale e possia-

mo attendere, senza ulteriore manifestazione da parte nostra, che sir E. Grey dia seguito ai suoi concetti, conformi ai nostri e ce ne avverta. Intanto ci giungeranno ed io tosto comunicherò a V.E. le informazioni chieste a Parigi ed a Berlino sugli intendimenti di quei due Governi in proposito.

175

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATISSIMO 1589/484. Londra, 13 novembre 1906 (perv. il 18).

Mi riferisco ai miei telegrammi del 6 novembre n. 175, 10 nov. n. 1811, e 12 nov. n. 1852.

Il dispaccio di V.E. del 30 ottobre u.s. n. 67472/4673, al quale è allegato il rapporto del 12 ottobre u.s. n. 2232/11244 del r. ambasciatore a Vienna, mi è giunto

175 1 Non pubblicati.

2 Vedi D. 171. 3 Non pubblicato.

soltanto la sera del 9 corr. cioè tre giorni dopo che io aveva, di mia iniziativa, avuto con sir Edward Grey il colloquio che forma oggetto del mio telegramma del 6 nov. n. 175.

I dispacci stampati di V.E. del 13 sett. n. 49273/205 al r. ambasciatore a Pietroburgo, del 15 sett. n. 49278/729 al r. ambasciatore a Vienna, del 5 ottobre u.s. n. 53245/726 al r. ambasciatore a Costantinopoli e i rapporti stampati del 26 sett. n. 2124/1067 del r. ambasciatore a Vienna e del 27 sett. n. 723/290 del r. ambasciatore a Pietroburgo1 mi sono stati recati dal corriere il 5 novembre, così che con immenso ritardo ho avuto notizia della proposta in preparazione tendente ad affidare ai due agenti civili d’Austria e Russia la vigilanza sulla riforma ed amministrazione della giustizia in Macedonia.

Tale ritardo può avere conseguenze irreparabili, poiché, se io fossi stato posto in grado di far pratiche in proposito presso sir Edward Grey un mese prima, se egli avesse potuto fare per conseguenza un mese prima, o per lo meno prima della visita del sig. Izvolskij a Parigi, le pratiche presso la Francia, alle quali si riferisce il mio telegramma a V.E. de1 12 nov. n. 185, la posizione sarebbe forse oggi migliore per i nostri interessi di quello che rischia di essere in conseguenza degli impegni che può la Francia aver già presi verso la Russia.

È infatti difficile che la Russia non si sia assicurata l’adesione della Francia mentre, per converso, se prima che questa sapesse e prevedesse la probabilità della proposta austro-russa, sir Edward Grey le avesse esposto la sua idea di affidare alla commissione finanziaria internazionale, sia pure in forma diversa, le nuove funzioni che Austria e Russia vorrebbero affidare agli agenti civili, è probabile che la Francia avrebbe aderito all’idea inglese, ed avrebbe così avuto un impedimento legittimo ad aderire a quella, che sarebbe stata posteriore dell’Austria e della Russia, tanto più che, salvo i riguardi dovuti all’alleata, il controllo europeo è più conforme agli interessi della Francia che il controllo austro-russo.

Si è ancora a tempo adesso. È probabile che in occasione del viaggio del sig. Izvolskij a Parigi, o altrimenti, la Russia abbia provveduto ad assicurarsi l’appoggio od almeno la neutralità della Francia. E se la Francia è già legata da queste promesse d’appoggio alla Russia, se la Germania vorrà certo far cosa gradita all’Austria ricordandosi, come mi diceva sir Edward Grey, l’opera sua di «brillanter Sekundant auf der Mensur», potrà e vorrà il Governo britannico così ligio alla Francia, così desideroso di amichevoli accordi colla Russia, così impaziente di ulteriori riforme in Macedonia, opporsi per far cosa gradita a noi, alla eventuale proposta austro-russa? Io lo spero e quasi lo credo, ma non posso averne certezza. Il lungo ritardo avrebbe anche potuto avere per effetto di dare tempo ai miei colleghi di Austria e di Russia di ottenere qualche mezzo impegno da sir Edward Grey, prima che io fossi informato della possibilità che la questione sorga, ma fortunatamente ciò non è avvenuto.

Quando, io gliene parlai la prima volta di mia iniziativa, il 6 novembre, egli ancora ignorava del tutto tale progetto, e fu visibilmente molto seccato, ed ancora più lo era il 12 corrente, della probabilità che venga presentato, tanto che ho dovuto stentare per indurlo a credere a questa probabilità.

Non escludo, però, che Austria e Russia abbiano profittato del tempo trascorso prima che io fossi informato di questo progetto, per fare in Inghilterra altre pratiche ignote a sir Edward Grey certamente fino al 10 corrente, e forse anche (ma ne dubito)

il 12, e tali, se sono state fatte da vincolare in parte la sua libertà d’azione di cui egli sembra disposto a far uso in senso favorevole ai desideri italiani, sebbene tale disposizione d’animo mi sembrasse più decisa il 6 ed il 10 che il 12 novembre corrente, anzi a questo proposito è bene notare che nel mio telegramma n. 175 (6 nov.) in fine io avevo scritto «non credo probabile» vedo ora che per errore di copiatura fu sostituita alla parola probabile la parola possibile, che ne muta alquanto il senso.

Per quanto io so, sir Edward Grey non ha ancora avuto occasione dopo il primo colloquio con me avuto su questo argomento, di conferire col suo Sovrano. Date le relazioni di famiglia di S.M. il Re Edoardo colla dinastia russa, ed il vivo desiderio di lui di stringere più intimi e cordiali rapporti politici tra la Gran Bretagna e la Russia, date anche le sue relazioni personali con S.M. l’Imperatore Francesco Giuseppe, io temo, e ne ho già telegrafato a V.E., che il tempo non sia stato tutto perduto dall’Austria e dalla Russia, tanto più che i due ambasciatori di quelle potenze, di cui uno è parente di S.M. il Re Edoardo VII, lo veggono sempre, lo seguono alle corse e dovunque, e godono l’onore della sua personale amicizia, la quale è e sarà forse sempre inaccessibile, almeno in pari grado, all’ambasciatore di S.M. il Re d’Italia, chiunque egli sia, per un complesso di ragioni, tra cui l’impossibilità di sostenere le spese necessarie a far la vita che occorre per penetrare nell’intimità del Sovrano.

Per ovviare, nei limiti del possibile, ad alcuno di questi inconvenienti, io prego V.E. di considerare se, indipendentemente dallo speciale oggetto di questo rapporto, la situazione generale internazionale consigli, o no, (mentre certo sarebbe opportuno nei riguardi esclusivi dei rapporti italo-britannici) di sottoporre all’alto senso di S.M. il Re Nostro Augusto Sovrano l’esame di qualche mezzo di far passare ai due Sovrani d’Italia e d’Inghilterra qualche giorno insieme, sia qui che altrove, in modo da stringere sempre più i reciproci rapporti personali.

Né questa è la sola causa che può rendere sir Edward Grey titubante o almeno freddo, nel sostenere la tesi, da noi caldeggiata, nella questione della riforma giudiziaria macedone.

Quando, nel corso delle nostre tre animate e difficili conversazioni, nelle quali ho dovuto alternare la franchezza, talora assai recisa, con tutta la souplesse consentita dalla lingua inglese per strappargli, non senza gravi difficoltà, le risposte che ho telegrafato a V.E. io ho detto che, a mio parere e di molti in Italia, è preferibile che la giustizia in Macedonia non sia migliorata, anziché affidata a due sole potenze, egli rispose che personalmente egli desidera che sia migliorata in qualunque modo (anyhow), ma ammette che in via di fatto, non possa esserlo in un modo cui l’Italia si opponga e aggiunse che, anche guardando la cosa dal lato strettamente tecnico e locale, l’opera degli agenti civili è riescita finora meno efficace (effective) di quella della commissione internazionale finanziaria, così che anche sotto questo aspetto è preferibile estendere i poteri di questa anzichè i poteri di quelli.

Quell’anyhow, sfuggitogli quasi a bassa voce, per quanto modificato dal complesso delle sue risposte, fu per me una rivelazione, o meglio una conferma di quanto mi era già noto. Il Ministero ha bisogno di fare o di mostrare di fare qualche cosa per migliorare il più presto possibile le condizioni della Macedonia, anche se il miglioramento debba avvenire nella forma che egli non preferisce. Ne ha bisogno per far accettare dall’opinione pubblica l’aumento, così impopolare, del 3% sui dazi doganali turchi: ne ha bisogno per contentare quella frazione del partito che lo tiene al pote-

re, dei cui sentimenti mando a V.E. nell’unito estratto del Daily News una delle tante manifestazioni.

Se ho esposto a V.E. tutti questi lati men favorevoli della situazione, egli è per far sì che il Governo italiano possa farsene un giudizio mercè il possesso di tutti i dati di fatto, ma io credo, ciò nondimeno, che vi siano maggiori probabilità per avere l’appoggio della Gran Bretagna che per non averlo, se ci mostriamo fermi nel respingere la vigilanza austro-russa; ad ogni modo sono certo che sir Edward Grey farà, anzi già sta facendo, i maggiori sforzi possibili per evitare che si crei una situazione in cui egli possa essere costretto a scegliere fra il far venir meno un miglioramento alla condizione dei macedoni e l’aderire ad una proposta giustamente non gradita all’Italia, e, in fondo, neanche a lui.

Le considerazioni, che ho esposto fin qui, possono indurre sir Edward Grey a mostrare ai suoi amici politici ed ai Governi d’Austria e Russia che l’opposizione non viene da lui, ma non credo che essi possano indurlo ad abbandonare il suo punto di vista cioè che basta il dissenso dell’Italia a fare naufragare la proposta. E se egli come osa sperare, non abbandona questo punto di vista, la proposta non può non naufragare.

Nelle due conversazioni del 6 e 10 corrente, io ripetutamente gli insinuai l’idea che, per evitare di combattere la proposta della vigilanza a due, il meglio sarebbe di evitare che venisse presentata. Nel colloquio del 12, egli, in perfetta buona fede, ha espresso questa idea come propria ed io mi son ben guardato dal reclamarne la proprietà letteraria, e l’ho lodata come sua. Per attuarla, due mezzi vi sono, come ho già telegrafato a V.E., uno è quello ideato da sir Edward Grey, e certo già in corso d’attuazione, cioè di pratiche del Governo inglese presso il Governo francese, l’altro, quello suggeritogli da me, e da lui non assolutamente respinto, di formolare addirittura la sua proposta, quella cioè, d’affidare la vigilanza sulla giustizia alla commissione finanziaria internazionale, e, o presentarla officialmente alle potenze, prima che Austria e Russia presentino la loro o farsi interrogare in Parlamento e formularla pubblicamente in risposta ai deputati interroganti. Le due vie non si escludono: sir Edward Grey preferisce la prima, ma, siccome è dubbio che conduca allo scopo, la seconda, compromettendo il Governo inglese, gioverebbe di più ai nostri fini. Ad ogni modo è certo sincero il desiderio di sir Edward Grey di procedere d’accordo coll’Italia, sebbene sia, nell’animo suo, combattuto da tutte le cause in senso contrario che ho esposto a V.E., e l’opra mia deve consistere nel tentare di contribuire a far sì che tra queste forze diverse la risultante sia, in una forma o nell’altra, l’appoggio della Gran Bretagna alle nostre vedute.

E che così avverrà a me pare non certissimo ma probabilissimo, almeno in una certa misura, massime se sir Edward Grey si convincerà che l’Italia non è disposta a cedere, e considera la condotta della Gran Bretagna in questa questione come una prova idonea a dare la misura della intensità e del valore della sua amicizia.

Intanto, reputo opportuno di non tornare a far visita a sir Edward Grey, né per questo né per altro argomento, salvo casi imprevisti, fino a quando egli, come si convenne, non mi farà chiamare.

Concordo pienamente con V.E. che ora non sia opportuno, giusta il suo telegramma 24455, fare alcuna manifestazione da parte nostra. Siccome però il predetto telegramma fa precedere la parola [scil. “manifestazione” da] “ulterore”, è necessario che io la informi che non è giunta notizia di alcuna manifestazione italiana in proposito, né io ne ho fatta alcuna, avendo dato ai miei tre colloqui con sir Edward Grey un carattere assolutamente confidenziale. Conoscendo la lealtà e serietà dell’indole di lui, mi è parso poco riguardoso raccomandargli di non dire, nelle sue aperture colla Francia, che ha avuto con me questi colloqui e che gli è stato comunicato il pensiero dell’Italia, ma io credo che, dato il modo con cui le nostre conversazioni si sono svolte egli avrebbe il dovere di parlare alla Francia in nome esclusivo del Governo britannico, pur potendo aggiungere che non dubita degli intendimenti dell’Italia. Può darsi che egli, nella sua diritta coscienza, giudichi altrimenti, ma io al suo posto penserei ed agirei così.

Ciò che in quella vece, io crederei assai utile a noi, si è che egli, non noi, facesse una manifestazione, cioè, come ho gia detto, prima che venga presentata la proposta duale, dica in Parlamento od altrove che vuol proporre l’estensione alla giustizia dei poteri della comissione finanziaria internazionale.

Il mio concetto è stato sempre, dal primo momento che, anziché porsi nella necessità di combattere la proposta duale, sia molto meglio tentare di evitare che fosse presentata, sia perché ciò facilita l’esito favorevole della speciale questione, sia perché è più giovevole ai buoni rapporti tra l’Italia e l’Austria. Se non che, per ottenere questo risultato era necessario ed urgente, visto le forze che possono sul Governo inglese agire contrariamente ai nostri desideri, che sir Edward Grey, prima di compromettersi con chicchessia, sapesse positivamente che questa è una questione alla quale l’Italia tiene molto. Questo è stato lo scopo, questa l’intonazione dei miei tre colloqui, e, qualunque sia l’esito definitivo della questione, non ho il menomo dubbio che, siano stati utilissimi, anzi indispensabili e che un ritardo anche breve od un linguaggio meno fermo avrebbero avuto irreparabili conseguenze6.

174 1 Vedi D. 171.

176

L’AMBASCIATORE A BERLINO, LANzA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2825/230. Berlino, 14 novembre 1906, ore 21,40.

Oggi il principe di Bülow tenne al Reichstag lungo discorso sulla politica estera dell’Impero, riscuotendo applausi quasi generali di tutta l’assemblea. S.A. Serenissima passò in rassegna relazioni dell’Impero con i varii paesi. Parlando dell’Italia, rilevò contegno corretto osservato dal Governo del Re durante lo svolgimento dell’affare

6 Vedi D. 184.

del Marocco, deplorando, però, linguaggio stampa durante i negoziati di Algeciras. Biasimò voci di mene germaniche nella Tripolitania come messe in giro per intorbidare buone relazioni tra i due paesi.

Agenzia Wolff ha già comunicato Agenzia Stefani sunto dell’importante discorso del Cancelliere dell’Impero. Io mi riservo tornarvi su domani, dopo di avere letto resoconto completo seduta.

175 5 Vedi D. 174.

177

L’AMBASCIATORE A BERLINO, LANzA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 2488/803. Berlino, 15 novembre 1906 (perv. il 19).

Faccio seguito al mio telegramma di ieri, n. 2301 e 2332 di oggi. V.E. avrà a quest’ora già letto il sunto del discorso pronunziato nella seduta di

jeri del Reichstag dal Cancelliere dell’Impero in risposta all’interpellanza del deputato nazionale liberale Bassermann. Per valutarne tutta la portata e apprezzarne il significato esso va posto in relazione con le parole dette dal Bassermann e con lo svolgimento dell’intera seduta. È perciò che io mi onoro inviare qui entro [sic] all’E.V. il resoconto della intiera seduta riassumendone in pari tempo i punti più salienti o facendo oggetto di più accudito [sic] esame quella parte della medesima che riguarda le relazioni della Germania coll’Italia e la Triplice Alleanza.

Il sig. Bassermann motivando la sua interpellanza cominciò dal rammentare le memorie del principe Hohenlohe, dal rilevare le preoccupazioni crescenti dell’opinione pubblica che nel campo della politica internazionale ha il sentimento vago di un isolamento dell’Impero di fronte a coalizioni di potenze ostili alla Germania «Questa parola “isolamento dell’Impero” è sulla bocca di tutti» disse l’interpellante, «e noi udiremo dalla bocca del Cancelliere fino a qual punto questa parola risponda alla realtà delle cose. I capisaldi della politica estera del principe di Bismarck erano la Triplice Alleanza e [...]3 il Trattato di Assicurazione reciproca con la Russia. Al momento in cui il Cancelliere di ferro abbandonò il Palazzo della Wilhelmstrasse sussisteva l’antico antagonismo tra l’Inghilterra e la Francia, tra la Russia e l’AustriaUngheria nei Balcani, tra l’Inghilterra e la Russia nell’Asia orientale [...]3. L’eredità che ci lasciò era splendida, una politica cioè di pace conscia dei proprii fini, che ha potuto durare fino ai giorni d’oggi. Noi possiamo soltanto dire che a quei tempi la Germania era amata e rispettata in tutto il mondo. Se noi facciamo il bilancio del 1906, noi dobbiamo invece riconoscere che più non sussiste l’opera della diplomazia

2 T. 2835/233, non pubblicato. 3 Gruppo mancante.

bismarkiana, diplomazia che consisteva in un freddo calcolo di tutte le eventualità nelle relazioni internazionali. Dopo il principe di Bismarck noi siamo entrati in un periodo di viaggi, di discorsi, di telegrammi, di gentilezze, in un periodo di irrequietezza che causa inquietudine, non solo all’interno, ma anche all’estero. Per ciò che concerne la Triplice Alleanza essa fu dallo stesso principe di Bismarck indicata come non eterna [...]3. La critica cui si sottopone oggi questa alleanza giunge al risultato, che questo patto non ha quasi più alcuna utilità pratica per la Germania e che in ogni modo il suo valore, il suo significato è di molto ridotto. Ciò anzitutto appare nelle nostre relazioni coll’Italia. Da lungo queste relazioni dell’Impero con l’Italia sono peggiorate, sono andate divenendo sempre più intime quelle dell’Italia con la Francia e con l’Inghilterra. E’ stato detto abbastanza chiaramente che la condotta dell’Italia in Algeciras e specie la nomina di Visconti Venosta non erano da considerarsi come atti di speciale amicizia verso la Germania. Oggi viene domandato se quella condotta dell’Italia ha corrisposto alle aspettative della Germania, se veramente l’Italia ha tenuto quella condotta verso di noi che era da atttendersi da un’alleata. Questo noi possiamo constatare: che la stampa ed il popolo in Italia di anno in anno sono andati sempre più piegando verso la Francia. Risulterà anche a molti deputati per esperienza propria, da lettere ricevute da parte di tedeschi residenti in Italia, che anche l’esistenza dei tedeschi nella penisola diventa sempre più sgradevole. Noi ci domandiamo, in caso di guerra con la Francia e l’Inghilterrra, l’Italia adempierebbe ai suoi doveri di alleata? Qualora a questa domanda non si possa dare una risposta affermativa, l’alleanza avrà forse valore per l’Italia, ma per la Germania è divenuta nulla. Bisogna poi raggiungere il peggioramento delle relazioni fra l’Italia e l’Austria-Ungheria. L’Italia rivolge oggi il suo sguardo non più a Nizza e alla Savoia, ma alle regioni italiane della Monarchia austriaca. Chi oggi si trova ai confini dei due Stati s’imbatte dovunque in forti, che gli alleati si costruiscono l’uno contro l’altro. Il tono della stampa dei due paesi è diventato straordinariamente sgarbato, e si confà più a genti in conflitto fra loro che ad alleati». Il deputato Bassermann passò poi a trattare delle relazioni della Germania con l’Inghilterra, con l’Austria-Ungheria cercando giustificare le preoccupazioni dell’opinione pubblica sul terreno della politica internazionale.

A rispondergli si alzò tosto il principe di Bülow, che cominciò col manifestare la sua gratitudine per la parte presa dall’assemblea in occasione della sua malattia. S.A. Serenissima entrò poi subito a parlare della posizione dell’Impero nel campo delle relazioni internazionali. Il pensiero di un avvicinamento con la Francia è presentemente irrealizzabile – a ciò si oppone la vivacità del patriottismo francese – ad ogni modo l’incidente del Marocco ha provato che i due popoli desiderano vivere tra loro in pace non è escluso però che le due nazioni possano addivenire ad accordi sul terreno della politica coloniale. «Noi d’altra parte» soggiunse «non abbiamo l’intenzione di mischiarci tra la Francia e l’Inghilterra o tra la Francia e la Russia, a fare cioè di questa intenzione oggetto della nostra politica estera aperta od occulta. D’altronde una politica delle altre potenze che tendesse ad isolare la Germania sarebbe un pericolo per la pace in Europa. Tra la Germania e l’Inghilterra non esistono profondi contrasti politici. Le due nazioni sono reciprocamente i migliori avventori ed hanno ragione di rimanere tali. Ogni popolo ha pieno diritto alla considerazione da parte degli altri. Il pensiero che la costruzione della flotta tedesca sia una minaccia contro

l’Inghilterra è semplimente assurdo. La Germania ha diritto come ogni altra potenza di procurarsi una flotta rispondente ai bisogni dei suoi numerosi interessi commerciali e alla necessità della sua esistenza. La Germania prosegue una politica eminentemente pacifica».

Passando a parlare dell’Italia il principe di Bülow aggiunse «Il deputato Bassermann pensa che la condotta dell’Italia nella Conferenza di Algeciras non ha risposto alle nostre aspettative il che avrebbe dato a noi ragione di scontento. La condotta in quell’occasione di alcuni giornali italiani non fu senza dubbio consona all’alleanza esistente fra la Germania e l’Italia. Ma sopra il contegno del Governo italiano e specialmente dei signori Sonnino, San Giuliano, Visconti Venosta e Guicciardini noi non avemmo da lamentarci. L’Italia si trovò in occasione della Conferenza di Algeciras in una difficile situazione. Relativamente al Marocco esistevano alcuni accordi fra la Francia e l’Italia, accordi che noi sappiamo non essere in contrasto col trattato della Triplice Alleanza. Noi abbiamo detto agli italiani alcuni anni or sono, prima del tempo mio, che noi dovevamo lasciarli liberi di mettersi d’accordo con i loro vicini nel Mediterraneo e specialmente in Africa.

Quando pertanto la maniera ed il modo con cui i nostri diritti al Marocco, nascenti da’ trattati erano stati ignorati, c’indussero ad un’azione energica e si venne infine alla Conferenza di Algeciras, l’Italia si trovò in una situazione non facile. In questa situazione il Governo italiano si è condotto di fronte a noi correttamente, non solo informandoci per tempo della misura dell’appoggio che esso avrebbe potuto darci in Algeciras, ma anche sostenendo, in quanto gli era possibile, i principii da noi rappresentati e promuovendo il raggiungimento di quegli scopi che noi avevamo di mira. Come prova di ciò io voglio leggere un telegramma che ricevetti in un momento critico della Conferenza da parte del nostro primo delegato sig. von Radowitz».

«Marchese Visconti Venosta, egli mi telegrafò l’11 marzo, si è in questi ultimi tempi specialmente adoperato, al di fuori delle sedute della Conferenza, per influenzare i francesi sulle quistioni della Banca e della Polizia nel senso delle nostre domande, ciò che certamente è stato utile e che potrà esserlo in seguito. È da avere maggiore vantaggio da questa azione che non da un diretto suo intervento nelle sedute della conferenza, che egli possibilmente evita».

A questo punto il Canceliere passa a parlare delle voci di un’azione tedesca nella Tripolitania, voci che egli relega nel mondo delle favole e che biasima come destinato a intorbidare le relazione fra i due paesi.

Egli poi soggiunse: «io non voglio poi dar maggior peso di quello che realmente hanno certe parole pronunciate da questo o quell’uomo politico italiano irresponsabile [...]3. Quando uno non ha responsabilità dice alle volte delle cose che quando è diventato ministro non pone senz’altro in pratica [...]3. Per quanto concerne però gli uomini politici italiani la maggioranza di essi non ha bisogno di cambiare la propria maniera di pensare, poichè tutti gli uomini ragionevoli politici italiani, siano essi ministri o siano per diventarlo, sono troppo patriottici, troppo accorti, per pensare a far uscire la nave dello Stato italiano dal porto trranquillo della Triplice, dove sicuro è l’ancoraggio, per condurla nel burrascoso mare dei nuovi aggruppamenti ad una traversata senza compasso ed avventurosa. Gli uomini politici italiani a qualunque partito appartengono, desiderano il mantenimento della pace e per sè e per gli altri. Se l’Italia si staccasse dalla Triplice o seguisse una

politica di altalena e incerta, aumenterebbe i pericoli di una grande e generale conflagrazione. La Triplice Allenza non ha avuto ancora occasione di esser messa praticamente alla prova. Questa possibilità è stata appunto risparmiata, in seguito alla sua esistenza stessa, appunto perchè esisteva questa unione delle potenze centrali. Ciò ha essenzialmente contribuito a mantenere lontani i pericoli per l’integrità e l’indipendenza degli Stati alleati, e con ciò un gran pericolo per la pace europea. Se è riuscita ad allontanare questi pericoli senza cozzi sanguinosi, senza costanti minacce e paure di guerre dannose alla vita economica delle nazioni, ciò prova il valore della Triplie Alleanza che ha anche altri importanti vantaggi di fronte a tutte le altre combinazioni possibili. La Triplice Alleanza offre tra altro anche l’utilità di escludere conflitti fra le tre monarchie alleate. Se l’Italia e l’Austria-Ungheria non fossero alleate le relazioni fra i due paesi potrebbero diventare tese. Cosicché la Triplice Alleanza, alla quale sono interessati i tre alleati in pari misura, noi né meno né più degli altri, è non soltanto uno sgravio politico per tutta l’Europa, ma anche una fonte dell’attuale prosperità economica generale, che è strettamente connessa con il mantenimento della pace. Cosicché noi possiamo dire senza esagerazione che il mantenimento della Triplice Alleanza risponde all’interesse europeo perché risponde all’interesse della pace».

Passando poi a parlare dell’Austria-Ungheria l’oratore notò che come questa si tiene stretta alla Germania, l’Impero la contraccambia con uguale fedeltà. Niente è più lontano dal pensiero del Governo imperiale che d’immischiarsi negli affari interni della Monarchia austro-ungarica. La stessa attitudine di riserva l’Impero la serba di fronte alla Russia. Tutte le voci di un intervento della Germania nelle provincie russe polacche e baltiche, sono fiabe tendenziose. Le relazioni dell’Impero con la Cina ed il Giappone sono assolutamente soddisfacenti verso gli Stati Uniti, la Germania è destinata a mantenere buone relazioni per cause naturali e storiche. Gli Stati Uniti hanno reso un gran servizio alla pace mondiale contribuendo efficacemente alla pace fra la Russia e il Giappone, alla Germania colla loro condotta in occasione della Conferenza di Algeciras.

Il Cancelliere poi si difese dall’accusa mossagli di non usare l’energia ed i modi del principe di Bismarck. «Ogni uomo», egli dice, «per grande che sia, è figlio dei propri tempi. Altri tempi, altri uomini, e altri sistemi. La nostra situazione oggi sarebbe più sicura e più facile di quella che non fosse nel 1880 se nel frattempo non avessimo inaugurata una politica d’oltre mare.

Il pericolo di un attacco da parte della Russia oggi è molto più lontano di quello che non lo fosse allora. In quei tempi in Austria-Ungheria ed in Italia si parlava meno pubblicamente della Triplice Alleanza ma questo fatto aveva nell’ombra a quell’epoca nemici più influenti e più accorti. Anzitutto la Germania era meno forte, sia in confronto dei suoi nemici e dei suoi rivali».

La previsione fatta dopo la Conferenza di Algeciras di un prossimo avvenire più tranquillo si è avverata. Del resto un popolo di 60 milioni non è mai isolato finchè ha coscienza della propria forza «procuriamo che le nostre forze terrestri e navali siano sufficienti alla difesa. Dimentichiamo una buona volta le nostre divisioni interne politiche professionali ed economiche di fronte all’interesse, al bene, al diritto della generalità, e allora il popolo tedesco saprà sostenere la sua posizione nel mondo».

Con queste parole il Cancelliere terminò il suo discorso durato senza interruzione per più di un’ora e mezzo. Ma le fatiche della giornata non erano per il principe di Bülow ancora giunte al termine.

Dopo di lui presero la parola il deputato socialista von Vollmarn il deputato radicale Wiener che attaccarono vivacemente il «regime personale» di Sua Maestà, il sistema seguito dal Governo di tenere il Parlamento quasi all’oscuro per ciò che riguarda la politica estera dell’Impero, il personale diplomatico ecc.

Il principe Bülow non volle tardare a rispondere ai nuovi attacchi difendendo l’opera e la condotta della diplomazia imperiale, e sé stesso dall’accusa di noncuranza dei diritti del Reichstag. Parlando del regime personale il Cancelliere disse che tutto quanto viene detto su quest’argomento tocca lui stesso perchè egli solo è il responsabile del Governo. Un Cancelliere dell’Impero coscienzioso sa fin dove egli può andare col suo Sovrano, cosa ha da fare cosa ha da lasciare. Quando si parla dell’indipendenza del monarca in Germania non bisogna dimenticare che qui non vive un sistema parlamentare come in Inghilterra. L’uomo di Stato responsabile in Germania deve curare che le cose procedano secondo l’ordine costituzionale. Se egli possa rimanere in carica o eventualmente debba andarsene, ciò non sottostà in Germania al voto del Parlamento, ma sibbene a cosa dipendente dal sentimento del proprio dovere nel Cancelliere di fronte alla Corona ed al paese. Certo è nell’interesse della Monarchia che il monarca non appaia troppo spesso in pubblico non coperto da un mantello ministeriale, come disse a suo tempo Bismarck. Ma la concezione che il monarca debba pensare colla testa dei suoi ministri non è in armonia con il diritto costituzionale tedesco con lo stesso sentimento del popolo tedesco, che vuole un imperatore di carne ed ossa. Mai l’Imperatore non [sic] si è posto in opposizione alla Costituzione, a questa rimarrà sempre fedele anche in avvenire.

Con questo secondo discorso del principe Bülow fu chiusa la seduta di jeri, ma non la discussione dell’interpellanza del deputato Bassermann, che oggi è stata ripresa.

177 1 Vedi D. 176.

178

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 2461. Roma, 16 novembre 1906, ore 9.

Barrère è venuto a parlarmi della firma dell’accordo per Etiopia e incidentalmente della questione del traffico delle armi. Gli ho risposto che quando convenzione per le armi sarà pronta, si firmerà insieme con quella per la Etiopia. Barrère ha trovato giusta la nostra osservazione che ai capi etiopici non sia consentito di chiedere ed avere armi direttamente, ma che siano nominativamente indicati nella dichiarazione del Governo richiedente se questo crede indicarli. Analoga comunicazione, ha fatto all’ambasciatore d’Inghilterra.

2 Non pubblicata.

179 1 Da ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Carte Martini, b. 20, fasc. 18.

179

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL COMMISSARIO CIVILE PER L’ERITREA, MARTINI1

L. Londra, 16 novembre 1906.

La tua del 5 non mi dà purtroppo speranze d’una tua prossima visita a Londra2. Credo anch’io che l’accordo sull’Etiopia lasci molto a desiderare per noi, e fui

contento che la crisi ministeriale di febbraio mi liberasse della responsabilità di decidere. Credo però che migliore non si potesse ottenere, e che senza accordo i nostri interessi in Etiopia sarebbero stati danneggiati ancor di più, anche perché il modo come funziona da noi il regime parlamentare e lo stato dell’opinione pubblica non fanno sperare un’azione di guerra continuata e ferma in politica coloniale. Inoltre, rifiutando di fare l’accordo ne avremmo risentito il contraccolpo in tutti i nostri rapporti internazionali e in tutti i nostri interessi altrove. La formula vaga in esso adoperata non esclude affatto che la linea della Didessa possa segnare il confine tra la sfera di influenza inglese e la nostra. L’accordo poi contiene alcune clausole che possono froisser Menelik, e che avrebbero dovuto essere segrete ma il Governo inglese non ha voluto condizione alcuna, che non possa esser detta al Parlamento.

L’idea di Harrington di una nuova Algeciras mi pare da escludere affatto. Mi duole molto per l’Eritrea che tu la lasci: se nulla ti determinerà a tornarvi, la

scelta di De Martino mi par buona. Io non credo che avrei potuto resistere per molti mesi all’eccitazione eccessiva

dell’aria di Catania. Qui finora sto meglio, ci credi, che in Italia e trovo il clima molto così migliore della tua Roma, ma ho di rado ciò che a me più piace in Roma, e mi rende singolarmente cara quella città incomprensibile cioè un po’ di conversazione intellettuale ed arguta la sera, en petit comité.

Quanto alla ferrovia Assab-Borumieda, certo l’accordo la esclude: ma non esclude una strada per automobili. Su questo mezzo di trasporto per l’Africa, mi esprimeva l’altra sera la sua fiducia sir S.T. Goldie, uno dei fondatori della Nigeria inglese, che spera costruirne un dì da Ilorin, dove arriva la ferrovia da Lagos, a Kano e Sokhoto.

180

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 2334/835. Costantinopoli, 20 novembre 1906 (perv. il 27).

In un recente colloquio col gran visir, Sua Altezza mi disse, in via strettamente confidenziale, che il Governo ellenico sta mettendo a dura prova la pazienza della Sublime Porta. Malgrado tutte le dichiarazioni in contrario, risulta qui in modo positivo che le autorità greche, lungi dall’opporsi alla organizzazione della propaganda rivoluzionaria, la incoraggiano, la fomentano, favorendo il passaggio delle bande sul territorio ottomano. D’altra parte i consoli greci in Macedonia profittano delle loro immunità per trasformarsi in veri e propri agenti, rivoluzionarii. A Costantinopoli poi la legazione, mentre dirige l’azione dei consoli e dei comitati greci, esercita nefasta influenza sul Patriarcato spingendolo ad assumere un contegno sempre più ostile e più intransigente. Sua Altezza mi confermò la notizia della nomina dell’ex-metropolita di Grebena a membro del Santo Sinodo del Patriarcato. Ferid Pascià considerava come una vera provocazione la nomina di quel prelato che ha sulla coscienza tanti eccidii, tante atrocità a danno dei bulgari e del quale il Governo imperiale fu costretto a reclamare l’allontanamento dalla sua sede episcopale. «Così» concludeva Sua Altezza «non è possibile andare avanti. E se i greci non cambiano sistema, e non finiscono di crearci imbarazzi, io mi vedrò costretto di intervenire energicamente presso il Sultano, cui proporrò di rompere le relazioni colla Grecia mandando i passaporti al sig. Gryparis e ritirando l’exequatur ai consoli ellenici in Macedonia». Ferid Pascià era seriamente adirato ed indignato per avere proprio allora ricevuto i particolari del recente eccidio di Karadja Keui, commesso, siccome l’ha riferito il cav. Milazzo, da una banda greca.

In replica dissi a Sua Altezza che non potevo disconoscere certo il fondamento delle sue lagnanze. Dovevo solo fargli osservare che lo stato di cose da lui deplorato era la conseguenza naturale degli incoraggiamenti innegabili dati da due anni a questa parte dalle autorità imperiali alla propaganda rivoluzionaria ellenica contrariamente ai ripetuti avvertimenti ed agli amichevoli consigli che i miei colleghi ed io non abbiamo mai cessato di rivolgere sia alla Sublime Porta, sia al Palazzo. Il Governo ottomano raccoglie oggi quello che ha seminato. Qui m’interruppe Sua Altezza dichiarandomi che la responsabilità di tutto ciò non può ricadere su di lui, ma piuttosto sui soliti consiglieri irresponsabili, che, per scopi non sempre retti, nascondono la verità al Sultano e lo spingono a seguire una politica non sempre conforme agli interessi reali e positivi dell’Impero.

Cambiando argomento Sua Altezza, non mi nascose le sue speranze in un serio riavvicinamento con i bulgari. Egli si disse assai lieto della caduta del generale Petrov e dell’avvento al potere del sig. Pekrov, noto per le sue disposizioni favorevoli al mantenimento delle buone relazioni colla Turchia. Presi a mia volta atto con soddisfazione delle dichiarazioni al riguardo fattemi da Sua Altezza e delle buone intenzioni da lui manifestatami, osservando che la tendenza a ristabilire le buone relazioni

colla Bulgaria costitutiva a mio avviso un passo sulla buona via. Aggiunsi che in questo ordine d’idee, che a nome e per desiderio di V.E. io ho continuatamente raccomandato e caldeggiato da che mi trovo a Costantinopoli, il Governo imperiale poteva essere sicuro della simpatia e dell’incoraggiamento dell’Italia, la quale nelle buone relazioni turco-bulgare ravvisa una delle migliori e più efficaci garanzie del mantenimento della pace nella Penisola Balcanica. A raggiungere lo scopo occorre, però, che il Governo imperiale mostri nelle trattative colla Bulgaria per regolare le questioni tuttora pendenti, uno spirito di arrendevolezza ed una tendenza conciliante alquanto maggiore di quella di cui ha finora dato prova. In caso contrario le relazioni invece di migliorare andranno sempre più peggiorando, e la Turchia finirà per alienarsi le simpatie dell’attuale Gabinetto bulgaro più che ogni altro favorevole alla intesa sincera e duratura tra i due paesi.

Replicò Sua Altezza che egli si propone di dar prova della massima buona volontà e si augura sinceramente di veder tornare qui il sig. Natchovits, persona assai grata alla Sublime Porta ed a Palazzo1.

181

L’AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENzIALE 1290/636. Madrid, 20 novembre 1906 (perv. il 24).

Mi pregio trasmettere qui acclusa a V.E. la relazione della commissione del Senato spagnuolo sul progetto di legge per l’approvazione dell’atto generale d’Algeciras1. Era posta la data del 7 corrente.

Chiamo l’attenzione dell’E.V. su quanto è detto in quel documento riguardo alla politica dell’Italia alla Conferenza marocchina: «Italia unida à las aspiraciones de los pueblos mediterraneos». Tale frase in se stessa abbastanza vaga, ha però nel testo il senso ovvio e preciso che l’Italia parteggiò per la Francia contro alla Germania. Questa interpretazione essendo stata qualificata da V.E. nel dispaccio del 16 giugno u.s. n. 159, p242, come contraria alle intenzioni e all’atteggiamento dell’Italia nel seno della Conferenza, io credo mio debito di segnalarla al solo scopo di mostrare ancora una volta che, in seguito ai malaugurati equivoci del decorso inverno, rimane ancora in questi circoli politici la convinzione che l’Italia si sia distaccata dai propri alleati3.

181 1 Non si pubblica.

2 Non pubblicato. 3 Per la risposta vedi D. 194.

180 1 Annotazione a margine autografa di Tittoni: «È bene informare di tutto ciò Cucchi Boasso».

182

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A BERLINO, LANzA

T. RISERVATO1. Roma, 21 novembre 1906, ore 19,45.

Voglia dire al Cancelliere dell’Impero quale ottima impressione il suo discorso al Reichstag abbia prodotta in tutta Italia, e quanto io sia stato compiaciuto delle sue franche e leali dichiarazioni circa la politica seguita dal Governo del Re nelle relazioni colle potenze alleate. Soggiunga che considero come una combinazione particolarmente fortunata il fatto che sia stata aperta dal principe di Bülow la serie di queste manifestazioni destinate ad avere sì salutare influenza sull’opinione pubblica europea, a cui faranno seguito in piena corrispondenza di interessi le dichiarazioni che farà senza dubbio il ministro degli affari esteri austro-ungarico alle Delegazioni, e quella che mi propongo di pronunciare nel nostro Parlamento in occasione della discussione del bilancio degli esteri che ritengo avrà luogo il 10 dicembre.

183

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 2887/247. Pera, 21 novembre 1906, ore 14,30.

Causa festa Bairam ho potuto solo oggi conferire col gran vizir, cui ho tenuto linguaggio conforme alle istruzioni di V.E. contenute nel telegramma 24651, insistendo specialmente su nostro desiderio di rendere lealmente servizio Sultano cooperando pacificazione Yemen. S.A. mi ha replicato che, ignorando motivo arresto Kipsi, avrebbe chiesto telegraficamente spiegazioni a Feizi pascià, dopo di che avrebbe preso decisione circa opportunità presentare Sultano domanda grazia.

183 1 T. riservato 2465 del 16 novembre, non pubblicato.

182 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

184

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. 71534/528. Roma, 23 novembre 1906.

Ringrazio in particolar modo l’E.V. dell’interessante suo rapporto n. 484, in data del 13 novembre1, relativo ai colloqui avuti con sir Edward Grey intorno alla proposta tendente ad affidare ai due agenti civili d’Austria e di Russia la vigilanza sulla riforma giudiziaria in Macedonia.

Il linguaggio tenuto dall’E.V. con sir E. Grey su questo argomento rispecchia esattamente il pensiero del R. Governo, e tale linguaggio fu appunto quella opportuna manifestazione del nostro pensiero a cui io alludevo, affermandola col mio telegramma del 13 novembre n. 24452. Confermo pertanto quel mio telegramma. Oramai li convinsi di attendere, senza che costì occorra ulteriore iniziativa da parte nostra, le decisioni che il Governo inglese vorrà prendere e che sir E. Grey comunicherà a V.E., bastando come gli avvertii in altro mio dispaccio che, quante volte se ne presenti l’occasione, ella si riferisca ai concetti già enunciati circa il presente argomento.

Voglia intanto V.E. tenermi informato dello svolgimento che la questione possa avere, in quanto concerne gli intendimenti e la eventuale azione del Governo britannico. Non mancherò dal canto mio di tenere informata l’E.V. delle notizie già richieste a Berlino e a Parigi sul pensiero di quei Governi e di qualsiasi altra che sul presente soggetto, sarà per venire anche d’altra parte a mia conoscenza.

185

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. SEGRETO1. Roma, 24 novembre 1906, ore 17,30.

Le trascrivo la lettera che S.M. il Re dirige a Menelik il 15 corrente e che invierò per posta. Prego comunicarla subito al Negus.

«Ferdinando Martini governatore della nostra Colonia Eritrea mi ha portato la lettera di Vostra Maestà scritta in Addis Abeba il 25 del mese di luglio di quest’anno e mi ha consegnato le insegne della grande decorazione di Etiopia. Il pensiero che ha

2 Vedi D. 174.

mosso Vostra Maestà nello scrivermi e nel mandarmi questa decorazione è stato da me molto gradito. Io ne ringrazio molto Vostra Maestà, ringrazio per le accoglienze fatte al governatore Martini che sono state una conferma dell’amicizia fra i nostri paesi e i nostri popoli.

Il governatore Martini mi ha espresso desiderio di Vostra Maestà, facendomi conoscere quanto vivo fosse questo desiderio e come a Vostra Maestà importasse di vederlo appagato.

Io sarò molto lieto se potrò farle cosa grata, ma Vostra Maestà comprende come sia necessario che alla concessione che Vostra Maestà domanda corrisponda una concessione da parte sua.

Io dò incarico al mio Governo di esporle quale compenso sia da me desiderato, come pegno di reciproca amicizia e fiducia e nell’intendimento di eliminare ogni possibile dissenso fra l’Etiopia e l’Italia.

Prego Iddio che le dia lunga vita e salute e accresca la sua grandezza».

184 1 Vedi D. 175.

185 1 Dall’Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana. Trasmesso via Asmara.

186

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. SEGRETO1. Roma, 24 novembre 1906, ore 17,30.

S.M. il Re mi ha comunicato desiderio Menelik avere sbocco al mare e incaricato studiare modo soddisfarlo mediante compenso adeguato grande concessione domandata che realizza un sogno secolare dei Sovrani di Etiopia. Questa concessione non può non essere molto discussa da opinione pubblica e Parlamento al quale R. Governo dovrà comunicarla. R. Governo deve quindi poter dimostrare nostra concessione essere compensata da altra di evidente utilità.

Governo italiano concede a Menelik sbocco al mare per la via Auasc-Adele Gubò-Gana-Hamal-Raheita con facoltà stabilire stazione commerciale Raheita. Quando, per qualsiasi ragione, Menelik non credesse più valersene, rimane inteso che Governo italiano rientrerà nel pieno possesso suoi primitivi diritti. La stazione commerciale Raheita dovrà essere direttamente esercitata da Menelik, il quale si obbliga a non introdurre per quella via armi e munizioni che non siano a lui direttamente e strettamente necessari e si obbliga altresì ad impedire che i suoi capi o dipendenti di qualsiasi genere ne facciano commercio.

L’Italia domanda seguenti compensi: 1) il confine tra Etiopia e Somalia italiana è limitato nel seguente modo, il Giuba Ganale fino all’incontro col 42° meridiano, il 42° meridiano fino al 6° parallelo, dall’intersezione col 6° parallelo una linea ad ovest di Imi, da Imi una che va al 46° meridiano ovest di Uarandab, infine il 44° meridiano fino a raggiungere il confine anglo-etiopico del 4 giugno 1897. 2) Menelik

concede all’Italia la stazione di Let Marefià alle stesse condizioni alle quali la teneva la Società Geografica. 3) Menelik promette la prosecuzione di una linea ferroviaria dal confine eritreo fino ad Adua. 4) Menelik conferma intese verbali con Martini relative alla delimitazione del confine dancalo.

Compenso da noi domandato verso la Somalia mentre guarentirebbe tranquillità e sviluppo commerciale Somalia, ha scarso valore per Etiopia trattandosi in complesso di territorio sabbioso e sprovvisto acqua, di clima non confacente agli abissini e abitato da povere tribù nomadi che sfuggono al tributo. Linea domandata passa ad ovest dei Borana e a sud degli Arussi, lasciando all’Etiopia tutte le tribù Galla e a noi le tribù somale naturalmente attratte al Sud.

Prego comunicare quanto precede a Menelik mettendo in evidenza desiderio del Nostro Sovrano di compiacere a Menelik, e necessità che concessione sia concordata nel modo suindicato. A lei mi affido pel modo di presentare e condurre il negoziato.

186 1 Dall’Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana. Trasmesso via Asmara.

187

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A BERLINO, LANzA

DISP. 71701/549. Roma, 24 novembre 1906.

Mi sono regolarmente pervenuti: il rapporto dell’E.V. in data 8 corrente n. 7871 concernente le voci in corso costì di una prossima crisi nell’alta carica di Cancelliere dell’Impero, in relazione colle condizioni fisiche e colla posizione politica del principe von Bülow; il rapporto in data 11 corrente n. 7941 che indicava la situazione come sensibilmente migliorata in seguito alle pubblicazioni ufficiali della Norddeutsche Allgemaine Zeitung e all’accettazione per parte di S.M. l’Imperatore delle dimissioni del sig. von Podbielski; il rapporto 14 novembre n. 8001 concernente oltre al detto sig. Podbielski le imminenti dichiarazioni del Cancelliere dell’Impero del Reichstag sulla questione della politica estera e su quella del disagio economico pel rincaro dei mezzi di sussistenza i due telegrammi in data 15 e 16 corrente nn. 233 e 2352 relativi alla discussione avvenuta al Reichstag stesso sulla politica estera ed al discorso pronunciato in tale occasione dal Cancelliere; ed, infine, il rapporto 15 corrente n. 833, contenente un largo sunto del discorso stesso ed avente come annesso il testo del resoconto della intera discussione.

Ringrazio V.E. di tutte queste sue comunicazioni. Sono lieto di rilevare, oltre al successo politico del principe di Bülow, l’assicu-

razione dell’E.V. che debba oramai considerarsi come svanito ogni timore circa l’impossibilità in cui egli poteva trovarsi per motivi di salute di seguitare ad occupare l’alta carica.

2 Non pubblicati. 3 Si tratta del rapporto 803, vedi D. 177.

Aggiungo poi per l’informazione dell’E.V. che, secondo un telegramma del r. ambasciatore in Londra, in data 16 corrente4, il discorso di Sua Altezza ha fatto anche colà buona impressione e S.M. il Re Edoardo ha espresso in proposito all’ambasciatore di Germania il suo compiacimento.

187 1 Non pubblicato.

188

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 889/249. Belgrado, 25 novembre 1906 (perv. il 10 dicembre).

Appena giunsi a Belgrado reduce dal congedo, chiesi ed ottenni di essere ammesso a presentare i miei omaggi a S.M. il Re Pietro, il quale mi fece l’onore di ricevermi il giorno 19 corrente e di intrattenersi meco lungamente.

Dopo avermi chiesto con molto interesse minuti particolari intorno alla salute delle Loro Maestà e dei Reali Principi, venne a parlarmi egli stesso delle cose di Serbia, mostrandosi molto lieto dei risultati ottenuti: «Vi era in paese» – disse – «chi temeva grandemente la rottura delle relazioni commerciali coll’Austria per i danni che potevano venirne alle nostre esportazioni, le quali avevano tutte in AustriaUngheria il loro mercato naturale e tradizionale. Invece le cose sono andate molto differentemente da quello che si temeva. I nostri cereali hanno preso la via del Danubio e trovano prezzi elevati sui mercati di Braila. Le prugne e le loro composte, Pekmes, sono ora vendute in Germania ad un prezzo quasi doppio di quello che ci veniva pagato dagli austriaci e che rappresentava il guadagno che questi ultimi facevano rivendendo ai tedeschi la nostra merce. I nostri buoi trovano a buoni prezzi pronti acquirenti sui mercati di Genova, Napoli ed Egitto. Non un solo animale è morto nella traversata tra Salonicco e Genova, quantunque i bastimenti che li trasportavano non fossero stati disposti come è consuetudine per così fatta merce.

Quanto ai maiali, abbiamo fatto un eccellente contratto con una nuova ditta francese, la quale si è obbligata ad acquistare per cinque anni, a prezzi molto vantaggiosi, tutta la nostra produzione, anzi 160 mila capi, più, cioè, di quello che in media produciamo. La Rumania, la Francia e soprattutto la Turchia ci sono state larghe delle maggiori facilitazioni e per i trasporti. Anche il prestito è stato concluso a condizioni tali da superare ogni nostra speranza, malgrado la crisi monetaria che travaglia attualmente tanti mercati.

Questo non vuol dire che noi dobbiamo desiderare di romperla col Governo austro-ungarico. Tutt’altro. Noi desideriamo venire con lui ad accordi equi e ragionevoli, ma ora la nostra posizione di fronte ad esso è radicalmente mutata. Noi possia-

mo dire a quel Governo: noi non siamo più stretti dalla necessità, non abbiamo bisogno di voi, ma se volete venire ad accordi troverete in noi le migliori disposizioni possibili».

Sua Maestà riteneva che il Governo di Vienna fosse stato sin qui ingannato da informazioni erronee sulle condizioni morali, politiche ed economiche della Serbia, la quale non è più la stessa di venti anni fa. Una nuova generazione è sorta, la quale ha forte il senso della propria dignità, dei propri diritti e dei propri doveri. La soddisfazione nel paese è generale e l’orgoglio è cresciuto tanto che io mi permisi osservare a Sua Maestà, ed egli ne convenne pienamente, essere forse opportuno che la stampa locale, pure incoraggiando gli sforzi del paese ed esaltandone le vittorie, eviti tutto quello che può sapere di aggressivo, per non secondare il giuoco degli agenti provocatori, che cercano di far perdere la pazienza e la misura servendosi della stampa europea (non esclusa l’italiana) per spargere ovunque menzogne e calunnie a danno di questo povero paese che, in fondo, domanda soltanto di respirare e vivere in pace.

Sua Maestà ebbe pel nostro Re, pel suo Governo, per la politica nostra parole informate alla più viva simpatia e alla maggior fiducia.

187 4 T. 2845/190, non pubblicato.

189

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. 25541. Roma, 26 novembre 1906, ore 22,45.

Governo Asmara aveva già disposto per ritiro Pollera, fiducioso nelle assicurazioni Menelik a Martini che Ghessené avrebbe ricevuto ordini reintegrare capo Nogara, la cui condotta era risultata dalla nostra inchiesta non conforme alle accuse fatte. Poiché ora Ghessené dichiara non avere ricevuti questi ordini e rappresentante inglese agisce contro soluzione da noi desiderata, prego la S.V. 1° far presente a Menelik necessità che questione Nogara sia regolata tra Eritrea e Etiopia secondo intese tra Menelik e Martini, all’infuori di altre influenze; 2° di dichiarare ad Harrington che poiché esiste discrepanza tra due rappresentanti, questione, secondo accordo già parafato a Londra, deve essere deferita ai rispettivi Governi, lasciandola costì impregiudicata. Intanto per non creare difficoltà a Menelik siamo disposti dare ordini per ritiro Pollera; ma intendiamo valerci facoltà accordataci da trattato di commercio con Etiopia di mandare a Nogara un nostro agente commerciale. La S.V. può fin d’ora farne domanda a Menelik per quando trattato sarà in esecuzione. Non posso nascondere mia meraviglia per minaccia Harrington poiché mentre per la questione di Lug esiste un impegno morale dell’Inghilterra di aiutarci a risolverla, riterremmo poi un atto ostile invio a Lug guarnigione abissina.

189 1 Trasmesso via Asmara.

190

L’INCARICATO D’AFFARI A CETTIGNE, NICCOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 540/164. Cettigne, 26 novembre 1906 (perv. il 30).

Com’ebbi l’onore di riferire a V.E. con telegramma n. 57 del 24 corrente1, il giorno 23 ho chiesto un’udienza a S.A.R. il principe Nicola.

Ho creduto di dover far ciò (perdurando la crisi ministeriale) perché gli avvenimenti dei quali nel mio rapporto n. 535/162 del 19 corrente2 avevano servito a creare ulteriori dibattiti non solo alla Camera dei deputati ma anche nei pubblici ritrovi e in tali dibattiti si era trattata con poco riguardo non dico la politica italiana sui Balcani ma l’Italia stessa.

Bisognava dunque correggere i cattivi effetti d’una falsa opinione non solo, o almeno non tanto, eventualmente, all’estero quanto in paese; e poiché era il Governo principesco che aveva permesso che tale opinione si formasse e si manifestasse, stava a lui a mettervi un qualche riparo.

Sua Altezza Reale ha ascoltato con molta degnazione le mie rimostranze e convenne che col mezzo della stampa, cioè con un articolo che si sarebbe inserito nel giornale ufficiale Glas Crnogorca si doveva disingannare il pubblico circa le antipatie che l’Italia aveva acquistato in Montenegro e con una nota ufficiale esprimere al nostro Governo il rincrescimento per tali avvenimenti e rassicurarlo della sincera amicizia di questo.

L’indomani mattina il sig. direttore del giornale venne a leggermi l’articolo in proposito, ch’io ho creduto di poter approvare nella sua integrità ed esso doveva uscire stampato la sera. Più tardi, però venne lo stesso sig. direttore a dirmi che il sig. L. Mijuskovic, ministro dimissionario degli affari esteri, pregava che si sospendesse tale pubblicazione sino a tanto che fosse entrato in carica il nuovo Gabinetto, e ciò perché il pubblico non avesse a dire che tale articolo era stato ispirato da lui, che, appunto era caduto per la sua «politica italiana». Accondiscesi, e si restò d’accordo che la smentita uscirebbe stampata nel giornale mercoledì prossimo, 28 corrente.

Quanto alla nota ufficiale di cui sopra, non l’ho ancora ricevuta. S.E. il nuovo ministro degli affari esteri sig. Marco Radulovic, nel partecipare a questa r. legazione la sua assunzione a tale carica, esprime bensì il desiderio del suo Governo di mantenere col nostro quei buoni rapporti che esistevano ed esistono, ma questa è una frase convenzionale, d’occasione, che S.E. il sig. ministro Radulovic avrà ripetuto a tutti gli Stati rappresentati a Cettigne; questa non è la nota speciale che S.A.R. il Principe Nicola ha avuto la degnazione di promettermi; vedrò pertanto domani, nella visita di prammatica che devo fare ad esso sig. ministro degli affari esteri, di ricordargli tale nota speciale.

2 Non pubblicato.

Ho tradotto, e mi pregio di trasmettere a V.E. nel foglio a parte, un passo del discorso tenuto alla Skupctina del sig. voivoda Gavro Vukovic, ex ministro degli affari esteri, perché è quello che ha servito di motivo ad un fiero dibattito politico tra lui e il sig. L. Mijuskovic (pure ex ministro); dibattito che poi degenerò in un vero duello personale, in cui il sig. voivoda Vukovic è uscito in queste testuali parole (che schiariscono e compendiano il pensiero del passo del suo discorso da me tradotto) «Si, siete voi che avete venduto il Montenegro all’Italia».

Non mancherò di riferire, con prontezza ed esattezza, a V.E., quanto stimerò opportuno3.

190 1 T. 2926/57, non pubblicato.

191

IL MINISTRO AD ATENE, BRUNO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1008/450. Atene, 27 novembre 1906 (perv. il 1° dicembre).

Le accoglienze ricevute dal Re di Grecia a Roma1 hanno destato qui la più viva soddisfazione.

I giornali della capitale nel riportare giornalmente i particolari delle entusiastiche manifestazioni cui è stato fatto segno il Re degli Elleni, si mostrano oltremodo compiacenti delle espressioni di amicizia rivolte alla Grecia, e, constatando il risveglio dei cordiali rapporti fra le due nazioni, confidano nella benevolenza dell’Italia pel migliore assetto delle questioni nazionali elleniche.

L’E.V. troverà qui uniti i riassunti degli articoli dei giornali2. È fuor di dubbio che l’incontro dei due Sovrani ha prodotto qui la gradita

impressione ed ha dissipato quella malcelata diffidenza che qui si è avuta finora verso la nostra politica i cui intenti sono ora generalmente riconosciuti tali quali sono sempre stati, leali e disinteressati verso la Grecia.

Sarebbe da augurarsi che questi sentimenti unanimemente espressi dall’opinione pubblica, siano duraturi nell’interesse reciproco dei due paesi.

condotta seguita dalla S.V. nella presente circostanza e mi compiaccio della promessa fattale da S.A.R. di far esprimere mediante una nota ufficiale al R. Governo il rincrescimento del Governo montenegrino e l’assicurazione della sua amicizia per l’Italia».

2 Non pubblicati.

190 3 Tittoni rispondendo con il Disp. 73756/109 del 5 dicembre concludeva: «Approvo la linea di

191 1 Dal 23 al 27 novembre.

192

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 895/251. Belgrado, 28 novembre 1906 (perv. il 23 dicembre).

Quantunque, come telegrafai alla E.V. il 23 corr.1, non vi sia assolutamente nulla di vero nelle goffe narrazioni di alcuni giornali austro-ungarici riguardo alla organizzazione in Serbia di bande armate col proposito di invadere la Bosnia e l’Erzegovina, e ai grandi depositi di armi e munizioni scaglionati lungo la frontiera per dare alimento ad una prossima insurrezione, nullameno tanto qui come nelle provincie occupate si manifesta realmente, da qualche tempo, la tendenza a cogliere qualsiasi occasione per protestare contro la occupazione austriaca ed affermare i vincoli di solidarietà che legano i serbi del Regno a quelli della Bosnia e della Erzegovina, siano essi ortodossi o maomettani.

Se alla manifestazione di queste tendenze non si appongono prudenti limiti, ciò potrebbe dare pretesto all’Austria di trasportare, con vantaggio proprio, la sede del conflitto dal terreno commerciale su quello politico. Invero, nella quistione commerciale non vi è persona imparziale e bene informata che neghi il buon diritto alla Serbia, ma se questa minacciasse turbare la pace pubblica contrastando all’Austria le provincie che occupa in virtù del Trattato di Berlino, troverebbe difficilmente in Europa disposizioni favorevoli. Io però spero, anzi credo, che il Gabinetto attuale continuerà come finora ad impedire si trasmodi. In questo senso cercherò io pure adoperarmi nei limiti del possibile.

Ogni medaglia ha il suo rovescio e le simpatie dei serbi del Regno per i fratelli oltre la Drina se costituiscono un pericolo giovano grandemente però ad accrescere i buoni rapporti fra Turchia e Serbia. I più fieri oppositori della occupazione austriaca sono precisamente i musulmani, serbi di razza e di lingua, ond’è che, a dare veste di legalità alle dimostrazioni contro la occupazione straniera al di là come al qua della Drina, si acclama al Sultano, come al legittimo signore della contrada. Preti ortodossi e imam procedono perfettamente d’accordo. A Costantinopoli si è lieti di questo risveglio di simpatie pel padiscià e la legazione di Turchia le incoraggia.

A chi non conosce il retroscena e rammenta le insurrezioni del 1861 e del 1877, queste simpatie turche debbono riuscire incomprensibili.

Delle buone disposizioni della Turchia verso la Serbia questa spera valersi anche per attuare l’antico sogno di una comunicazione ferroviaria diretta coll’Adriatico. Ritengo, anzi, che il Governo ottomano abbia dato adito alla speranza di concedere il passaggio del suo territorio. Se alla stretta dei conti lo farà, è un altro affare.

Il ministro di Francia e quello di Russia, che sembrami abbandonare la eccessiva riserva del suo predecessore, forse anche perché il conte Lamsdorf non è più al

potere, mi hanno parlato del progetto di ferrovia in termini piuttosto calorosi. Il sig. Sergueiew, anzi, mi ha chiesto cosa ne pensasse l’Italia. Gli ho risposto che noi eravamo stati sempre favorevoli alla creazione di una grande via commerciale che mettesse in diretta comunicazione gli Stati balcanici coll’Adriatico e che certo tutta la nostra simpatia era acquisita agli sforzi che si sarebbero fatti in questo senso. «Non posso dirvi fin d’ora» aggiunsi «se ed in quale misura l’Italia si associerebbe ad un’azione diplomatica della Russia, Francia e forse Inghilterra per ottenere dal Sultano la concessione desiderata perché non so precisamente quali sieno le intenzioni del mio Governo. Non v’ha dubbio che l’Italia deve agire con una certa prudenza, perché si è fatto credere a Costantinopoli che noi abbiamo delle mire sull’Albania. I turchi sono diffidenti e quando un’idea si è cacciata nel loro cervello è difficile a togliere. Sarebbe quindi possibile che un intervento troppo spiccato da parte nostra per una linea che attraversi da Occidente ad Oriente l’Albania, fosse male interpretato. Ma tutto questo resta a vedersi a tempo opportuno».

Credo che anche l’Inghilterra sarebbe favorevole; trovasi anzi qui un pubblicista inglese, certo sig. Stead, figlio del noto apostolo della pace universale, che studia la quistione e promette capitali inglesi.

Evidentemente presto o tardi alla costruzione della ferrovia ci si verrà, ma certo l’Austria farà a Costantinopoli ogni sforzo per impedirla, e, se la Germania ad essa si associa, il che nel momento attuale è molto probabile, gli ostacoli saranno maggiori di quello che i serbi pensino.

192 1 T. 2917/50, non pubblicato.

193

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. SEGRETO 2995/107. Addis Abeba, 29 novembre 1906, ore 9,35 (perv. ore 14,25)1.

Avuto i telegrammi relativi alla lettera di S.M. ed al compenso richiesto per cessione di Raheita2. Mi sono affrettato a darne comunicazione a Menelik. Ho curato che le trattative non avessero subito carattere definitivo, esponendo le nostre richieste per conoscere gli intendimenti di Menelik.

Egli mi ha fatto comprendere che è decisamente contrario a nostre ferrovie per Adua; che per confine Etiopia-Somalia, potrebbe accettare linea partente da Lug, parallela alla costa, raggiungendo confine anglo-etiopico del 4 giugno 1897; e che per Let Marefià, e per assicurazione verbale fatta all’on. Martini, non ha alcuna obiezione. Mi ha con molta insistenza dichiarato che sarebbe completamente soddisfatto

2 Vedi DD. 185 e 186.

qualora potesse accordarsi con noi per non essere obbligato a ricordare ad Harrington offerta da lui fattagli di zeila, tenendo egli, ad ogni modo, ad avere uno sbocco sul mare, non mi ha taciuto anche altre offerte avute dagli inglesi relative ad una stazione commerciale [...]3 a Kissimayo, con possibilità di comunicazione diretta mediante battelli sul Giuba, col semplice compenso di una stazione commerciale inglese a Gambel o a Monti di Itang.

Conosciuti questi propositi, che non pongono in dubbio il convincimento di Menelik di poter ottenere dagli inglesi stazione sul mare, quando non essendo possibile di accordarsi con noi, ho ottenuto che egli rimandasse ogni decisione dando a me il tempo di trattare la questione col Governo del Re.

193 1 Trasmesso da Asmara il 1° dicembre.

194

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI

DISP. 72538/301. Roma, 29 novembre 1906.

Segno ricevuta e ringrazio del rapporto in data 20 corr. n. 6361 col quale l’E.V. trasmettendomi la relazione della commissione del Senato spagnuolo sul progetto di legge per l’approvazione dell’atto generale di Algeciras richiama in particolar modo la mia attenzione su un passo di quella votazione, il quale pare tenda a designare la politica seguita dall’Italia a quella Conferenza come più in accordo colle aspirazioni degli Stati mediterranei che con quelle degli Stati alleati.

Stimo superfluo osservare che qualunque sia l’apprezzamento che costà si voglia recare dell’azione dell’Italia ad Algeciras le esplicite dichiarazioni del principe von Bülow al Parlamento germanico hanno oramai ristabilito la realtà dei fatti. L’argomento può quindi considerarsi come esaurito.

195

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. SEGRETO 3007/109. Addis Abeba, 1° dicembre 19061.

Ho comunicato ad Harrington quanto V.E. mi ha ordinato col telegramma n. 2554 del 27 novembre n. 32.

194 1 Vedi D. 181. 195 1 Trasmesso da Asmara il 2 dicembre.

2 Vedi D. 189.

Questi si è mostrato vivamente risentito della mia comunicazione fatta all’E.V. col telegramma n. 963 riguardo minaccia di rappresaglie a Lugh convinto era stato integralmente riportato a Londra. Ha dichiarato la sua riprovazione alla condotta nostra contraria agli interessi inglesi e mi ha detto che, arrivando a Roma, avrebbe richiesto mia presenza invitando il Governo ad una conferenza per chiaramente stabilire i nostri reciproci rapporti. Gli ho notificato che anche da parte mia trovavo necessario di venire ad una spiegazione costà, e che appunto perciò il Governo del Re avevami ordinato di recarmi a Roma a conferire e che sarei partito appena giungerà Colli di Felizzano. Prego intanto l’E.V., affinché non si acuiscano troppi dissensi con Harrington, non siano comunicati al Governo inglese le informazioni che di qui io invio sulla azione e le mire inglesi in Abissinia.

193 3 Parola mancante.

196

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. SEGRETO 3012/111. Addis Abeba, 2 dicembre 19061.

In una conversazione di ieri, ministro inglese ha detto avere ricevuto da Londra mio telegramma 962, del quale si è mostrato spiacentissimo, dichiarando informazione inesatta. Ha ripetuto suo discorso testualmente così: «Se volessi fare un brutto tiro all’Italia, come la legazione di Italia fa a me, il che non voglio fare, potrei spingere il Negus a mettere una guarnigione a Lugh». Ha dichiarato che questa non era né doveva intendersi come minaccia. Per Noggara assicura di non essersi mai inteso presso il Negus per fare allontanare dal comando Schekim Amo, chiedere ritiro nostro residente, e Mochi, che ha parlato col ministro la prima volta di tale questione, ha trovato che il ministro non ne era affatto informato.

Prego V.E. prendere atto di questa dichiarazione a spiegazione del mio telegramma n. 96.

196 1 Trasmesso da Asmara il 3 dicembre.

2 Vedi D. 195, nota 3.

195 3 T. 2898/96 del 20 novembre, non pubblicato.

197

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. SEGRETO 26041. Roma, 3 dicembre 1906, ore 14,10.

Affinché io possa avere elementi sufficienti per accertare fatti da lei telegrafatimi delle minacce di Harrington di spingere Menelik a mandare una guarnigione abissina a Lug, e le voci sparse da inglesi di guerra tra Italia e Etiopia, la prego di dirmi come e da chi ella abbia saputo e l’una e l’altra cosa2.

198

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 3015/210. Londra, 3 dicembre 1906, ore 20 (perv. ore 6,30 del 4).

Ieri ho ricevuto il dispaccio n. 5341. Visto ora Gorst, il quale dice che Harrington ha avuto in questi giorni udienza

da Menelik, altra ne aspetta imminente. Non parla della salute di Menelik, che tutto fa credere non allarmante per ora. Reputa prematura e pericolosa qualunque pratica presso ras Micael, perché Menelik certamente lo saprebbe, anche per effetto di possibili vanti di Micael e, perché, ciò comprometterebbe i due Governi in favore di uno dei pretendenti, mentre ancora non è certo che ras Micael sia il più forte e che successione di suo figlio sia assicurata. Chiestomi mio personale apprezzamento su questa obiezione, non ho potuto dissimulargli che ne riconosco la gravità. Mi manderà presto la risposta di Grey che, certo, non sarà diversa. Harrington, al quale suo Governo ha consigliato di affrettare propria venuta, ha risposto che spera di partire il giorno 7, se la malferma sua salute glielo permetterà.

2 Per la risposta vedi D. 205.

197 1 Trasmesso via Asmara.

198 1 Disp. 71876/534 del 26 novembre, non pubblicato.

199

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. SEGRETO 26161. Roma, 4 dicembre 1906, ore 14,35.

Sono rimasto molto sorpreso degli intendimenti di Menelik2. Egli infatti non accetta nessuna delle nostre domande importanti, e l’unica che accetta, la accetta togliendole gran parte del suo valore. Contrario alla prosecuzione di una ferrovia per Adua, consente per Let Marefià per cui non domandiamo che conferma di antica concessione, consente però la Dancalia per cui non domandiamo che conferma di una promessa formalmente fatta, e ci nega il confine che domandiamo per la Somalia.

Prego la S.V. di voler riprendere il negoziato con Menelik dichiarando che non comprenderemo nelle nostre richieste la ferrovia per Adua, ma insistiamo per il confine domandato per Somalia per le ragioni già esposte. Prego S.V. mettere ogni suo impegno per la conclusione dell’accordo secondo nostri giusti desideri. La S.V. può dire a Menelik, come cosa sua, la penosa impressione del nostro Re quando saprà che la prima volta che egli domanda a Menelik, per mezzo del suo Governo, il regolamento di una vertenza in cambio di una grande concessione, ha una risposta negativa.

200

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, LANzA, E A PARIGI, TORNIELLI

T. CONFIDENzIALE 2619. Roma, 4 dicembre 1906, ore 20.

V.E. sa che l’Austria-Ungheria, in base ad antichi trattati, si arroga un diritto esclusivo di protezione sugli istituti religiosi cattolici in Albania. Desidererei conoscere se la questione si è mai presentata in forma concreta con codesto Governo, ed in genere quale ne sarebbe, eventualmente, il pensiero a tale riguardo. Non ho d’uopo di additarle la particolare delicatezza delle indagini, che affido alla sperimentata, prudenza e cautela della E.V.1.

2 Vedi D. 193.

da Parigi.

199 1 Trasmesso via Asmara.

200 1 Per la risposta da Berlino vedi D. 204. Non rinvenuta nel registro dei telegrammi la risposta

201

L’AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 3018/76. Pietroburgo, 4 dicembre 1906, ore 14,10.

Progettato invio di navi e truppe a Tangeri da parte della Francia e della Spagna. Izvolskij mi comunica che tale misura, non mirando ad altro che alla esecuzione dell’atto di Algeciras per quanto concerne organizzazione della polizia e protezione dei sudditi esteri, merita di essere favorevolmente accolta da tutte le potenze firmatarie. Egli è stato inoltre informato che Governo germanico è sicuro che Francia e Spagna si manterranno nei limiti del mandato loro conferito, ma esorbitando invio e sbarco di truppe da detto mandato, Governo germanico è di avviso che lo sbarco deve aver luogo eventualmente in seguito a decisione di tutto il Corpo diplomatico a Tangeri, avendo tutti i rappresentanti eguale diritto ed interesse alla protezione dei loro rispettivi nazionali. Izvolskij ritiene che tale procedura potrebbe creare non lievi difficoltà pratiche come, per esempio, nel caso di divergenze di opinioni tra ministri. A lui sembra che basterebbe esprimere il desiderio che i rappresentanti di Francia e Spagna, prima di decidere lo sbarco, prendano accordi coi loro colleghi per quanto si riferisce alla protezione dei rispettivi connazionali. Aggiunge desiderare sinceramente di contribuire allo stabilimento di un accordo completo tra le potenze firmatarie1.

202

L’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 3320/1371. Parigi, 4 dicembre 1906 (perv. il 10).

Credo di non esagerare dicendo che in questi giorni traversiamo una situazione delle più delicate e pericolose dalla quale però giova sperare che usciremo fuori incolumi e presto se, per una parte, nessun grave disordine si produrrà a Tangeri e, per l’altra, le potenze si troveranno concordi nell’affrettare lo scambio delle ratifiche dell’atto di Algeciras. Perché poi queste ratifiche non siano ancora state scambiate, sarebbe difficile da dire. Per certo sorprende l’inazione della Francia in questo interesse che pare essenziale per essa. L’inerzia del Ministero degli affari esteri francese, subito dopo la conclusione di quell’accordo internazionale, è difficile a spiegare. Fu essa il naturale effetto della insufficiente energia del Ministero Sarrien che tenne il Governo durante le vacanze estive; oppure quell’inerzia fu calcolata e risponde ad un recondito pensiero della politica estera della Francia?

Inclinerei per la prima ipotesi. Le conseguenze pratiche restano tuttavia le medesime.

Il 28 novembre era giorno di ordinario ricevimento al Ministero degli affari esteri. Mi recai dal sig. S. Pichon ed, appena io gli ebbi domandato se vi fosse qualche novità, questi prese a parlare nei seguenti termini. Il disordine che minaccia la sicurezza degli stranieri a Tangeri, aggravandosi, renderebbe impossibile l’organizzazione pacifica della polizia che, secondo gli accordi di Algeciras, Francia e Spagna si impegnarono a creare. Fu perciò deliberata la sostituzione di tre navi più importanti a quelle che attualmente la Francia ha nelle acque marocchine. Questa divisione navale, comandata da un ammiraglio, disporrà di un maggior numero di uomini di sbarco, se questa operazione fosse resa momentaneamente necessaria. Gli ambasciatori della Repubblica all’estero furono messi in grado di dare spiegazioni occorrenti circa il vero carattere di questo provvedimento.

Avendo io a questo punto osservato che a Tangeri, in questo momento, si doveano proseguire fra il Corpo diplomatico ed i delegati del Sultano le trattative prevedute dall’atto di Algeciras per l’attuazione dell’atto stesso e che anzi di tali trattative il Makhzen avea preso l’iniziativa, il sig. Pichon riprese il discorso dicendo che, mentre i delegati marocchini ed i rappresentanti delle potenze procedono, con voti fin qui unanimi, a preparare l’applicazione delle deliberazioni della conferenza, è mestieri prevenire, con una misura di semplice precauzione, che l’ordine materiale venga compromesso ancor più seriamente e che il Governo francese, procedendo in tutto ciò in perfetto accordo con lo spagnuolo, spera che la presenza di navi più poderose basterà da sola ad evitare la necessità di valersi dei mezzi coercitivi dei quali esse dispongono.

Domandai al ministro se la dimostrazione di forze navali si limiterebbe a Tangeri e ne ebbi risposta affermativa.

Di queste dichiarazioni del sig. Pichon V.E. fu informata immediatamente da un mio telegramma1. Se non che mentre io riceveva qui la comunicazione di questo ministro degli affari esteri, S.E. Barrère avea detto a lei, sig. ministro, che l’attuazione delle disposizioni dell’atto di Algeciras, nella parte relativa all’organizzazione della polizia, era divenuta urgente a causa della situazione esistente al Marocco; che navi francesi e spagnuole venivano inviate a Tangeri; che queste disporrebbero complessivamente di circa 700 uomini di sbarco; ma che lo sbarco si effettuerebbe soltanto in caso di assoluta necessità per iniziare l’organizzazione della polizia e cesserebbe appena questa sarebbe in grado di funzionare.

Evidentemente la comunicazione fatta a V.E. da codesto ambasciatore della Repubblica era quella di cui mi avea fatto cenno il sig. Pichon. Ma i termini di essa non corrispondevano a quelli che questo ministro degli affari esteri avea adoperati nello annunziarmela. V.E. ne fece l’osservazione nel suo telegramma del 29 novembre2. Ho saputo che la stessa osservazione è stata fatta a Berlino, una discrepanza notevole essendo stata anche colà notata fra le spiegazioni presentate dal rappresentante francese e le dichiarazioni fatte qui al mio collega di Germania.

2 T. 2569, non pubblicato.

Intanto, nella seconda tornata del 29 novembre della Camera dei deputati, si impegnò una breve discussione che porta qualche luce sovra gl’intendimenti di questo Governo. Si trattava dell’inscrizione all’ordine del giorno dell’interpellanza dell’on. Jaurès sovra la politica marocchina del Governo. Intervennero necessariamente il ministro degli affari esteri e, sotto forma di significative interruzioni, il presidente del Consiglio. L’interpellanza fu riunita al dibattimento della legge che porta approvazione dell’atto di Algeciras e che fu fissato per il 6 di questo mese. Ma le spiegazioni fornite dal Governo nella tornata del 29 novembre non hanno diminuito le inquietudini che circa le conseguenze finali della politica marocchina dell’attuale Ministero si sono prodotte nel Parlamento e fuori.

La questione, in verità, era stata posta in termini chiarissimi. D’onde nasce, chiedeva l’on. Jaurès, la necessità di provvedere immediatamen-

te all’attuazione di accordi internazionali non ancora ratificati? E procedendo così frettolosamente non si rischia di far risorgere le stesse difficoltà internazionali che con l’atto di Algeciras furono composte?

Il sig. Pichon definì la politica del Governo dicendo che essa è «éloignée de tout dessin de conquête et de tout esprit d’aventure, uniquement préoccupée d’assurer l’exercice des droits, l’accomplissement des devoirs et des obligations de la France, n’a d’autre objectif que de concourir en tout loyauté à l’exécution des clauses de l’acte d’Algésiras». Poi il ministro soggiunse che i provvedimenti presi e che trovano acerbe critiche in alcuni giornali, altro non sono che misure precauzionali. L’invio delle navi da guerra, concertato con la Spagna, in seguito ad accordi che nelle loro grandi linee sono conosciuti da tutte le potenze e non hanno provocato alcuna obbiezione, non implica da parte della Francia l’idea di uno sbarco premeditato, né il preconcetto di un intervento. Le navi che partono, rimpiazzano quelle che già si trovano nelle acque marocchine. La loro presenza davanti a Tangeri e non davanti agli altri porti del Marocco dove l’ordine non è turbato, significa soltanto che se i disordini si aggravano a Tangeri, se la situazione diventa ancor più difficile, se la vita dei francesi e degli altri stranieri è incontestabilmente minacciata, il Governo francese intende avere sotto mano le forze necessarie per rendere possibile, d’accordo con la Spagna, l’organizzazione della polizia che esso ha reclamata e che gli fu affidata dalla Conferenza di Algeciras.

Allorché l’on. Jaurès, replicando alla dichiarazione ministeriale relativa all’accordo preso con la Spagna il quale non provocò obbiezione da parte di altre potenze, ricordò che un analogo linguaggio era stato tenuto da un altro ministro al principio delle complicazioni sorte per le cose di Marocco, il sig. Pichon rispose che le due situazioni non erano identiche poiché ad Algeciras la posizione rispettiva di tutte le potenze era stata regolata. Ma questo regolamento che in realtà per ora risulta da un atto non ratificato basterà da solo ad evitare ogni pericolo di nuove complicazioni se, prima che l’atto stesso sia perfetto, si rendessero necessarie manifestazioni di forza a Tangeri? Spinto nelle ultime sue trincee dalla incalzante logica dell’avversario, il ministro degli affari esteri finì col dire essere impossibile alla Francia di abbandonare la vita dei suoi cittadini in balìa dei fautori del disordine e di lasciare ad altra potenza la facoltà di sostituirsi a lei nella difesa dei francesi.

Stimo che in quest’ultima dichiarazione del sig. Pichon si trovi la spiegazione vera delle affrettate risoluzioni del Governo francese. Infatti se le prepotenze di Rai-

suli, od altri disordini gravi mettessero in pericolo gli stranieri a Tangeri, come potrebbesi impedire, ora che la polizia non è ancora stata organizzata, alle singole potenze di adottare le misure indispensabili per la protezione dei rispettivi nazionali?

Non è esagerato il dire che il ritardo nell’esecuzione delle clausole di Algeciras relative all’organizzazione della polizia, a chiunque esso sia imputabile, ha avuto per effetto di mettere la situazione internazionale al Marocco in balìa di un colpo di mano del brigante Raisuli sovra gli interessi degli stranieri a Tangeri.

Giova sperare che la discussione parlamentare che si apre fra due giorni, metterà subito questo Governo in grado di deporre le ratifiche dell’atto di Algeciras e che così saranno eliminate le cause d’incertezza che cagionarono le inquietudini di questi giorni.

Il Gabinetto di Parigi ha dimostrato in sostanza di ritenere che, anche prima della ratifica dell’atto di Algeciras, spetta alla Francia ed alla Spagna il diritto di mantenere l’ordine nei porti marocchini.

Egli sembra ritenere che la Conferenza non gli ha delegato un mandato o conferito una facoltà speciale incaricandolo dell’organizzazione della polizia, ma gli ha solamente riconosciuto un preesistente suo diritto. Se le circostanze dovessero condurre la diplomazia francese ad esprimere questo concetto nella sua cruda formola, non sarebbero forse da prevedere riserve e proteste da altre potenze? È di supremo interesse che una questione siffatta non venga posta; epperciò occorre che l’atto internazionale di Algeciras venga senza ulteriore indugio ratificato.

201 1 Tittoni rispose con T. 2645 del 7 dicembre: «Ringrazio V.E. del suo telegramma n. 76. Presentandosene l’occasione, voglia dire a Izvolskij essere io molto lieto che egli si adoperi perché la questione del Marocco non dia luogo ad attriti fra Germania e Francia».

202 1 T. 2964/146 del 28 novembre, non pubblicato.

203

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 3033/113. Addis Abeba, 5 dicembre 19061.

Menelik con lettera in data di jeri, consegnatami questa mattina, ha dato la seguente risposta all’accordo.

«Abbiamo ricevuto il progetto di accordo fra i tre Governi. Ringrazio di avercelo dato in comunicazione e di voler mantenere l’indipendenza di Etiopia, ma riteniamo che l’accordo non limiti in nessun modo i nostri diritti sovrani.

Questo è lo spirito della risposta. Mi riservo di rimettere per posta il testo amarico».

203 1 Trasmesso da Asmara pari data.

204

L’AMBASCIATORE A BERLINO, LANzA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENzIALE 3040/246. Berlino, 5 dicembre 1906, ore 5,55.

Rispondo suo telegramma 26191. Questione protezione austriaca sugli istituti religiosi cattolici in Albania non si è

mai presentata qui, a mia notizia, in forma concreta. Che il Governo imperiale dica ora quale sarebbe eventualmente il suo pensiero è da escludersi, poiché qui non si prende posizione se non di fronte a casi speciali. Certo è però, a mio avviso, che se una questione venisse posta sul tappeto oggi, Germania non assumerebbe mai una attitudine atta a creare difficoltà all’Austria-Ungheria. V.E. trova facilmente la ragione di questo mio modo di vedere nell’indirizzo che le presenti congiunture internazionali danno alla politica di questo Governo.

Tutto ciò premesso assicuro V.E. che procurerò d’indagare, e non mancherò riferirle, a suo tempo, esito mie ricerche, le quali, come ella giustamente rileva, per la loro delicatezza esigono prudenza, cautela speciale.

205

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. SEGRETO 3048/1141. Addis Abeba, 5 dicembre 19062.

Accenno di Harrington ad azione abissina su Lugh, fu fatta da lui stesso a Mochi, presente agente Banca d’Abissinia. Dopo che ebbe da Londra, comunicazione dei miei telegrammi n. 963 e n. 1024, volle chiarirmi la conversazione con Mochi come ho riferito col mio telegramma n. 1115 che egli vide ed approvò. Circa la voce guerra, questa mi è pervenuta da varie parti in Addis Abeba e correva insistentissima in Harrar, tanto che, Mochi partendo di là, anche per parere di Pastacaldi, non credette opportuno di vendere la sua roba per non allarmare maggiormente l’opinione pubblica. Miei informatori del Ghebi mi hanno fatto credere che le voci, o provengono dagli inglesi, o sono state da loro incoraggiate.

205 1 Risponde al D. 197.

2 Trasmesso da Asmara il 6 dicembre. 3 Vedi D. 195, nota 3. 4 T. 2936, non pubblicato. 5 Vedi D. 196.

204 1 Vedi D. 200.

206

IL MINISTRO A SOFIA, CUCCHI BOASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1505/357. Sofia, 6 dicembre 1906 (perv. il 13).

Valendomi del corriere mi onoro far conoscere a V.E. che il sig. Stancŏv mi ha manifestato a più riprese quei sentimenti di viva simpatia per l’Italia che mi erano già noti dai discorsi famigliari tenuti con lui lo scorso anno durante i lunghi negoziati pel trattato di commercio.

In occasione del suo primo ricevimento diplomatico il nuovo ministro degli affari esteri mi disse che Sua Altezza Reale gli aveva prescritto di porre ogni cura nel consolidare le buone relazioni fra la Bulgaria e l’Italia che con vera soddisfazione constatava esser già tanto cordiali1.

207

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. SEGRETO 3080/115. Addis Abeba, 8 dicembre 19061.

Con riferimento al mio telegramma n. 1132. In udienza di jeri Menelik a proposito della comunicazione fatta dalla «Reuter»

sulla risposta all’accordo fra le tre potenze, mi ha dichiarato, pregandomi notificarlo al mio Governo che egli ha ricevuto, e non accettato, il trattato; che ringrazia del pensiero comunicatogli di voler mantenere per sempre l’indipendenza dell’Etiopia e che nell’accordare concessioni di qualunque genere a sudditi di una qualunque nazionalità si riserva egli di dare, volta per volta, il permesso senza sentirsi vincolato dalle intese che possono esistere fra i tre Governi intendendo con ciò di mantenere integri i suoi diritti sovrani.

compiacermi per tali dichiarazioni prego la S.V. di ringraziare il sig. Stancŏv affermando che il Governo del Re è animato da analoghi sentimenti verso la Bulgaria».

2 Vedi D. 203.

206 1 Tittoni rispose con Disp. 76406/192 del 18 dicembre di cui si pubblica la parte finale: «Nel

207 1 Trasmesso da Asmara il 9 dicembre.

208

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. 2659. Roma, 10 dicembre 1906, ore 19,30.

Sua Maestà ha firmato oggi pieni poteri per V.E. per firma accordo Etiopia e per firma accordo contrabbando armi ed io li spedisco stasera a V.E. Prego fare il possibile col concorso di Grey perché firma due accordi abbia luogo contemporaneamente. Quando ciò fosse assolutamente impossibile e da ritardo firma accordo Etiopia dovessero derivare inconvenienti che V.E. segnala, autorizzo firmare accordo Etiopia anche separatamente, ma confido nell’abilità di V.E. per indurre Grey a tener conto dell’opportunità politica per noi grande di firmare i due accordi insieme.

209

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 2486/877. Costantinopoli, 10 dicembre 1906 (perv. il 19).

Ho ricevuto il dispaccio n. 781 del 30 ottobre u.s.1, relativo al progetto di costruzione ferroviaria in Serbia, al quale era allegata, coi suoi annessi, copia di un rapporto diretto all’E.V. sull’argomento da S.E. il marchese di San Giuliano.

L’importanza, dal punto di vista degli interessi politici ed economici della Serbia e dell’Italia, della ferrovia progettata dal sig. Stead è troppo palese perché occorra accennare particolareggiatamente ai vantaggi che ne risulterebbero per i due paesi. La Serbia acquisterebbe la sua indipendenza economica di fronte all’Austria-Ungheria, assicurandosi comunicazioni rapide coll’Europa occidentale, ove troverebbe mercati rimuneratori per i suoi prodotti agricoli, e per il bestiame, che costituisce la base principale del suo commercio d’esportazione. La progettata ferrovia aprirebbe inoltre al commercio italiano la via di penetrazione tanto desiderata non solo nell’Albania e nella Serbia, ma anche nella Rumania, le cui ferrovie devono, in virtù di recenti accordi, essere congiunte con quelle della Serbia.

Come giustamente però osserva S.E. il marchese di San Giuliano, ostacoli politici e finanziari rendono poco probabile, almeno per ora, l’accettazione del progetto per parte della Turchia. In primo luogo pare dubbio che il Governo ottomano sia in grado, date le condizioni delle provincie della Rumelia, di disporre delle somme occorrenti per le garanzie chilometriche che verranno chieste e senza le quali non sarebbe possibile di costituire il capitale necessario per la costruzione della ferrovia.

Occorre altresì non perdere di vista che la Sublime Porta ispirandosi a considerazioni d’ordine politico e strategico più o meno fondate, si è già pronunziata, due anni circa or sono, in senso sfavorevole alla costruzione di una ferrovia il cui tracciato era quasi identico al progetto del sig. Stead. Né giova dissimularsi che il Governo austro-ungarico non mancherà di ostacolare detto progetto esercitando le più energiche pressioni sulla Sublime Porta.

Malgrado le considerazioni che precedono credo tuttavia che non converrebbe abbandonare a priori il progetto senza iniziare trattative colla Sublime Porta. La questione delle garanzie chilometriche che costituisce indubbiamente l’ostacolo principale alla riuscita immediata del progetto potrebbe forse essere risoluta da persone competenti le quali, dopo avere studiato le risorse della regione che la nuova ferrovia dovrà percorrere, e, valutato il progresso economico che se ne può attendere per l’avvenire, si trovino in grado di fare al Governo ottomano proposte pratiche ed accettabili. In quanto alla riluttanza della Sublime Porta di accordare la concessione e agli ostacoli che l’Austria-Ungheria potrebbe suscitare, credo che un’azione diplomatica concertata tra i Governi italiano, inglese e russo (il quale, stando alle dichiarazioni confidenziali di questo ministro di Serbia, è favorevole al progetto) potrebbero vincere la resistenza del Governo ottomano.

Esprimo pertanto il parere che sarebbe desiderabile che il capitale italiano accetti la partecipazione che il sig. Stead è disposto a riservargli e che il R. Governo accordi al progetto tutto il suo appoggio, dopo essersi assicurato ben inteso, che il Governo britannico ed il Governo russo sieno disposti ad associarsi alle sue pratiche presso la Sublime Porta.

Circa l’impressione poco favorevole che la realizzazione del piano anzidetto sarà, senza dubbio, per produrre sulla nostra alleata Austria-Ungheria, e circa l’influenza che una preponderante partecipazione italiana ad un affare destinato a ledere interessi vitali austriaci potrà avere sulle relazioni fra i due paesi, non è mestieri che io intrattenga più a lungo l’E.V. alla cui abituale sagacia tutto ciò non sfuggirà di certo.

209 1 Disp. 67480/781, non pubblicato.

210

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 2667. Roma, 11 dicembre 1906, ore 15,30.

Da telegramma Ciccodicola1 risulta che accenno di Harrington ad azione abissina su Lugh fu fatta presente un nostro funzionario, il sig. Mochi e agente Banca Abissinia. Harrington spiega di aver detto testualmente senza aver avuto intenzione di minacciare: «se volessi fare un brutto [sic] all’Italia come la legazione d’Italia fa a me, il che non voglio fare, potrei spingere il Negus a mettere una guarnigione a

Lugh». Harrington ha anche dichiarato che non ha mai consigliato il Negus ad allontanare capo Noggara o a chiedere ritiro nostro residente. Ciccodicola ha pregato di prendere atto di questa dichiarazione. Harrington ha detto infine che desiderava passare per Roma per avere una conferenza allo scopo di chiaramente stabilire reciproci rapporti tra le due legazioni. Quanto alle voci di guerra, Ciccodicola riferisce che esse correvano in Harrar ed erano pervenute a Addis Abeba. Al Ghebi si diceva che le voci provenivano o erano incoraggiate dagli inglesi. Di ciò informo V.E. in relazione all’increscioso incidente e per norma di linguaggio con codesto Governo.

210 1 Vedi D. 205.

211

L’AMBASCIATORE A BERLINO, LANzA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 3099/252. Berlino, 12 dicembre 1906, ore 18.

Il sig. Tschirschky ha portato nella conversazione di ieri il discorso sulle attuali discussioni e deliberazioni del Corpo diplomatico a Tangeri. S.E. rilevava con rincrescimento che i voti del nostro rappresentante erano stati costantemente a favore delle proposte francesi. Ciò potrebbe far credere, dicevami Tschirschky, ad un partito preso, il quale non si concilia bene con i rapporti fiduciosi e cordiali che i due Gabinetti di Roma e di Berlino vogliono reciprocamente intrattenere. S.E. diceva espressamente che era ben lontano dalle sue intenzioni il lamentarsi per quanto erasi verificato fin qui; egli desiderava soltanto che l’attenzione di lei fosse amichevolmente richiamata su tale stato di cose, allo scopo di impedire che l’attitudine dell’Italia serva di pretesto agli avversari delle buone relazioni italo-germaniche.

Credo che a questo titolo amichevole il conte de Monts sia stato incaricato di parlare della cosa con V.E. Io ho inteso, ad ogni buon fine, prevenire V.E. di quanto il de Monts ha istruzione di rappresentarle1.

212

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A BERLINO, LANzA

T. 2685. Roma, 13 dicembre 1906.

Rispondo al telegramma n. 2521. Non ho notizie di altra riunione del Corpo diplomatico in Tangeri dopo quella

del 27 novembre. Leggendo il verbale di quella seduta, vedo che non si è manifestato dissenso alcuno tra i rappresentanti europei nelle deliberazioni prese e che il nostro

212 1 Vedi D. 211.

delegato non ebbe neppure occasione di prendere la parola. Inoltre nel Comitato speciale a cui fu assegnato il nostro delegato non figurano né il delegato tedesco, né il francese. Ciò stante non so intendere a che alluda la osservazione del sig. Tschirschky, al quale sarei grato di alcuna maggiore spiegazione, essendo mio proposito che, come ne diedi istruzione al nostro delegato comm. Gentile, questi nulla operi o dica sia in contrasto col preciso nostro desiderio di procedere, nell’applicazione dell’atto di Algeciras, in pieno accordo con la Germania.

211 1 Per la risposta vedi D. 212.

213

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENzIALE 1822/552. Londra, 13 dicembre 1906 (perv. il 18).

Mi è grato trasmetterle due copie delle convenzioni sull’Etiopia e sul traffico d’armi oggi firmato al Foreign Office da sir Edward Grey, Mr Cambon e me1. Mi riservo di mandarle gli originali per mezzo del corriere di Gabinetto.

Considero come un felice evento pei rapporti tra le tre potenze, oltrechè per gli effetti pratici locali, la conclusione dell’accordo sul commercio delle armi.

Da tempo avevo previsto la difficile posizione, in cui ci saremmo trovati se questo non fosse stato conchiuso prima che si fosse avverata la condizione alla quale il R. Governo aveva subordinato la propria firma alla convenzione sull’Etiopia, e, date le abitudini di lentezza di questo paese e le frequenti assenze di ministri e funzionari, fu necessaria una attività febbrile ed a lungo sostenuta, anche nelle ore notturne, da parte mia e del cav. Martin-Franklin, e da ultimo anche del sig. d’Ayala, per riuscire con grande sforzo ad evitare una penosa situazione e a concludere a tempo siffatto accordo.

Credo poi che esso non sarebbe mai riuscito se io non avessi avuto l’idea di interessare il sig. Cambon, impegnando il suo amor proprio a far valere la sua influenza a Parigi, nella sua gita colà il 5 ottobre e nelle successive, oltre che nei suoi rapporti, per superare i non piccoli ostacoli nascenti dalle antiche e costanti tradizioni giuridiche e politiche della Francia dagli interessi finanziari della colonia di Gibuti e dagli interessi privati influenti in quel Parlamento e presso quel Governo.

Molto giovò anche la presenza qui del comm. Pestalozza che potè con l’autorità della esperienza diretta convincere bene il Governo inglese del giusto fondamento delle nostre domande: e quando negli inglesi penetra una simile convinzione ciò ha molta importanza.

L’accordo sulle armi elimina un punto oscuro e, come dice il Cambon, una spina nei rapporti italo-francesi, ed anche un poco nei rapporti italo-inglesi, visto che

degli affari esteri, 1930, pp. 920-929.

il Governo britannico da un canto ci dava ragione e voleva mostrarsi, quale è, amico nostro, ma dall’altro non voleva fare cosa dispiacevole alla Francia. Purtroppo esso dà maggiore importanza all’amicizia colla Francia, la quale prende la forma dell’innamoramento, che all’amicizia con noi alla quale del resto tiene pure.

Ma se notevole è il valore dell’accordo sulle armi dal punto di vista della politica generale, la sua efficacia pratica dipende, per il traffico che si fa da Gibuti per l’Abissinia, dal modo come sarà applicata dalle autorità locali francesi, e, pel traffico che si fa colla costa araba, in gran parte dal modo come noi organizzeremo la vigilanza per mezzo dei rr. sambuchi armati ed eventualmente o di residenti locali fissi o di un residente, se così puo dirsi, ambulante, secondo la proposta meritevole di studio che, nello scorso gennajo mi espose a viva voce il tenente Cappello e sulla quale potrà dare schiarimenti l’Ufficio Coloniale.

In ogni modo tutto ciò esce dal compito mio, che, per questa parte, è giunto a termine.

213 1 Ed. in Trattati e convenzioni fra il Regno d’Italia e gli altri Stati, vol. 18, Roma, Ministero

214

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, LANzA, E A VIENNA, AVARNA

T. 2694. Roma, 14 dicembre 1906, ore 17,40.

Prego comunicare codesto Governo che 13 corrente è stato firmato a Londra da rappresentanti Italia, Francia e Inghilterra, accordo per Etiopia che sarà subito pubblicato.

215

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. SEGRETO 26951. Roma, 14 dicembre 1906, ore 17,45.

Tredici corrente è stato firmato accordo a tre per Etiopia. Non so ancora se a Londra e a Parigi abbiano nulla concordato circa comunicazione da farsi a Menelik dell’avvenuta firma. La S.V. proceda di accordo con suoi colleghi Francia e Inghilterra informando questo Ministero prima di impegnare azione R. Governo. La firma dell’accordo lascia libero nostro negoziato per sbocco al mare, che prego mandare innanzi con ogni cura2.

2 Ciccodicola con T. 3180 del 19 dicembre rispondeva: «Harrington è partito. Lagarde non ha

finora istruzioni riguardo notifica accordo al Negus: ritiene che avendo già Reuter reso pubblica firma accordo sia inutile concretare fra noi forma speciale per comunicare la cosa Menelik, limitandosi a parlargliene nella prima udienza di ciascuno».

215 1 Trasmesso via Asmara.

216

L’AMBASCIATORE A BERLINO, LANzA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 3126/256. Berlino, 15 dicembre 1906, ore 14,56.

Imperatore, nella conversazione che ebbe con me ieri sera, si lamentò del contegno assunto dal centro verso il Governo. Questo contegno il Sovrano trovava tanto meno giustificato in quanto egli aveva costantemente fatto buon viso ai desiderata di quel partito del quale aveva formata la base del suo Governo. Ora, nelle intenzioni di Sua Maestà, il centro deve avere la lezione che si merita, deve ritornare decimato in Parlamento. A tale scopo, diceva Sua Maestà, avere dato istruzioni di sostenere validamente, nelle prossime lotte elettorali, tutti i candidati compresi i radicali, per combattere quelli del centro e i socialisti ben inteso. Sua Maestà spera che, dopo la lezione, il centro, a Camera aperta, cercherà di nuovo, di sua iniziativa, appoggio del Governo. Il ragionamento di Sua Maestà risente molto dell’ambiente per il quale fu preparata la dissoluzione del Reichstag. Come telegrafai ieri, non si possono fare previsioni sull’esito della partita impegnata1. Non è da negarsi che un qualche fondamento abbia il risentimento di Sua Maestà contro il partito del centro; ma la risposta alla aspettazione imperiale trovasi ora nelle mani del popolo germanico che deplora scandalo e errore coloniale, dal quale partono lamenti per l’indirizzo generale del Governo che si sentì recentemente gravato di non lievi odiose imposte ed al quale Governo con la presentazione del bilancio preventivo, annunziò già nuove misure fiscali.

217

L’AMBASCIATORE A BERLINO, LANzA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 3127. Berlino, 15 dicembre 1906, ore 14,50.

S.M. l’Imperatore, nella bontà colla quale mi ha onorato durante tutto il tempo della mia missione, ha voluto pranzare da me ancora una volta prima di mia partenza. Pranzo ha avuto luogo ieri sera. Riunii attorno al Sovrano le più alte personalità della sua Corte, del Governo, società, scienze, finanza berlinesi. Imperatore fu con me oltremodo amabile; dopo pranzo entrò a parlare dell’attuale situazione politica della Germania, di che rendei conto con altro telegramma1. Presi occasione dalla conversazione con Sua Maestà per mettere in luce presso Sua Maestà le qualità che distinguono il mio successore; e Sua Maestà si degnò esprimere fiducia che Pansa avrebbe pienamente soddisfatto compito che qui lo attende.

217 1 Vedi D. 216.

216 1 T. 3115/254 del 14 dicembre, non pubblicato.

218

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 3143/205. Vienna, 16 dicembre 1906, ore 22.

Barone di Aehrenthal giunto stamane da Budapest, per dove ripartirà domattina mi ha pregato di venirlo a vedere.

Gli ho fatto conoscere quanto V.E. mi aveva incaricato di comunicargli circa la favorevole impressione prodotta in lei dalle esplicite dichiarazioni fatte, circa i nostri reciproci rapporti, nella sua esposizione e nella sua risposta alle interrogazioni rivoltegli alle delegazioni. Ho aggiunto che V.E. si proponeva di fare al Parlamento, in occasione della discussione del bilancio per gli affari esteri identiche dichiarazioni, constatanti perfetta concordanza di vedute e fermo proposito di entrambi i Governi di procedere d’accordo nelle varie questioni che interessavano i due paesi.

Barone di Aehrenthal mi ha pregato di ringraziare V.E. per queste comunicazioni e mi ha detto che per dissipare ogni diffidenza nell’opinione pubblica di AustriaUngheria e d’Italia aveva creduto, nella seduta di ieri alla delegazione austriaca, ritornare sulle dichiarazioni precedenti, affermando ancora una volta, nel modo più deciso, che due Governi erano risoluti di mantenere i più cordiali ed amichevoli rapporti, che alcun contrasto non esisteva tra loro, e che, nell’adoperarsi i due Governi a togliere qualsiasi malinteso, essi agivano non solo nell’interesse dei Governi stessi, ma in quello generale.

Il barone di Aehrenthal ha manifestato la sua speranza che le diffidenze esistenti nella opinione pubblica fossero dissipate e che questa si convinca una buona volta della sincerità dei propositi di entrambi i Governi che non erano che desiderosi di rendere sempre più intimi i loro rapporti.

219

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

DISP. 75907/1833. Roma, 17 dicembre 1906.

Adempio al gradito dovere di partecipare a V.E. che nel corso di una udienza accordata dal presidente della Confederazione nordamericana all’ambasciatore di Sua Maestà in Washington, il sig. Roosevelt ebbe occasione, parlando della recente Conferenza di Algeciras, di ricordare l’azione esercitata in quella circostanza dall’E.V. Il barone Mayor riferisce avergli il presidente espresso la sua soddisfazione per i risultati della Conferenza e dichiarato che questi egli riteneva specialmente dovuti «alla

autorità, alla mente, e allo spirito conciliante del primo delegato d’Italia, l’uomo più autorevole di gran lunga e senza alcuna riserva, che partecipasse a quel consesso», e dal quale il delegato degli Stati Uniti aveva avuto il più valido concorso.

Di questa manifestazione del presidente Roosevelt, per parte mia vivamente mi compiaccio1.

220

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. 76452/601. Roma, 19 dicembre 1906.

Le accuso ricevimento dei due rapporti del 23 e 27 novembre u.s., rispettivamente ai nn. 513 e 5241 e approvo le pratiche fatte da V.E. al Foreign Office circa l’ostruzionismo delle autorità coloniali inglesi contro il commercio italiano del Benadir.

Non dubito che il Governo inglese darà in proposito opportune istruzioni ai funzionari della East-Africa Protectorate, ma poco si può contare sull’efficacia di esse, giacché una lunga esperienza ci dimostra che gli agenti britannici locali agiscono con molta indipendenza dal Governo centrale. Unico rimedio efficace sarebbe quello di contrapporre all’azione inglese analoga azione italiana sui luoghi ma, essendo questa attualmente paralizzata in Eritrea dagli incidenti che si fanno sorgere ad Addis-Abeba e nel Benadir dalla mancanza di nostri agenti, non possiamo, in queste condizioni, fare a meno di reclamare per le prepotenze che si commettono ai nostri danni e che sono in contraddizione - come ha giustamente osservato l’E.V. - colle cordiali relazioni e cogli accordi esistenti fra la Gran Bretagna e l’Italia.

221

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 2656/1349. Vienna, 19 dicembre 1906 (perv. il 25).

Il barone di Aehrenthal, giunto ieri a Vienna da Budapest per dove è ripartito questa mattina, mi pregò di passare ieri stesso da lui.

Essendomi recato al Ministero imperiale e reale degli affari esteri egli mi parlò innanzi tutto delle nuove dichiarazioni che aveva fatto la vigilia alla Delegazione austriaca intorno ai nostri reciproci rapporti, su cui riferii all’E.V. col mio telegram-

del 29 novembre, non pubblicato.

ma n. 2051, e mi intrattenne quindi dei colloqui col Re di Grecia nella sua recente dimora in Vienna, delle relazioni colla Serbia nonché delle presenti condizioni in Macedonia.

Al Re Giorgio egli aveva creduto di far rilevare l’assoluta necessità per il Governo ellenico di prendere i più energici provvedimenti per impedire che dalle proprie autorità si favorisse la formazione di bande armate sul territorio del Regno che miravano a turbare la pace in Macedonia e ad intralciare l’opera riformatrice delle potenze. Era nell’interesse della Grecia di adoperarsi in tale intento per non alienarsi le loro simpatie e mantenere buoni rapporti cogli altri Stati balcanici. Egli si sarebbe espresso in questa circostanza con Sua Maestà in termini abbastanza severi.

Il Re Giorgio si sarebbe mostrato risoluto a corrispondere a tale desiderio ed al suo ritorno in Atene avevagli fatto conoscere, per mezzo di quel rappresentante imperiale e reale che il Governo ellenico non aveva mancato di prendere provvedimenti nel senso suddetto.

Quanto al conflitto greco-rumeno Sua Maestà non aveva formulato alcuna domanda di intervento per parte del Governo austro-ungarico, la quale del resto non avrebbe potuto essere da esso accolta, il momento attuale non sembrandogli opportuno per intavolare trattative in proposito. Era indispensabile innanzi tutto che l’eccitazione che esisteva negli animi in entrambi i paesi si calmasse e che fosse provveduto alla repressione delle bande che tuttora scorazzavano in Macedonia. D’altra parte le disposizioni poco concilianti del Gabinetto di Bucarest non promettevano di sperare ad una prossima soluzione del conflitto.

Per contro Sua Maestà avevalo pregato di fare appoggiare presso la Sublime Porta i passi fatti dal suo Governo intesi ad ottenere la congiunzione della ferrovia Pireo-Larissa colle ferrovie ottomane.

Per conoscere in quale misura avrebbe potuto soddisfare a tale domanda, egli aveva incaricato l’ambasciatore imperiale e reale in Costantinopoli di rivolgergli un rapporto sulla quistione facendogli conoscere in pari tempo le disposizioni della Sublime Porta al riguardo. Da tale rapporto, che eragli pervenuto in questi ultimi giorni, risultava che la Sublime Porta non era disposta a corrispondere a quella domanda specialmente per ragioni strategiche, per cui non era sua intenzione per ora d’iniziare pratiche nel senso desiderato dal re Giorgio. Ma aveva trasmesso tale rapporto alla legazione imperiale e reale in Atene, perché informasse eventualmente il Governo ellenico delle disposizioni della Sublime Porta circa detta questione.

Accennando quindi alle relazioni colla Serbia, il barone di Aehrenthal nel riferirsi alle dichiarazioni fatte in proposito alle Delegazioni, rilevò che, quantunque quelle politiche in generale fossero normali, altrettanto non poteva dirsi delle relazioni commerciali. Ignoravo quale risposta il Governo serbo avrebbe fatto alla nota da lui direttagli per chiedere di precisare meglio le sue anteriori proposte collo stabilire l’epoca ed il quantitativo delle ordinazioni che si proponeva di fare nella Monarchia. Egli era animato verso la Serbia dai sentimenti più benevoli ed amichevoli ed aveva creduto darlene ora una prova coll’offrirle l’occasione di ristabilire le reciproche relazioni commerciali sopra un piede normale.

Rispetto alla situazione in Macedonia il barone di Aehrenthal non credeva che essa potesse dar luogo per il momento a preoccupazioni, nonostante le rivalità che sussistevano ancora tra i varii Stati balcanici. Era bensì vero che le bande armate eransi aumentate in questi ultimi tempi, sebbene la stagione fosse già avanzata, ma il contegno corretto che teneva il Governo bulgaro, nel quale sembrava voler continuare lo rassicurava e facevagli sperare che l’ordine non sarebbe stato turbato per ora e che l’opera di pacificazione e di riorganizzazione in Macedonia avrebbe potuto essere proseguita coll’assistenza di tutte le potenze.

219 1 Il resoconto del colloquio con il presidente Roosevelt è nel rapporto di Mayor n. 2354/482

220 1 RR. 1674/513 e 1706/524, non pubblicati.

221 1 Vedi D. 218.

222

L’AMBASCIATORE A BERLINO, LANzA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 3181/261. Berlino, 20 dicembre 1906, ore 1,58.

Giornali non hanno pubblicato lunghi apprezzamenti sul discorso dell’E.V.1, ma dalla loro attitudine può scorgersi buona impressione politica generale. Un articolo ufficioso della Gazzetta di Colonia, mette in rilievo parte che ella ha presa per la Triplice Alleanza. Giornali renani vorrebbero che avversari italiani della Triplice Alleanza meditassero parole di lei e traessero convincimento utilità della Triplice Alleanza anche per noi. La difesa da lei fatta dell’alleanza è servizio reso all’Italia più che alla alleanza stessa. Gazzetta di Colonia termina rilevando sua coraggiosa attitudine rispetto alle relazioni con l’Austria-Ungheria. Tschirschky, che io ho incontrato ieri sera, si è espresso con me nello stesso senso, manifestando sua graditudine per il modo come ella ha parlato di Monts. Tra i giornali della capitale merita menzione Vossische Zeitung, che dopo gli affari del Marocco ha guidato opinione pubblica contraria a noi. Giornali liberali rilevano che ella è il ministro degli affari esteri in questi ultimi anni più lealmente convinto degli obblighi derivanti dalla alleanza; essi si domandano però, di nuovo, che cosa farebbe Italia in caso di conflitto della Germania con la Francia e con Inghilterra, e si risponde che la forza delle cose renderebbe vano il più leale desiderio degli uomini politici italiani di soddisfare le obbligazioni verso gli alleati.

18 dicembre 1906, pp. 11-208: 11-197.

222 1 Vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1904-1906, vol. IX, tornata del

223

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO 3204/266. Pera, 21 dicembre 1906, ore 21,40.

Credo mio dovere prevenire, ad ogni buon fine, V.E. che passaggio suo discorso1, in cui si accenna all’accordo italo-austriaco per l’autonomia politica della Penisola Balcanica sulla base principio nazionalità, qualora mantenimento statu quo diventasse impossibile, ha prodetto profonda impressione e generato apprensione alla Sublime Porta e a Palazzo.

Mi si assicura che codesto ambasciatore di Turchia sarebbe stato incaricato chiedere amichevoli spiegazioni a V.E. Sultano allarmatissimo. Converrebbe rassicurarlo. Ambasciatore di Germania venne oggi ricevuto in lunga udienza.

224

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO 2681. Pera, 21 dicembre 1906, ore 22,05 (perv. ore 6,45 del 22).

Faccio seguito al mio telegramma 2662. Romei è stato chiamato dal Sultano il quale lo ha incaricato di farmi seguente

comunicazione: «Inattesa dichiarazione ministro Tittoni ha profondamente dolorosamente colpito S.M. imperiale e musulmani tutti. Essa tende distruggere d’un tratto senza alcun motivo salda amicizia esistente fra Italia e Turchia amicizia che costituisce una delle basi fondamentali politica del Governo ottomano caldeggiata tenacemente dal Sultano in persona. S.M. imperiale fa per conseguenza appello lealtà Governo italiano perché voglia rassicurarlo circa vera portata dichiarazione ministro Tittoni la quale deve essere stata mal riferita. Sultano fa speciale appello ambasciatore di Sua Maestà ricordando amicizia e pregandolo adoperarsi per dissipare impressione veramente penosa che dichiarazione ministeriale ha arrecato e ciò ad evitare raffreddamento ottime relazioni esistenti fra i due paesi». Parole di lei sono state mal interpretate incompletamente riferite da Rechid bey il quale ha evidentemente tradito pensiero di V.E. importa però dissipare ad ogni costo ed al più presto penosissima impressione prevalente presso S.M. imperiale. In caso contrario perderò d’un tratto influente posizione acquistata in questi ultimi anni con pregiudizio manifesto delle

224 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

2 Vedi D. 223.

nostre aspirazioni economiche e con vantaggio politico esclusivo dei nostri concorrenti i quali si studieranno trarre partito risentimento Sultano contro di noi per riguadagnare terreno indubbiamente perduto dopo inizio riforme Macedonia. Crederei ciò stante indispensabile far pervenire al più presto al Sultano per mezzo Romei esaurienti rassicuranti spiegazioni le quali converrebbe che io avessi ordine di rinnovare personalmente a nome di S.M. il Re. Attendo istruzioni di V.E.3.

223 1 Vedi D. 222, nota 1.

225

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI

T. RISERVATISSIMO 2771. Roma, 22 dicembre 1906, ore 20.

Il r. agente in Sofia mi ha comunicato la lettera particolare che le scrisse il 13 di questo mese circa i rapporti tra Bulgaria e Serbia1. Non dubito che ella si sarà occupata della cosa colla diligenza e col tatto che le sono abituali. Come più volte già le dissi, e come ne sono evidenti le ragioni, a noi preme che si mantengano e si rassodino cordiali relazioni tra gli Stati balcanici, in esse consistendo la migliore guarentigia contro non desiderabili novità. Ma anche la Serbia deve comprendere l’interesse suo di tenersi in cordiali rapporti coi suoi vicini e segnatamente con la Bulgaria. Importa che codesto Governo eviti con ogni studio tutto ciò che possa nuocere a quei rapporti. La propaganda serba che, segnalataci dal r. console in Uskub, le additai con dispacci del 14 e del 17 di questo mese2, gli atti di violenza commessi da bande serbe nel vilayet di Kossovo, non solo forniscono alla Bulgaria materia a giuste lagnanze, ma, ben lungi dal giovare alla causa serba in Macedonia, le alieneranno, se non vi pone rimedio, le simpatie delle potenze con manifesto suo danno presente e futuro. Confido che l’amichevole e fermo linguaggio di lei, che ella vorrà dichiarare precisa espressione del pensiero del R. Governo, possa avere decisiva efficacia ed eliminare, in quanto concerne l’opera e l’atteggiamento di codesto Governo, ogni motivo di contrasto e freddezza nei suoi rapporti con la Bulgaria3.

225 1 R. personale s.n. del 14 dicembre, non pubblicato.

2 Non pubblicati. 3 Vedi D. 232.

224 3 Per il seguito vedi D. 229.

226

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 3210/269. Pera, 22 dicembre 1906, ore 16.

In presenza dell’allarme sorto alla Sublime Porta al Palazzo, ho creduto opportuno, in attesa degli ordini di V.E., incaricare immediatamente il primo dragomanno di fare alla Sublime Porta la seguente comunicazione, a titolo di mia personale iniziativa: «L’ambasciatore è stupito e dolente pel colpo fatto alla Sublime Porta, senza alcun motivo, dal discorso del ministro degli affari esteri. Di quel discorso, per essere stato forse incompletamente riprodotto, non si sono apprezzate qui le dichiarazioni e gli intendimenti amichevoli per la Turchia. Il ministro ha ripetuto, in sostanza, circa la portata dell’intesa tra l’Italia e l’Austria-Ungheria, i concetti già da lui manifestati alla Camera nel 1903, ed ha affermato, in definitivo, ancora una volta, che, base della politica italiana in Oriente, era e resta il mantenimento dello statu quo, integrità Impero Ottomano.

In attesa di quelle dichiarazioni, che sarà per fare, d’ordine del suo Governo, l’ambasciatore non deve nascondere il suo rammarico per allarme ingiustificato della Sublime Porta, non potendo egli ammettere, un momento solo, che, sulla lealtà dei propositi del suo Governo e sulla sincerità delle dichiarazioni ripetutamente fatte circa l’amicizia dell’Italia per la Turchia, sorga il benché menomo dubbio. La politica italiana ha carattere di continuare e non mutare da un momento all’altro».

Questa mia personale dichiarazione, alquanto risentita, non esclude, però, la convenienza di una sollecita comunicazione al Sultano in tono cordiale ed amichevole, a nome e per ordine, possibilmente, di S.M. il Re, sembrandomi, per motivi noti, indispensabile, nell’interesse nostro, di rassicurare, ad ogni costo S.M. imperiale.

Spero V.E. approverà mia iniziativa e tenore mio linguaggio1.

227

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. 77068/609. Roma, 22 dicembre 1906.

Ho ricevuto il rapporto del 22 novembre u.s. n. 1665/511, con gli annessi estratti dei giornali locali1 e ringrazio l’E.V. delle notizie datemi sulla questione speciale del lavoro indigeno al Congo e sulla possibilità di accordi futuri dell’Inghilterra colla Germania.

227 1 Non pubblicati.

L’atteggiamento dell’Italia nella questione che in questo momento tanto appassiona l’opinione pubblica, i Governi della Gran Brettagna e del Belgio, è determinata dai medesimi fini pei quali essa partecipò al Congresso di Berlino del 1885.

L’azione dell’Italia è quindi inspirata a sensi di umanità e giustizia ed alla libera penetrazione commerciale. Epperciò il Governo del Re ha sempre ritenuto che la soluzione più opportuna sia l’annessione del Congo al Belgio.

Con quella soluzione l’amministrazione del Congo sarebbe garentita dal controllo governativo e parlamentare della nazione belga.

Se, però, l’annessione non avverrà e vi fosse pericolo che lo statu quo venisse turbato, l’Italia non sarebbe aliena dall’aderire ad una iniziativa che avesse per iscopo la revisione dell’Atto generale di Berlino.

Questo Ministero già da tempo ha messo innanzi (nel carteggio con la r. legazione a Bruxelles) l’idea di una Commissione internazionale pel fiume Congo, non essendo state a questo riguardo osservate le disposizioni dell’Atto generale di Berlino.

Ad ogni modo l’Italia non può disinteressarsi alle cose del Congo e deve vigilare specialmente per evitare un’intesa particolare fra le potenze che hanno possedimenti finitimi a quello Stato.

Sarebbe, però, tutto questo vana opera diplomatica se non si preparasse il terreno con la creazione di interessi italiani al Congo. E questo ora si cerca di fare valendoci dell’Associazione nazionale per l’opera dei missionari, dell’Istituto coloniale e del Ministero del commercio per volgere il capitale italiano verso l’Africa occidentale.

Questi interessi commerciali, se si creeranno, uniti a quelli che ora esistono per la presenza di non pochi italiani, magistrati e professionisti e impiegati, saranno una leva di azione e di intervento.

226 1 Per il seguito vedi D. 229.

228

L’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 3478/1446. Parigi, 22 dicembre 1906 (perv. il 27).

Tostoché entrai, il 19 di questo mese, nel Gabinetto del sig. Pichon, questi, fattosi incontro a me, mi manifestò in termini cortesissimi la soddisfazione da lui provata nel leggere il largo sunto che del discorso da V.E. pronunziato alla Camera1, l’Agenzia Havas avea pubblicato il dì innanzi. Egli era particolarmente lieto delle parole amichevoli, con le quali ella avea tratteggiate le relazioni dell’Italia con la Francia e mi incaricò di esprimere a lei la sua gratitudine.

Benché sempre più assorta dalle quistioni interne che commuovono grandemente il paese, la stampa francese ha portato in discreta misura la sua attenzione sovra il rimarchevole di lei discorso. Si può dire che le osservazioni comparse in giornali di opinioni varie ebbero un’intonazione comune nello stimare eccessivamente ottimiste le previsioni e le impressioni di V.E. e nel felicitarsi delle eccellenti espressioni da lei adoperate parlando delle relazioni fra l’Italia e la Francia. Né io mi soffermerei a farne qui l’osservazione se questa quasi unanimità dell’apprezzamento della stampa francese non mi suggerisse una distinzione che occorre fare fra le condizioni della opinione dominante in Francia e quelle del sentimento prevalente nel nostro paese.

Fino all’estate del 1905, i francesi, con le leggerezze di criterio che è nell’indole loro, professavano con la massima sicurezza la politica la più pacifica. Essi non rinunciavano con ciò a proclamare il loro diritto sui territori smembrati nel 1870, ma erano intimamente persuasi che la guerra non potendo nascere fra la Francia e la Germania che nel caso di formali rivendicazioni territoriali che nessun francese era intenzionato di proporre, le relazioni pacifiche di questo paese non potevano correre alcun pericolo d’interruzione. Il risveglio di questa beata quietudine ha gettato questo popolo in una esagerazione opposta la quale non scompare ancora e ne risulta un senso di sospetto nelle intenzioni altrui che probabilmente perdurerà assai tempo in Francia. Di qui nasce la riserva estrema con cui vennero apprezzate le dichiarazioni contenute nel discorso dell’E.V. La Francia non ha mutato di sentimento e di idee; essa rimane pacifica; ma non è più persuasa che dal momento che essa non afferma le sue pretensioni territoriali verso la Germania, la pace non può essere per altre questioni o per altri pretesti turbata.

228 1 Vedi D. 222, nota 1.

229

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. RISERVATISSIMO CONFIDENzIALE 27821. Roma, 23 dicembre 1906, ore 17,30.

S.E. il generale Brusati ricevette dal capitano Romei il seguente telegramma con cifra speciale:

«S.M. Imperiale mi ha incaricato di telegrafare a S.M. il Re quanto segue: Dichiarazione ministro affari esteri Tittoni2 circa accordo italo-austriaco, per dare autonomia politica Penisola Balcanica, ha profondamente dolorosamente colpito S.M. Imperiale che non comprende subitaneo radicale mutamento ottimi rapporti fra i due paesi, per mantenere i quali S.M. Imperiale si è costantemente adoperata. Sua Maestà spera che dichiarazione ministro esteri sia stata male interpretata o male riferita, e si rivolge amicizia leale e sicura di S.M. il Re; pregandolo vivamente di voler-

2 Vedi D. 222, nota 1.

lo assicurare che tale amicizia continua esistere fra i due Sovrani fra i due paesi, e cancellare penosissima impressione ricevuta. Credo mio dovere aggiungere che Sultano si è mostrato seriamente addolorato e allarmato, e mi ha contemporaneamente incaricato di un messaggio per il nostro ambasciatore».

Il generale Brusati ha stamane trasmesso al capitano Romei pel Sultano il seguente telegramma di risposta di S.M. il Re:

«Posso assicurare Vostra Maestà che nulla è cambiato nella politica del mio Governo in Oriente, la quale avrà sempre per base il mantenimento dell’integrità dell’Impero ottomano. Come io apprezzo molto e cordialmente ricambio l’amicizia di S.M. Imperiale, così il mio Governo tiene molto a mantenere rapporti amichevoli ed intimi col Governo di Vostra Maestà. Certamente le parole del mio ministro degli esteri sono state inesattamente riferite a Vostra Maestà. Il mio ministro ha detto che la politica italiana si fonda sull’integrità dell’Impero ottomano, e che in ciò Italia ed Austria-Ungheria sono concordi. Siccome però fu posta innanzi l’ipotesi infondata che potesse in determinate eventualità riuscire impossibile il mantenimento dello statu quo, il mio ministro ha dovuto aggiungere che d’accordo Italia ed AustriaUngheria pensano che debba essere preferito il principio di nazionalità. Ciò che vuol dire che nessuna potenza dovrebbe mai, per nessuna ragione, occupare parte di territorio ottomano. Ed era questa conseguenza delle sue premure – che è garanzia assoluta dell’integrità dell’Impero – che il mio ministro desiderava risultasse dal suo discorso, e di questo Vostra Maestà dovrebbe esser lieto. E perciò giustamente il mio ministro chiamò la politica italiana in Oriente, politica disinteressata. Del resto, a dimostrare che nulla di nuovo è intervenuto nella politica italiana, e che i dubbi sorti nell’animo di Vostra Maestà dipendono da inesatta interpretazione del discorso del mio ministro, sta il fatto che questo discorso ripeté quasi colle stesse parole ciò che il ministro disse alla Camera, e per l’integrità dell’Impero ottomano e per la questione della nazionalità, nel maggio dell’anno 19043.

Dopo ciò, credo che Vostra Maestà sarà pienamente persuasa, e mi è grato rinnovarle le espressioni della mia affettuosa ed inalterabile amicizia».

Credo che ciò basterà a V.E. per compiere l’opera rassicurando completamente tanto il Sultano quanto il gran vizir al quale anche sarebbe bene che V.E. mostrasse il mio volume Due anni di Politica estera a pagina 107 per dimostrargli materialmente come oggi io non ho fatto che ripetere ciò che dissi nel 1904. Mi tenga informato in proposito.

18 maggio 1904, pp. 12643-12662: 12648-12652.

229 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

229 3 Vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1902-1904, vol. XIII, tornata del

230

L’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 3486/1452. Parigi, 23 dicembre 1906 (perv. il 27).

Restituisco qui unito l’originale del rapporto che il r. ambasciatore in Pietroburgo ha diretto a V.E. sovra le relazioni presenti della Russia con la Francia, il 25 del mese scorso1. Le informazioni e considerazioni in esso esposte collimano in gran parte con quelle che si hanno qui. Non credo però che il Governo russo potrebbe distaccarsi dall’alleanza francese senza mettersi in una situazione insostenibile tanto dal punto di vista finanziario, quanto da quello della stabilità delle istituzioni politiche interne. Pur rimanendo nel limite tracciatogli dai suoi proprii ordinamenti, fin qui il Governo francese ha impedito che la rivoluzione in Russia trovi in Francia un appoggio diretto ed i piccoli capitalisti francesi possessori di titoli russi sono interessati a mantenere lo statu quo politico in Russia. Ma se una mossa imprudente del Gabinetto di Pietroburgo venisse ad alterare la presente condizione di cose, questo paese potrebbe d’un tratto mutare di atteggiamento. L’intesa con l’Inghilterra che gli dà nuove sicurezze lo rende oggi assai più indipendente che non lo era prima che la Russia s’impegnasse nella sua avventura col Giappone.

231

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 3229/273. Pera, 24 dicembre 1906, ore 23,40.

In assenza del gran vizir indisposto, ho conferito soltanto col ministro degli affari esteri. Ho sviluppato argomenti contenuti nel telegramma reale1, ripetendo rassicuranti spiegazioni già date nella mia comunicazione di sabato [il 22]. Ho specialmente insistito sul passaggio in cui V.E. dichiara che il R Governo è pronto ad associarsi ad ogni misura giudicata opportuna per arrestare propaganda rivoluzionaria in Macedonia; ciò a ribattere infondati appunti del gran vizir, il quale sosteneva avantieri che l’accenno eventuale autonomia, è destinato ad alimentare aspirazioni rivoluzionarie negli Stati balcanici. Il discorso pronunziato da V.E. nel maggio 1904 fu fatto fino da sabato, da me ricordare al gran vizir ed al ministro. In conclusione ho detto che dopo l’autorevole messaggio di Sua Maestà al Sultano ed esaurienti spiegazioni che V.E. si è compiaciute di dare, ogni ulteriore dubbio sulla sincerità e continuità

231 1 Vedi D. 229

della politica italiana sarebbe ormai assolutamente fuori di luogo. Il ministro ha espresso la sua soddisfazione per nostre amichevoli dichiarazioni e mi ha pregato di ringraziare V.E. Aggiunse che, per conto suo, egli aveva sin da principio, preso la cosa con calma, e mai creduto in un repentino mutamento della nostra politica.

Se le mie informazioni sono esatte, stamane, prima della mia visita, è stato telegrafato a codesto ambasciatore ordini di provocare amichevoli spiegazioni da V.E.

Ambasciatore d’Austria-Ungheria è andato oggi alla Sublime Porta a dare rassicuranti spiegazioni e, secondo mi fu riferito, ha tenuto linguaggio analogo al mio.

230 1 R. 868/347 del 25 novembre, non pubblicato.

232

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 3237. Belgrado, 25 dicembre 1906, ore 17,30 (perv. ore 19,15).

Risposta al telegramma 27711. Confermo il mio rapporto 2592. Rinnovate presidente del Consiglio da parte del

Governo di Sua Maestà vivissime istanze, affinché tolte di mezzo ragioni più acuto dissenso, si mantengano e si assodino cordiali relazioni fra la Serbia e la Bulgaria; egli mi ha dato a questo riguardo formali assicurazioni che mi riservo riferire dettagliato rapporto: un comunicato al giornale ufficioso manifesta intanto pensiero Governo serbo su questo oggetto come pure fermo proposito impedire agitazione in Bosnia ed Erzegovina. Presidente del Consiglio mi ha dichiarato che V.E. nel suo importante discorso3 pone questione Macedonia sui veri termini e mi ha detto in quel modo Governo serbo interpreta pensiero e le [...]4 V.E.

233

L’AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 3245/84. Pietroburgo, 26 dicembre 1906.

Avendo io oggi chiesto a questo ministro degli affari esteri a qual punto si trovasse attualmente la questione della riforma giudiziaria in Macedonia, egli mi rispose che essa stava maturandosi a Costantinopoli per opera degli ambasciatori di Russia e

2 Non pubblicato. 3 Vedi D. 222, nota 1. 4 Gruppo mancante.

di Austria-Ungheria. Izvolskij mi parlò quindi spontaneamente della protesta fatta pure qui pervenire dal Governo ottomano contro la detta riforma, qualificata come un attentato ai diritti di sovranità del Sultano. Egli aveva risposto all’ambasciatore che la riforma giudiziaria era contemplata dall’accordo di Mürzteg, che era quindi nell’obbligo della Russia e dell’Austria-Ungheria di tradurla in atto, soggiungendo inoltre come fosse nell’interesse stesso della Porta di non opporsi al progetto elaborato in proposito dalle due potenze, e redatto in limiti tali da salvaguardare sufficientemente i diritti di sovranità del Sultano ed il mantenimento dello statu quo in Macedonia, mentre invece era da attendersi che qualora altra potenza fosse chiamata a por mani alla riforma giudiziaria, essa avrebbe potuto assumere assai maggiori proporzioni. Cionondimeno Izvolskij prevedeva che l’opposizione della Porta non sarebbe stata facilmente da superare.

232 1 Vedi D. 225.

234

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. RISERVATO 3248/275. Roma, 27 dicembre 1906, ore 12,30.

Romei comunica oggi al generale Brusati un telegramma diretto dal Sultano a S.M. il Re1. Sultano ringrazia Nostro Augusto Sovrano per telegramma reale2, e si mostra soddisfattissimo per dichiarazioni di Sua Maestà circa integrità Impero ottomano.

Il generale Romei, mi ha dato il telegramma che porta l’augusta firma di Vostra Maestà. Esso costituisce per me una cosa preziosa e per ciò ho domandato al generale Romei il testo italiano per conservarlo come un prezioso ricordo. Sono felicissimo dell’amicizia affettuosa e inalterabile di Vostra Maestà verso di me e della assicurazione che i buoni e intimi rapporti continuano fra i due paesi. Sono soddisfattissimo della dichiarazione di Vostra Maestà circa integrità Impero ottomano».

2 Vedi D. 229.

234 1 «Prego l’E.V. di sottomettere a Sua Maestà seguente telegramma inviato da S.M. imperiale:

235

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. PERSONALE 2761. Pera, 27 dicembre 1906, ore 20,30 (perv. ore 22,43).

Riassumo dichiarazione fattami oggi dal gran visir: «Sultano che professa per S.M. il Re sentimenti non solo amicizia ma sincera ammirazione è stato commosso e compiaciuto affettuoso telegramma reale contenente positive assicurazioni circa nostri propositi mantenere integrità Impero2. Della sincerità a tal proposito nessuno qui ha dubitato mai e quando pure qualche dubbio fosse sorto esso sarebbe a quest’ora totalmente dissipato dopo le premurose cordiali dichiarazioni di S.M. il Re e dell’E.V., alla quale Sua Altezza porge vivissime grazie. Unico motivo pel quale parole di V.E. hanno addolorato preoccupato Sultano e Sublime Porta è l’effetto prodotto sui comitati rivoluzionari balcanici, i quali travisando pensiero di V.E. e, non tenendo conto severo monito loro rivolto prendono pretesto dall’accenno fatto alla autonomia sulla base delle nazionalità per intensificare agitazione che in questi ultimi tempi grazie sforzi Governo imperiale tendeva a calmarsi. Grave fermento prevalente attualmente in Bulgaria e Grecia è stato segnalato dai rapppresentanti ottomani. L’inviato ad Atene ha riferito inoltre avergli quel ministro degli affari esteri significato francamente che dopo dichiarazioni di Roma e Budapest Governo ellenico incontrerà difficoltà anche maggiori per tradurre in atto escogitate misure radicali ad arrestare propaganda greca. Analogo linguaggio avrebbe a quanto pare tenuto questo agente diplomatico bulgaro».

In tale stato di cose gran visir mi ha lasciato chiaramente intendere un qualsiasi nostro comunicato ufficioso destinato ad accentuare presso gli Stati balcanici nostra ferma decisione mantenere statu quo, integrità Impero ottomano riuscirebbe assai gradito Sultano Governo imperiale; e noi renderemmo, ciò facendo, un vero servizio da amici.

236

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. PERSONALE 2161. Vienna, 29 dicembre 1906, part. ore 0,20 del 30.

Ho veduto oggi barone Aehrenthal dopo il suo ritorno Budapest. Egli mi ha pregato innanzi tutto farle conoscere quanto avevale fatto comunicare

dal conte di Lützow circa viva soddisfazione che aveva provato nel leggere importante

2 Vedi D. 229.

discorso (?)2 di V.E. Camera dei deputati come franche ed esplicite sue dichiarazioni riguardanti perfetta concordanza vedute fra i due Governi in tutte le questioni che interessavano rispettivi paesi. Ha accennato quindi a quella parte del discorso in cui si parla dell’autonomia Penisola Balcanica e ha aggiunto che comprendeva le ragioni che avevano indotto V.E. a far quelle dichiarazioni per dimostrare come accordo per mantenimento statu quo nei Balcani non fosse negativo, contrariamente a quanto era stato affermato, ma poggiasse su basi positive. Naturalmente la soluzione da lei indicata non poteva riferirsi che ad un’eventualità futura e lontana e infatti se le riforme andassero fallite del tutto e fosse impossibile mantenere statu quo ma (?)2 potevasi non pensare che alla spartizione delle varie parti della Macedonia tra gli Stati balcanici sulla base del principio delle nazionalità. Mentre risultava d’altra parte come i Governi d’Austria-Ungheria e d’Italia, che non avevano nella loro politica balcanica alcuna mira di personale interesse, fossero fermamente decisi a mantenere saldo lo statu quo e procedere di pieno accordo nelle questioni riguardanti la Penisola Balcanica.

Aveva voluto farmi di ciò parola perché da un rapporto pervenutogli ieri dall’ambasciatore d’Austria-Ungheria in Costantinopoli risultava come la Sublime Porta si fosse dimostrata preoccupata dalle dichiarazioni suddette di V.E. sembrandole da esse che Austria-Ungheria e Italia si erano messe d’accordo per una soluzione consistente nella autonomia politica dei Balcani. Tali preoccupazioni erano state manifestate a Pallavicini dal gran vizir. Ma egli non credeva tenerne conto e concluse col ripetermi di nuovo quanto aveva apprezzato e quanta viva soddisfazione avevano prodotto su di [lui] le dichiarazioni di V.E. che erano pienamente concordi con quelle che aveva fatto alle Delegazioni.

Dall’insieme delle cose dettemi dal barone Aehrenthal nella forma più amichevole ho potuto trarre l’impressione che egli avrebbe preferito che la questione della autonomia della Penisola Balcanica non fosse toccata nel discorso di V.E. Dalla mia lettera particolare 22 corrente3 V.E. avrà rilevato che tale era pure la opinione che si manifestava al Ministero degli affari esteri imperiale e reale4.

235 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

236 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto.

237

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 3270/277. Pera, 29 dicembre 1906, ore 21.

Ho detto oggi al Sultano che dopo la testimonianza di vera amicizia datagli da S.M. il Re con l’affettuoso telegramma contenente le più esaurienti e rassicuranti dichiarazioni, io non poteva altro che esortare S.M. imperiale a riporre più che mai

3 Non pubblicata. 4 Per la risposta vedi D. 238.

fiducia nel Goveno del Re, oggi come per il passato, tenace, convinto fautore mantenimento status quo, integrità Impero ottomano. Il Sultano ha risposto che, difatti, il telegramma reale gli è giunto carissimo1, e che lo conserverà quale prezioso ricordo fra i suoi più importanti documenti. Nel corso del colloquio, S.M. imperiale mi ha detto che come egli ha voluto, malgrado gli ostacoli e gli intrighi, l’intimità delle relazioni colla Germania, così è pure lui a volere, dopo di aver fatta la conoscenza col nostro Re, l’intimità delle relazioni coll’Italia. È questa la sua politica personale, che nessun’arte arriverà a fargli cambiare.

Conversazione essendo caduta sulle torpediniere, ho colto l’occasione per parlare degli affari Ansaldo. Deplorando nota intimazione, io non avevo voluto informare mio Governo, ad evitare cattiva impressione che avrebbe certamente prodotta decisione Consiglio dei ministri, affatto inattesa e contraria ripetuti affidamenti a me personalmente dati da S.M. imperiale. Ho accennato, in pari tempo, alla necessità per la Turchia di essere forte non solo per terra, ma anche per mare, aggiungendo che sarei stato ben lieto, se nel corso della mia missione, io potessi avere la fortuna di vedere una bella e potente flotta ottomana costruita da industria italiana. S.M. imperiale mi ha assicurato, di nuovo, che egli non intendeva di troncare relazioni di affari colla Casa Ansaldo.

236 2 Punto interrogativo del decifratore. Vedi D. 222, nota 1.

238

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T 1. Roma, 30 dicembre 1906, ore 13.

Risposta al telegramma n. 2162. V.E. può dichiarare al barone di Aehrenthal che egli ha esattamente interpretato

le mie parole circa la politica dell’Austria-Ungheria e dell’Italia nella Penisola Balcanica. Io volli porre in rilievo la politica disinteressata dell’Austria-Ungheria e dell’Italia e mostrare che il loro accordo è positivo e prevede qualunque possibile remota eventualità. Però ritengo tali eventualità non desiderabili e continuerò sempre ad unire i miei sforzi a quelli del barone di Aehrenthal per mantenere lo statu quo. In questo senso si è espresso il nostro ambasciatore Imperiali a Costantinopoli dove mi era noto che le parole mie avevano destato preoccupazioni e timori che ora sono dissipati come mi risulta da dichiarazioni fatte ad Imperiali dal gran vizir ed a me dall’ambasciatore turco Reshid il quale mi ha ripetuto esser la Porta convinta che Austria-Ungheria ed Italia desiderano tutelare l’integrità dell’Impero ottomano.

238 1 Minuta autografa. Dall’archivio segreto di Gabinetto.

2 Vedi D. 236.

237 1 Vedi D. 234, nota 1.

239

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 3914. Roma, 31 dicembre 1906, ore 14.

Facendo seguito al mio telegramma di ieri1 le riproduco qua il testo esatto della dichiarazione da me fatta in Senato2 riguardo la questione balcanica: «Io stesso dinnanzi alla Camera rilevai le difficoltà che il problema delle riforme in Macedonia incontra ma dissi anche che argomento di conforto e di tranquillità per tutti doveva essere il pieno accordo che esiste a riguardo per l’Italia e l’Austria-Ungheria e che è fondato innanzi tutto sull’integrità dell’Impero ottomano, della quale noi siamo e saremo sempre strenui sostenitori e sopra un assoluto e reciproco disinteresse che considera anche le più remote eventualità». L’E.V. potrà valersi anche di quanto precede nel fare ad Aehrenthal la comunicazione di cui la incaricai col telegramma di ieri.

240

IL MINISTRO A SOFIA, CUCCHI BOASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1616/399. Sofia, 31 dicembre 1906 (perv. il 15 gennaio 1907).

Non ho mancato di adempiere al gradito incarico affidatomi da V.E. col riverito dispaccio a margine segnato1.

Il sig. Stancioff accolse con animo riconoscente i ringraziamenti che V.E. ha avuto la bontà di fargli pervenire e mi disse che avrebbe portato immediatamente la mia comunicazione a conoscenza di Sua Altezza Reale.

In questa circostanza il ministro degli affari esteri mi manifestò tutta la sua ammirazione pel discorso pronunciato dall’E.V. alla Camera2. Esso, disse il sig. Stancioff, non poteva chiuder meglio, pel momento, la serie dei discorsi pronunziati dagli altri eminenti uomini di Stato che così saggiamente dirigono la politica europea, ed aveva prodotto anche qui, come dovunque, l’impressione la più favorevole.

2 Vedi Atti parlamentari, Camera dei senatori, Discussioni, 1904-1907, vol. VII, tornata del 28

dicembre 1906, pp. 4788-4790. 240 1 Si tratta del Disp. 76406/192 del 18 dicembre, non pubblicato.

2 Vedi D. 222, nota 1.

239 1 Vedi D. 238.

241

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. pERSONALE 21. Vienna, 1° gennaio 1907, ore 22,45 (perv. ore 1 del 2).

Non ho potuto vedere barone Aehrenthal che oggi appena. Gli ho parlato senso telegrammi di V.E. in data 30 e 312 facendogli rilevare come parole di V.E. miravano far costatare che pieno accordo esistente fra Italia e Austria-Ungheria era positivo, esso era fondato sull’integrità Impero ottomano e sull’assoluto reciproco disinteresse e considerava anche le più remote eventualità. Gli ho ricordato a questo riguardo esplicite dichiarazioni V.E. fatte recentemente Senato e ho aggiunto che avrebbe continuato unire suoi sforzi a quelli di lui per mantenere statu quo di cui Governo italiano era e sarà sempre uno dei più strenui e convinti sostenitori. Barone Aehrenthal nel ringraziarmi di quanto gli avevo detto, di cui si è dimostrato soddisfatto mi ha pregato farle conoscere che aveva creduto accennare parole suddette per dissipare [...]3 e era lieto delle assicurazioni fattale da codesto ambasciatore di Turchia. Ha rilevato poi che questo nuovo scambio di dichiarazioni attestava ancora una volta come due Governi erano pienamente d’accordo e avevano fermo proposito seguire stessa linea di condotta nelle questioni riguardanti penisola Balcanica.

Mi ha riferito poi via privata ciò che V.E. aveva fatto conoscere codesto ambasciatore d’Austria-Ungheria e mi ha pregato farle pervenire di nuovo sue congratulazioni che le aveva già fatto esprimere dal conte Lützow per alta onoreficenza conferita V.E. da S.M. il Re e presentarle in pari tempo suoi auguri per nuovo anno.

Barone Aehrenthal partirà domani Budapest per assistere seduta Delegazione austriaca e conterebbe far qui ritorno dopo ballo Corte che avrà luogo colà 12 corrente.

242

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 3/8. Addis Abeba, 2 gennaio 1907 (perv. il 3 febbraio).

Ho ricevuto il dispaccio n. 71897 del dì 26 novembre 19061, riguardante l’azione inglese in questi paesi e più specialmente nei Boran.

2 Vedi DD. 238 e 239. 3 Gruppo mancante.

Ho più volte fatto noto a cotesto R. Ministero che non nel solo caso della zona circostante al Benadir, ma in ogni paese dove l’azione coloniale nostra può in qualunque modo farsi strada, l’Inghilterra, dimentica delle sue rinunzie territoriali nelle zone di nostra influenza, cerca in ogni modo di imporre la sua supremazia e dovunque studia apertamente di isolare le nostre colonie e paralizzare l’azione nostra.

Colla ferrovia di port-Sudan e le grandissime facilitazioni date alla esportazione per la via del Nilo, la Colonia Eritrea perse quasi totalmente il commercio di caffè, pelli e cera provenienti dal Nord e dal centro dell’Etiopia (zona d’influenza italiana); con una energica azione nei Borana, e sulla linea Lugh-Imi certamente il nostro commercio della costa somala, che naturalmente prende vita dalla importazione del paese retrostante, sarà presto ridotto ben misera cosa. perché, mentre noi discutiamo se è opportuno creare delle agenzie commerciali in Etiopia, l’Inghilterra ci previene mandando ovunque attivi mercanti greci, protetti suoi, dei quali l’opera si può, quando occorra sconfessare, e che (mi servo delle testuali parole di un’autorità britannica) «rendono servigi che un inglese non vorrebbe rendere».

Il mio collega inglese ha certamente avuto parte in questa azione del suo paese, come vi avranno preso parte i funzionari inglesi del Sudan e dell’Est-Africa; non avrà consigliato le violenze, anzi disse di avere consigliato il contrario; ma gli inviati avranno avuto ordine di fare e fare ad ogni costo, e certamente essi hanno voluto largamente giustificare la fiducia riposta nella loro attività.

Ritenga per certo l’E.V. che questi mali, oggi dal R. Governo e sempre da me lamentati, non dipendono da personali inimicizie di Addis Abeba: le relazioni tra le due legazioni sono e furono sempre intime e cordiali: il male è che l’Inghilterra ha da qualche tempo su questo paese mire dirette e programma formato e di tutto e di tutti si vale per avere qua campo libero.

Anche il richiamo immediato dei ministri di Francia e di Italia, quando il ministro inglese ha dovuto assentarsi, ha servito mirabilmente all’Inghilterra, che male avrebbe veduto il Negus consigliato e attorniato da altri ministri che agissero senza il consenso del suo.

241 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto.

242 1 Con Disp. 71897/166 Tittoni richiedeva informazioni sui soprusi inglesi denunciati dai rappresentanti italiani nelle zone circostanti al Benadir.

243

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATO pERSONALE1. Roma, 3 gennaio 1907, ore 13.

Intesa tra Austria-Ungheria ed Italia per eventuale autonomia Macedonia non risulta da alcun impegno scritto ma fu il risultato dei miei colloqui con Goluchowski. Scambio d’idee che V.E. ha ora avuto con Aehrenthal dimostra che siamo perfettamente d’accordo circa significato e portata delle mie parole. Ciò stante sarebbe pericoloso che giornali che prendono ispirazione da ufficio stampa codesto Ministero esteri tornassero sulla questione per contestare ciò che ho detto poiché obbligherebbero me ad insistere.

Interessa quindi che tale delicato argomento sia pel momento lasciato da parte. In questo scopo V.E. dovrebbe parlare subito al Ministero degli esteri affinché fossero date subito al sig. Jettel istruzioni categoriche di smettere le sue inopportune confidenze ai corrispondenti. Ugualmente V.E. dovrebbe ottenere dal corrispondente che le ha parlato che non tenesse conto di quanto Jettel gli ha detto. Gradirò ulteriori informazioni al riguardo2.

243 1 Minuta autografa. Dall’archivio segreto di Gabinetto.

244

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. 111. Roma, 3 gennaio 1907, ore 14,35.

Governi francese e inglese sono favorevoli comunicazione collettiva a Menelik della firma dell’accordo che fu già a lui ufficialmente comunicato. Governo inglese disposto a dare istruzioni suo rappresentante costà prendere all’uopo accordi con i suoi colleghi.

Sono anch’io favorevole a questa comunicazione, ma desidero che i termini di essa quali saranno costì concordati, mi siano prima comunicati.

È prudente che rappresentanti tre potenze cerchino di assicurarsi che eventuale risposta di Menelik non contenga riserve. Se vi fossero dubbi, si dovrebbero chiedere istruzioni.

245

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 22/1. Addis Abeba, 3 gennaio 1907 (perv. ore 11,50 del 4)1.

Oggi ho dovuto recisamente smentire e rassicurare Menelik circa voci di nostri preparativi di guerra Eritrea. Queste voci sono diffuse da informatori della Colonia venute fin qui, che hanno per sistema intrigo per acquistare favori presso i due Governi.

244 1 Trasmesso via Asmara. 245 1 Trasmesso da Asmara il 4 gennaio.

243 2 per la risposta vedi D. 248.

246

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. pERSONALE CONFIDENzIALE. Vienna, 3 gennaio 1907.

presi occasione dal colloquio avuto col barone d’Aehrenthal circa la questione della visita a Roma su cui riferisco all’E.V. con lettera particolare confidenziale di pari data1 per intrattenerlo in via privata ed amichevole dell’altra questione relativa all’istituzione in Austria di un’università italiana.

Feci conoscere al barone d’Aehrenthal che al mio arrivo in Roma nel novembre scorso aveva trovato V.E. alquanto preoccupato per le dimostrazioni avvenute in Italia in seguito a quelle provocate in Austria dagli studenti di nazionalità italiana in favore dell’istituzione di quell’università. V.E. si era adoperato a far prendere le misure più energiche per prevenirle ed impedire che trascendessero dando luogo ad incidenti spiacevoli tali da offuscare i nostri cordiali rapporti. Ma ella temeva giustamente che se nuove dimostrazioni avvenissero in Austria queste non avrebbero potuto non avere un contraccolpo in Italia e porre quindi il R. Governo in un serio impaccio giacché nonostante i provvedimenti che sarebbe per prendere esse avrebbero originato da noi nuove manifestazioni e forse incidenti che era opportuno nel comune interesse di eliminare del tutto. Onde V.E. aveva creduto di parlare francamente della questione in via amichevole al conte de Lützow e mi aveva incaricato di fargliene pure cenno per esporgli in via del pari amichevole e privata le conseguenze che avrebbero potuto produrre in Italia le dimostrazioni suddette e pregarlo di voler esaminare in qual modo avrebbesi potuto liberare il terreno da tale questione che per le ragioni suddette formava oggetto di apprensioni per parte di lei. V.E. era fermamente risoluto a fare quanto era in suo potere per impedire qualsiasi cosa atta a turbare menomamente la cordialità dei reciproci rapporti su cui si basava la nostra politica ed ella non ignorava le disposizioni amichevoli da cui egli era animato a nostro riguardo. D’altra parte non era affatto sua intenzione di immischiarsi negli affari interni della Monarchia ma V.E. credeva fare appello in tale occasione a quelle amichevoli sue disposizioni nella speranza che avrebbe trovato un mezzo per definire la questione nel modo che giudicasse più opportuno.

Il barone d’Aehrenthal rispose che apprezzava le ragioni che avevano indotto V.E. a fargli parlare della quistione della quale il Governo imperiale e reale erasi occupato e si occupava con tutto l’interesse che comportava. Le difficoltà che si frapponevano alla sua soluzione non erano lievi giacché se alle popolazioni di lingua italiana fosse accordata un’università propria, questa avrebbe dovuto essere concessa pure agli sloveni ed ai ruteni che erano in istanza da più tempo per ottenerla ed il Governo imperiale e reale sarebbe stato poi costretto di soddisfare in pari tempo le pretese reiterate degli czechi intese all’istituzione di una seconda università

nazionale. Non era possibile di aderire alle domande di una di queste nazionalità senza provocare gravi agitazioni nelle altre e lotte intestine tra loro. per mantenere quindi l’ordine interno e stabilire tra di esse un equo equilibrio cancellando i rispettivi interessi conveniva innanzi tutto di preparare colle debite cautele il terreno ciò che richiedeva tempi e lunghi studi, per vedere se e quale soluzione avesse potuto esser data alla questione.

Il barone d’Aehrenthal mi fece quindi intendere che il Governo imperiale e reale avrebbe forse abbandonata l’idea della [..]2 dei diplomi italiani nella Monarchia perché non confacente allo scopo ed accennò alla sfuggita al progetto dell’istituzione d’una università italiana a Roveredo già ventilata sotto il Gabinetto Korber il quale non aveva potuto aver séguito per l’opposizione fattavi dalle popolazioni italiane.

Credetti allora opportuno di ricordare al barone d’Aehrenthal che di quel progetto avevami parlato di persona lo stesso barone di Korber or fa tre anni facendomi rilevare di essersi adoperato più che i suoi predecessori a corrispondere ai desideri degli italiani della Monarchia, ma ch’era stato dolente che tale progetto che avrebbe dato secondo lui una soluzione soddisfacente alla quistione non avesse riscosso la loro approvazione. E prendendo occasione da ciò chiesi incidentalmente al barone d’Aehrenthal se non avesse disposto che io tenessi pure parola in via accademica e privata della quistione al barone di Beck.

Il barone d’Aehrenthal replicò che gli sembrava più opportuno che io mi astenessi dal toccare direttamente col presidente del Consiglio tale quistione di cui del resto si occupava il Governo imperiale e reale ma osservò nuovamente che per poterla risolvere era necessario di preparare in antecedenza il terreno.

Nel corso del colloquio il barone d’Aehrenthal s’espresse meco nel modo più amichevole ma con alquanta riserva non senza farmi intendere come si trattasse di una quistione interna della Monarchia.

Dalle cose da lui dettemi però non ho potuto rilevare a qual punto sia l’esame della quistione e se e quale soluzione il Governo imperiale e reale pensi dare alla medesima.

L’assenza del barone Malfatti che partì per questo prima del mio ritorno dal congedo mi ha impedito di assumere presso di esso informazioni sicure circa le disposizioni attuali del Governo imperiale e reale come circa i risultati delle trattative intavolate in proposito tra esso e la deputazione italiana al Reichstag. Siccome egli non è membro della Delegazione austriaca non è da supporre che venga in Vienna prima della riapertura del parlamento, la cui data non rimane ancora fissata definitivamente. Ma al suo ritorno non mancherò di parlare con esso per riferire all’E.V. quanto mi sarà dato di sapere da lui.

Nel riservarmi di comunicarle le ulteriori informazioni che potessi raccogliere in via riservata da altra fonte circa la quistione ...

246 1 Non pubblicata.

246 2 parola illeggibile.

247

L’AMBASCIATORE A pARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 28/2. Parigi, 4 gennaio 1907, ore 17 (perv. ore 21).

Comunicazione Menelik della firma della convenzione 13 dicembre. Telegrafai a V.E. il 18 dicembre1 essere Governo francese favorevole alla comu-

nicazione accompagnata da nota concertata fra potenze. In risposta a quel mio telegramma V.E. m’informò, il 23 dicembre2, che Lagarde riteneva inutile concretare forma speciale per la comunicazione. Opinione Lagarde sembrando in contraddizione con le disposizioni del suo Governo, ho domandato jeri spiegazioni al direttore degli affari politici. Questi mi disse che un equivoco poteva essere nato in proposito. Governo francese, messo in presenza della proposta italiana di fare a Menelik formale comunicazione della firma dell’accordo aveva consultato Gabinetto di Londra, che vi si era palesato poco favorevole. Lagarde, dal canto suo, fece notare che l’accordo era stato già portato a notizia di Menelik dopo che era stato parafato, e che questi aveva già dato una risposta relativamente soddisfacente, la quale bastava, in ogni caso, per costituire la presa d’atto da parte sua dell’esistenza dell’accordo delle tre potenze. Conviene, in questo stato di cose, insistere con una comunicazione più solenne, non della convenzione, ma della notizia della sottoscrizione finale di essa, e correre così il rischio suscitare da parte di Menelik delle obiezioni e riserve che non fece finora? Il direttore degli affari politici, ponendo questa questione, non si arrogava di risolverla, e riservava al Ministero, che da tre settimane, per ragioni varie, non riceve il Corpo diplomatico, pronunziarsi in proposito. Comunicherò oggi stesso, per lettera, al ministro il contenuto del telegramma n. 12 di V.E.3.

248

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. pERSONALE1. Vienna, 4 gennaio 1907, ore 23,35 (perv. ore 2 del 5).

Telegramma personale V.E. essendomi pervenuto jeri tardi2 non ho potuto parlare che oggi soltanto sig. de Mérey esprimendomi senso sue istruzioni. Gli ho fatto rilevare in via confidenziale ed amichevole come fosse pericoloso giornali che prendono ispira-

2 Con T. 2776. Il contenuto è qui riassunto. 3 T. 12 del 3 gennaio. Istruzioni di comunicare il contenuto del telegramma, indirizzato a Cic-

codicola di cui al D. 244. 248 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

2 Vedi D. 243.

zione da ufficio stampa Ministero degli affari esteri imperiale e reale ritornino sulle dichiarazioni V.E. cercando di contestarle. Gli ho dimostrato necessità che tale argomento non sia più toccato e l’ho pregato far impartire istruzioni categoriche sig. Jettel perché non faccia più inopportune confidenze ai corrispondenti. Sig. de Mérey mi ha risposto che ignorava se sig. de Jettel, che era partito mercoledì [il 2] con barone Aehrenthal per Budapest, ove rimarrebbe durante sedute Delegazioni, avesse realmente fatto quelle confidenze di propria iniziativa o per ordine del ministro ma che si sarebbe affrettato informare oggi stesso barone Aehrenthal di quanto gli aveva esposto e della domanda rivoltagli e avrebbe comunicato immediatamente sua risposta che non dubitava sarebbe conforme desiderio di V.E. Ho conferito per via riservata col sig. Stead che mi ha detto aver già telegrafato da alcuni giorni al Times cose comunicategli dal sig. di Jettel e che suo telegramma era stato pubblicato giornale edizione mercoledì scorso. Ha aggiunto che in quel telegramma non aveva creduto riferire osservazione fatta sig. de Jettel che era possibile che eventuale autonomia Macedonia fosse il risultato dei colloqui avuti da V.E. col conte Goluchowski perché di ciò si era fatto cenno in certo modo nel Fremdenblatt nell’articolo comunicato V.E. con mio rapporto n. 13523. Nessun giornale viennese tranne Tagblatt e Fremdenblatt ha riprodotto articolo Münchenez Allegemeine Zeitung da me segnalato né alcun articolo al riguardo venne da loro finora pubblicato4.

247 1 T. 3162/159. Il contenuto è qui riassunto.

249

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A pARIGI, TORNIELLI

T. 34. Roma, 6 gennaio 1907, ore 11,15.

Governo britannico acconsente che accordo Etiopia sia comunicato alle potenze; ma circa modus procedendi, crede sia il migliore quello di cogliere prossima occasione di parlare dell’argomento con ambasciatori di Germania, Austria, Russia e Stati Uniti, e, se la desiderano, comunicare copia della convenzione. Io seguirò stesso modus procedendi. Sarebbe desiderabile che Governo francese facesse altrettanto.

250

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 52/4. Londra, 7 gennaio 1907, ore 17,45.

Visto oggi Grey che mi ha detto aver saputo da buona fonte, benché indiretta, che sebbene Austria ancora resista, tuttavia quasi certamente aderirà controllo tutte le

4 per il seguito vedi D. 251.

potenze, riforma giudiziaria Macedonia. Se così avviene, Grey opina lasciare a Austria e Russia onore della iniziativa di tale proposta. Egli, inoltre, crede gravissima attuale situazione in Macedonia, aggravata dalla vicinanza della Bulgaria in armi. È preoccupato delle dichiarazioni che deve fare in proposito in parlamento. Non ha ancora concretate le sue proposte di ulteriori riforme, ma prima di presentarle, le comunicherà al Governo italiano. Ne faranno parte, molto probabilmente, nomina di un governatore con le guarentigia esposte nel mio rapporto n. 602, del 28 dicembre1, alle quali credo che Sultano sarà fortemente contrario. Naturalmente Grey non ha alcuna fiducia nei recenti provvedimenti del Sultano relativi giustizia Macedonia.

248 3 Non pubblicato.

251

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. pERSONALE1. Vienna, 7 gennaio 1907, ore 20,25 (perv. ore. 22).

Sig. de Mérey mi ha dato oggi lettura in via confidenziale di una lettera particolare pervenutagli ieri dal barone Aehrenthal in risposta alla comunicazione da me fattagli in seguito telegramma V. E. del 3 corrente2. In tale lettera barone Aehrenthal fa conoscere che commenti comparsi nella Münchener Allegemeine Zeilung circa dichiarazioni V.E. relative autonomia penisola Balcanica corrispondevano idee Governo imperiale e reale. Colloqui privati avuti dal direttore ufficio stampa con alcuni corrispondenti non avevano altro scopo che di prevenire che una interpretazione non conforme a quelle idee fosse data dalla stampa estera alle dichiarazioni di V.E. come impedire impressione che queste potevano produrre sulla Sublime porta e Stati balcanici e ottenere conseguentemente che opera pacificatrice intrapresa da AustriaUngheria in unione Russia intesa unicamente mantenimento statu quo penisola Balcanica potesse essere in qualche modo intralciata.

Barone Aehrenthal aggiunge che si avrebbe potuto evitare quanto era avvenuto se V.E. avesse avuto la bontà comunicargli prima di pronunziarle parlamento dichiarazioni suddette le quali riflettevano una questione che sta molto a cuore Governo imperiale e reale. E conclude dichiarando che riconosceva al pari V.E. come fosse opportuno di non tornare sull’argomento avesse [scil. e che avrebbe] dato sig. de Jettel istruzioni senso da V. E. desiderato.

251 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

2 Vedi D. 243.

250 1 Non pubblicato.

252

L’INCARICATO D’AFFARI AD ATENE, BRUNO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 10/7. Atene, 7 gennaio 1907 (perv. i1 10).

Il linguaggio della stampa ellenica, che già si era molto modificato a nostro riguardo dopo il viaggio e l’accoglienza del Re di Grecia a Roma, tende ora a prendere, mi piace constatarlo, una intonazione favorevole e di maggior fiducia verso la politica dell’Italia, in seguito, specialmente, al richiamo dei nostri carabinieri da Creta ed alle dichiarazioni recentemente fatte dall’E.V. al parlamento nazionale intorno alle questioni di Creta e di Macedonia, di così grave interesse per questo paese.

Così l’Acropolis organo indipendente, nel suo numero del 4 corr., a proposito della partenza da Creta dei carabinieri e di un reparto di truppe italiane, si rimprovera le insinuazioni, altra volta fatte sulle mene conquistatrici d’Italia e sui maneggi dei suoi agenti in Creta, in Epiro ed altri paesi ellenici ed «inneggia alla sorella Italia» che spontaneamente, con entusiasmo, dà per la prima l’esempio dell’evacuazione di Creta.

Nello stesso tempo si esprime il Cronos di jeri, giornale molto diffuso nelle provincie. Esso rileva la preponderanza presa, in questo ultimo quinquennio, dall’Italia nelle cose d’Oriente e la grande portata delle dichiarazioni di V.E., le quali contribuirono a dissipare i timori degli Stati balcanici, ed aggiunge, che, per quanto riguarda la Grecia, l’Italia non si limita solo alle parole ma dà prova dei sentimenti benevoli e disinteressati cui s’inspira la sua politica. Dopo aver richiamato da Creta i carabinieri che prestarono preziosi servizi nell’isola, sta ora ritirando anche le truppe. Essa è la prima fra le potenze che dichiara cessata la missione dell’Europa nell’isola per lasciarla ormai libera di provvedere alle sue sorti future. Confida che la nobile iniziativa dell’Italia sia presto imitata dalle altre potenze. Aggiunge che siffatta politica disinteressata viene in tempo per far svanire i falsi giudizi e la sfiducia dei greci, i quali, da avvenimenti di nessuna importanza, arguivano che l’Italia avesse aspirazioni di conquista su Creta e nella parte occidentale della penisola Balcanica. Ora, conclude quel giornale, miriamo nell’Italia, il paese dei nobili e grandi ideali che preconizza le sorti d’Oriente analoghe a quelle dell’eroica nazione italiana.

253

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOpOLI, IMpERIALI

T. 53. Roma, 8 gennaio 1907, ore 14,55.

Banco di Roma vorrebbe istituire, alla dipendenza della sua agenzia di Malta una succursale a Tripoli di Barberia, giustificandone l’impianto colla presenza di molti maltesi in quest’ultima città. L’istituzione dovrebbe avere luogo d’improvvi-

so in modo da mettere le autorità ottomane di fronte al fatto compiuto e di non dare loro né tempo, né maniera di fare difficoltà. prego V.E. di esprimermi il suo parere sul merito della questione quando sul modus procedendi escogitato dal Banco di Roma1.

254

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOpOLI, IMpERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 71/81. Pera, 9 gennaio 1907, ore 15,30.

Esprimo parere pienamente favorevole istituzione Tripoli succursale Banca di Roma. Approvo pure modus procedendi. Circa eventuale difficoltà da parte del Governo imperiale mi riferisco rapporto n. 63, 30 gennaio 19062, nel quale mi pare avere dimostrato nostro pieno diritto riposante su base legale e su recenti precedenti di istituire sotto certe date condizioni Banca a Tripoli al pari che in altre località Impero ottomano.

255

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A pARIGI, TORNIELLI

T. 75. Roma, 10 gennaio 1907, ore 15.

Ricevuto telegramma 21. Dopo firmato accordo per Etiopia, non feci proposta di notificare a Menelik la

firma del detto accordo volli soltanto conoscere quale fosse pensiero Gabinetti parigi e Londra circa tale eventuale notificazione. Telegrafai a questo scopo il 14 dicembre a V.E. ed al marchese di San Giuliano2. Appresi dal telegramma di V.E. che Governo francese era favorevole alla comunicazione a Menelik con nota concertata fra tre potenze3 e seppi poi il 28 dicembre che Governo inglese aderiva comunicazione collettiva della firma a Menelik ed era disposto a dare istruzioni suo rappresentante Addis Abeba prendere accordi con colleghi4. Questo ambasciatore di Francia infine fece ripetute premure affinché si entrasse nell’ordine di idee del suo Governo.

254 1 Risponde al D. 253.

2 Non pubblicato. 255 1 Vedi D. 247.

2 TT. 2690 e 2691, non pubblicati. 3 Vedi D. 247, nota 1. 4 T. 3265/243 del 28 dicembre, non pubblicato.

Dopo di ciò diedi istruzioni a r. ministro in Addis Abeba intendersi coi colleghi per formulare termini comunicazione a Menelik da portarsi prima a conoscenza dei rispettivi Governi5; ma essendomi anch’io poste difficoltà a cui accennò codesto direttore affari politici, diedi anche istruzioni a Ciccodicola, come avrà rilevato da mio telegramma 3 corrente6, di accertare che non vi sarebbero state riserve del Negus in caso di eventuale comunicazione firma accordo. Nel dubbio i rappresentanti Addis Abeba avrebbero dovuto chiedere istruzioni.

prego V.E. mettere tutto ciò innanzi a codesto ministro degli affari esteri dichiarando che mi era reso conto grave obiezione per possibili riserve di Menelik, che avevo provveduto ad impedirne conseguenze con istruzioni a Ciccodicola, ma che sono disposto a mettermi d’accordo coi Gabinetti di parigi e Londra allo scopo di dare ad Addis Abeba concordi istruzioni per sospendere comunicazione formale a Menelik limitandosi a tenerne parola con il Negus a titolo di informazione quando se ne presenti l’occasione propizia7.

Comunico questo telegramma alla r. ambasciata a Londra.

253 1 per la risposta vedi D. 254.

256

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENzIALE 24/11. Belgrado, 12 gennaio 1907 (perv. il 19).

Ieri ebbi l’onore di una lunga conversazione con S.M. il Re, durante la quale si venne a parlare dei rapporti attuali fra serbi e bulgari. Egli mi disse deplorare profondamente i dissensi e i sospetti sopravvenuti, perché l’unione è condizione essenziale non solo pel bene ma per la stessa esistenza di due popoli che hanno lo stesso sangue, gli stessi nemici e debbono prefiggersi uno stesso programma. Il maggiore errore, anzi la maggiore colpa di re Milan fu, egli disse, la iniqua guerra del 1885, di cui i ricordi purtroppo sono ancor vivi. Chiunque fosse stato il vincitore o il vinto il danno sarebbe stato eguale, perché il sangue sparso in una guerra fratricida non si deterge facilmente. Egli però afferma che di quanto ora accade la Serbia non ha colpa in quanto che i comitati serbi si sono limitati a procurare armi ai loro fratelli di Macedonia soltanto perché fossero in grado di difendersi. Niente di più. Ma, aggiunse, i nostri comuni nemici soffiano nel fuoco perché divampi e ricorrono a tutte le arti. Tre giorni fa si era fatta correre per Belgrado la voce che a Sofia fosse stata assalita la nostra agenzia, abbattuto lo stemma, maltrattato il nostro rappresentante e si incitava la gioventù alla rivincita contro questa agenzia bulgara.

6 Vedi D. 247, nota 3. 7 Vedi in proposito D. 260.

Un gruppo di macedoni-serbi qui residenti si era già riunito con propositi fieramente ostili, quando fortunatamente si poté sapere nulla esserci di vero di quanto era stato raccontato e tutto si rimise in calma. Risultò poi che nel giorno e nell’ora stessa in cui qui si diceva di offese all’agenzia serba, a Sofia si spargeva voce di offese fatte all’agenzia bulgara di Belgrado.

Il Re mi disse inoltre essere persuaso che in Bulgaria non si desidera romperla colla Serbia, ma certo vi hanno degli agenti provocatori, l’attuale capo del Governo bulgaro è, fin dai tempi di pietroburgo, amico del barone d’Aehrenthal ed il principe è per tradizioni personali di sentimenti austrofili e potrebbe sperare che il Governo di Vienna lo aiutasse a trasformare in realtà i suoi sogni ambiziosi. «Ma vi assicuro», disse «che noi faremo il possibile per mantenere il buon accordo, però, se aggrediti dovremmo difenderci come meglio possiamo».

Gli replicai essere persuaso che la Bulgaria non vuol romperla con la Serbia. Il principe è troppo fine politico per non sapere che si porrebbe in disaccordo con il partito nazionale e che una guerra fra la Serbia e la Bulgaria sarebbe fatale ai due paesi, chi ne trarrebbe profitto sarebbero soltanto i nemici della egemonia jugoslava nei Balcani. È possibile che il principe voglia approfittare della benevolenza del Gabinetto di Vienna per trarne tutto il possibile profitto, ma non fino al punto di compromettere l’avvenire. Egli sa benissimo che, all’indomani di una guerra colla Serbia, sarebbe abbandonato da coloro stessi che al triste passo lo avessero sospinto.

Questo che ho detto al Re è, fino a prova contraria, la mia opinione. Io quindi ritengo che il R. Governo farebbe opera proficua di pace fra i popoli balcanici, dando a Sofia consigli di prudenza e cercando persuadere quel Governo che esso non ha veramente nulla da temere dalla Serbia.

255 5 Vedi D. 244.

257

L’AMBASCIATORE A BERLINO, pANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 60/18. Berlino, 13 gennaio 1907 (perv. il 17).

Ieri ho avuto l’onore di presentare a S.M. l’imperatore Guglielmo la lettera sovrana che mi accreditava presso di lui nella qualità di ambasciatore d’Italia. L’Imperatore mi chiese con vivo interesse le notizie del Nostro Augusto Sovrano, fornendomi occasione a presentargli i complimenti dei quali Sua Maestà mi aveva per lui incaricato. Questa prima nostra conversazione limitatasi ad argomenti d’indole personale, non offrì però opportunità a veruna allusione d’ordine politico.

Nella sera stessa venni ricevuto da S.A. il principe di Bülow che mi accolse nel modo il più amichevole e senz’altro si fece a parlarmi dell’Italia e delle nostre relazioni che dovevano, disse, inspirarsi alla più completa reciproca fiducia. Que-

sto condusse naturalmente il mio interlocutore ad alludere alle polemiche prodottesi l’anno scorso in seguito alla Conferenza di Algeciras. Il Governo germanico, disse Sua Altezza, non aveva mai dubitato della leale e corretta condotta dell’Italia, subordinata, come gli risultava, a certi impegni anteriormente assunti; ma il pubblico che non vi era preparato, ne aveva riportato una impressione come di «disinganno cagionato dall’abbandono di persona cara», impressione resa per esso tanto più sensibile perché feriva quell’affetto ereditario che per ragione di antica coltura attrae ogni tedesco verso il nostro paese. Indi le manifestazioni non sempre ragionate della stampa che aveva, per esempio, fatto gran caso di un voto accidentale dato dal rappresentante italiano sovra un punto di semplice procedura, privo di intrinseca importanza.

Sua Altezza però riteneva che il contegno dei due Governi e in ispecie i recenti discorsi pronunciati da V.E. e da lui stesso nei rispettivi parlamenti, erano riusciti a combattere quelle impressioni le quali infatti già si andavano dissipando in Germania ed egli perciò confidava che presto sarebbe del tutto scomparsa quella «nube passeggera».

A proposito della mia venuta da Londra, il Cancelliere mi intrattenne poi distesamente delle relazioni anglo-tedesche, delle quali egli disse ben comprendere che l’Italia dovesse preoccuparsi «piú ancora che di quelle tra la Germania e la Francia». Egli aggiunse aver ricevuto informazioni dal conte Wolff Metternich dell’attitudine amichevole e del linguaggio conciliante che, nei limiti imposti dalla discrezione, io avevo tenuto colà, durante il periodo più inquietante di quelle relazioni. Sua Altezza però asserì che tutto ciò era derivato in gran parte da una serie di rincrescevoli malintesi verificatisi di qua e di là della Manica. Molto francamente egli alluse, per la parte concernente la Germania, agli effetti del celebre telegramma imperiale a Kruger, nonché al proprio discorso del 1899 («ce malheureux discours») col quale per riguardo ai sentimenti eccitati nel popolo germanico dalla guerra boera egli aveva dovuto respingere le offerte di amistà contenute in quello pronunciato poco prima da Mr. Chamberlain. Ma egli non aveva, personalmente, mai creduto alle intenzioni aggressive attribuite all’Inghilterra, né ammetteva che alcun uomo serio in quel paese avesse potuto pensare ad un’assurda aggressione tedesca. In realtà, egli disse, non esiste tra le due nazioni veruna questione effettiva di dissidio politico, né si vedeva perché la loro rivalità commerciale e marittima non potesse accompagnarsi con buoni rapporti, analoghi a quelli che in simili condizioni sussistono fra l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Anche per questo riguardo egli constatava un incoraggiante miglioramento nelle disposizioni di spirito della stampa e del pubblico sensato dei due paesi e nulla egli tralascerebbe dal canto suo per raffermare tale disposizione.

Mi rendo ben conto che in codesta conversazione nulla fu detto che non sia già noto a V.E. Ritengo tuttavia doverla così riferire, se non altro come dimostrazione delle intenzioni che inspirarono al principe Bülow quelle dichiarazioni da lui fattemi con spontanea iniziativa. Egli concluse col riconfermarmi i sentimenti della sua sincera amicizia pel nostro paese, invitandomi, ogni qual volta si presentasse un qualche dubbio, a rivolgermi direttamente a lui, «con quella stessa franchezza che gli avevo sempre dimostrato durante i trenta anni della nostra personale amicizia».

258

IL MINISTRO A CETTIGNE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 11/4. Cettigne, 13 gennaio 1907 (perv. il 19).

Allorquando il mio egregio predecessore esponeva all’E.V. nei suoi rapporti del passato anno e particolarmente in quello del 6 luglio n. 3111, l’ottima situazione delle imprese italiane al Montenegro egli era certamente ben lontano dal pensare che nel breve spazio di tempo intercorso fra l’11 settembre, data della sua partenza da Cettigne e 1’8 novembre, data dell’apertura della Skupstina, potesse sopravvenire un così grave mutamento nei rapporti di questo Governo e della stessa popolazione coi rappresentanti delle nostre industrie e del nostro capitale.

Egli è che i malumori latenti dovuti in gran parte alle miserrime condizioni economiche del paese ed ai sospetti e all’avversione contro il Ministero Mijusković, si sono rivelati quasi ad un tratto in seno al parlamento, ove hanno trovato per la prima volta libero campo ad uno sfogo tanto più violento quanto più a lungo compresso. Ogni arma d’attacco fu buona e tanto più quella a duplice taglio che poteva colpire in pari tempo il Ministero ed una istituzione impopolare quale il monopolio dei tabacchi.

Che un monopolio sia sempre e ovunque impopolare, massime nei primi tempi del suo funzionamento, è cosa naturale e che si spiega più facilmente che altrove nel Montenegro, circondato com’esso è da regioni nelle quali, di fatto, non si riconoscono né si applicano dritti di regie e colle quali veniva dianzi esercitato un esteso contrabbando; tuttavia, in tempi normali, la deputazione montenegrina avrebbe forse saputo ravvisare anche i numerosi vantaggi recati al paese dal monopolio sia nei riguardi dell’agricoltura che in quelli del commercio e si sarebbe probabilmente limitata a quel tanto di accademia oratoria che fosse bastato all’acquisto della prima aureola di popolarità. Ma si voleva abbattere il Ministero e trar vendetta d’alcuni ministri malevisi e accusati di corruzione. Allorché il Gabinetto rassegnò le proprie dimissioni il 19 novembre la Skupstina non le accettò che alla condizione ch’esso chiarisse e giustificasse la propria gestione e successivamente, nel designare al Sovrano il Ministero Radulović, quell’assemblea significò esplicitamente la sua intenzione di affidare al nuovo Gabinetto la revisione della intera gestione Mijusković e innanzi tutto della convenzione e della contabilità relative al monopolio. Ora, quella gestione si è svolta per lungo tempo sotto il regime che precedette la Costituzione e sembra dubbio che il principe accordi un controllo che si estenda a bilanci ormai chiusi; da ciò un aumento di malumori.

Dalla politica interna a quella internazionale è breve il passo in questo paese e da appiglio parlamentare la questione del monopolio degenerò rapidamente in

argomento di ostili commenti all’opera dell’Italia nel Montenegro; la si accusò di voler qui spadroneggiare; si denunziarono i ministri d’essersi a noi venduti, d’averci venduto il paese. L’eccitazione degli animi si comunicò anche alle sfere inferiori della popolazione e produsse le manifestazioni in parte già note all’E.V., la più dolorosa delle quali è la quasi completa diserzione degli alunni da questa scuola italiana. I falsi apprezzamenti e le sfavorevoli disposizioni a nostro riguardo hanno oramai trovato così ampia diffusione che lo sperare in una pronta resipiscenza dell’opinione pubblica, senza l’intervento di qualche nuovo fatto che valga a tranquillizzarla, sarebbe prova di soverchio ottimismo.

Una simile situazione non può venir fronteggiata per ora, secondo il mio avviso, che contrapponendo una calma dignitosa all’imperversare delle passioni e perseverando in un’opera di paziente persuasione non disgiunta, ben inteso, dalla energica tutela dei nostri diritti. Qualsiasi altra nostra azione in questo momento non condurrebbe ad alcun risultato e verrebbe chi sa come interpretata. L’attuale Gabinetto è composto d’uomini nuovi agli affari, non ha, malgrado tutto, autorità nel paese e non è punto appoggiato dal principe. È opinione generale fra i miei colleghi ch’esso non possa a lungo durare in carica. Ma l’assumere un’attitudine polemica contro un Ministero che è pure la diretta emanazione della Skupstina e continua a goderne le simpatie non mi sembra consigliabile neppure in questo periodo di transizione, non dovendosi perder di vista considerazioni d’ordine superiore e la convenienza di non aggravare maggiormente gli imbarazzi del principe.

Dal canto mio posso dunque assicurare 1’E.V. che mi dedicherò col massimo impegno e con la più assidua cura a dissipare le prevenzioni e a far rinascere la fiducia verso di noi, senza provocare ma senza perdere alcuna occasione a quest’uopo propizia. È però certo che l’opera mia sarebbe di molto agevolata qualora la questione del monopolio, così sfruttata a nostro danno, cessasse di fornire pretesto alle ingiustificate insinuazioni. Stimo quindi opportuno ed urgente che quella benemerita nostra compagnia definisca nel modo che ritiene migliore la sua vertenza con questo Governo. La Skupstina si riaprirà verso la fine del corrente mese, il 29, a quanto sembra. Se prima di quella data qualche passo verso un amichevole componimento venisse compiuto, la campagna che l’opposizione si propone di condurre contro le imprese italiane in occasione della prossima discussione dei bilanci perderebbe certamente d’intensità e forse disarmerebbe addirittura il malcontento. Io ignoro però quali siano in proposito le intenzioni della compagnia del monopolio mentre per potermi attivamente adoperare nel suo e comune interesse mi sarebbe indispensabile il suo attuale modo di vedere al riguardo.

Se il principe Nicola, pur avendone avuto a parecchie riprese l’opportunità, non mi ha fatto la benché menoma allusione alle imprese italiane nel Montenegro, ciò proviene, a mio credere, non tanto da un suo risentimento per la vertenza esistente quanto dal desiderio che le prime aperture per appianarla sian fatte da noi. Ma non essendo io menomamente autorizzato ad assumere iniziative di tal genere, siccome risulta da quanto precede, questo ambiguo stato di cose potrebbe prolungarsi con evidente pregiudizio della nostra situazione sul principato.

258 1 Non pubblicato.

259

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 89/321. Londra, 15 gennaio 1907.

La conferenza ed il soggiorno di S.A.R. il Duca degli Abruzzi, tanto per l’impressione prodotta da lui e dall’opera sua, quanto per l’eccezionale manifestazione di deferenza del re Edoardo a lui, e, prendendo occasione da lui, al Re Nostro ed al nostro paese, sono riusciti di grande utilità al prestigio dell’Italia ed hanno accresciuto sensibilmente la considerazione di cui l’Italia gode in questo paese.

Tale apprezzamento non è esclusivamente mio, ma di tutti, italiani, inglesi e stranieri, e, se in parte è dovuto alle impressioni del momento, in parte non piccola, al contrario, è destinato a sopravvivere ed a riuscire fecondo, se le circostanze saranno favorevoli, e se l’opera nostra sarà diligente ed attiva.

Forse, pei rapporti nostri con altre potenze, sarebbe stato preferibile che S.M. il Re Edoardo non avesse detto la parola alleati, che l’eletto e numeroso uditorio applaudì entusiasticamente, ma, nei rapporti nostri coll’Inghilterra, la venuta del duca corona una serie di fatti recenti, taluni dei quali in se stessi e separatamente considerati, forse piccoli, ma in complesso tali da dare all’amicizia anglo-italiana un carattere sempre più conforme al nostro amor proprio nazionale e ai desideri ed interessi nostri.

prima ancora della conferenza, e anzi prima dell’arrivo del duca, la stampa cominciò ad occuparsene con benevolenza, come appare dagli uniti estratti di giornale, e S.M. il Re Edoardo inviò all’ambasciata, nelle ore pomeridiane di giovedì 10 corrente, lord Colebrooke, lord in waiting, a recare il suo saluto al duca, che credeva già arrivato. Si convenne che sarebbe tornato l’indomani, e così avvenne.

Sua Altezza Reale è giunto appunto la sera del 10, alle 10,45, ed è stato mio ospite all’ambasciata.

Venerdì 11, alle ore 1,45, Sua Altezza Reale è stato ricevuto dal Re, e poi è stato dal Sovrano trattenuto a colazione insieme al conte de Bosdari, al tenente di vascello Winspeare ed a me. Assistevano alla colazione sir George Goldie, presidente della Royal Geographical Society, ed alcuni alti funzionari di Corte.

S.M. il Re, durante e dopo la colazione, è stato di una gentilezza espansiva e cordiale veramente singolare, mostrando il più grande interesse al felice successo della conferenza, e, dando, con affettuosa maniera paterna, e con consumata esperienza di valente oratore, saggi consigli a Sua Altezza Reale sul modo di leggere, di pronunziare e di porgere.

Sua Maestà ha tenuto a dirmi che S.A.R. il principe di Galles è venuto apposta a Londra.

Tanto il Re, quanto il principe di Galles, sono venuti nel corso del giorno a far visita a Sua Altezza Reale, ma solo il principe di Galles lo ha trovato in casa.

La stessa sera del venerdì 11 io ho dato un pranzo, che, per desiderio del duca, è stato di pochi coperti. Erano tra gli invitati il capitano Scott, esploratore del polo

antartico e sir Ernest Cassel, amico personale del Re, che ha molto gradito questo invito e spontaneamente mi ha detto che cercherà di farmi fare più stretta conoscenza personale col re Edoardo.

La mattina del 12 colazione offerta da me coll’intervento dei maggiorenti della colonia italiana, tra cui Marconi, de Martino e Tosti.

La sera del 12 alle sette ha avuto luogo il banchetto del Geographical Club al Ritz Hotel. presiedeva sir G. Goldie, e aveva alla destra il duca degli Abruzzi ed alla sinistra il principe di Galles, che aveva ceduto il suo diritto di precedenza.

Io gli era accanto, ed ebbi con lui una animata e sovente scherzosa conversazione sui più svariati argomenti. Il principe di Galles ha molta giovialità ed è molto simpatico, contrariamente a quel che alcuni credono, assai intelligente e preparato all’altissimo ufficio. Sua Maestà lo tiene al corrente degli affari, ed egli li studia con amore e con criterio.

Riferisco confidenzialmente a V.E. che, tra l’altre cose, mi disse che sente molta amicizia pel nostro Re, e gli vuol bene come a un parente, sebbene non lo sia. «When I see him, I feel as if we were relatives». Aggiunse che ha alta stima dell’ingegno, delle doti e del carattere, e della serietà del Nostro Sovrano. «He detests humbug, and so do I; I cannot bear humbug, and those who are fend of it». Non è il caso di esaminare se Sua Altezza Reale parlasse in termini generali e alludesse in cuor suo a persona determinata.

Dopo pranzo, ci siamo recati al Queen’s Hall a ricevere Sua Maestà. Sul palcoscenico, al tavolo d’onore, vi erano quattro sole sedie, pel Re, pel principe di Galles, per il duca degli Abruzzi e per me.

Il fatto che il Re sia intervenuto e abbia parlato, è un onoranza eccezionale, che qui ha sorpreso e colpito tutti. L’impressione, come ho già detto, a favore del prestigio dell’Italia, è stata enorme, e perciò ho telegrafato proponendo di pregare S.M. il Nostro Re d’esaminare se credeva opportuno di telegrafargli i suoi ringraziamenti.

Re Edoardo è stato l’ultima volta, nel 1898, da principe di Galles, ad un’adunanza della Società Geografica, ma in tutta la lunga e gloriosa storia della benemerita associazione è questa la prima volta che vi interviene il Sovrano. Ora, chi sappia quale sia la religione dei precedenti in Inghilterra, può ben valutare quanto importante sia la prova di deferenza che il Re ha voluto dare alla nostra dinastia ed al nostro paese.

Il Re ed i principi furono accolti, all’ingresso, da caldi ed unanimi applausi. Lo spettacolo era imponente: v’erano circa 2500 spettatori, non un posto era vuoto, fino nelle più alte file del loggione scintillano le gioje e le decorazioni. Sua Maestà ed il principe di Galles portavano l’ordine dell’Annunziata e quello della Giarrettiera. Il Duca quelli dell’Annunziata e di Victoria.

Il Duca lesse, con voce chiara e buona pronunzia inglese la sua conferenza: il suo successo fu grandioso; se altri la avesse letta in sua vece, l’effetto sarebbe stato sciupato.

Il pubblico l’interruppe con frequenti applausi, che scoppiarono caldissimi e prolungati alla fine, applausi che rispondevano al profondo sentimento di questo popolo, ammiratore soprattutto dell’energia indomita e del forte valore. Fu un vero e grande trionfo italiano.

Calmatosi alquanto lo scroscio degli applausi, sorse il Re, e, con lui, di nuovo plaudente, il pubblico tutto.

Edoardo VII è un vero, abile, oratore, esperto nel gesto suggestivo e nella modulazione della voce. Egli parlò con intonazione paterna ed affettuosa verso il duca, deferente ed amichevole verso la dinastia di Savoia. La parola allies fu da lui alquanto sottolineata, e dal pubblico caldamente applaudita. Annetto il testo del discorso reale e della risposta di S.A.R. il Duca degli Abruzzi2, nella quale avevamo preparato alcune varianti da scegliere secondo ciò che avrebbe detto il Re.

Domenica 13 corrente Sua Altezza Reale a mezzodì si è recato a Buckingham palace a prendere commiato dal Re e a ringraziarlo delle cortesie ricevute.

All’1,30 ha avuto luogo la colazione da me offerta al principe di Galles, che gentilmente ritardò apposta il suo ritorno a Sandringham. V’intervenne la presidenza della Società Geografica.

Dopo la colazione il principe di Galles si trattenne fin all’ora in cui sapeva che il duca doveva ricevere i maggiorenti della colonia italiana, e fu sempre cordialissimo, espressivo brillante causeur.

Alle ore 4 pm. il Duca ha ricevuto i maggiorenti della colonia italiana, nonché i presidenti delle associazioni operaie ed altre, ed ebbe per tutti una parola opportuna e cortese.

S.M. la Regina Alexandra è assente, ma ha diretto a Sua Altezza Reale un gentilissimo telegramma. I commenti dei giornali alla conferenza sono stati tutti quali potevamo desiderarli; ne annetto alcuni.

Lunedì 14 Sua Altezza Reale, dopo la colazione, alla quale ha partecipato anche il Freshfield, è partito col treno delle 2.20 da Charing Cross, in forma privata.

La polizia inglese ha fatto un servizio di vigilanza assidua, zelante e cortese. La Royal Geographical Society ha dato il nome di Luigi di Savoia al Monte

Thomson. Ciò è giusto: il Thomson ha altre glorie, ma non ha neanche veduto il Ruwenzori, e d’altronde resta il suo nome ad un ghiacciajo.

Riassumendo, è stato per l’Italia un lieto ed onorevole avvenimento, e, se la contemporanea assenza e la vita nomade pei castelli d’Inghilterra e di Scozia e d’Irlanda di tutti coloro coi quali si dovevano prendere accordi, mi ha costato fatica, se gli sforzi per superare alcune difficoltà per l’intervento del Re Edoardo o l’incertezza del risultato mi hanno procurato qualche ora agitata, tutto ciò non fa che rendere oggi più viva la mia gioia patriottica per la grande soddisfazione morale che è stata data alla dinastia ed all’Italia, e di cui il merito spetta soprattutto alle forti virtù del Duca degli Abruzzi ed alla cordialità intelligente di Edoardo VII.

P.S.: Facendo seguito al mio telegramma del 13 n. 123, le annetto una lettera del corrispondente del Giornale d’Italia4, la qual conferma come niuna indiscrezione sia stata commessa dalle persone presenti al lunch offerto dal re Edoardo.

3 T. 114/12, non pubblicato. 4 Non pubblicata.

259 1 Dall’archivio dell’ambasciata a Londra.

259 2 Non si pubblicano.

260

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. 1221. Roma, 16 gennaio 1907, ore 17,15.

Avendo la S.V. e i suoi colleghi già informato Menelik della firma dell’accordo, non è più il caso di fare altra notificazione.

Ho telegrafato in questo senso ai rr. ambasciatori a Londra e a parigi2.

261

IL MINISTRO A BUENOS AIRES, MACCHI DI CELLERE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. pERSONALE. Buenos Aires, 17 gennaio 19071.

Nell’odierno ricevimento ebdomadario questo sig. ministro degli affari esteri, accennando di sua iniziativa alla prossima Conferenza internazionale dell’Aja, mi confermava che il Governo argentino, lieto di potervi intervenire, si apprestava a farvisi degnamente rappresentare. Ma non era soltanto per dirmi questo che il dott. zeballos entrava a discorrere del presente argomento. premeva sopratutto a lui, siccome ebbe a dichiararmi, ch’io fossi al corrente dei passi che il sig. Moreno era stato, già da tempo, invitato a fare presso la E.V. per manifestarle un duplice vivissimo desiderio del Governo della Repubblica, e cioè che, in vista della circostanza che alla Conferenza interverranno, per la prima volta, le potenze sud-americane, sia ad esse deferita una delle vicepresidenze del Congresso; e che siffatta carica venga di preferenza accordata al rappresentante della Repubblica Argentina. Informandomi di ciò, egli mi rivolgeva calda preghiera di interpretare, a mia volta, presso V.E. l’importanza che questo Governo annette alla soddisfazione degli enunciati desideri, e la fiducia che, al riguardo esso ama riporre nel benevolo appoggio del Governo italiano. Uguale appoggio il dott. zeballos aveva invocato da altri Governi europei. Germania e Francia si erano già mostrati propensi ad accordarlo, mentre la Spagna, adducendo che l’argomento era, quanto meno, prematuro, aveva eluso di vincolare la propria libertà di voto. Del che si mostrava questo sig. ministro amareggiato e sorpreso, come di atto meno che cordiale da parte di un Governo che mantiene qui apparenti relazioni di stretta amicizia.

Ho dichiarato al dott. zeballos che non avrei omesso di farmi presso V.E. eco fedele delle sue parole, sebbene ritenessi che il sig. Moreno avrebbe, dal canto suo, interpretato già con efficacia le aspirazioni argentine.

2 Vedi D. 255.

È ovvio che la maggiore preoccupazione di questo Governo in siffatta materia, deriva dal timore di rimanere ancora una volta secondo di fronte al Governo brasiliano. Recenti parziali successi riportati da quella diplomazia in competizione colla diplomazia argentina, quali la nomina, da parte della Santa Sede, di un cardinale brasiliano, l’elevazione ad ambasciata della legazione del Brasile in Washington e la scelta di Rio Janeiro a sede dell’ultimo Congresso panamericano, hanno ridestato in sommo grado la suscettibilità di questi uomini di Governo ed acuito, fra i due paesi, la lotta che combattono per la rispettiva supremazia del continente sud americano. Un nuovo successo che, nel terreno internazionale, riportasse il Brasile a breve distanza di tempo, potrebbe consacrare in modo, per ora almeno, definitivo un supposto riconoscimento, a suo favore, di cotale supremazia. La E.V. giudicherà nell’alta sua saviezza se in presenza dei diversi rapporti che intercedono fra l’Italia e le due Repubbliche, non convenga a noi di contribuire efficacemente a che ció non avvenga. Di certo, il concorso amichevole che l’Italia prestasse, anche in questa circostanza, al Governo argentino non cadrebbe nel vuoto. E a questo riguardo altresì mi sarebbe grato di poter fornire al dottor zeballos, in nome della E.V., l’assicurazione ch’egli invoca intorno ai favorevoli intendimenti del Governo italiano.

260 1 Trasmesso via Asmara.

261 1 Copia priva dell’indicazione della data di arrivo.

262

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. 163. Roma, 20 gennaio 1907, ore 19,10.

Ricevuti rapporti 14 dicembre e 9 gennaio1, e telegrammi 82 e 19 gennaio3. per portare giudizio su azioni Governo Asmara, e per soluzione incidente Noggara, bisogna tener presente questione principio. Noggara è territorio etiopico e quindi sotto guarentigia statu quo integrità Etiopia riconosciuta da Italia, Francia ed Inghilterra con accordo Londra 13 dicembre.

Noggara, però, trovavasi di fronte Inghilterra, già prima del detto accordo, in esclusiva sfera influenza Italia, secondo protocollo 1891, e, dopo firma detto accordo, trovasi inoltre, come hinterland dell’Eritrea, in esclusiva sfera interessi Eritrea di fronte Inghilterra e Francia che hanno ciò riconosciuto e guarentito in articolo 4 detto accordo. Questa situazione è sufficiente per sé stessa a giustificazione nostra azione politico-commerciale presente e futura in territorio Noggara pur rispettando scrupolosamente statu quo. Ciò premesso, venendo all’incidente le dirò che lettura suo rapporto 14 dicembre scorso n. 554, giunto qui 19 dicembre, non mutò conclusioni mio

2 Con T. 65/7 di San Giuliano richiedeva ulteriori elementi circa incidente Noggara prima di

fare passi presso il Governo britannico. 3 Con T. 166/20 di San Giuliano proponeva di richiedere una nuova inchiesta alla quale parte-

cipassero ugualmente funzionari italiani e inglesi.

dispaccio 3 gennaio n. 154, i cui annessi forniscono elementi circa azione Governo Asmara per reintegrazione capi Noggara. Come risulta da mio dispaccio 14 luglio scorso4. Mudir Cassala pregò Governo Asmara fare inchiesta per accertare se capi Noggara avessero ricettati schiavi, bestiame, razzia compiuta Aba Galad in territorio sudanese.

Inchiesta con ogni cura condotta da nostro residente Gasce da cui risultò nessuna complicità capi Noggara, fu comunicata al mudir Cassala che ringraziò. Malgrado ciò, non tenendo nessun conto della inchiesta, mudir Cassala, dopo aver ottenuto risarcimento danni, restituzione schiavi, e disarmo territorio compreso Noggara, costrinse governatore Volcait a relegare i capi Noggara, nostri amici, e sostituirli con altri da mudir indicati. In vista dei risultati della inchiesta e dell’azione scorretta del mudir, l’on. Martini che trovavasi allora a Addis Abeba, portò la cosa avanti a Menelik per la reintegrazione dei capi, e, d’accordo con Menelik fu mandato per la seconda volta nostro residente Noggara per cercare di regolare la cosa. Governo inglese non ha quindi assolutamente ragione di lagnarsi di ciò che esso chiama nostro tentativo di reintegrare capi Noggara senza previe trattative con Inghilterra, ma siamo piuttosto noi che dobbiamo lagnarci dell’azione Governo sudanese che ha non tentato, ma compiuto destituzione dei capi all’infuori qualsiasi trattativa con Italia.

Sarebbe stato desiderabile che fin dal primo momento del dissidio, questione fosse stata portata ai rispettivi Governi, ma essendo ciò solamente ora avvenuto, è ora il caso di trattare amichevolmente soluzione in base accordo di Londra 13 dicembre. Governo del Re, appena avocata a sé la questione, ha dato prova sentimenti conciliativi col far rientrare nostro inviato in Colonia e col dare istruzioni a Addis Abeba nel senso del mio dispaccio del 3 gennaio. Governo inglese dovrebbe con lo stesso animo dare istruzioni per agevolare soluzione da noi desiderata. Inchiesta mista potrebbe farsi dopo che capi fossero reintegrati e ristabilito statu quo ante.

Dopo quanto ho esposto mie istruzioni 3 gennaio rispondono alla speciale nostra situazione di diritto e di fatto.

262 1 Non pubblicati.

263

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A pARIGI, TORNIELLI

DISp. 3600/98. Roma, 21 gennaio 1907.

Ho letto il suo rapporto del 29 dicembre n. 14481. Il Governo del Re è anch’esso d’opinione che, per ragioni d’ordine politico,

converrebbe che le tre potenze firmatarie dell’accordo del 13 dicembre prendessero un provvedimento simultaneo e concorde a riguardo dei rispettivi rappresentanti, sostituendoli.

263 1 Non pubblicato.

Scrivo al r. ambasciatore a Londra, e se il Governo inglese sarà dello stesso nostro avviso, si potranno attuare simultaneamente quelle disposizioni che meglio giovino al raggiungimento degli scopi che abbiamo avuto di mira col recente accordo per l’Etiopia2.

262 4 Non pubblicato.

264

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 195/331. Londra, 22 gennaio 1907, ore 14,30.

Harrington ignorava particolari questione Noggara. Dopo prossima conversazione con me, spera proporre soluzione conciliativa. Egli crede, come inclino credere anche io, che vi siano torti, in buona fede, da parte dei funzionari locali inglesi e italiani. Egli dubita dei rapporti delle autorità sudanesi, che giudica troppo inclinate a credere agli indigeni. Dice non essersi ingerito nella questione di Noggara. Solo Menelik dapprima gli disse che italiani avevano occupato Noggara, e poi che si trattava di un agente commerciale.

265

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISp. 4161/75. Roma, 23 gennaio 1907.

Ho ricevuto il rapporto del 18 dicembre u.s. n. 18501 e nel mentre confermo il mio telegramma del 22 dicembre2, dò, per ora, istruzioni generiche al r. ministro in Addis Abeba di mettersi d’accordo coi suoi colleghi di Francia ed Inghilterra circa le rappresentazioni da farsi a Menelik in conformità dell’art. 3° dell’accordo per le armi del 13 dicembre scorso e di comunicare a questo Ministero, prima di fare qualunque passo, quanto fosse tra di loro concordato. E ciò perché è necessario che quelle istru-

264 1 Questo telegramma risponde al T. riservato 155 del 19 gennaio in cui Tittoni elencava le que-

stioni da esaminare con Harrington: l’incidente di Noggara, la giurisdizione degli europei in Etiopia, la successione di Menelik, la concessione Milius, la Banca d’Etiopia e la comunicazione a Menelik per l’accordo sulle armi.

2 Con T. 2765, Tittoni ribadiva la sua disponibilità alla notifica della convenzione sulle armi

alle potenze firmatarie dell’Atto di Bruxelles.

zioni siano formulate d’accordo con le tre potenze nella parte relativa alle misure da prendersi da Menelik per la repressione del traffico delle armi, in base alla proposta fatta da questo Ministero e inviata alla E.V. con dispaccio del 13 novembre s.3 per conoscere se esse fossero accolte da codesto Governo.

In quanto alla comunicazione dell’accordo del 13 dicembre s. alle potenze firmatarie dell’Atto generale di Bruxelles bisogna bene stabilire prima a quale scopo tale comunicazione sarebbe fatta se per notizia, o per dare pubblicità all’accordo, o per avere l’approvazione delle potenze. Secondo il suo rapporto del 21 dicembre n. 3791, questa comunicazione che il Governo britannico propone di fare in una prossima conferenza di revisione dell’Atto generale, avrebbe per scopo di ottenere, sia pure per semplice formalità, l’approvazione delle potenze.

Il Governo francese invece, non sembra abbia una idea sicura sul modus procedendi; poiché, mentre, come risulta dal suo telegramma del 18 dicembre n. 228 s.1 il sig. Cambon espresse il parere di dover notificare a tutte le potenze la convenzione delle armi, senza che si sappia a quale scopo, il conte Tornielli mi riferisce, con recente telegramma, che, secondo l’opinione del Ministero francese degli affari esteri, sarebbe sufficiente fare la pubblicità da darsi all’accordo la comunicazione di essa al Bureau Spécial di Bruxelles in conformità all’art. 82 dell’Atto generale. Si tratterebbe quindi di una comunicazione a titolo d’informazione.

Io non credo che sia opportuno di comunicare l’accordo alle potenze per averne l’approvazione, sia pure per pura formalità, poiché questa approvazione non è necessaria, riferendosi quell’accordo all’esercizio dei diritti, giurisdizionali che ciascuno stato ha nelle acque territoriali, diritti giurisdizionali che sono stati espressamente riservati nell’art. 42 dell’Atto generale di Bruxelles che si riferisce unicamente al mare libero.

Siccome, però, quell’accordo può considerarsi come provvedimento preso dalle tre potenze in conformità delle disposizioni dell’art. 10 dell’Atto generale, che contempla le misure che ciascuna delle potenze firmatarie deve prendere per conto suo e sul suo territorio, per la repressione del contrabbando delle armi, così credo che quell’accordo possa essere comunicato, a termini dell’art. 82 del detto atto generale al Bureau spécial di Bruxelles, affinché tutte le potenze ne abbiano notizia.

prego V.E. di far conoscere queste mie idee a sir Ed. Grey; ma su questo punto, come sul tenore da darsi ai rappresentanti in Addis Abeba a termini dell’art. 3 dell’accordo, sarebbe desiderabile intervenisse costà un’intesa fra la E.V., sir Ed. Grey e 1’ambasciatore di Francia, intesa da sottoporsi poi all’approvazione dei rispettivi Governi per il seguito da darsi.

263 2 per il seguito vedi D. 286.

265 1 Non pubblicato.

265 3 Disp. 502, non pubblicato.

266

IL REGGENTE LA LEGAzIONE A L’AJA, ANCILOTTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 50/25. L’Aja, 23 gennaio 1907 (perv. il 27).

Al ricevimento odierno del Corpo diplomatico, ho chiesto a questo ministro degli affari esteri notizia sulla prossima Conferenza della pace, non potendosi accogliere che con grande riserva le voci, più o meno contraddittorie e fantastiche, che circolano, da qualche tempo, anche qui in proposito.

Il sig. von Tets mi disse che il sig. Martens, delegato russo era già partito da pietroburgo, accompagnato da un segretario, il sig. de Moldeg, per fare il giro delle varie capitali, incominciando da Berlino allo scopo di concretare il programma della detta Conferenza e di fissarne la data. Essa, egli aggiunse, non potrebbe aver luogo che dopo due mesi almeno dall’invio dell’invito alle potenze per dar tempo ai delegati di arrivare all’Aja. Vi sarebbe pertanto un ritardo sull’epoca diggià preventivata.

Si è detto, in questi giorni, che la neutralità dei paesi Bassi avrebbe formato oggetto di discussione nella prossima Conferenza; ciò anche in seguito a dichiarazioni, forse imponderate, fatte dal ministro olandese a Vienna ad un redat-tore della Neue Freie Presse. Il sig. von Tets mi dichiarò che una simile questione mai sarebbe posta sul tappeto.

Quanto alle pretese dimande della S. Sede per essere ammessa ora alla Conferenza, il ministro ebbe ad assicurarmi che non gli constava assolutamente ch’esse avessero mai avuto luogo.

In giornata, ho avuto occasione di vedere il ministro di Russia, di solito bene informato, a parte la sua situazione privilegiata. Il sig. Tcharikov mi confermò le informazioni datemi dal sig. von Tets aggiungendo che l’itinerario del viaggio del sig. Martens sarebbe Berlino, parigi, l’Aja, Londra, Roma e Vienna.

Circa il programma, a parte quanto fu comunicato ed accettato dai varî Stati, vi potrebbe essere la questione della adozione degli armamenti proposta dagli Stati Uniti d’America e dall’Inghilterra, il cui Governo liberale ha, fra altro, interesse a dare, con ciò, soddisfazione alle aspirazioni del suo partito.

Vi ha ancora la proposta degli Stati dell’America del Sud appoggiata dagli Stati Uniti (teoria dell’argentino Drago) di deferire le controversie in caso di contratti fra Governo e sudditi esteri alla Corte arbitrale escludendo di ricorrere alla forza armata.

Secondo il Tcharikov, è probabile che tutto ciò possa entrare nel programma della Conferenza del 1907.

Mi riservo di ragguagliare ulteriormente l’E.V. su quanto mi verrà dato di capire in argomento.

267

IL MINISTRO A CETTIGNE, CARLOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 23/11. Cettigne, 23 gennaio 1907 (perv. il 27).

Sin dalla prima volta in cui ebbi l’onore d’esser ricevuto dal principe Nicola mi fu facile di rilevare come la questione di cui Sua Altezza Reale si intratteneva più volentieri e che evidentemente gli stava molto a cuore fosse quella dell’avvenire di Antivari e dell’allacciamento di quel porto colla rete delle ferrovie orientali. In tutte le altre successive occasioni egli è ritornato sullo stesso argomento e da ultimo mi ha vivamente interessato a raccomandarlo alla benevola attenzione di V.E. Inviatomi dal principe è poi venuto da me a due riprese il sig. Andrea Radovich, ex ministro delle finanze, e mi ha esposto più diffusamente le vedute di Sua Altezza Reale a tale riguardo.

Dei capitalisti austriaci, a quanto mi disse il sig. Radovich starebbero adoperandosi presso la Sublime porta per ottenere la concessione di una ferrovia MitrovizzaScutari-San Giovanni di Medua ed almeno, in caso di rifiuto, Scutari-San Giovanni. Oltre a ciò un consorzio franco-italiano farebbe pratiche a Costantinopoli e a Belgrado per avere la concessione di una linea che partendo da Nisc e passando per pristina e priszen farebbe capo a San Giovanni. Qualora l’uno o l’altro di tali progetti potesse realizzarsi, osservava il mio interlocutore, ne risulterebbe per Antivari un irreparabile danno, non meno sensibile pel Montenegro che per l’Italia, inquantoché si precluderebbe ogni possibilità di sviluppo all’impresa italiana in quel porto e si taglierebbe fuori il Montenegro dalle comunicazioni dell’interno. Sarebbe perciò urgente di concretare i piani già da lungo tempo vagheggiati di una ferrovia congiungente il Montenegro col retroterra balcanico e di prevenire così il verificarsi di quelle temute eventualità.

Detta ferrovia partendo da Antivari dovrebbe passare per podgorizza, Nicsic e Andrievizza, di là per Berane, Rozaje e Mitrovizza, su territorio turco, raggiungere la frontiera serba presso Cursciumle e quindi spingersi a Nisc, un percorso di circa 400 chilometri con una spesa di circa 120 milioni di franchi. Nisc poi, siccome il Governo serbo ne ha già l’intenzione, verrebbe riannodata direttamente alle ferrovie rumene e quindi al Mar Nero. Le immense e ricche provincie della Russia inferiore, la Rumenia, la Bulgaria e la Serbia verrebbero poste per tal modo in diretta comunicazione dell’Occidente e l’Adriatico assumendo in buona parte la funzione commerciale attualmente esercitata dall’Austria-Ungheria e dalla Germania mediante le linee esistenti dirette da Nord a Sud, ridiventerebbe il centro degli scambi con l’Oriente per mezzo della nuova linea diretta da Ovest ad Est. Questa via equilibrando in parte gli effetti del monopolio ferroviario delle potenze centrali sarebbe infatti a tutto favore del commercio francese, inglese, belga e svizzero con l’Oriente e di quelle italiane, in particolar modo l’apertura del Sempione e la posizione di Venezia predestinando questa città a diventare un porto europeo di primissimo ordine, senza contare gli altri pur cospicui vantaggi cui le industrie della Valle padana e i prodotti agricoli del litorale adriatico verrebber chiamati a godere.

Senonché le due difficoltà principali di quest’impresa essendo le immancabili ritrosie della Sublime porta, appoggiate da altri Governi, ed il costo dell’opera, il sig. Radovich manifestava l’avviso che le pratiche da esperirsi a Costantinopoli venissero fatte parallelamente da tutte le potenze interessate e in prima linea dall’Inghilterra e che i capitali necessari all’opera venissero raccolti nei vari Stati in guisa che le rispettive quote risultassero relativamente poco elevate.

Col rendere internazionale il consorzio si potrebbero affrontare con maggiore speranza di successo le difficoltà inerenti al progetto e in ogni modo si potrebbe neutralizzare l’opposta azione dei capitalisti austriaci, mentre quella del presunto consorzio franco-italiano si troverebbe ad essere naturalmente associata all’iniziativa delle altre potenze e con essa si fonderebbe.

Lo spostamento del porto da San Giovanni ad Antivari avrebbe infatti numerosi vantaggi di cui tutte le potenze avrebbero interesse a prevalersi. I principali fra essi sarebbero:

1) di eliminare le obiezioni d’indole strategica che la Sublime porta ha sempre sollevato per le comunicazioni fra Scutari e il mare;

2) di evitare continui lavori di dragaggio che il porto di San Giovanni richiederebbe a cagione degli insabbiamenti predetti dalla Boiana e dal Drin;

3) di offrire una plaga incomparabilmente più sana; 4) di offrire nell’ampia pianura di Antivari la sicurezza indispensabile ai deposi-

ti delle merci, al pascolo del bestiame in transito, ecc., sicurezza che manca nella deserta regione di San Giovanni;

5) e soprattutto di agevolare immensamente il commercio grazie alla costituzione di Antivari a punto franco per lo spazio di almeno quindici anni.

Oltre a questi vantaggi l’Italia avrebbe poi quello particolare derivante dal fatto che il porto di Antivari è nelle mani di un’impresa italiana.

Secondo il pensiero di Sua Altezza Reale e del sig. Radovich, l’Italia avrebbe il maggiore profitto da una combinazione che assicurandole di fatto la prima posizione economica, la lascerebbe apparentemente in seconda linea durante il negoziato evitandole così nei limiti del possibile sospetti e sgradevoli competizioni da parte d’altri Stati. In vista di ciò e nell’interesse stesso dell’impresa il principe si proporrebbe pertanto d’invitare a Cettigne l’incaricato d’affari britannico sig. de Graz, attualmente a Roma, e di tenergli parola della questione perché ne riferisca al proprio Governo e faccia poi conoscere il pensiero e le disposizioni di esso a tal riguardo. Eguali aperture Sua Altezza Reale intenderebbe di fare ai ministri di Francia e di Russia non appena siano qui di ritorno nel mese entrante e desidererebbe vivamente che V.E. accordasse il proprio interessamento nel modo che le circostanze dimostreranno più opportuno alle pratiche che egli si dispone ad intraprendere prestando loro sia pure indirettamente il di lei indispensabile appoggio.

Sebbene le difficoltà che si connettono all’impresa vagheggiata dal principe Nicola siano e per mole e per numero superiori a quanto Sua Altezza Reale mi è sembrato supporre, essa ha tuttavia troppo grande importanza per gli interessi italiani per non meritare il più serio esame da parte nostra. L’avvenire dei nostri commerci con l’Oriente è senza dubbio collegato alla creazione di linee trasversali balcaniche che congiungano il Mar Nero e l’Egeo all’Adriatico, Costanza con Antivari, Salonicco

con Durazzo e se considerazioni d’opportunità politica, che non è qui il caso di enumerare, ci impongono di procedere con paziente cautela e con somma delicatezza verso il compimento di quelle alte mete, ciò non può impedire che esse ci sien sempre presenti e che ogni passo fatto da altri cointeressati per raggiungerle sia da noi considerato con simpatia.

Ho perciò risposto al sig. Radovich che non mi sfuggiva l’alto valore dei piani di Sua Altezza Reale dei quali non avrei mancato di dare comunicazione all’E.V. raccomandandoli alla sua più viva attenzione, che però mi sembrava fin d’ora necessario per un pratico apprezzamento della questione il saper previamente qual fosse in merito il pensiero dei Governi che Sua Altezza Reale si disponeva a presentire e che, giusta le sue saggie vedute avrebbero dovuto prendere l’iniziativa dei negoziati, come pure il verificare se effettivamente fossero in corso a Costantinopoli le trattative da lui accennatemi.

Nell’informare l’E.V. di quanto precede mi permetto rivolgermi alla sua cortesia per pregarla di volermi far conoscere per norma del mio linguaggio se dovrò limitarmi anche nell’avvenire ai termini vaghi e dilatorii da me adoperati in quest’occasione o se potrò dare affidamento a Sua Altezza Reale sia pure in forma generica dell’interessamento dell’E.V. alla questione di cui si tratta.

268

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, pANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. 183. Roma, 24 gennaio 1907, ore 11,45.

I Gabinetti di Roma, Londra e parigi sono d’accordo di non comunicare ufficialmente alle potenze la convenzione firmata a Londra il 13 dicembre scorso per l’Etiopia, ma di darne notizia ai rappresentanti esteri, presentandosene l’occasione, e consegnando anche il testo della convenzione se lo richiedessero. L’accordo è stato comunicato ai rispettivi parlamenti. prego V.E. di farmi conoscere se codesto Governo ha nulla da osservare a questo modus procedendi per quanto riguarda la comunicazione dell’accordo1.

tedesca. per la risposta da Vienna vedi D. 289.

268 1 Con T. 250/9 del 30 gennaio, pansa rispose che non vi era nessuna obiezione da parte

269

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL REGGENTE IL GOVERNO DELL’ERITREA, pECORI GIRALDI

T. 190. Roma, 24 gennaio 1907, ore 20,30.

L’on. Ferdinando Martini avendo insistito nelle dimissioni dell’ufficio di r. commissario civile per l’Eritrea, esse sono state accettate con decreto odierno, ma avendo il Governo, d’accordo con l’on. Martini, ritenuto necessario che egli non deponga l’ufficio senza prima risolvere talune questioni d’ordine politico e amministrativo, da lui avviate nella Colonia Eritrea, la decorrenza dell’accettazione è stata fissata al 25 marzo p.v. Con la stessa decorrenza il marchese Giuseppe Salvago Raggi, consigliere di legazione, è stato nominato Governatore civile della Colonia Eritrea.

270

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISp. 4415/84. Roma, 24 gennaio 1907.

pregiomi trasmettere all’E.V. copia del rapporto n. 1448 del 22 dicembre del r. ambasciatore a parigi1, in cui il conte Tornielli rileva come la presenza degli alleati ministri delle tre potenze firmatarie dell’accordo del 13 dicembre, in Addis Abeba sia poco desiderabile in momenti in cui dipenderà, principalmente dal perfetto concorde modo di procedere dei rappresentanti delle tre potenze, che gli accordi stipulati fra le medesime abbiano a produrre le conseguenze per le quali essi furono conchiusi.

Il R. Governo è del parere che sia certo più utile per ragioni di politica generale che un provvedimento uniforme sia preso da parte delle tre potenze interessate.

prego pertanto V.E. di farmi conoscere se il Governo britannico sarebbe dello stesso avviso poiché, in caso affermativo, si potrebbero concretare le disposizioni simultanee per quanto riguarda la sostituzione dei singoli rappresentanti in Addis Abeba2.

P.S. Da un discorso confidenziale fattomi da Barrère ho ragione di indurre che già Governi inglese e francese si siano accordati in questo senso.

2 per la risposta vedi D. 274.

270 1 Non pubblicato.

271

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENzIALE 162/51. Londra, 24 gennaio 1907 (perv. i1 30).

Sir John Harrington mi ha detto che, salve le direttive principali, il suo Governo gli lascia una grande latitudine, e che gli accordi, che pur sarebbero necessari col suo collega italiano, gli son resi difficili dal fatto che questi è troppo strettamente legato dalle istruzioni che gli vengono da Roma, dove non si possono conoscere esattamente le condizioni e le esigenze locali. Egli si lagna che, quando egli volle sostenere gli interessi d’Italia cercando impedire che la sfera d’influenza francese si estendesse più ad Ovest di Addis Abeba, il suo collega d’Italia non lo poté sostenere perché aveva istruzioni di non froisser la Francia.

Aggiunge che, se egli dovesse dipendere da lord Cromer, e dal Governo del Sudan, ed anche da Londra, nella stessa misura in cui Ciccodicola dipende dall’Asmara e da Roma si dimetterebbe. Egli in sostanza accusa l’Italia di aspettare tutto dall’azione inglese in suo favore, senza fare nulla per proprio conto.

In caso di spartizione dell’Etiopia, Harrington sosterrebbe che all’Inghilterra dovrebbe esser assicurato il possesso del lago Tsana, o almeno uno stato di cose che garantisse in modo assoluto il deflusso delle sue acque al Nilo. probabilmente egli allude, non soltanto al deflusso attuale, cioè al corso dell’Aba bensì anche ai lavori idraulici contemplati nella celebre relazione Dupuis, annessa a quella di sir William Garstin, nella quale appunto si subordina la loro eventuale esecuzione ad un diverso assetto politico della regione dello Tsana.

Assicurato questo grande interesse britannico, egli lascerebbe all’Italia tutta l’Abissinia settentrionale e centrale, compresa naturalmente Gondar, ed anche buona parte delle regioni a sud della linea del Basilò, ricominciando il territorio inglese all’altezza di Famaka, facendo rimontare il suo confine settentrionale il corso della Didessa sino a circa il 35° meridiano, e di là facendole dare in linea quasi retta nell’Omo.

Egli crede che, in un avvenire più o meno lontano, l’Abissinia si disintegrerà, e si dovrà spartire, ma, in conformità alle istruzioni del suo Governo, egli lavora per differire il più possibile questa eventualità. Crede pure che con tale spartizione l’Eritrea acquisterà valore, mentre, a suo avviso non ne ha alcuno finché dura l’integrità dell’Abissinia. Opina però che il commercio dei paesi a nord della linea Abai-Basilò-Assab, continuerà a venire nell’Eritrea, malgrado gli sforzi del Governo sudanese, ma che sarà sempre poca cosa e almeno che sarà poca cosa finché le potenziali ricchezze del paese non siano sviluppate. Divide poi l’opinione generale che l’Abissinia settentrionale sia la parte men ricca e meno promettente del paese.

Egli dice inoltre di essersi recato in Europa col deliberato proposito di ottenere che i suoi colleghi abbiano istruzioni di andar d’accordo con lui e fra di loro, e che nel caso in cui l’accordo diventi impossibile, si debba riferire ai proprii Governi e non cercare, come ora spesso si fa, di giuocare l’un l’altro. In questo accordo egli intende, giusta il mio telegramma del giorno 22 n. 341, avere la parte preponderante.

272

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENzIALE 229/18. Vienna, 27 gennaio 1907, ore 1,30.

Al pranzo di Corte, che ebbe luogo iersera palazzo imperiale, S.M. l’Imperatore, cui sinistra ero seduto, si compiacque manifestarmi sua viva soddisfazione per gli eccellenti rapporti che esistevano ora tra il R. Governo ed il Governo imperiale e reale, ed espresse speranza fossero per continuare per l’avvenire. Rilevò, quindi, cambiamento che era avvenuto nell’opinione pubblica italiana in favore di quei rapporti ed osservò come esso dovesse attribuirsi in gran parte all’azione del R. Governo ed a quella in particolare esercitata da V.E. a cui riguardo si espresse in termini lusinghieri.

273

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 247/40. Londra, 29 gennaio 1907, ore 21,30.

proposte di Harrington consistono in questo: far eseguire da una commissione, composta in numero uguale di funzionari italiani ed inglesi, nuova inchiesta sulla condotta capi Noggara. Qualora risulti da questa che siano innocenti, ovvero abbiano favorito gli autori delle razzie solo perché intimiditi da forza superiore, il Governo britannico accetterebbe la loro reintegrazione. Grey mi ha detto oggi che prima di accettare questa proposta od altra soluzione, vuole ... (?)1 Governo sudanese. Avendogli io espresso dubbio sulle buone disposizioni di questo, mi ha risposto di non preoccuparmene essendo egli deciso a proporre una soluzione conciliativa e conveniente al prestigio ed agli interessi dell’Italia. Sono convinto che oramai possiamo considerare come assicurata una soluzione soddisfacente quantunque io non creda possibile ottenere la immediata reintegrazione pura e semplice capi Noggara.

273 1 punto interrogativo e nota del decifratore: « (?)vorrà dire consultare ».

271 1 T. 192/34, non pubblicato.

274

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 193/69. Londra, 29 gennaio 1907 (perv. il 6 febbraio).

Rispondo al suo dispaccio del 24 gennaio n. 841. Credo anch’io che sarebbe desiderabile il simultaneo mutamente dei tre ministri

d’Italia, Francia e Gran Bretagna in Addis Abeba. Le non buone relazioni personali, ormai irrimediabili, tra Ciccodicola ed Harrington, rendono questo provvedimento ancor più desiderabile per l’Italia.

Non credo però opportuno che da parte nostra si faccia in questo momento alcun passo in questo senso; e neanche un tentativo indiretto di indagare in proposito il pensiero del Governo britannico, perché molto facilmente Harrington lo saprebbe e ciò muterebbe le attuali sue disposizioni a favorirci in una certa misura. Inoltre non è sicuro il risultato di tali tentativi, ed anche riuscendo, egli sarà probabilmente impiegato in qualche altra parte dell’Africa, dove pure potrà influire pro e contro di noi.

Infatti egli si propone di profittare del suo congedo per un viaggio di diporto nel Sudan e poi nel British East Africa e ciò a me è parso sin dal primo momento connesso con qualche offerta di altra carica. Il sig. Cambon mi ha detto stamane d’avere a nome del suo Governo espresso a sir Edward Grey l’opinione che ad una situazione nuova occorrono agenti nuovi. Sir E. Grey gli ha risposto che in massima consente in questa opinione, e che il solo ostacolo a tradurla in atto è la difficoltà di trovare un’altra destinazione per Harrington.

Se il Governo francese insisterà presso la Gran Bretagna per il contemporaneo mutamento dei tre ministri, noi raggiungeremo il nostro scopo senza alienarci l’animo dell’Harrington, che anzi sarà sempre meno benevolo (e lo è ben poco) verso la Francia. Ed è più facile che il Governo britannico aderisca alle insistenze francesi che alle insistenze italiane. Harrington fino all’altro giorno credeva che tornerà in Abissinia per un altro anno all’incirca.

Aggiungo che in questo momento, come risulta dai miei rapporti e telegrammi di questi giorni, l’Harrington, che ha per me molta simpatia ed ha in me molta fiducia, sentimenti sorti in lui dopo poche ore di conoscenza personale, sta lavorando presso il Foreign Office ed il Colonial Office per cercare di venire ad una soluzione conciliativa dell’incidente di Noggara e delle altre vertenze, e verrà a Roma a continuare le trattative con tali intendimenti. Se dunque in questo momento sapesse che noi lavoriamo contro di lui, è facile indovinare la sua impressione, tanto piú che egli, non è molto inclinato in genere a credere alla lealtà italiana. A torto o a ragione la leggenda d’essere discepoli di Machiavelli ci perseguita sin tra le remote ambe etiopiche, e con nostro danno. Ed anche in queste sfere governative farebbe cattiva impressione, e parrebbe poco leale da parte nostra, se mostrassimo d’agire contro

Harrington dietro le sue spalle, nel momento in cui egli viene ogni giorno all’ambasciata a discutere per due o tre ore, con spirito amichevole, gli affari pendenti, e si prepara a venire a Roma coi medesimi intenti. Harrington desidera che io sia presente ai colloqui che avrà in Roma, il che è assai facile, ma vorrebbe anche che io assistessi a quelli che avrà in parigi, tanto col conte Tornielli, il che è pure facile, quanto col sig. pichon, il che mi pare impossibile. In ogni modo per ora mi pare che a noi convenga il più possibile utilizzare le sue attuali buone disposizioni senza far nulla che rischi di mutarle e di produrre nel Foreign Office l’impressione di doppiezza, tanto più che non influiremmo efficacemente e praticamente sul risultato. piuttosto lasciamo che insista il Governo francese, i cui desideri sono al Foreign Office ascoltati con fin troppa deferenza, e mostriamo piuttosto di accogliere, quando ci verrà fatta, la proposta del simultaneo mutamento dei tre ministri, anziché prenderne l’iniziativa in questo momento.

L’opportunità di questa linea di condotta può mutare da un giorno all’altro, ma per il momento mi pare evidente.

Il sig. Cambon ha avuto una conversazione con Harrington e ne ha avuta, al pari di me, impressione favorevole, cioè d’uno sincero, leale ed energico, vigoroso avversario ed amico sicuro. Tuttavia crede anch’egli, come crediamo tutti, desiderabile che tutti e tre i ministri ad Addis Abeba sian mutati. Ha avuto ora dal suo Governo impressione molto favorevole sul capitano Colli di Felizzano.

274 1 Vedi D. 270.

275

L’AMBASCIATORE A BERLINO, pANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO 71. Berlino, 30 gennaio 1907, ore 12,50 (perv. ore 14,50).

Tschirschky mi fece iersera seguente comunicazione a titolo confidenziale personale.

Da due fonti diverse, egli disse, gli erano pervenute notizie, secondo le quali il Governo italiano starebbe negoziando coll’Inghilterra certi accordi concernenti il Mar Rosso. La Germania non aveva in quel mare alcun proprio interesse, né intendeva ingerirsi in qualunque affare l’Italia credesse di dover condurre colà. Ma secondo le informazioni predette, formerebbe parte di quel negoziato impegno assunto dall’Italia di sostenere politicamente l’Inghilterra contro la Germania nella questione della ferrovia di Bagdad. Ora quella ferrovia, dichiarò ministro, costituisce interesse germanico di primo ordine, che il Governo imperiale è deciso sostenere in modo assoluto. Egli riteneva quindi dovermi subito comunicare francamente quanto gli era stato riferito, programmandomi di informarne V.E., affinché, se quelle voci

fossero infondate, si eliminasse fra noi ogni causa di malinteso. Nel corso dalla conversazione, il sig. Tschirschky accennò che secondo la citata informazione, il corrispettivo datoci dall’Inghilterra, per il nostro appoggio nell’affare di Bagdad, sarebbe l’offerta di procurarci i mezzi per l’esecuzione di un sodalizio in qualche punto della costa del Mar Rosso.

Codesta comunicazione mi ripeté concludendo il sig. Tschirschky, non era da lui fatta ufficialmente in nome del suo Governo, ma come cosa personale tra noi.

Mi limitai ad osservare che quella notizia, nei termini almeno in cui era esposta, mi sembrava inverosimile, riservandomi del resto di tosto informarne V.E. per quella risposta di cui ella volesse incaricarmi2.

275 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto.

276

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A BERLINO, pANSA

T. RISERVATISSIMO1. Roma, 31 gennaio 1907.

Autorizzo V.E. a dichiarare nel modo più chiaro ed esplicito che la notizia dei negoziati tra l’Inghilterra e l’Italia circa il Mar Rosso è del tutto falsa. Quanto alla ferrovia di Bagdad autorizzo V.E. a dichiarare con uguale chiarezza che mai ha formato oggetto non solo di negoziati, ma nemmeno di scambio d’idee tra Inghilterra ed Italia. Non posso trattenere la mia meraviglia che al Governo germanico siano pervenute informazioni che non hanno ombra di fondamento.

277

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. 2311. Roma, 1° febbraio 1907, ore 15.

On. Martini avendo insistito nelle dimissioni, queste sono state accettate con decreto del 24 gennaio, ma non avranno effetto che il 25 marzo p.v. Egli quindi conserverà fino e quel giorno il suo ufficio di governatore della Eritrea per definire talune questioni importanti da lui avviate, tra le quali quella dell’istituzione delle agenzie commerciali in Etiopia. Succede al Martini nel Governo della Colonia il marchese Salvago Raggi, già agente diplomatico al Cairo, che assumerà il nuovo ufficio il 25 marzo p.v. È inutile aggiunga nulla esser mutato nell’indirizzo politico

276 1 Minuta autografa. Dall’archivio segreto di Gabinetto. Risponde al D. 275. 277 1 Trasmesso via Asmara.

della Colonia. Nel comunicare ciò a Menelik ella può aggiungere che R. Governo si gioverà dell’esperienza dell’on. Martini in tutte le questioni che possono riguardare le relazioni fra i due paesi.

275 2 per la risposta vedi D. 276.

278

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. 236. Roma, 1° febbraio 1907, ore 19.

Data la nostra speciale situazione politico-commerciale nella regione di Noggara, per le ragioni già esposte dobbiamo, per mantenere il nostro prestigio oltre confine, insistere per soluzione da noi proposta fino al limite estremo. Se non fosse possibile in modo assoluto ottenere ciò che crediamo giusto ed equo, potremmo accettare proposta Harrington1 purché ci sia fatta incondizionatamente da codesto Governo e per essere immediatamente eseguita2.

279

L’AMBASCIATORE A pARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 935/144. Parigi, 5 febbraio 1907 (perv. l’11).

prima di proporre la data di convocazione della seconda Conferenza dell’Aja, il Gabinetto di pietroburgo ha stimato opportuno d’inviare in missione speciale presso i Governi delle grandi potenze europee ed in Olanda, il sig. de Martens con l’incarico di raccogliere sicure informazioni circa le disposizioni dei medesimi e di assicurare alla Conferenza stessa un esito pratico e soddisfacente.

Fu anticipatamente convenuto che, il sig. de Martens non potendosi recare a Washington, gli Stati Uniti dell’America del Nord avrebbero munito il sig. Charlemagne Tower, loro ambasciatore a Berlino, di istruzioni che lo avrebbero abilitato ad avere con il delegato russo uno scambio di idee ritenuto necessario.

Tale necessità nasceva dal preannunziato proposito del Governo di Washington d’introdurre nel programma della Conferenza le due questioni, della limitazione cioè degli armamenti e della così detta dottrina di Drago.

2 Di San Giuliano rispose (T. 278/42 del 2 febbraio) che riteneva impossibile tentare altro non

essendoci la disponibilità del Governo britannico alla reintegrazione dei capi Noggara ed avendo il Foreign Office fatta ormai propria la proposta Harrington.

Il sig. de Martens è a parigi da tre giorni. Egli viene da Berlino, va a Londra, poi all’Aja. Di là si recherà a Roma dove conta trovarsi verso il 21 febbraio e soggiornare una settimana. Andrà poscia a Vienna e rientrerà in Russia.

Il programma elaborato dal Governo russo e che non sarebbe opera del de Martens, fu comunicato a tutti i Governi e V.E. lo conosce. A Berlino quel programma è sostanzialmente accettato. Quel Governo imperiale vi avrebbe fatto obiezioni né numerose né gravi. Le impressioni del sig. de Martens circa l’atteggiamento della Germania in vista dello svolgimento del programma stesso nella Conferenza sono delle più favorevoli.

per contro non sembra che il sig. de Martens sia stato soddisfatto dello scambio di idee avuto con l’ambasciatore americano. La Russia non ha mai pensato di inibire ai Governi che parteciperanno alla Conferenza l’uso della iniziativa che a ciascuno compete. pare che il sig. Tower si aspettasse di dover sostenere sovra questo punto una discussione che le categoriche dichiarazioni del delegato russo eliminarono invece preliminarmente. Ma questi avrebbe voluto che, nell’interesse della serietà delle deliberazioni da prendersi all’Aja, le proposte americane sortissero dal vago delle espressioni generali e fossero precisate in punti concreti. Ora a ciò il sig. Tower non si trovò preparato; sicché dallo scambio di idee avuto con lui il sig. de Martens non poté ricavare nessun nuovo elemento per prevedere le conseguenze dell’iniziativa che gli Stati Uniti si riservavano sovra i due punti sovra espressi.

per circostanze d’ordine materiale che renderebbero quasi impossibili la convocazione dell’Aja di una riunione che si calcola possa ascendere a circa duecento persone, la data della Conferenza verrà fissata al mese di giugno di quest’anno.

Tutte queste cose ho sapute dallo stesso sig. de Martens che io conosco personalmente da parecchi anni.

Dalla conversazione avuta con lui mi fu facile avvedermi che, pur non pretendendo di restringere il diritto d’iniziativa delle singole potenze ed anzi ammettendolo esplicitamente, il Governo russo preferirebbe che non si introducessero davanti la Conferenza altre questioni che quelle comprese nel programma da lui elaborato. La scappatoia con la quale nella prima conferenza si chiuse la questione del disarmo, non potrebbe ripetersi senza che il credito della grande assemblea internazionale ne abbia a soffrire. Il rinvio della ricerca dei mezzi pratici di arrivare alla riduzione degli armamenti ad una commissione di delegati tecnici militari raggiungerebbe probabilmente lo scopo di dimostrare l’inesistenza di tali mezzi; ma una parte importante dell’opinione pubblica mondiale protesterebbe facilmente contro la risoluzione che l’esito dell’eseguito studio imporrebbe.

Nei voti del Congresso americano di Rio Janeiro i quali costituiscono la dottrina di Drago, è del pari più facile trovare affermazioni non precisate che i termini pratici per istabilire le basi di normali rapporti internazionali fra stati indipendenti legati da relazioni finanziarie e commerciali già esistenti.

Il sig. de Martens non poté essere naturalmente molto esplicito nella espressione delle sue idee. Egli compie una missione destinata sovra tutto ad illuminare definitivamente il suo Governo prima che la convocazione della Conferenza dell’Aja divenga un fatto compiuto. In queste condizioni ciò che ho potuto raccogliere dal colloquio che ebbi con lui ha un carattere strettamente personale e direi quasi privato.

278 1 Comunicata con T. 247/40 del 29 gennaio: vedi D. 273.

280

L’AMBASCIATORE A pARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 346/147. Parigi, 6 febbraio 1907 (perv. l’11).

Le disposizioni nelle quali il sig. de Martens deve avere trovato gli attuali ministri francesi saranno probabilmente appena favorevoli alla convocazione della nuova Conferenza internazionale dell’Aja e sicuramente contrarie all’introduzione nel programma di essa della questione del disarmo sotto qualsiasi forma.

Questo paese risente in questo momento il gravame che gli ha arrecato la riduzione volontaria degli armamenti suoi negli anni che precedettero gl’incidenti del Marocco e si comprende la sua riluttanza a rinnovare, sia pure in altra forma, l’esperienza. La missione dell’inviato speciale russo si compie poi in un momento nel quale, senza che ne apparisca la ragione immediata, i sospetti reciproci delle intenzioni sembrano ravvivati in Francia come in Germania. Il momento non sembra in verità propizio per parlare di riduzioni di armamenti né a parigi, né forse a Berlino. Non mi pare cosa seria la supposizione che sentii fare dal mio collega di Germania che il sig. Clemenceau possa cercare in un conflitto con l’estero una diversione alle difficoltà della sua politica interna. Né queste difficoltà sono di quelle che possono venire risolute con simile mezzo, né l’attuale presidente del Consiglio avrebbe l’autorità che occorre per strascinare la Francia in una guerra. Ma che il sig. Clemenceau non si dimostri convinto, quanto dovrebbe esserlo, che la Germania a sua volta non pensa a riaprire un conflitto con la Francia, mi pare certo; sicché, all’infuori d’ogni ragione prevedibile di una nuova crisi nei rapporti dei due paesi, esiste il pericolo che nasce sempre da una situazione di reciproche diffidenze e sospetti.

per conoscere le disposizioni di questo Governo in ordine alla Conferenza dell’Aja ed alla proposta di riduzione degli armamenti, mi occorse conversare tanto col sig. Clemenceau ed è dai colloqui avuti sovra questo soggetto che deduco le considerazioni sovra esposte relative ai rapporti franco-germanici.

281

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. 280. Roma, 9 febbraio 1907, ore 14,30.

Dopo molti stenti si sono potute ottenere dichiarazioni assicurazioni da Sultani Obbia, dai Migiurtini, dal Mullah e dai capi Issa Mohamud, per pacificazione paese. Capi Issa Mohamud, e rappresentanti Mullah si sono recati Aden presso r. consolato per definitivi accordi sulla base di un nostro tangibile interessamento pei loro reclami. Uno di questi, e il più importante, è quello per il pagamento delle indennità già consentito dal Governo britannico in dipendenza dell’accordo Swayne-pestalozza non ancora firmato dai due Governi. Non essendo più possibile rinnovare promessa senza versamento indennità, desidererei sapere al più presto quando codesto Governo verserà quattro mila sterline per detta indennità1. È inteso che da detta somma sarà dedotta terza rata Osman Mahmud, di cui miei dispacci 3 e 24 gennaio scorso2 al quale ultimo attendo risposta. Spedisco oggi ricevuta Osman Mahmud desiderata da Foreign Office.

282

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A TANGERI, GIANATELLI GENTILE

T. 888. Roma, 11 febbraio 1907, ore 14,15.

Con dispaccio del 29 gennaio scorso1 le comunicai, anche a titolo di istruzioni per lei, la mia risposta alla nota con cui l’ambasciata di Spagna mi aveva richiesto di manifestargli il suo pensiero circa le osservazioni presentate dal Marocco rispetto all’Atto generale di Algeciras. La nostra opinione è sostanzialmente questa: esclusa ogni riserva o protesa di modificazione non noi siamo alieni dal consentire a che, nel corso dei lavori per l’applicazione dell’Atto, il nostro rappresentante, se tutti i colleghi abbiano analoga istruzione, possa esaminare il memorandum marocchino per dare opportuni schiarimenti e prendere nota dei voti ivi espressi. Mi preme di avvertire che di questa eventuale autorizzazione ella non deve far cenno anticipato, limitandosi a valersene, beninteso nei termini qui sopra accennati, quando, nel corso delle conferenza, sarà per presentarsi il caso concreto per richieste specifiche dei delegati marocchini. In tal caso questa comunicazione confidenziale fattami dall’ambasciatore di Francia, il delegato francese ed anche il delegato inglese potranno essere consenzienti.

britannico al pagamento dell’ultima parte della seconda rata ad Osman Mohamud.

2 Non pubblicati. 282 1 Non pubblicato.

281 1 Con T. 332 del 10 febbraio de Bosdari rispondeva di aver sollecitato l’adesione del Governo

283

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A pARIGI, TORNIELLI, E

ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

DISp.1. Roma, 15 febbraio 1907.

pregiomi trasmettere alla V.S./V.E., in via confidenziale, copia di un telegramma del r. ambasciatore a Londra2, relativo ad alcune comunicazioni fatte dal colonnello Harrington al marchese di San Giuliano sull’azione dei rappresentanti dell’Italia, Francia ed Inghilterra in Addis Abeba, e nella maggiore influenza che dovrebbe esercitare il ministro inglese rispetto ai colleghi delle altre due nazioni.

per quanto si riferisce alla seconda parte di detto telegramma e cioè alla preponderante influenza che, nella capitale Etiopia, dovrebbe esercitare l’Inghilterra, in dipendenza dell’estensione dei confini che i possedimenti inglesi hanno con l’Abissinia, è da osservarsi che l’Italia ha firmato con l’Inghilterra i protocolli del 1891 e ha non solo l’Eritrea ma anche la Somalia confinante con l’Etiopia e per conseguenza non pare giusto che debba farsi questione di preminenza dell’azione inglese sulle altre e quindi anche sulla nostra, ma piuttosto sembra debba prevalere il concetto di un concorde procedere dei rappresentanti in Addis Abeba e delle suddette tre nazioni in relazione ai loro reciproci interessi.

284

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AGENTE E CONSOLE GENERALE A SOFIA, CUCCHI BOASSO

T. CONFIDENzIALE 324. Roma, 18 febbraio 1907, ore 14,30.

Le sanguinose gesta, in Macedonia, di bande bulgare e di bande serbe, costituiscono un grave ostacolo all’opera di pacificazione intrapresa dalle potenze. Il ministro di Serbia mi ha detto, a questo riguardo, che potrebbe stabilirsi tra la Bulgaria e la Serbia un accordo sulla base di repressione delle bande tanto serbe quanto bulgare delimitando, tra i due paesi, le rispettive zone d’influenza per una propaganda esclusivamente pacifica e civile, assegnandosi alla Serbia il vilayet di Kossovo ed una piccola parte a nord del vilayet di Monastir, ed alla Bulgaria tutto il resto del vilayet di Monastir ed il vilayet di Salonicco. Desidero che, con molto tatto e prudenza, e come di propria personale iniziativa, ella tasti il terreno per discernere quale accoglienza costì troverebbero simili concetti1.

2 Vedi D. 271, nota 1.

rapporto riservato e cifrato: vedi D. 288.

283 1 Il dispaccio fu inviato a parigi e ad Addis Abeba con i numeri 8292/207 e 8293/23.

284 1 Con T. 396/7 del 20 febbraio Cucchi Boasso informava di aver spedito, in risposta, un

285

IL MINISTRO A L’AJA, SALLIER DE LA TOUR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 100/47. L’Aja, 18 febbraio 1907 (perv. il 22).

II sig. de Martens, giunto iersera all’Aja, si trovava oggi ad un ricevimento in casa del ministro di Russia. Dalle poche frasi scambiate, ho potuto rilevare che l’inviato russo è soddisfattissimo dell’esito della sua missione. Sembra assicurato che la Conferenza potrà aver luogo nella prima metà di giugno, in seguito anche al desiderio espresso qui dal ministro degli affari esteri di non ritardare troppo la data della riunione. Al ritorno del sig. de Martens a pietroburgo, il Governo russo invierebbe pertanto una circolare agli Stati che prendono parte alla Conferenza, per comunicare il programma definitivo, e ciò anche per evitare possibili sorprese ed assicurare una regolare discussione nei limiti stabiliti.

Quanto alle due note questioni, oggetto di tanti dibattiti, pare ch’esse potranno essere esaminate dai delegati degli Stati che vi sono interessati, senza però impegnare gli altri a dichiarazioni favorevoli o contrarie. Il sig. Tcharykow mi aggiungeva a questo proposito: «c’est la formule qui manque et on ne la trouvera pas si facilement».

per la dottrina di Drago, i pareri sono già diversi nell’America stessa, che l’Argentina vi è favorevole e il Messico contrario. È quindi certo che sia per il disarmo, come per quest’ultima questione, non si arriverà alla soluzione pratica sognata dai ferventi in materia.

Ad ogni modo, potrà essere sempre utile uno scambio d’idee sull’argomento e la Conferenza avrà, se non altro per questo, servito a qualche cosa.

Il sig. de Martens partirà giovedì per Roma; egli dovrà conferire anche con l’ambasciatore di Spagna, sig. duca d’Arcos, perciò delegato dal suo Governo.

286

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A pARIGI, TORNIELLI

T. CONFIDENzIALE 341. Roma, 20 febbraio 1907, ore 16,55.

Ricevuto suo rapporto 31 gennaio1. per ragione di opportunità r. ambasciatore a Londra non ha fatto nessun cenno

al Foreign Office della questione del simultaneo mutamento dei tre ministri a Addis Abeba, poiché fra colonnello Harrington e il marchese di San Giuliano è avvenuto scambio amichevole idee sulle cose di Etiopia e Harrington ha mostrato molte buone

disposizioni che certo muterebbe se noi prendessimo iniziativa per suo trasferimento da Addis Abeba2. Siamo tutti d’accordo che i tre ministri debbano essere sostituiti, ma a noi non conviene ora prendere l’iniziativa, ma piuttosto lasciare che insista codesto Governo, e noi ci uniremo all’intesa anglo-francese.

286 1 R. riservato 305/127, non pubblicato, ma vedi D. 263.

287

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. SEGRETO1. Roma, 20 febbraio, 1907, ore 20.

Mi riferisco telegramma Ciccodicola n. 1072 e rapporto n. 93. prego telegrafarmi se Ciccodicola abbia messo la S.V. al corrente della attuale situazione del negoziato con Menelik circa sua domanda per sbocco al mare. Questo Ministero non ha avuto riscontro al telegramma del 4 dicembre4 relativo all’argomento e che qui confermo. Dubitando che Ciccodicola si sia riservato di conferirne prima con me, desidero avere da lei questa indicazione prima di tali istruzioni. Intanto, la prego di vigilare affinché questione non sia pregiudicata, e di ricordare a Menelik quanto è stato convenuto tra lui e Martini per la Somalia. A questo proposito, desidero conoscere attuali disposizioni di Menelik a Governo del Re, tranne che per ferrovia per Adua.

Confermo tutti i punti del telegramma segreto del 24 novembre 19065.

288

L’AGENTE E CONSOLE GENERALE A SOFIA, CUCCHI BOASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENzIALE 224/72. Sofia, 20 febbraio 1907 (perv. il 24).

Rispondo suo telegramma n. 3241. Come è noto a V.E. opinione pubblica bulgara, manifestatasi anche prima appli-

cazione del programma delle riforme, considera la Macedonia indivisibile, ed anzi il motto delle organizzazioni rivoluzionarie è «la Macedonia ai macedoni». L’autonomia invocata dai bulgari è avversata dai greci e dai serbi perchè essi suppongono che,

287 1 Dall’Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana. Trasmesso via Asmara.

2 Vedi D. 193. 3 Non pubblicato. 4 Vedi D. 199. 5 Vedi D. 186. per la risposta vedi D. 290.

ove la Macedonia possa ottenere un regime autonomo, la popolazione bulgara, che sarebbe l’assoluta maggioranza, possa sviluppare in modo di assorbire fatalmente la minoranza serbo-greca e cutzo-valacca. Opinione pubblica bulgara, se ammette che i serbi nel vilajet di Kossovo abbiano dei diritti sui sangiaccati di prizrend, prischtina, Novi-Bazar e Ipek, si rifiuta riconoscere serbo il Sangiacato di Uskub dove sono 150 mila bulgari, dove fu istituito primo vescovato dell’esarcato. Nessuna discussione ha mai potuto essere intavolata fra la Bulgaria e la Serbia relativamente alla Macedonia e anche nell’intesa serbo-bulgara del maggio 1904 fu scartata idea di stabilire accordo circa Macedonia e tanto meno di procedere ad una divisione di sfera d’influenza. per questi motivi, se mi è lecito esprimere un’opinione, non intravedo la possibilità che i due Governi possano mettersi d’accordo per opporsi in qualche modo alla selvaggia propaganda di sangue delle bande armate sostituendole con quelle civili e pacifiche delle influenze. Tanto più che, come qui si assicura, e come probabilmente risulta a V.E. dalle relazioni dei nostri consoli in Macedonia, gli odii di stirpe e di religione non sono mantenuti vivi soltanto dalle propagande bulgaro e serbe, ma sarebbero eccitate di sottomano anche dalle autorità turche e dalle austro-ungariche in Macedonia, le prime per indebolire elementi cristiani; le seconde per favorire le discordie fra i due popoli.

In obbedienza agli ordini ricevuti ieri, mi sono procurato una conversazione del tutto accademica sulla Macedonia coll’attuale segretario generale del Ministero degli affari esteri, sig. Dimitrov, con cui ho relazioni amichevoli da anni avendolo conosciuto a Belgrado nel 1891.

Egli conosce il retroscena della politica macedone del principato essendo stato successivamente agente diplomatico Belgrado, Costantinopoli, Atene, Bucarest.

Dalle sue parole ho avuto la conferma di tutto quanto ho sopra esposto circa le opinioni manifestate dagli uomini politici, dai partiti e dalla stampa bulgara in Bulgaria sulla questione macedone.

Mi disse anzi, constatando con rincrescimento tale intolleranza, come tutti i macedoni residenti in Bulgaria, siano quelli che occupano posizioni nella politica e nell’esercito, come quelli appartenenti alle classi inferiori, non permetteranno ad alcun Governo bulgaro e nemmeno al principe di Bulgaria di concludere accordi che venissero a menomare il principio della indivisibilità della Macedonia.

Da lui ho saputo che la vera causa della caduta del Ministero Daneff, quattro anni fa, siano state le concessioni fatte da questo ministro alla Serbia circa il vescovato di Uskub, concessione imposta dalla Russia al ministro Daneff. Il sig. Dimitrov, che fu mischiato, come rappresentante bulgaro ad Atene, a certe trattative iniziate dal defunto presidente del Consiglio Stoiloff col Gabinetto di Atene per una delimitazione di reciproca sfera d’influenza, riconosceva, rimpiangendolo, l’impossibilità di intesa di tale natura.

Egli mi ha confidato, in segreto, risultare al Governo principesco che l’attività delle bande armate serbe, attualmente spiegata contro i bulgari, sia incoraggiata dalla Turchia.

posso assicurarla che in nessun modo la mia conversazione può avere suscitato sospetti. Con la dovuta prudenza cercherò, se sarà possibile, di tastare il terreno anche col sig. Stancioff al suo ritorno a Sofia ed eventualmente con altri uomini di stato.

286 2 Vedi D. 274.

288 1 Vedi D. 284.

289

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI,TITTONI

R. 439/198. Vienna, 23 febbraio 1907 (perv. il 3 marzo).

Nei varii colloqui che ebbi col barone di Aehrenthal dopo aver diretto alla E.V. il rapporto n. 102 del 30 gennaio scorso1, io non mancai di pregarlo di volermi mettere in grado di rispondere sollecitamente alla domanda da lei rivoltami col telegramma n. 183 del 25 di quel mese2, relativamente all’Etiopia, e da me comunicatogli il giorno stesso.

Il barone d’Aehrenthal mi disse che si sarebbe fatto premura di farmi conoscere il suo pensiero non appena avrebbe preso una decisione al riguardo.

Egli mi scrisse ieri per rimettermi una breve nota in cui m’informa che il Ministero i. e r. degli affari esteri aveva preso notizia della convenzione riflettente l’Abissinia conclusa il 13 dicembre ultimo fra l’Italia, la Francia e la Gran Bretagna, da me notificatagli, a titolo ufficioso, e che non aspettava quindi alcuna ulteriore comunicazione in proposito da parte del R. Governo.

Il contenuto di tale nota non sembrandomi corrispondere intieramente alla domanda formulata dall’E.V. credetti opportuno fargli cenno di ciò la sera stessa, essendo egli venuto a pranzare alla r. ambasciata.

Il barone d’Aehrenthal mi fece conoscere che la risposta da esso datami dovevasi comprendere nel senso che il Governo i. e r. non aveva nulla da osservare al modus procedendi indicato nel telegramma suddetto, per quanto riguardava la comunicazione dell’accordo per l’Etiopia3.

290

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 465/20. Addis Abeba, 25 febbraio 19071.

Rispondo telegramma segreto2. Ciccodicola mi ha messo al corrente situazione riguardante progetto per Rahei-

ta. Ad ogni modo, mi pregio, per debito di coscienza e responsabilità che mi incom-

2 Vedi D. 268. 3 Aggiunta a mano in calce: «Qui unita una lettera particolare del r. ambasciatore per S.E. il

ministro Tittoni». 290 1 Trasmesso da Asmara il 26 febbraio.

2 Vedi D. 287.

bono, riferire V.E. che, per quanto mi risulta, nelle trattative iniziate con Menelik non è stato mai fatto cenno alla ferrovia di Adua. per confine Somalia, Menelik ha detto che è disposto trattare sulla cessione di Lugh e di un tratto del territorio circostante, ma di [trovare] esagerata richiesta Governo italiano riferentesi linea frontiera Somalia. per concessione Let Marefià, non è stata più fatta parola, ma credo che, antecedentemente queste pratiche, Menelik abbia dichiarato che, appartenendo figli di Ras Maconnen, non è possibile toglierla. Di fronte ad una posizione per me così imbarazzante e delicata, prego V.E. di inviare istruzioni3. Intanto cercherò non pregiudicare trattative.

289 1 Non pubblicato.

291

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. SEGRETO 17/9. Addis Abeba, 1° marzo 1907 (perv. il 23).

Sono in obbligo di meglio chiarire a V.E. il mio telegramma n. 20 in data 25 febbraio1 riguardante i negoziati con Menelik circa la sua domanda per ottenere uno sbocco al mare.

V.E. nel suo telegramma del 20 febbraio2, riferendosi ai precedenti telegrammi di Ciccodicola, mi interpellava per sapere se questi mi aveva messo al corrente dell’attuale situazione riguardante quei negoziati, e confermava le istruzioni date nel suo precedente telegramma del 4 dicembre3 relativo al suddetto argomento.

Il ministro Ciccodicola prima di partire per l’Italia mi ha effettivamente messo al corrente delle trattative e della situazione riguardante quei negoziati, ma egli ha portato con sé quasi tutti i documenti relativi compreso il testo delle istruzioni circa le richieste precise da presentare a Menelik in risposta alla sua domanda per lo sbocco al mare.

Gli unici documenti presenti alla legazione sono il telegramma n. 107 in data 29 novembre del ministro Ciccodicola4, nel quale egli comunica al Ministero degli esteri: 1) che Menelik si è mostrato decisamente contrario alla ferrovia di Adua; 2) che per il confine della Somalia accetterebbe una linea partente da Lugh e parallela alla costa fino a raggiungere il confine anglo-etiopico 4 giugno 1907 [recte 1897]; 3) che per Let-Marefià e per la promessa fatta a S.E. Martini non ha alcuna obiezione; ed aggiunge di alcune offerte fatte da sir Harrington a Menelik per la cessione di zeila e di una stazione commerciale a Kisimaio.

291 1 Vedi D. 290.

2 Vedi D. 287. 3 Vedi D. 199. 4 Vedi D. 193.

Altro documento è il telegramma del ministro degli esteri n. 2616 in data 4 dicembre in risposta al precedente, nel quale il Governo esprime la sua meraviglia per la condotta di Menelik che non accetta nessuna delle nostre domande importanti, e toglie all’unica che accetta, ossia quella relativa alla Somalia, gran parte del suo valore; dà istruzioni al ministro Ciccodicola di riprendere le trattative col Negus dichiarandogli che il Governo rinunzierebbe alla domanda per la ferrovia di Adua, ma intende di insistere sul confine domandato per la Somalia.

In seguito al telegramma che mi pervenne il 23 febbraio u.s. e che ho già citato in principio della mia lettera, prima di iniziare qualsiasi azione presso di Menelik ho creduto opportuno di assumere quelle informazioni e quegli schiarimenti sulle precedenti trattative corse con l’Imperatore su questo argomento, che mi servissero di regola nella condotta da tenere nel proseguimento delle trattative. Tali informazioni ebbi dall’interprete della legazione che fu da me interrogato senza preconcetti e che è la sola persona che assistette il ministro Ciccodicola nelle trattative avvenute. Le informazioni che da lui ebbi sulle domande presentate al Negus a nome del Governo d’Italia in compenso dello sbocco al mare desiderato da questi e le risposte che egli diede in proposito, non corrispondono a quelle contenute nei telegrammi sopra citati del R. Governo ed in quello del ministro Ciccodicola. Ato Makonnen sostiene che nelle trattative avvenute non venne mai fatto cenno al Negus della nostra domanda relativa alla ferrovia di Adua; e nelle presenti trattative non si ritornò per nulla sul nostro desiderio già in altra occasione manifestato al Negus di riavere l’antica concessione di Let-Marefià; e che l’unica richiesta presentatagli fu quella relativa al confine della Somalia. A questa richiesta l’Imperatore avrebbe risposto facendo osservare che la domanda del Governo italiano gli sembrava esagerata, e che egli era disposto a trattare sulle basi della cessione di Lugh e di un tratto di territorio circostante che egli vagamente tracciò su di una carta che gli era stata presentata dal ministro Ciccodicola. Circa a Let-Marefià Ato Makonnen afferma che antecedentemente a queste trattative il Negus aveva già risposto alla richiesta fattagli dal ministro Ciccodicola per ottenere tale concessione, che essa apparteneva agli eredi di ras Maconnen e che non riteneva giusto di toglierla.

Di tale situazione mi sono creduto in obbligo di riferire telegraficamente a V.E. L’importanza dell’argomento e le responsabilità che mi incombono nella conti-

nuazione delle trattative mi hanno costretto a far presente al Governo su quali basi mi risulti siano stati posti i negoziati, e quale sia la situazione da me trovata relativamente ad essi, onde avere istruzioni che non mi pongano di fronte a Menelik in condizioni imbarazzanti e compromettenti, come sarebbe stata quella di comunicargli la decisione presa dal Governo di rinunciare alla domanda relativa alla ferrovia di Adua.

290 3 Vedi D. 306.

292

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. 4201. Roma, 4 marzo 1907, ore 16,20.

Ricevuto telegramma n. 192. Apprezzo considerazioni S.V. Era ed è proposito Governo regolare istituzione

agenzie commerciali in Etiopia, d’accordo con Menelik, secondo articolo quinto trattato, il quale non fa designazione di località, tranne che per il Tigrè, e quindi Noggara essendo nel Volcait rientra nella designazione generale. prego pertanto di adoperarsi per soluzione incidente nel senso telegrafatole e per istituzione agenzia commerciale Noggara, ove manderemo agente che sia persona non sgradita a Menelik. Designazione pollera era consigliata solamente da sua conoscenza della regione. La questione della persona sarà esaminata in seguito. Attendo esito sue pratiche per ogni ulteriore determinazione. Nell’informare suo collega d’Inghilterra di questo negoziato, si astenga naturalmente dal fare il nome del pollera.

293

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, pANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. CONFIDENzIALE 425. Roma, 4 marzo 1907, ore 20.

Nei colloqui che io ebbi col sig. Martens, questi mi disse che la questione della limitazione degli armamenti non sarebbe inclusa nel programma della Conferenza; aggiungeva, però, che, secondo il suo avviso che è pure il mio, qualora o l’Inghilterra o gli Stati Uniti ne prendessero l’iniziativa, non converrebbe, per evidenti ragioni d’ordine politico, e d’ordine morale opporci a che se ne discuta salvo ad esigere, come di ragione, che se ne proponga una formola concreta e precisa. Il sig. Martens avendo ragione di credere che a Berlino ed a Vienna si propenda appunto per una opposizione in limine, ho stimato doverne conferire cogli ambasciatori di Germania ed Austria-Ungheria, standomi sommamente a cuore di evitare che, in tale argomento, apparisca tra i tre Governi dell’alleanza, una divergenza di vedute. Feci notare ai due ambasciatori che una assoluta pregiudiziale contro un concetto essenzialmente umanitario, quale si presenta una limitazione di armamenti come remora a propositi di guerra, avrebbe carattere antipatico in sommo grado, e assai probabilmente susci-

telegramma, prendendone visione per sua norma».

2 T. 462/19 del 25 febbraio, non pubblicato.

terebbe vivace e fastidiosa reazione nella pubblica opinione dei vari paesi, mentre, d’altra parte, la intrinseca difficoltà del tema ed una savia direzione del dibattito condurrebbero, sicuramente, allo stesso risultato negativo, senza che si debba incorrere nella odiosità di una anticipata ripulsa. Il conte Monts ed il conte Lützow mi si mostrarono convinti della opportunità e ragionevolezza del mio pensiero e ne riferiscono ai loro Governi appoggiandolo. Desidero che ella ne sia del pari informata per propria notizia e norma di linguaggio1.

292 1 Trasmesso via Asmara con la seguente istruzione: «prego far proseguire a Colli seguente

294

L’AMBASCIATORE A BERLINO, pANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 535/46. Berlino, 6 marzo 1907, ore 5,10.

Rispondo telegramma di V.E. n. 4251. Circa questione limitazione armamenti Gabinetto di Berlino prende posizione

sui punti seguenti: che quella questione non è compresa e fu anzi esclusa dal programma Conferenza Aja già formulato dalla Russia; che, trattandosi di un’assemblea nella quale saranno questa volta rappresentati ben quarantasette Stati, riesce tanto più indispensabile, per prevenire confusioni, accedervi con un programma tassativamente prestabilito; che, per conseguenza, qualora Inghilterra o Stati Uniti d’America desiderino introdurre quella nuova questione, occorrerà che ne facciano espressa proposta prima riunione Conferenza, per ottenere, coll’intermediario della Russia, la previa adesione altre potenze all’inserzione di essa nel programma. Tschirschky mi osservava a questo proposito che se una qualunque simile proposizione venisse sollevata fuori programma, nel corso della Conferenza, accadrà certamente che più di un delegato dovrà dichiararsi non autorizzato a trattare; e ciò basterà a far naufragare la mozione col risultato di produrre l’impressione di un insuccesso morale pregiudizievole alla causa umanitaria che si ha in vista. Tschirschky aggiunse che finora egli non ha ricevuto veruna comunicazione né dall’Inghilterra, né dagli Stati Uniti circa quella questione. Se una domanda venisse presentata prima della Conferenza nel senso sopra indicato, egli si riservava di intendersi coi Governi amici circa la risposta da farsi: a seconda dei termini della domanda stessa, la risposta potrebbe essere, come suggerisce V.E., un invito a maggior precisione; che, se si trattasse di una semplice formola da presentarsi alla Conferenza per un voto platonico a favore futura limitazione armamenti, egli non avrebbe difficoltà aderirvi, purché previamente stabilita in forma opportuna e tale da assicurare anticipatamente unanimità. Mi risulta che ambasciatore degli Stati Uniti già edotto di codeste disposizioni Germania ne ha informato proprio Governo. Così pure ambasciatore di Inghilterra.

294 1 Vedi D. 293.

293 1 per le risposte vedi DD. 294 e 295.

295

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 537/28. Vienna, 6 marzo 1907, ore 20.

Avendo visitato oggi barone Aehrenthal, egli mi ha fornito occasione esprimermi con esso senso istruzioni contenute telegramma di V.E. n. 4251. Barone Aehrenthal mi ha ripetuto che discussione proposta limitazione armamenti per parte Conferenza Aja, gli sembrava inopportuna, perché, oltre al non essere compresa nel suo programma, questione non era ancora matura. D’altra parte, ove essa avesse avuto luogo, sarebbe stato difficile trovare formula conveniente, che, pur scartando proposta, impedisse che dalle potenze fossero assunti obblighi qualsiasi al riguardo. Egli aveva accolto con premura iniziativa presa dall’E.V. procedere scambio d’idee circa questione sulla quale non poteva pronunziarsi per il momento, ma si riservava informarla in seguito della sua determinazione, giacché, secondo ogni probabilità, non ignorasse [scil. non ignorando] che Governo russo non si sarebbe opposto discussione suddetta, qualora fosse proposta dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti d’America, desiderava aspettare, innanzitutto, che sig. de Martens avesse sottomesso suo rapporto Czar per conoscere decisione definitiva che sarebbe stata presa dal Governo russo. Nell’accomiatarmi aggiunsi che Governo germanico conveniva nella sua maniera di vedere; espressi desiderio che tre Gabinetti alleati procedessero, possibilmente, d’accordo circa questione.

Sig. de Martens, con cui mi intrattenni ieri sera sull’argomento, si propone, prima di ritornare a pietroburgo, ripassare da Berlino, per conferire nuovamente con principe di Bülow.

296

L’INCARICATO D’AFFARI AD ATENE, MANzONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENzIALE 169/66. Atene, 7 marzo 1907 (perv. il 16).

All’odierno ricevimento diplomatico questo ministro d’Inghilterra mi ha chiesto se mi era giunta qualche notizia di un accordo tra Grecia Serbia Turchia e Montenegro contro la Bulgaria. Intendeva egli parlare di notizie non di informatori o di giornali, ma di fonte ministeriale. Ho risposto di no, e sir Francis Elliot non ha replicato.

Ricordandomi quanto V.E. mi disse al recente mio passaggio da Roma di aver confidenzialmente saputo circa la probabilità di prossima azione militare della Bulgaria, azione alla quale pareva si sarebbe unita la Rumania, ho preso la propizia occasione per vedere se sir Francis Elliot sapeva qualcosa in proposito e gli ho chiesto se la Bulgaria resterebbe isolata contro quella coalizione. Lui ha risposto accennando ad una cooperazione bulgaro-rumena.

Non comprendo – ho detto io – l’interesse della Turchia la quale deve capire che, vinca o perda, sarà essa che pagherà le spese del conflitto. E sir Francis ha risposto che questa era pure l’opinione sua e del ministro di Francia col quale ne aveva pochi momenti prima parlato.

per quanto non abbia persa la memoria degli avvenimenti e delle osservazioni fatte quando, nove anni fa, ero in servizio a Costantinopoli, sono da troppo poco tempo rientrato nelle faccende balcaniche per potermi permettere di esprimere un’opinione su di esse. Ma certo è che vi è deciso antagonismo tra politica bulgara e politica greca per Macedonia e Tracia: in ispecie per la Macedonia che la Grecia vuole spartire mentre la Bulgaria vuole automizzare. Certo è pure che la Rumania non può prender parte attiva in una conflagrazione balcanica che a traverso la Bulgaria: che tra interessi bulgari ed interessi rumeni in Macedonia non v’è antagonismo; e che si può quindi prevedere che in caso di conflagrazione nei Balcani, Bulgaria e Rumania saranno unite contro la Turchia che lotterà per non perder la sua provincia e contro Serbia e Grecia che vogliono spartirsi la Macedonia. Certo è infine che tra Grecia e Serbia non v’è antagonismo in Macedonia: la Grecia ammette che v’è nel vilayet d’Uskub una parte prettamente serba: lo ammettono uomini politici e giornali greci lasciando appunto trasparire che tra i due Stati è possibile un’intesa contro il comune nemico: il bulgaro.

Date queste premesse che mi pajono assai sicure in fatto, la notizia d’una divisione degli Stati balcanici in due campi: Grecia, Serbia, Turchia e Montenegro da una parte, Bulgaria e Rumania dall’altra, è una di quelle la cui attuazione sorpassa la semplice possibilità, e merita dunque di essere presa in considerazione.

Confesso che non posso credere che il Sultano siasi legato all’una od all’altra parte. Unica spiegazione di simile follia mi pare potrebbe esser questa sola: che avesse serio motivo di temere una non lontana azione armata bulgaro-rumena. Ma per quanto concerne la Turchia, la sola r. ambasciata in Costantinopoli può riferire e giudicare di quanto possa esservi di esatto nella notizia accennatami da sir Francis Elliot.

A me spetta riferire per la Grecia. A che punto sono, anzi tutto, i rapporti tra Grecia e Bulgaria? Cercai d’appurar-

lo in una conversazione con quest’agente bulgaro. La riferisco in altro mio rapporto odierno1. Dal quale l’E.V. vedrà che il sig. Tocèff non vede la possibilità, nelle condizioni attuali, di un riavvicinamento, di un’intesa tra i due Stati per la Macedonia, mentre ammette che v’è comunanza di programma tra Grecia e Serbia. Sotto questo punto di vista l’accordo greco-serbo contro Bulgaria è dunque verosimile.

Ma la Grecia è pronta per un’azione militare? No. Senza giudicare del valore del suo esercito, mi basta, a sostegno della mia negativa, osservare che i centomila fucili Mannlicher che devono sostituire i vecchi Grass non saranno, pei termini del contratto d’acquisto, completamente consegnati che alla fine 1907: che, pei nuovi cannoni, le prove per decidere del tipo e della fabbrica saranno fatte soltanto tra poche settimane: che la grande legge militare presentata dall’attuale Gabinetto Theotokis l’8 dicembre 1906 prevede che soltanto ed al più presto alla fine del 1908 l’esercito greco sarà riformato e riarmato, e chiede appunto i mezzi per completare per quella data riforme e riforniture: mezzi che la Camera ha concesso approvando un prestito di venti milioni di franchi.

La Grecia dunque non è pronta. I suoi reggitori non possono sognare (questo fa e può farlo la stampa nazionalista) un’azione militare a non lontana scadenza. Inclino quindi a credere che la notizia di un accordo greco-serbo-turco-montenegrino per un’azione contro la Bulgaria, non sia, per quanto concerne la Grecia, esatta, a meno che anche la Grecia – come già ho detto della Turchia – abbia acquistato persuasione o timore così forti di una prossima minaccia bulgaro-rumena che abbia ritenuto necessario contrapporvi la coalizione accennata da sir Francis Elliot.

Questo è quanto posso ora dire in proposito. V.E. ha modo di appurare la verità delle notizie, per altre vie. Da parte mia non mancherò di tenerla presente ed indagare2.

295 1 Vedi D. 293.

296 1 Non pubblicato.

297

L’AGENTE E CONSOLE GENERALE A SOFIA, CUCCHI BOASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 300/98. Sofia, 7 marzo 1907 (perv. il 12).

Il sig. Stancioff, tornato a Sofia dopo la sua assenza prolungatasi circa due mesi, ha ricevuto oggi il Corpo diplomatico. S.E., prevenendomi, portò il discorso sulle relazioni bulgaro-serbe e, lamentando, con accento che appariva sincero, la piega che esse avevano preso, mi disse come purtroppo non si vedevano i risultati dei consigli disinteressati delle potenze amiche a Belgrado; aggiunse che la stampa serba, unanime, continua ad attaccare con violenza tanto il principe Ferdinando quanto il Governo bulgaro e che l’attitudine equivoca del Gabinetto di Belgrado contribuisce a rendere assai difficile la situazione.

Approfittai della circostanza per deplorare vivamente che i rapporti fra i due Stati si fossero così modificati, ed in conformità alle istruzioni ricevute coi dispacci a margine citati1 e riferendomi alle mie conversazioni precedenti col generale petroff, col sig. petkoff ed anche con lui, feci amichevolmente presente al sig. Stancioff

297 1 Disp. 9494/13 del 19 febbraio e disp. 10330/51 del 23, non pubblicati.

l’opportunità che nell’interesse comune dei due Stati le reciproche relazioni abbiano a conservarsi cordiali. Attirai poi tutta l’attenzione del ministro sulla necessità di evitare qualsiasi conflitto colla Serbia e di mantenere col Regno vicino quei rapporti d’amicizia che sono garanzia di pace, non solo pei due Stati confinanti, ma anche per tutta la penisola Balcanica. Aggiunsi che mi constava come pure il marchese Guiccioli non abbia mancato di far analoghe raccomandazioni al Governo di Belgrado.

Il sig. Stancioff accolse con marcata soddisfazione le mie parole e mi incaricò di ringraziare l’E.V. per l’opera sua pacificatrice, ispirata ad elevati concetti degni davvero di un chiaroveggente uomo di Stato. Mi pregò poi di farle conoscere che egli nulla ha trascurato dal canto suo per modificare nel senso desiderato le relazioni bulgaro-serbe. «Non solo», mi disse il sig. Stancioff, «ho tenuto e continuerò a tener a Belgrado il sig. Rizoff, il quale, oltre ad essere un amico personale del sig. pasitch, è ben conosciuto come il più zelante fautore della fratellanza fra i due paesi, ma avendomi il sig. Rizoff chiesto di venire a Sofia per qualche tempo, gli ho negato il chiesto congedo nella tema che in Serbia ed all’estero venisse male interpretata la sua partenza da Belgrado in questo momento. Il sig. Rizoff, e non potrei aver migliore interprete presso il Governo serbo, ha le istruzioni le più concilianti ed, a prova di quanto asserisco, posso dire che dopo la partecipazione tanto cordiale della Corte serba al recente lutto della Bulgaria (Sua Altezza Reale fu vivamente toccato dalle manifestazioni di cordoglio dategli dal re pietro in occasione della morte della principessa Clementina) ho espressamente prescritto al sig. Rizoff di astenersi, durante tutto il periodo del lutto preso dalla Corte serba, di trattar nessuno degli argomenti spinosi relativi ai nostri rapporti.

Ma purtroppo il sig. Rizoff è al corrente di certi fatti d’estrema gravità che ha dovuto segnalare al suo Governo. Abbiamo assolutamente la prova che Munir pascià, nell’ultima sua visita a Belgrado, ha avuto dal Governo serbo la promessa che, ove scoppiassero le ostilità fra la Bulgaria e la Turchia, la Serbia sarebbe, insieme al Montenegro, alleata dell’Impero ottomano ai nostri danni. Ben diversa fu l’accoglienza fatta a Bucarest ad analoghe aperture fatte colà dall’inviato del Sultano. I ministri rumeni hanno sdegnosamente respinto qualsiasi proposta di tal genere. Mi risulta pure (continuò il ministro degli affari esteri) che i sussidi distribuiti in Macedonia dai serbi raggiungono tali cifre che impensieriscono e sono una prova di una attivissima propaganda contro l’elemento bulgaro, che non può a meno di provocar una generale reazione nell’opinione pubblica del principato. Questa, tuttavia, non si è lasciata andar a serie manifestazioni e basta, per convincersene, confrontar il linguaggio della stampa dei due paesi. I nostri giornali, se non possono nascondere la realtà delle cose, sono ben lungi dall’esser così aggressivi come quelli di Serbia. Noi abbiamo fatto larghi sacrifici in favore dell’esportazione serba e continuiamo ad accordar notevoli vantaggi al transito dei prodotti del Regno vicino diretti a Varna e a Burgas, ma non siamo responsabili dell’attitudine della Serbia che ha rinunciato ai patti commerciali conchiusi con noi.

Anche il sig. petroff, che la stampa serba attacca così ferocemente, è animato dalle migliori intenzioni: se la situazione è difficile non è da ascriversi a nostra colpa. per mio conto, come ne avevo già l’intenzione, sarei anche disposto a far una visita a Belgrado ove si presentasse l’opportunità di migliorare realmente le nostre relazioni colla Serbia».

Tali furono le parole dettemi dal sig. Stancioff. Ho già potuto riferir a V.E., col mio rapporto confidenziale delli 22 febbraio scorso, n. 241/782 che qui si avevano notizie sugli accordi presi dal Governo serbo con Munir pascià contro la Bulgaria. Questi accordi mi vengono ora confermati dal sig. Stancioff, il quale, usando un linguaggio dei più moderati, sembrava esprimere più che il dispetto il compatimento per la follia di tali propositi.

D’altre fonti mi risulta che qui non si maturano disegni aggressivi contro la Serbia, ma si è preoccupati dell’atteggiamento da essa assunto. purtroppo il pomo della discordia è la Macedonia, dove le aspirazioni serbe sono in aperto contrasto con quelle bulgare, né si vede una possibile intesa fra i due popoli e i loro Governi circa la questione macedone, tanto più che coloro, i quali sono interessati al dissidio lo sanno favorire con un costante lavorio d’intrighi, di calunnie e di corruzione.

La situazione delle relazioni bulgaro-serbe, come l’E.V. sa anche dai miei precedenti rapporti, è molto oscura: forse potrà rischiararsi col ritorno a Sofia del sig. Simitch che con fervore d’apostolo ha consumato le sue forze nell’opera del ravvicinamento dei due paesi.

Questi mi ha scritto dal sanatorio di Leysin in Isvizzera (dove si trova in cura fin dall’agosto scorso). Nella sua lettera pervenutami oggi il Simitch dice: «J’ai fait des démarches auprès de M. pachitch de me laisser à Sophia et j’espère qu’il se rendra à ma prière. Je n’aime point d’aller à Athènes. C’est à cause de ma santé que M. pachitch a pensé de me transférer à Athènes où le climat est plus doux et, ce qui est le plus important, où je n’aurais pas tant d’inquiétudes qu’à Sophia. Malgré que je prévoie que ma situation à Sophia après mon retour ne sera ni facile ni agréable, je préfère à y rester que d’aller à Athènes».

296 2 per la risposta vedi D. 308.

298

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, pANSA, E A VIENNA, AVARNA

T. CONFIDENzIALE 454. Roma, 9 marzo 1907, ore 15,30.

Dal preliminare scambio di idee che in questi giorni ebbi con Berlino e Vienna, mi sembra poter argomentare che tra i tre Governi alleati sia agevole l’accordo per un atteggiamento uniforme di fronte ad un eventuale iniziativa, acciocché nella Conferenza dell’Aja si tratti anche della limitazione degli armamenti. Oramai è accertato, anche per espressa dichiarazione fattamene dal sig. Martens, che tale iniziativa non verrà dalla Russia, la quale intende tener fermo nel suo primitivo programma. Ma l’iniziativa potrebbe venire dagli Stati Uniti, e sopratutto dall’Inghilterra la quale, mercé pubbliche ed autorevoli dichiarazioni, ne avrebbe in certa guisa preso l’impegno

morale. Ciò avvenendo, il procedimento concorde dei tre Governi alleati parrebbe potersi concretare nei seguenti due punti: 1) chiedere che il tema sia enunciato non vagamente ma sotto forma di proposta concreta e precisa; 2) osservare che il tema non è suscettibile di utile trattazione in una riunione alla quale partecipano numerosissimi Stati aventi troppe diverse condizioni di importanza e di ordinamenti militari, e proporre, in conseguenza, che la questione sia riservata ad una più ristretta conferenza delle grandi potenze. Desidero che su questa duplice base ella continui l’iniziato scambio di idee con codesto Governo e me ne riferisca il pensiero1.

297 2 Non pubblicato.

299

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 582/31. Vienna, 11 marzo 1907, ore 21.

Ho conferito oggi col barone di Aehrenthal circa oggetto del telegramma di V.E. n. 4541. Egli mi ha pregato di ringraziarla e dirle che apprezzava la proposta da lei fatta nell’interesse del procedimento concorde tra i Governi alleati, di fronte eventuale iniziativa per limitazione armamenti. Ma che chiedeva a V.E. di permettergli aspettasse, prima di pronunziarsi circa due punti di quella proposta, di conoscere le decisioni definitive che sarebbero state prese dal Governo russo in ordine alla questione. Sperava che questo si sarebbe convinto di indurre il Governo inglese a non prendere iniziativa suddetta. Nel caso diverso, ove vi consentisse, esso avrebbe dovuto interpellare potenze in proposito e, allora, sarebbe venuto il momento di esaminare quei due punti. Nell’accennare, in via confidenziale ai medesimi, il ministro imperiale e reale ha rilevato che il primo punto, specialmente, gli sembrava corrispondere allo scopo cui si mirava di eliminare del tutto questione, data l’impossibilità di trovare formola atta incontrare approvazione di tutte le potenze. Quanto al secondo punto, sebbene me ne avesse parlato lunedì scorso [il 4], doveva riconoscere che avrebbe fatto prendere alle potenze obblighi che non conveniva loro di assumere, ma che di esso avrebbe potuto valersi piuttosto la Russia, come di un argomento per convincere il Governo inglese di non insistere nel suo proposito. Barone di Aehrenthal mi ha promesso di farmi conoscere tra qualche giorno, in via ufficiale, il suo parere circa i due punti in discorso.

299 1 Vedi D. 298.

298 1 Vedi DD. 299 e 305.

300

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 596/26. Addis Abeba, 11 marzo 19071.

In conformità ordini di V.E.2 non ho ripreso trattative iniziate con Menelik circa sbocco al mare per le quali attendo istruzioni precise, ma da investigazioni fatte, ho il convincimento che Menelik non consentirà mai nostre richieste riguardo Somalia e che a stento, e se altre influenze non giungeranno in tempo a rimuoverlo, consentirà alla cessione di Lugh e forse alla linea di frontiera parallela alla costa che da Lugh raggiunge fontiera anglo-etiopica. Credo utile togliere ogni illusione sull’arrendevolezza di Menelik per quanto concerne territori Etiopia che egli ritiene ben delimitati da trattato Nerazzini. Sarebbe a desiderarsi, ad ogni modo, che nostre incerte ispirazioni politiche fossero precedute da più attivazione commerciale3.

301

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOpOLI, IMpERIALI

T. 484. Roma, 12 marzo 1907, ore 14,35.

Ricevo dal r. agente in Cairo il seguente telegramma1: «Dal vecchio Kipsi ricevo lettera in data febbraio con questa grave notizia: “Guivfeiz2 pascià, al sapere arrivo nostro messo Cadì Alì, mandò saccheggiare, incendiare i villaggi dei Kipsi, fatti incatenare i due fratelli, tutto ciò per impedire trattative pacificazione e provocare Imam”. Seguono caldi appelli al R. Governo per la loro liberazione, altrimenti sarebbe costretto invocare aiuti d’altra parte che l’Italia. Davanti tali condizioni di cose sarebbe, parmi, di massima urgenza premere sulla Sublime porta perché ordini liberazione prigionieri ed invio immediato Commissione mista facilmente costituibile presso il valì affine di concordare preliminari di pace dall’Italia proposti».

Di fronte a queste notizie a noi conviene prendere nettamente la nostra posizione. Noi avevamo accettato di farci semplici intermediari tra il Sultano e l’Imam unicamente per il caso che la cosa potesse essere costì gradita. poiché ciò non è, desideriamo astenerci da ogni azione ulteriore. però stimiamo debito nostro di fare appello, con piena fiducia, e per sentimento d’umanità, alla clemenza del Sultano in favore di coloro che si erano a noi rivolti e saremmo lieti se la nostra intercessione per essi

2 Vedi D. 287. 3 per la risposta vedi D. 306.

2 presumibilmente si intende Qui Feizi.

fosse benignamente accolta. La prego di tenere al visir un linguaggio conforme a quanto precede, accentuando in modo speciale l’intendimento amichevole che anche su questa circostanza ci muove3.

300 1 Trasmesso da Asmara il 13 marzo.

301 1 T. riservato 577/9 dell’11 marzo.

302

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOpOLI, IMpERIALI

DISp. 13636/205. Roma, 12 marzo 1907.

Il r. console generale in Tripoli, con rapporto del 2 marzo n. 1031, a proposito della recente istituzione di un’agenzia del Banco di Roma in quella città, accenna alla difficoltà che tale istituzione potrà incontrare ricordando che l’autorità ottomana pretende di non riconoscere, né autorizzare, l’installazione di banche o società anonime che non siano munite di decreto imperiale; e persiste in tale pretesa, malgrado che i Governi esteri abbiano sempre contestato alla Sublime porta il diritto che essa si arroga in questa materia.

per parte nostra, di tale eventuale opposizione delle autorità imperiali, non dovremo tener conto giacché i vigenti trattati assicurano al nostro riguardo la più ampia libertà in fatto di commercio e di imprese; né il progetto di regolamento sulle banche, già elaborato dalla Turchia, può in alcun modo vincolare la nostra azione, fino a che il progetto stesso non ha [sic] ricevuta, con la sanzione delle altre potenze, anche la nostra.

Ad ogni buon fine, però, della cosa accennatami dal r. console generale in Tripoli avverto la S.V. acciocché codesta r. ambasciata si prepari ad eliminare le eventuali difficoltà che la Sublime porta fosse per sollevare contro la istituzione dell’agenzia del Banco di Roma in Tripolitania.

303

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI

DISp. 13930/215. Roma, 13 marzo 1907.

Mi riferisco ai rapporti del 29 gennaio n. 194/70, 4 febbraio n. 221/801 e al telegramma del 2 febbraio n. 412.

informazioni sui fatti comunicatigli.

303 1 Non pubblicati.

2 T. 277/41, non pubblicato.

Col primo rapporto il marchese di San Giuliano mi informava di aver comunicato a sir Edward Grey ed al sig. Cambon il progetto delle istruzioni da noi proposte per le rappresentanze a Menelik ai sensi dell’art. 9 dell’accordo 13 dic. 1906, e di aver parlato sul proposito con sir John Harrington il quale gli dichiarò che avrebbe proposto al suo Governo l’invio di siffatto progetto ai tre ministri ad Addis Abeba a titolo d’informazione, ma che, pur raccomandando loro di attenervisi per quanto fosse possibile, di lasciare ad essi la massima libertà quanto ai provvedimenti concreti da chiedere a Menelik.

Col secondo rapporto V.E. mi comunica la lettera del sig. Cambon, il quale condivide il parere di sir Harrington che siano date istruzioni nello stesso senso ai tre ministri ad Addis Abeba lasciando ad essi la cura di concretare analoghe comunicazioni da farsi da ciascuno di essi a Menelik, e mi invia pure la nota del Foreign Office del 4 febbraio colla quale il Governo britannico fa conoscere che in linea generale è d’accordo sul contenuto del nostro progetto, ma che sarebbe conveniente di omettere quanto è detto alla lettera b), di aggiungere quanto è indicato nel quinto comma della predetta nota del Foreign Office, e di dare comunicazione ufficiale del progetto al Governo francese.

Inoltre per gli accordi da prendersi dalle autorità sul posto, a senso dell’art. 8 dell’accordo 13 dicembre 1906, siano tenuti presenti dai ministri in Addis Abeba i due documenti legislativi inglesi relativi al traffico delle armi da fuoco.

premetto che il progetto per le rappresentazioni al Negus, che fu trasmesso al marchese di San Giuliano col dispaccio del 13 novembre 1906, n. 5023, fu redatto da questo Ministero nella ipotesi che il negoziato intrapreso con la Francia per l’accordo delle armi non avesse condotto al risultato favorevole dell’accordo concluso il 13 dicembre 1906.

Quindi siffatto progetto aveva di mira principalmente un’azione comune dell’Italia e dell’Inghilterra presso il Negus, sia perché questi avesse ad adottare provvedimenti atti ad impedire l’illecito traffico delle armi e delle munizioni nel suo territorio sia perché dal Negus medesimo fossero fatte raccomandazioni alle autorità di Gibuti per più rigorose cautele nella vendita delle armi e delle munizioni nel possedimento francese agli abissini, secondo le disposizioni adottate dal Governo francese col decreto del 10 ottobre 1894.

È ovvio quindi, che quanto è detto alla lettera b) del nostro progetto non abbia più ragione di persistere dopo l’adesione della Francia all’accordo, essendo che alle autorità di Gibuti saranno dal Governo francese date altre istruzioni affinché l’azione locale di quelle autorità sia veramente sincera ed efficace.

È parimenti ovvio che l’espressione di cui alla lettera c) «rigorose cautele affinché le armi vadano esclusivamente al Negus» e l’accenno di quanto praticasi ora a Gibuti, di cui alla parte fra parentesi del n. 6 del progetto, rientrano ormai negli impegni che il Governo francese ha preso con l’accordo del 13 dicembre u.s.

Ritengo, poi, efficace, quanto viene suggerito dal Governo inglese per le multe e le pene ai soldati abissini che vendono le loro armi e per ciò che riguarda le vecchie armi in Abissinia.

Il reggente la r. legazione in Addis Abeba fu già autorizzato con mio telegramma del 22 febbraio4 ad uno scambio di vedute con i colleghi di Francia e d’Inghilterra per concordare il modo delle rappresentazioni da farsi a Menelik in virtù dell’art. 3 dell’accordo, informando però il Governo del Re prima di fare qualunque passo presso il Negus.

Ora poi gli do comunicazione5 della nota del Foreign Office del 4 febbraio affinché egli tenga conto delle osservazioni suddette ed anche dei due documenti legislativi inglesi relativi al traffico delle armi per concretare sul posto, ai sensi dell’art. 8 dell’accordo, le rappresentanze che i tre rappresentanti proporranno siano fatte a Menelik in virtù dell’art. 3 dell’accordo medesimo.

Scrivo al conte Tornielli5 affinché informi di tutto quel Governo, per le concordi istruzioni da dare al rappresentante francese in Etiopia.

prego la S.V. di fare, al riguardo, opportune comunicazioni a sir E. Grey.

301 3 Con T. 619/47 del 15 marzo, Sforza riferì le promesse fattegli da Ferid pascià di assumere

302 1 R. 303/103, non pubblicato.

303 3 Non pubblicato.

304

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

DISp. 13956/35. Roma, 13 marzo 1907.

prego la S.V. di indagare e riferirmi come abbiano potuto divulgarsi e prendere consistenza in Abissinia voci di possibili ostilità fra l’Etiopia e l’Italia, voci delle quali è cenno nel rapporto di codesta legazione in data 18 gennaio1, e precisamente in un periodo in cui i rapporti nostri col Negus non potrebbero esser migliori.

Ad ogni buon fine poi (ed anche in questo mi riferisco a quanto il comm. Ciccodicola allude nel predetto rapporto) è opportuno che, occorrendo, sia fatto ben conoscere a chi può averne interesse, che le operazioni in corso in Eritrea per la indemaniazione delle terre non costituiscono un fatto nuovo, e l’ordinamento fondiario che sta per emanarsi non fa che meglio regolare dal punto di vista legislativo quello che, a tale riguardo, si sta praticando da molti anni2.

5 Non rinvenuto.

2 per la risposta vedi D. 358.

303 4 T. 364, non pubblicato.

304 1 Non pubblicato.

305

L’AMBASCIATORE A BERLINO, pANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 612/22. Berlino, 14 marzo 1907, ore 17,20.

Dietro il telegramma1 ebbi una nuova conversazione col sig. Tschirschky sul contegno da adottarsi di fronte ad una eventuale proposta inglese per introdurre all’Aja la questione della limitazione degli armamenti.

Ne ho rilevato che, in tale evenienza, Tschirschky approva il primo punto indicato da V.E., cioè, di chiedere che il tema venga enunciato in termini precisi. Ma quanto alla idea di riservarne la discussione ad un numero ristretto di potenze, ho compreso che questo segretario di Stato vi è decisamente contrario. Codesta idea sarebbe infatti già stata accennata da sir Edoardo Grey all’ambasciatore di Germania a Londra, nel senso di deferire la questione degli armamenti ad una Commissione speciale della Conferenza da farsi continuare anche dopo la Conferenza stessa. Ora, Tschirschky considera come evidente che, allo stato attuale delle cose, la questione degli armamenti è di per sé radicalmente insolubile, osservando fra altro che la limitazione augurata da sir Campbell Bannerman è incompatibile col principio ora riconfermato dagli stessi ministri inglesi pel mantenimento di una flotta equivalente a quella di due altre potenze. Ciò premesso, questo segretario di Stato ritiene che il promuovere su quell’argomento una discussione ristretta, per esempio, alle maggiori potenze, riuscirebbe, per le fallaci speranze che ciò farebbe nascere, nonché per gli attriti cui potrebbero dar luogo, ancora più pericolosi [sic] che non una vaga discussione in plenum, se questa fosse anticipatamente preparata in modo da terminare con un voto platonico approvato all’unanimità. Von Tschirschky concluse, del resto, col dire che, per il momento, non rimaneva che da attendere le eventuali proposizioni inglesi, salvo a intendersi sulla risposta da darvisi quando ne conosceremo i termini.

306

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. SEGRETO 5181. Roma, 17 marzo 1907, ore 20.

Rispondo telegramma 25 febbraio2, 11 marzo3. per ragioni già esposte dobbiamo ancora insistere per confine Somalia. per ferro-

via, è bene non parlare di Adua, limitandosi chiedere autorizzazione Menelik per ferrovia oltre Mareb, senza indicare direzione. per Let Marefià manteniamo domanda

306 1 Trasmesso via Asmara.

2 Vedi D. 290. 3 Vedi D. 300.

che si risolve in ritorno allo statu quo ante. Manteniamo domanda per assetto questione Dancala. Ad ogni modo, essendo necessario conchiudere subito questo negoziato, desidero intanto conoscere su tutte singole questioni precise controproposte Menelik4.

305 1 Vedi D. 298.

307

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. 5511. Roma, 22 marzo 1907, ore 14,55.

Ricevuto telegramma 342. Mi riferisco al mio ultimo dispaccio relativo istruzioni concordate con Inghilter-

ra e Francia per esecuzione accordo 13 dicembre3. Telegrafo Londra e parigi4 buone disposizioni Menelik affinché suoi colleghi abbiano, se non hanno già avuto, categoriche istruzioni per trattare questione con Menelik con ogni sollecitudine. per parte mia, la autorizzo nel modo più formale ad assecondare giusta domanda Menelik per ottenere d’accordo con lui e con la cooperazione delle tre potenze provvedimenti rapidi, energici e esemplari. prego tener vivo in Menelik proposito manifestato, interessandolo a dare ordini ai suoi capi affinché carichi armi transitanti in territorio etiopico siano inesorabilmente sequestrati e responsabili puniti severamente. Se Menelik, come aderente Atto generale Bruxelles, vuol giungere a qualche cosa di concreto, deve negare autorizzazione ai capi di avere armi direttamente, e dare punizione esemplare ai trasgressori, vigilando e reprimendo lungo le vie rifornimento. Ove Menelik voglia davvero gli sarà facile distruggere con mezzi energici il contrabbando delle armi che ha la sua origine tra Gibuti ed Harrar.

308

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ATENE, MANzONI

DISp. 16247/79. Roma, 25 marzo 1907.

Mi è pervenuto il rapporto confidenziale in data 7 marzo 169/661 nel quale prendendo occasione da una domanda rivoltale da codesto ministro d’Inghilterra per

307 1 Trasmesso via Asmara.

2 Con T. 645/34 del 17 marzo, Colli riferiva il desiderio di Menelik di essere coinvolto nella discussione sulla questione del traffico d’armi in Somalia.

3 Non pubblicato, ma vedi D. 303. 4 Con T. 549, pari data, non pubblicato.

aver notizia dell’esistenza di un supposto accordo fra Grecia, Serbia, Turchia e Montenegro contro la Bulgaria, la S.V. passa in rassegna le aspirazioni e l’atteggiamento dei vari Stati balcanici fra di loro e giunge alla conclusione che in caso di conflagrazione una divisione di quegli Stati in due campi Grecia, Serbia, Turchia e Montenegro da una parte, Bulgaria e Rumania dall’altro debba ritenersi come un’eventualità probabile e che merita sin da ora tutta la nostra attenzione.

Dell’esistenza dell’accordo in parola, non giunse, prima d’ora, notizia alcuna a questo Ministero. Sono bensì note, da tempo, le preoccupazioni del Gabinetto di Sofia per supposti maneggi della Serbia intesi a conseguire un riavvicinamento colla Turchia, preoccupazioni che si troveranno ora aggravate per il fatto della recente missione di Munir pascià a Belgrado: per quanto alla medesima, secondo che il r. ministro in Serbia mi riferisce col rapporto di cui le invio copia2, non debba nel fatto attribuirsi soverchia importanza.

Mentre mi riservo di indagare quale fondamento abbia in realtà la supposizione cui alludeva con lei il suo collega di Inghilterra, ...

306 4 per la risposta vedi D. 311.

308 1 Vedi D. 296.

309

L’AMBASCIATORE A pIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 216/89. Pietroburgo, 27 marzo 1907 (perv. il 2 aprile).

Già a varie riprese il sig. Izvolskij ebbe a mostrarsi meco gravemente preoccupato della piega che prendeva la questione del Marocco, nella quale ravvisava un perenne focolare di pericolose complicazioni internazionali. Il suo intento era sempre quello di adoperarsi onde trovare possibilmente qualche via di conciliazione fra le parti contendenti; non pareva tuttavia nascondersi quante difficoltà comportasse un tale ufficio di paciere, specialmente tenuto conto della delicata posizione in cui trovavasi la Russia, obbligata da una parte dai suoi vincoli d’alleanza a non troppo allontanarsi dalla Francia, ma, dall’altra, sommamente interessata, a motivo anzitutto delle esigenze della sua situazione interna, a non suscitarsi le suscettibilità ed i rancori della Germania. Queste difficoltà potrebbero essere in parte almeno sormontate quando quell’azione pacificatrice della Russia non rimanesse isolata, e sarebbe per conseguenza di sommo interesse per questo Governo il trovare un’altra potenza trovantesi in una situazione press’a poco identica alla sua e com’essa in sommo grado interessata al mantenimento della pace, con cui procedere d’accordo in una tale opera conciliatrice.

Questa potenza non potrebbe essere che l’Italia, la quale, legata anch’essa da vincoli d’alleanza verso la Germania e spinta d’altra parte dagli interessi della sua

politica mediterranea e da forti correnti dell’opinione pubblica nazionale a non troppo staccarsi in quella questione dalla Francia e dall’Inghilterra, è pure supremamente interessata al mantenimento della pace, né potrebbe quindi che plaudire ed, eventualmente, pure associarsi ad ogni azione avente per oggetto di scartare ed appianare le divergenze che potrebbero insorgere.

Che questa similitudine di posizione e d’interessi e l’opportunità di una concordanza di vedute tra i due Gabinetti fossero già da tempo riconosciute dal sig. Izvolskij, lo attesterebbe la cura da lui posta, in altre precedenti fasi della questione marocchina (come ad esempio nello scorso dicembre, quando fu necessario inviare a Tangeri rinforzi militari franco-spagnoli), a farci conoscere le sue vedute ed ottenere la nostra approvazione alle proposte conciliatrici da esso presentate in quell’occasione. Lo stesso può dirsi ora riguardo alla questione della nomina di un ingegnere belga, alla quale riferiscesi il telegramma n. 281 che ho oggi avuto l’onore di inviare all’E.V.

Sarebbe quindi a mio avviso opportuno se il R. Governo si dimostrasse anch’esso disposto di procedere d’accordo colla Russia in tutte le eventuali susseguenti fasi della questione marocchina, sia addivenendo con essa ad esaurienti scambi di vedute, sia anche provvedendo, all’occorrenza, ad un’azione diplomatica concordata fra i due Gabinetti. Una tale azione, i di cui effetti pacificatori potrebbero essere grandissimi, non sarebbe suscettibile a mio avviso di suscitare quelle diffidenze ed animosità che potrebbe provocare un’azione isolata, e potrebbe pure molto giovare all’avvenire delle relazioni politiche fra l’Italia e la Russia2.

308 2 R. 209/66 del 15 marzo, non pubblicato.

310

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

L. pERSONALE. Roma, 28 marzo 1907.

La ringrazio delle particolareggiate informazioni che mi ha fornito colla sua lettera del 18 febbraio circa l’azione costì intrapresa allo scopo di promuovere un riavvicinamento fra l’Austria-Ungheria e l’Italia1. Da parte nostra, tutto sarebbe già pronto per la costituzione di un comitato, composto di uomini altamente rispettabili ed autorevoli appartenenti a diversi partiti parlamentari; essi si sono impegnati a procedere d’intesa con me, e a non render nulla di pubblica ragione finché non se ne ravvisi, d’accordo, l’opportunità. Ora tale opportunità non potrà certo presentarsi se non quando sia assicurata anche in Austria la costituzione di un Comitato che offra le medesime garanzie di rispettabilità e di autorevolezza. Di queste qualità non sembra-

2 per la risposta vedi D. 318.

no, a quanto dice V.E., essere fornite in sufficiente misura le persone che si son poste ora, a Vienna, alla testa del movimento iniziato in seno alla kultur Politische Gesellschaft. perché possa venir raggiunto il fine, senza dubbio sommamente desiderabile sotto ogni aspetto, di migliorare le relazioni fra il popolo italiano ed i popoli dell’Austria-Ungheria, promuovendo prima di ogni altra cosa una maggiore e più esatta reciproca conoscenza delle rispettive condizioni di fatto, dei reali bisogni e dei reali interessi dei due paesi, occorrerebbe che l’opinione pubblica fosse a ciò guidata, dall’una e dall’altra parte, da uomini che occupano una elevata ed indiscussa situazione nel mondo politico, come sarebbe appunto, in Austria, il sig. Ernst von plener. È a questo scopo che bisogna tendere anzitutto: e frattanto approvo interamente il proposito da lei manifestato di coadiuvare in modo indiretto – e, ben inteso, mantenendo un assoluto riserbo – ciò che può contribuire all’attuazione della lodevole idea. In ogni caso, prima che dal terreno dei semplici progetti si passi a quello dei fatti concreti, sarà bene che di ogni cosa ella tenga parola al barone di Aehrenthal.

309 1 T. 707/28, pari data, non pubblicato.

310 1 Non pubblicata.

311

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. SEGRETO 744/391. Addis Abeba, 31 marzo 19072.

Ho verbalmente comunicato a Menelik condizioni e compensi che Governo italiano domanda per cessione sbocco mare Raheita.

1) per sistemazione confini Dancalia, Menelik conferma sue buone disposizioni riservandosi esaminare nostri desiderata, quando gli saranno presentati.

2) per confini Somalia, Menelik esclude assolutamente possibilità discutere confini domandati, ed è disposto a trattare questione Lugh e linea di frontiera che da un punto sul Giuba a [monte] di Lugh segue all’incirca 4° parallelo fino incontrare linea confine parallela alla costa stabilita con Nerazzini.

3) per Let Marefià, conferma risposta negativa, già data antecedentemente a questa trattativa, avendo concesso in proprietà ad altri, territori antica stazione. per ferrovia oltre frontiera Mareb, si riserva esaminare nostre domande.

Mi sono riservato presentare Menelik note domande fatte dal Governo italiano alle quali egli darà risposta esplicita e presenterà contro-proposte. Credo opportuno aggiungere seguenti considerazioni: Menelik, evidentemente, intende che cessione Raheita, da parte nostra, costituisca una vera e propria cessione di territorio con tutti i diritti inerenti, e non ho creduto conveniente insistere sulla denominazione di stazione commerciale, contenuta nel telegramma di V.E., per evitare che Menelik confon-

2 Trasmesso da Asmara il 3 aprile.

desse colle agenzie commerciali contemplate nell’articolo V del trattato di commercio. È mio convincimento che Menelik non acconsentirà in nessun caso [...]3 frontiera, e nella sistemazione Dancalia verrà esclusa ogni nostra ingerenza sul piano Salato. Non nascondo mie preoccupazioni che, in seguito esito che prevedo negativo, presenti trattative e in causa nostre manifeste aspirazioni in Somalia, azione accertata in quel territorio sarà resa più attiva e circospetta.

311 1 Risponde al D. 306.

312

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI

T. pERSONALE 6891. Roma, 3 aprile 1907.

Ambasciatore di Germania mi aveva comunicato che suo Governo non si sarebbe opposto a che la questione della riduzione degli armamenti fosse discussa alla Conferenza dell’Aja, però il delegato germanico avrebbe avuto istruzioni di non partecipare a tal discussione né al voto cui avrebbe potuto dar luogo per non impegnare in alcun modo il suo Governo. Ciò mi è stato confermato dal principe di Bülow nel colloquio che ho avuto con lui2. Egli mi ha soggiunto che la Germania non aveva ragione di contrastare la discussione di tal questione ma soltanto non potrebbe accettare una soluzione che fosse in opposizione ai suoi interessi.

Io ebbi già a trattare tale argomento alla Camera dei deputati il 14 giugno 19063 ed allora facendo plauso all’iniziativa partita dal Governo inglese ed assicurando che il Governo italiano avrebbe dato istruzioni ai suoi rappresentanti all’Aja di secondarla notavo l’impossibilità che una sola potenza indebolisse gli armamenti in mezzo ad una Europa potentemente armata e rilevavo la difficoltà di trovare una formula concreta e la probabilità che tale iniziativa dovesse rimanere per qualche tempo allo stato di generosa aspirazione. Tale sarebbe indubbiamente il risultato della Conferenza dell’Aja ove si volesse risolvere la questione bruscamente e d’un tratto con un voto che rimarrebbe sterile se ad esso non fosse assicurata adesione delle grandi potenze; pertanto nell’interesse stesso della nobile ed umanitaria aspirazione parmi che quando tale adesione non si ottenesse preventivamente su di una formula positiva e concreta sarebbe più prudente appagarsi che essa faccia almeno alla prossima Conferenza dell’Aja un passo notevole.

312 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

2 Il 30 e il 31 marzo a Rapallo. 3 Vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1904-1906, vol. 7, tornata del

14 giugno 1906, pp. 8487-8488.

Il Governo britannico, come già ho comunicato all’E.V. con mio dispaccio del 1° aprile4, ha dichiarato essere disposto ad accettare che la questione una volta sollevata sia deferita ad una commissione di rappresentanti delle grandi potenze; ove la proposta inglese incontrasse difficoltà io avrei in animo come conseguenza dei concetti cui ho accennato di proporre:

1) che la questione della limitazione degli armamenti benché non compresa nel programma russo possa essere discussa alla Conferenza purché quella potenza o quelle potenze che intendono sollevarla notifichino a tutti gli Stati aderenti tale loro intenzione;

2) che nella notificazione non sia fatto accenno alla questione generale ma si indichino le proposte concrete che si credono atte a risolverle;

3) che essendo queste proposte presentate dopo che già il Governo russo aveva comunicato il suo programma, ottenuto adesione degli altri Stati debba anzitutto essere trattato ed esaurito tale programna;

4) che iniziata la discussione sulla proposta per la limitazione degli armamenti ove la conferenza avesse ad emettere un voto sulla medesima, questo voto abbia a significare soltanto che di essa non ritenga meritevole dell’esame delle grandi potenze quello cui dia voto negativo ed invece ritenga di raccomandare all’esame delle grandi potenze quello cui dia voto favorevole;

5) che le proposte che la Conferenza credesse raccomandare all’esame delle grandi potenze debbano poi formare oggetto di trattative dirette fra queste.

principe di Bülow cui comunicai la mia intenzione di presentare questa proposta come base per una intesa fra tutte le potenze su tale questione, mi disse che egli era disposto ad accettarle e si felicitò meco sembrandogli che io avessi trovato una modus procedendi pratico e tale da potere raccogliere adesione di tutti.

prego dar lettura di questa mia nota a codesto ministro degli affari esteri autorizzando V.E. a rilasciargliene copia ove ne sia richiesta. Gradirei conoscere a suo tempo avviso di codesto Governo in proposito5.

prego di indirizzare a me personalmente tutta la corrispondenza telegrafica ed epistolare relativa a questo argomento.

311 3 Nota del documento: «Manca il gruppo».

313

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 749. Vienna, 3 aprile 1907, ore 23.

Barone Aehrenthal mi ha dato oggi lettura, in via confidenziale, di un telegramma pervenutogli iersera in cui il conte Lützow lo informa di avergli V.E. manifestato

5 per la risposta vedi D. 319.

la sua soddisfazione per colloqui avuti a Rapallo col principe di Bülow1 e dei quali la Conferenza dell’Aja avrebbe formato l’oggetto principale.

Il conte Lützow lo previene quindi della intenzione di V.E. di comunicare una sua proposta circa la linea di condotta da seguirsi alla Conferenza, ed accenna, a tale riguardo, alla domanda di diminuzione delle spese militari da formularsi, non vagamente, ma in termini completi e precisi e alla discussione in via diplomatica delle questioni relative. Barone Aehrenthal mi ha detto che avrebbe esaminato la proposta di V.E. non appena ne avrebbe avuto notizia, e mi ha ripetuto che sarebbe stato opportuno che i tre Governi alleati tengano un atteggiamento conforme alla Conferenza. Ha aggiunto che aspettava di ricevere tra giorni comunicazioni della Russia circa Conferenza. Ignorava come sarebbero state concepite ma supponeva che Governo imperiale si sarebbe ristretto a dichiarare che manteneva intatto il suo programma, facendo conoscere, in pari tempo, che alcune potenze si erano riservate facoltà presentare proposte loro proprie alla Conferenza.

312 4 Non pubblicato.

314

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL GOVERNATORE DELL’ERITREA, SALVAGO RAGGI

DISp. RISERVATO 17806/194. Roma, 3 aprile 1907.

Ad evitare malintesi ed a determinare una chiara linea di condotta per l’azione politica del Governo della Colonia Eritrea in Etiopia, invio all’E.V. le seguenti istruzioni pregandola di volersi ad esse scrupolosamente conformare.

Essendo la responsabilità della politica coloniale, secondo le attuali norme costituzionali, tutta del ministro degli affari esteri, a lui incombe l’indirizzo dell’azione politica dell’Italia in Etiopia e da lui quindi deve normalmente ricevere direttamente istruzione la r. legazione in Addis Abeba, non potendo il Governo coloniale spiegare la sua azione oltre confine, senza previo accordo col Governo centrale.

Nei soli casi di urgenza potrà codesto Governo inviare dirette istruzioni alla legazione, avvisandone però contemporaneamente il Governo del Re e rimanendo tuttavia in facoltà del ministro in Addis Abeba di assumere la responsabilità di non dare immediata esecuzione alle istruzioni non direttamente ricevute dal ministro degli esteri qualora non siano in armonia colle direttive generali da esso impartite.

In senso analogo ho scritto alla r. legazione in Addis Abeba1. La prego di accusarmi ricevimento del presente dispaccio.

314 1 Vedi D. 315.

313 1 Vedi D. 312, nota 2.

315

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

DISp. RISERVATO 17834/41. Roma, 3 aprile 1907.

Ad evitare malintesi ed a determinare una chiara linea di condotta per l’azione politica del Governo della Colonia Eritrea in Etiopia, invio alla S.V. le seguenti istruzioni pregandola di volersi ad esse scrupolosamente conformare.

Essendo la responsabilità della politica coloniale, secondo le attuali norme costituzionali, tutta del ministro degli affari esteri, a lui incombe l’indirizzo dell’azione politica italiana in Etiopia e da lui deve normalmente codesta r. legazione ricevere dirette istruzioni.

Solo nei casi di urgenza potrà il Governo coloniale inviare dirette istruzioni a codesta legazione, avvisandone però contemporaneamente il Governo del Re, e rimanendo sempre in facoltà del titolare di codesto r. ufficio di assumere la responsabilità di non dare immediata esecuzione a tali istruzioni, qualora non siano in armonia con le direttive generali impartite dal ministro degli esteri.

In senso analogo ho scritto al governatore di Asmara1. La prego di accusarmi ricevimento del presente dispaccio.

316

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 536/1911. Londra, 4 aprile 1907.

Ritengo che non sarà senza interesse per V.E. di scorrere i qui acclusi estratti di giornali che contengono corrispondenze mandate da Berlino, da Vienna e da Roma circa il convegno recentemente avvenuto a Rapallo tra V.E. ed il Cancelliere dell’Impero Germanico. V.E. valuterà quanto vi possa essere di vero in queste lunghe colonne, e constaterà che la stampa inglese registra con soddisfazione il comunicato considerato ufficiale, portato dai giornali italiani, e la smentita fattavi che V.E. abbia accordato interviste e fatto rivelazioni ai corrispondenti del Resto del Carlino e della Gazzetta d’Italia.

Vedo che la stampa tedesca nota il fatto che a me non era sfuggito, che mancano nei principali fogli londinesi articoli di fondo concernenti il convegno di Rapallo. Ciò mi fa ricordare che nel breve tempo in cui V.E. fu qui come ambascia-

316 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale e privo dell’indicazione della data di arrivo.

tore di S.M. si lagnava spesso del tono poco favorevole della stampa inglese verso le cose italiane. Da quel tempo in poi, o per meglio precisare, dopo conchiuso il trattato per l’Etiopia, non ho più notato esempi importanti di simile modo di considerare le cose nostre. Ma non posso nascondermi che alla ostilità più o meno palese, è sottentrata una certa indifferenza sopratutto quando si tratta dei nostri rapporti colla Germania. Ella ricorda che sir Mackenzie Wallace mi disse, ed io a lei riferii, che il motivo principale per cui la stampa inglese non era del tutto soddisfacente nei suoi rapporti con noi, era sopratutto da ricercarsi nelle tendenze dei corrispondenti da Roma. Mi sembra che la corrispondenza al Times in occasione del recente convegno sia una riprova di ciò, e non mancheranno all’E.V. i mezzi, ove ella lo creda opportuno, di tentare di correggere uno stato di cose che ella mi disse ritenere pernicioso.

315 1 Vedi D. 314.

317

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 760/359. Vienna, 5 aprile 1907 (perv. 1’8).

La stampa austriaca ha considerato con simpatia l’incontro che ebbe testè luogo a Rapallo tra l’E.V. ed il principe di Bülow. Essa è unanime nel ritenere che argomento principale dei colloqui colà svoltisi sia stato il contegno da tenersi per parte delle potenze della Triplice alla Conferenza dell’Aja di fronte ad una eventuale proposta inglese o nord-americana in favore della riduzione degli armamenti.

In alcuni giornali non sono mancati accenni alle mire interessate dell’Inghilterra, nel fare tale proposta e nello spingere l’Italia ad associarvisi, staccandola così, in un argomento di somma importanza, dalle sue alleate, e specialmente dalla Germania. In questo senso sono da segnalare l’articolo di fondo pubblicato nell’odierno numero della Deutsche Zeitung come pure un articolo apparso nella Zeit ed intitolato Il terzo partecipante.

Tuttavia, se si ebbero in giornali a noi poco favorevoli allusioni a tendenze della politica italiana non interamente conformi a quelle della politica delle due altre alleate, è però notevole che la stampa è stata unanime, senza distinzione di partito, nel constatare, con soddisfazione, l’accordo verificatosi su questa questione del disarmo tra V.E. ed il Cancelliere dell’Impero, accordo confermato dal principe di Bülow nelle conversazioni attribuitegli con privati e giornalisti.

Tale accordo è considerato come una nuova prova della solidità della Triplice e della fedeltà dell’Italia agli obblighi che essa le impone.

La stampa stessa riconosce, del resto, che la presenza dell’E.V. al Governo rappresenta una garanzia in questo senso.

318

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A pIETROBURGO, MELEGARI

DISp. RISERVATO 18382/88. Roma, 6 aprile 1907.

Segno ricevuta e ringrazio l’E.V. del rapporto in data 27 marzo u.s., n. 89 sulla questione del Marocco1.

Apprezzo le preoccupazioni del sig. Izvolskij ed apprezzo soprattutto le considerazioni per le quali gli sembra opportuno che le potenze meno direttamente interessate nella questione, e tali sono appunto l’Italia e la Russia, si adoperino ad esercitare una azione conciliativa tra le potenze aventi nel Marocco interessi più diretti dai quali possano derivare eventuali conflitti.

Mi compiaccio poi che il sig. Izvolskij riconosca la sollecitudine che l’Italia effettivamente arreca a pro della causa della pace generale. per parte mia gli sarò grato di qualunque proposta o concetto che a tale fine voglia manifestarmi, ed essere io sempre pronto ad assecondare, in quanto da noi dipende, l’opera sua; mentre, a mia volta non tralascerò di scambiare con codesto ministro degli affari esteri quelle vedute che le circostanze saranno per suggerirmi siccome [...]2.

Desidero che V.E. in questi termini si esprima col sig. Izvolskij così [. . .]2 alle cordiali dichiarazioni da lei riferitemi nel precitato suo rapporto.

319

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. 5551. Londra, 8 aprile 1907.

Segno ricevuta a V.E. dei due telegrammi2 che ella ha voluto personalmente indirizzarmi circa alle proposte per il modo di procedere alla Conferenza dell’Aja nella questione della limitazione degli armamenti di cui V.E. ha tenuto parola col principe di Bülow. Le faccio questa mia comunicazione in proposito per lettera e non per telegrafo sapendo che V.E. è assente dall’Italia per parecchi giorni.

2 parole illeggibili.

2 Vedi D. 312. Con il secondo telegramma, del 4 aprile, si dava istruzione di consegnare, anziché una copia, una traduzione in francese per ragioni di sicurezza.

Quando mi giunsero i predetti telegrammi tanto sir Edward Grey che sir Charles Hardinge erano assenti quindi mi limitai a mandare al Foreign Office un promemoria in cui compresi una traduzione letterale in inglese del dispaccio dell’E.V. Oggi soltanto mi è stato poi possibile di parlare dell’argomento con segretario di Stato.

Sir Edward Grey mi ha detto che aveva preso rapida conoscenza del mio promemoria ma che non si sentiva ancora in grado di formulare una definitiva opinione in merito alle proposte che V.E. avrebbe in animo di presentare. Ma che frattanto avrebbe desiderato di sapere se V.E. oltreché al Governo britannico ha dato comunicazione delle sue intenzioni a tutti quegli altri Governi che come ad esempio l’americano e lo spagnuolo hanno fatto analoghe riserve. Su questo punto crederei opportuno che con quella maggiore sollecitudine che sarà possibile mi mettesse in grado di informare sir Edward Grey. Mi disse inoltre il segretario di Stato che egli non voleva né poteva ammettere l’ipotesi, la quale in una prima ed affrettata lettura del mio memorandum eragli sembrata essere in base delle proposte di V.E., che il presentarsi da qualche potenza in seno alla Conferenza dell’Aja qualche proposta per la limitazione delle spese per gli armamenti (non per la limitazione degli armamenti, volle ben chiarire sir Edward Grey) possa essere motivo di attrito fra le potenze. Secondo lui qualsiasi proposta ed in qualsivoglia modo presentata non può offendere nessuno: perché se la proposta è accettata è evidente che è riuscita gradita e se non è accettata cadrà e le cose resteranno nelle condizioni di prima. Sir Edward Grey mi ha promesso di scrivere tostoché avrà maturato le sue idee al riguardo ed io mi affretterò a scrivere o a telegrafare secondo il caso, quanto egli mi avrà comunicato.

318 1 Vedi D. 309.

319 1 Originale non rinvenuto. Si pubblica la copia conservata nell’archivio riservato della Segreteria Generale.

320

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENzIALE 266/931. Belgrado, 9 aprile 1907.

Ieri ebbi l’onore di essere invitato a pranzo a Corte, e questo mi dette occasione di intrattenermi lungamente con S.M. il Re, circa a molti argomenti di politica estera ed interna.

Come è naturale si parlò innanzi tutto delle relazioni fra la Serbia e la Bulgaria e si poté constatare che da alcune settimane si erano fatte migliori anche in causa delle condizioni interne del principato che distraggono l’attenzione de’ suoi reggitori dalle questioni estere.

Il Re con molta fermezza asserì che le accuse mosse contro la Serbia non erano giustificate. Che da lungo tempo i bulgari avevano presa l’iniziativa di aggredire

anche quei villaggi che per tradizione storica e per ragioni etniche erano stati considerati da tempo immemorabile come appartenenti alla Vecchia Serbia. Che pertanto l’azione delle bande serbe era stata soltanto difensiva e che la malafede dei giornali di Sofia era giunta al punto da considerare come villaggi bulgari devastati da bande serbe, villaggi serbi messi a rovina dai bulgari. Malgrado ciò, aggiunse Sua Maestà, essere suo fermo desiderio di vivere in buoni rapporti colla Bulgaria ed essere convinto che, nonostante il linguaggio minaccioso, il Governo del principato non verrà mai ad atti apertamente ostili.

Chiesto da quali reconditi fini poteva esser mosso il principe nel muovere così alte doglianze e nel manifestare così clamorosamente il suo malumore, il Re mi rispose il principe avere forse due fini: far cosa grata all’Austria ed acquistare in paese quella popolarità che gli manca, mediante qualche atto fiero e minaccioso. «Il principe è divenuto bulgaro, ma è nato austriaco e sente come un austriaco. Un proverbio serbo dice: la camicia sta più vicina alla pelle che la gunja (giacca). La camicia del principe è “Viennese”».

Evidentemente il Re non nutre alcuna fiducia nella efficacia del programma delle riforme, opinione del resto divisa da tutti coloro coi quali qui ho parlato, nessun eccettuato. Esso ritiene però necessario, anzi urgente, che il nodo macedone venga sciolto.

A tal proposito mi permisi osservare essere più facile dimostrare la necessità di una pronta soluzione che trovarla. In ogni caso essere necessario che serbi e bulgari tenessero ben fisso nella mente che, praticamente, le loro zuffe sanguinose, le rivendicazioni storiche, le indagini etniche, le conversioni forzate servono a nulla. Le grandi potenze considerano ormai di interesse generale la questione macedone e ritengono loro compito prenderne cura; non la lasceranno quindi in balìa delle contese fra serbi, bulgari e greci. Se anche la sua soluzione dovesse render necessario modificazioni territoriali, esse saranno fatte in base a criteri di interesse politico generale e tenendo conto di speciali condizioni geografiche: non si andrà certo a rivangare diritti storici cinque volte secolari e cancellati da tutto un avvicendarsi di guerre, di conquiste, di trattati; non si andrà certo a fare minute inchieste villaggio per villaggio affine di stabilire mediante studi etnografici e filologici comparati, se si tratti di aggruppamenti bulgari, serbi, greci o cutzo-valacchi.

«È perfettamente vero», mi rispose il Re, «tanto più che questi villaggi di diversa natura sono cosi frammisti fra loro da non potere servire di base a vere suddivisioni di territorio».

Conclusi pertanto col suggerire per ora una tregua temporanea che permetta intanto almeno un tacito accordo per determinare fra bulgari e serbi le rispettive sfere d’influenza. Queste influenze si eserciteranno necessariamente con mezzi più pacifici allorquando non si troveranno più di fronte bande armate incoraggiate più o meno apertamente dai rispettivi Governi.

A queste mie osservazioni Sua Maestà non oppose obbiezione alcuna, anzi mostrò di assentire.

320 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto e privo dell’indicazione della data di arrivo.

321

L’AMBASCIATORE A BERLINO, pANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 547/2031. Berlino, 10 aprile 1907 (perv. il 16).

In questi giorni è arrivato a Berlino il nuovo ambasciatore francese sig. Giulio Cambon che ha presentato ieri a S.M. l’Imperatore le proprie credenziali come rappresentante della Repubblica presso questa Corte.

Ho l’onore di riprodurre qui appresso in traduzione il testo dei discorsi che furono pronunciati nella circostanza2. Al quale proposito è degno di nota essere questo il primo caso di simile formalità qui praticata all’atto della consegna di lettere di credito, essendo finora invalso l’uso che un nuovo ambasciatore si limitasse a scambiare col Sovrano qualche frase di reciproca cortesia, senza che verun proprio discorso fosse pronunciato, né tanto meno pubblicato in via ufficiale. Si può interpretare questa innovazione come fatta all’intenzione di rendere manifesto il desiderio che qui si ha, in alto luogo, di mantenere amichevoli rapporti con la vicina Repubblica.

Il sig. G. Cambon giunge qui preceduto dalla fama di diplomatico esperto ed attivo, del che egli già ebbe a dar prova nelle sue precedenti missioni agli Stati Uniti ed in Ispagna. Quando fu dapprima annunciata la sua destinazione a Berlino, si dubitò un momento se sarebbe gradita al Governo tedesco, per riguardo all’azione che egli aveva avuto occasione di spiegare verso la Germania nei recenti affari del Marocco: e si domandava pure se qualche prevenzione non sarebbe destata contro di lui dalla sua parentela col fratello p. Cambon ambasciatore a Londra, noto come uno dei principali autori dell’intesa franco-inglese. Ma il mio collega, in una conversazione che ebbi ieri con lui, pur manifestandomi egli stesso una qualche apprensione circa quest’ultimo punto, soggiungeva essere stato pienamente soddisfatto sia dalla cortese accoglienza fattagli dall’Imperatore come dei termini nei quali si era secolui espresso il sig. Tschirschy nella sua prima visita a questo segretario di Stato.

Io ritengo invero che queste favorevoli impressioni del mio nuovo collega sieno giustificate dalla sincera disposizione dell’Imperatore e del suo Governo. Oltreché è qui invalso il sistema di non far questioni, specie con la Francia circa la scelta dei suoi rappresentanti, si è probabilmente considerato che le corrette relazioni di cui si desidera il mantenimento avranno tanto maggior probabilità di trovarsi guarantite in quanto esse saranno affidate a persona intelligente ed animata di autorità presso il proprio Governo.

In fatto di cordialità, il sig. Cambon ne troverà a Berlino altrettanta che da parigi egli avrà istruzione di offrirne. Non è a perdersi di vista che nel latente litigio fra queste due nazioni, la Germania occupa la posizione del beato possidente; e perché

2 Non pubblicati.

più facile riesce il perdonare i colpi dati che non quelli ricevuti, essa non ha motivo di portar rancore alla Francia per le perdite ad essa inflitte trentasei anni orsono, solo che questa si riducesse ad obliarle. più di una volta dal ’70 in poi, si è qui sperato di poter distrarre la nazione francese dalle idee di rivincita, coll’additarle compensi (a spese altrui) in direzioni diverse: e si può notare che gl’incidenti ostili ogni tanto sopravvenuti fra i due paesi tennero dietro più d’una volta a prematuri tentativi di riavvicinamento, fatti da parte tedesca senza rendersi abbastanza conto che le ferite al patriottismo francese non erano ancora rimarginate. Dopo quelle esperienze, credo che, come dianzi me lo accennava uno di questi uomini politici, si è ora qui convinti che almeno per un’altra generazione, nessun governo in Francia sarà in grado, anche volendolo, di stringere accordi sinceramente amichevoli con gli occupanti dell’Alsazia-Lorena. Si attenderanno pertanto con calma gli effetti del tempo, pur accogliendo con premura qualunque passo conciliativo di cui la Francia prendesse l’iniziativa, sia in modo generale, sia in connessione a qualche speciale accordo di cui si offrisse l’opportunità.

Egli è con queste riserve che vogliono essere considerate le manifestazioni recentemente apparse nella stampa dei due paesi riguardo alle loro relazioni, al miglioramento delle quali giova sperare contribuirà l’opera solerte del nuovo ambasciatore sig. G. Cambon.

321 1 Autografo.

322

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, pANSA, E A VIENNA, AVARNA

T.1. Atene, 11 aprile 1907.

A codesto Governo è noto che il viaggio Re d’Italia in Grecia2 ha esclusivamente carattere di cortesia e che in questa occasione non ho mancato di rinnovare al Governo greco quei consigli di moderazione che già avevo dato specialmente riguardo alle bande circa le quali mi espressi nel mio ultimo discorso alla Camera3 colla maggiore severità. Malgrado ciò qualche giornale tedesco/austriaco commenta viaggio sfavorevolmente con allusioni contro politica italiana e ciò produce in Italia cattiva impressione. Sarebbe perciò di comune interesse che codesto Governo facesse rilevare da codesta stampa ufficiosa che il carattere del viaggio era noto al Governo tedesco/austro-ungarico e che l’accordo nella politica orientale tra gli Stati della Triplice rimane e rimarrà inalterato.

2 Dall’8 all’11 aprile. Restituzione della visita di re Giorgio a Roma nel 1906 (vedi D. 191). 3 Vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1904-1906, vol. 9, tornata del

18 dicembre 1906, pp. 11203-11209.

322 1 Minuta autografa. Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

323

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, pANSA, E A VIENNA, AVARNA

T.1. Catania, 13 aprile 1907.

prego comunicare a codesto ministro degli esteri che avendomi sig. Charles Hardinge telegrafato ad Atene che il Re d’Inghilterra desiderava incontrarsi col Re d’Italia nel suo viaggio di ritorno dalla Grecia è stato deciso che i due Sovrani si incontreranno nel porto di Gaeta la mattina del diciotto corrente. V. E. farà tale comunicazione in via incidentale dopo aver parlato con codesto ministro degli esteri di altri argomenti in modo che appaia che Governo Italia non dà a questo incontro significato politico speciale.

324

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. SEGRETO 31/9. Addis Abeba, 15 aprile 1907 (perv. l’11 maggio).

Ho già avuto l’onore di riferire telegraficamente a V.E. che in obbedienza agli ordini ricevuti da cotesto Governo ho espresso al Negus il desiderio del nostro Sovrano di potere possibilmente soddisfare alla domanda da lui rivolta a Sua Maestà per ottenere dall’Italia una via di sbocco tra l’Etiopia ed il mare, e gli ho comunicato le condizioni ed i compensi che il Governo del Re crede di dovere esigere per tale concessione1.

Ho dimostrato al Negus che l’importanza morale e politica di essa è così grande, da dover richiedere compensi ad essa adeguati, onde salvaguardare gli interessi del paese, e non ferire la legittima suscettibilità dell’opinione pubblica italiana.

Gli ho esposto le condizioni essenziali alle quali il Governo sarebbe disposto di concedere all’Etiopia la via che dall’Auasc per Adelegubò giunge a Raheita; per questa via egli potrebbe liberamente esercitare il commercio tra l’Etiopia e le altre nazioni, impiantando a Raheita una stazione commerciale pur che fosse direttamente da lui esercitata; obbligandosi però a reprimere ogni traffico di armi e di munizioni non destinate a lui personalmente, ed a restituire al Governo d’Italia la stazione di Raheita qualora egli non intendesse più di conservarla.

324 1 Vedi D. 311.

Nel comunicare al Negus le suddette condizioni ho creduto opportuno di non valermi della qualificazione di «stazione commerciale» contenuta nel telegramma di V.E.2 e con la quale verrebbe designata la concessione dello scalo di Raheita onde evitare che egli se ne valesse per richiamarsi all’art. 5 del Trattato di commercio tra l’Etiopia e l’Eritrea che consente l’impianto di agenzie commerciali, e ne derivasse una confusione che avrebbe potuto compromettere l’esito delle trattative allora in corso per l’invio dei nostri agenti commerciali in Etiopia. Non ho nemmeno creduto opportuno di rilevare e rettificare il pensiero del Negus che la concessione di Raheita debba costituire una vera e propria cessione di territorio con tutti i relativi diritti politici, poiché essendomi già presso a poco note le risposte che il Negus avrebbe dato alle nostre domande di compensi, non volevo con delle restrizioni da parte nostra aumentare ancora la riluttanza di lui a concederci in cambio alcuna parte del suo territorio.

Mi sono perciò limitato ad indicargli quale è lo sbocco che il Governo d’Italia sarebbe disposto a concedergli, ed a quali condizioni egli potrebbe esercitarvi il commercio; riserbandomi di stabilire in seguito con lui quelle altre modalità, relative alla concessione che fossero del caso.

Ho quindi presentato integralmente al Negus le domande di compensi contenute nel telegramma n. 552 di V.E.3 e delle quali riferisco successivamente le risposte datemi dal Negus.

1) Confine tra l’Etiopia e la Somalia italiana. Alla domanda relativa al confine tra l’Etiopia e la Somalia, Menelik ha risposto

escludendo tassativamente la possibilità di accettare o di discutere il confine da noi proposto, che comprenderebbe in territorio italiano tutte le provincie e tribù somale attualmente dipendenti dall’Etiopia.

Egli basandosi su di un concetto molto semplice e primitivo e confacente alla sua indole di negoziante, misurando l’importanza ed il valore del compenso da noi richiesto dall’estensione del territorio e dal profitto che ne ricava attualmente con le continue scorrerie dei suoi capi, non lo giudica adeguato alla concessione che siamo disposti a fargli, la quale se soddisfa il suo amor proprio e realizza il sogno secolare degli imperatori etiopici, non gli lascia alcuna illusione sui vantaggi materiali che da essa potrà ritrarre.

La sistemazione del nostro confine al Mareb del 1900 per la quale Menelik ebbe altri e più immediati e palpabili benefici pregiudica forse l’eventuale sistemazione del confine somalo, che Menelik avrebbe volentieri voluto veder escluso dalle presenti trattative.

È nota però a V.E. l’ostinata riluttanza sempre dimostrata dal Negus a cedere alle pretese di qualsiasi potenza confinante, alcuna parte del territorio che l’Etiopia considera di pien diritto conquistata, e che provocherebbe il più grave malcontento e toglierebbe al Negus ogni popolarità ed autorità presso i suoi sudditi.

3 T. del 22 marzo, col quale Tittoni, nel riconfermare le istruzioni già inviate (vedi nota 2),

aggiungeva di tener pronta la richiesta di un’altra concessione ferroviaria, qualora quella oltre il Mareb non fosse accordata.

Ma nel caso presente oltre alle ragioni su esposte io credo che abbia altresì influito su Menelik la precedente azione del rappresentente britannico che ha sempre nel passato contrastato le nostre aspirazioni e la nostra espansione nell’interno della Somalia, e considerato la nostra stazione di Lugh come un pericolo ed una minaccia per gl’interessi inglesi nella valle del Giuba e nelle provincie meridionali d’Etiopia.

Benché le presenti trattative non siano note al rappresentante inglese, e sia mio dovere di escludere che in questi ultimi tempi egli abbia in alcun modo contrastato la nostra politica, pure logicamente permangono gli effetti della sua precedente azione. Io d’altronde non credo che, malgrado l’accordo del dicembre 1906, l’Inghilterra sia disposta a voler considerare come nostra esclusiva sfera d’influenza politica e commerciale tutta quella parte della Somalia che confina bensì colla nostra Colonia del Benadir e ne forma l’hinterland, ma che confina pur anche a settentrione colla Somalia britannica ed ha forse con essa attualmente maggiori relazioni politiche e commerciali che non coi nostri porti del Benadir.

L’Inghilterra fa di certo assegnamento sulle assicurazioni ricevute da Menelik di non portare alcuno mutamento ai nostri confini in quella regione e continua intanto nella sua previdente politica di penetrazione commerciale: e di questo fanno fede le frequenti escursioni di ufficiali che da Berbera attraverso l’Ogaden ed il Giuba vanno nelle provincie meridionali d’Etiopia, ed il progetto della ferrovia che da Berbera deve giungere all’Uebi Scebeli.

Ma qualunque ne siano le cause la risposta del Negus a questa nostra domanda è esplicita e non ammette discussioni: come già telegrafai a V.E. il Negus considera il confine tra l’Etiopia e la Somalia italiana virtualmente delimitato dalla linea fissata col maggiore Nerazzini, che da un punto sul Giuba corre parallela alla costa a 150 km. da essa, fino a raggiungere il confine anglo-etiopico; ogni spostamento di questa linea verso l’interno sarebbe da lui considerato come una nuova concessione.

pur mantenendo nei suoi termini precisi la proposta di confine presentata dal Governo italiano in compenso dell’eventuale concessione di Raheita, e senza pregiudicare i nostri eventuali diritti su di una linea di confine più vantaggiosa di quella stabilita da Menelik col maggiore Nerazzini, ho invitato il Negus a presentare una controproposta alla nostra domanda, ed egli ha dichiarato che sarebbe disposto a discutere una linea di frontiera che da un punto sulla sinistra del Giuba a monte di Lugh seguisse il 4° parallelo fino ad incontrare la linea di confine parallela alla costa stabilita con Nerazzini.

Mi sono limitato a prendere atto della controproposta del Negus, riserbandomi di comunicarla a V.E., facendogli però osservare che essa ridurrebbe a quasi nulla il compenso per la concessione da lui stesso invocata, e non migliorerebbe le condizioni così critiche ed agitate in cui si trova la Somalia con grave danno e pericolo delle nazioni che ne dividono il possesso.

Io credo che forse il Negus si indurrebbe a concedere una linea di frontiera che da un punto sulla sinistra del Giuba a monte di Lugh proseguirebbe parallela alla costa in direzione nord-est fino a raggiungere il confine anglo-etiopico del 4 giugno 1897, ma di ciò non posso per ora dare a V.E. alcun affidamento.

Unisco intanto al presente rapporto copia di uno schizzo4 presentato al Negus, sul quale sono segnate le differenti linee di frontiera alle quali ho sopra accennato.

Nel mio telegramma a V.E. ho altresì creduto opportuno esprimere le mie preoccupazioni circa alla probabilità che in seguito alle nostre manifeste aspirazioni sulle provincie interne della Somalia, il Negus non voglia rendere più attiva ed efficace l’ingerenza e l’azione dell’autorità abissina in quelle regioni: la spedizione che si sta attualmente preparando ad Harrar e che scenderà lungo l’Uebi Scebeli al cominciare delle prossime pioggie, è indipendente da tale supposta azione, ed ha per scopo di costringere le tribù somale dell’Ogaden a pagare il tributo.

Ma se le presenti trattative non dovessero avere esito conforme alle nostre domande, credo converrà concretare un programma che, pur tendendo a mantenere lo statu quo fino al giorno in cui altri avvenimenti politici ci consigliassero a mutarlo a nostro vantaggio, ci preservasse per ora da ogni possibile sorpresa in quelle località nelle quali ogni diretta ingerenza abissina non sarebbe più tollerabile senza offesa alla nostra dignità ed al nostro prestigio.

2) Concessione della Stazione di Let Marefià. Alla domanda relativa alla Stazione di Let-Marefià il Negus rispose facendo

osservare che l’antica concessione data alla Società Geografica non aveva alcun carattere effettivo e permanente, ed era stata concessa unicamente con scopi scientifici. Egli aveva dimostrato al ministro Ciccodicola, che antecedentemente alle presenti trattative gli aveva presentato analoga domanda, l’impossibilità in cui si trova di soddisfare il desiderio del Governo, poiché il territorio in cui è compresa la Stazione di Let-Marefià appartiene attualmente agli eredi di ras Maconnen ai quali non intende di toglierlo.

Il Negus non sa darsi ragione del desiderio così insistente del Governo italiano di entrare in possesso dell’antica concessione della Società Geografica e non vuole colla sua condiscendenza riconoscere a noi una rivendicazione di antichi diritti, che senza portare alcun vantaggio materiale soddisfarebbe il nostro amor proprio.

3) Ferrovia oltre Mareb. Nel presentare al Negus la domanda di concessione per l’eventuale prosegui-

mento della ferrovia dalla Colonia Eritrea oltre il Mareb, ho seguito le istruzioni di V.E. ed ho evitato di precisare qualsiasi località alla quale la ferrovia dovrebbe tendere.

Il Negus non volle dare alla suddetta domanda una risposta esplicita, ma si riservò di esaminarla attentamente e di consultarsi in proposito.

Non conviene però illudersi, poiché la risposta evasiva del Negus sottintende un evidente rifiuto. Malgrado undici anni di pace e di una continuità di rapporti cordiali ed amichevoli tra le due nazioni, l’Abissinia guarda sempre con sospetto e diffidenza la frontiera del Mareb: e se questi sospetti non annidano nell’animo del Negus, sono però manifesti, anzi ostentati dai turbolenti capi tigrini presso i quali

al Negus non conviene rendersi impopolare con concessioni che solleverebbero aspri commenti e malumori nel Tigrè e minaccerebbero di turbare gli ultimi anni del regno di Menelik.

4) Sistemazione del confine dankalo. Il Negus nel rispondere alla domanda relativa alla sistemazione del confine

della Dankalia confermò le sue buone disposizioni e le assicurazioni espresse a S.E. l’on. Martini, ed il suo desiderio che il confine dankalo venga praticamente e convenientemente delimitato. Non essendomi però ancora pervenute istruzioni precise dal Governo della Colonia, non mi è stato possibile comunicare al Negus i nostri desiderata. posso però fin da ora asserire a V.E. che questi non intende rinunciare ad alcuna delle sue pretese sul piano Salato, né riconoscere a noi alcun diritto, né accordare alcuna concessione in quella regione, ove troppi interessi e cupidigie di capi tigrini sono in gioco. La sistemazione del confine dankalo si ridurrebbe quindi ad una materiale e forse più razionale delimitazione della frontiera, sulle basi però dei precedenti accordi o compromessi.

Riepilogando quindi, delle quattro domande di compensi presentati al Negus non una è stata per ora effettivamente da lui accettata.

Io non ho voluto accogliere come definitiva la risposta del Negus, ed ho compilato una nota nella quale gli ho trasmesso le domande di compensi presentate dal Governo italiano, ed alla quale egli dovrà rispondere.

Delle domande da noi presentate la più importante è certamente quella riguardante la Somalia, per la quale il Negus ha presentato una controproposta, che ho comunicato a V.E.: mi consta intanto che il Negus ha fatto chiamare dall’Harrar e dalle altre regioni confinanti colla Somalia parecchi capi abissini pratici di quella regione per avere su di essa informazioni precise.

In attesa delle istruzioni che V. E. vorrà compiacersi di impartirmi5.

323 1 Minuta autografa. Dall’archivio segreto di Gabinetto.

324 2 Vedi D. 186.

324 4 Non pubblicato.

325

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, A CATANIA

T. RISERVATISSIMO pRECEDENzA ASSOLUTA1. Siracusa, 16 aprile 1907.

Sua Maestà malgrado venuta Egerton ritiene inopportuna tua venuta Gaeta. Sua Maestà riconosce che tu debba vedere re Edoardo prima di partire per Londra e quindi mi incarica di farti sapere che re Edoardo sarà a Napoli la sera del diciotto e che tu potrai trovarti colà e chiedergli appena arrivato un’udienza privata. Faccio prevenire Egerton che tu andrai a vedere re Edoardo a Napoli invece che a Gaeta.

325 1 Minuta autografa. Dall’archivio segreto di Gabinetto. Il telegramma fu trasmesso tramite la

prefettura di Catania, con alcune istruzioni in merito al suo recapito ed alla sua ricezione.

324 5 per il seguito vedi D. 421.

326

IL MINISTRO AD ATENE, BOLLATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 310/97. Atene, 16 aprile 1907 (perv. il 20).

L’eco degli avvenimenti che si svolsero in quest’ultimi giorni in Atene continua a ripercuotersi, sonora e profonda, in tutta la Grecia. Nei circoli politici, nella stampa, nei pubblici ritrovi, nelle riunioni private, la visita del Re d’Italia forma tuttora l’argomento di tutti i discorsi. Ciò che domina in essi è, innanzi tutto, l’espressione di una simpatia vivissima, di un affetto intenso, di una vera adorazione per l’Italia ed il suo Sovrano. Questi sentimenti, si dice, furono sempre scolpiti nel cuore del popolo ellenico: negli ultimi anni, per fatalità di eventi, per colpa di uomini, per gli intrighi degli avversari comuni, qualche malinteso aveva bensì potuto sorgere fra le due nazioni, e far credere ad una rivalità d’interessi e d’aspirazioni: ma tutto ciò è stato ormai chiarito e deve essere completamente dimenticato. E si rievocano a gara i ricordi classici del glorioso passato, comune alla Grecia ed all’Italia, che diedero al mondo le due più grandi civiltà; si rammentano, con parole di calda riconoscenza, la simpatia che l’Italia ha sempre dimostrata per la Grecia, l’aiuto efficace che essa le ha prestato nelle lotte per la sua indipendenza ed il suo risorgimento: si manifesta un’ammirazione sconfinata per il nostro paese, per i progressi immensi da esso compiuti, per la posizione così elevata che ha saputo acquistarsi fra le grandi nazioni europee; e si conchiude che i vincoli di cordiale amicizia tra l’Italia e la Grecia, cementati dallo scambio di visite tra i due Sovrani, saranno e debbono rimanere indissolubili. Ma con ancora maggior calore si ode esprimere dal labbro di tutti l’ammirazione per il nostro Re, la cui regalità schietta, semplice e cortese ha qui conquistato tutte le menti e tutti i cuori. Si vanta l’affabilità squisita colla quale egli ha ricevuto ognuno, dal più altolocato al più umile; l’interesse di cui ha dato prova per tutte le questioni elleniche; la precisione meravigliosa con cui si mostrò edotto anche di ogni particolare delle cose di Grecia. E si citano i tratti più salienti della sua vita: si magnificano le sue alte doti intellettuali e morali, le sue virtù d’uomo, la sua sapienza di Sovrano moderno; si afferma che l’immagine di Vittorio Emanuele III non sarà mai cancellata dalla memoria e dal cuore di tutti i greci. Né si dimenticano i consiglieri del Re d’Italia, quelli, specialmente, che lo accompagnarono nel suo viaggio in Grecia; ed all’opera del vice ammiraglio Mirabello, che diede sì mirabili risultati per lo sviluppo della nostra Marina da guerra, come all’impronta, saggia e geniale insieme, che l’E.V. seppe dare alla politica estera italiana, si rende omaggio ampio e caloroso.

Chi volesse attentamente scrutare troverebbe certo in fondo a tutte queste manifestazioni, del resto sincere, il riflesso di un altro sentimento, forse meno disinteressato, per quanto naturale, l’amor proprio nazionale ellenico, sempre estremamente, quasi morbosamente sensibile, e che già era stato gradevolmente impressionato dalle onoranze state rese in Roma al suo Sovrano, si sentì oltremodo lusingato dalla visita del Sovrano d’Italia. Apparendo in Atene, con un numeroso e brillante seguito, accompagnato da due dei suoi ministri, alla testa di una splendida e poderosa

squadra, re Vittorio Emanuele ha dato ai greci una delle più gradite soddisfazioni che potessero desiderare. Essi si sentirono rialzati ai loro proprii occhi: fieri di questa prova di considerazione che veniva loro data di fronte all’Europa intera, e specialmente di fronte ai vicini e rivali popoli balcanici, dal Sovrano di una grande e potente nazione: e la loro riconoscenza per l’Ospite Augusto ne venne ancora accresciuta.

Ma, quali che sieno gli elementi che hanno contribuito a determinarla, non v’ha dubbio che l’accoglienza fatta al Re d’Italia in Atene fu affettuosa ed entusiastica, quale non era stata mai fatta ad alcun altro Sovrano. Coloro che furono testimoni lo scorso anno del ricevimento qui avuto dal Re d’Inghilterra – che è pure il Sovrano di un grande paese amico, e del quale sono tradizionali la benevolenza e la protezione accordata alla Grecia – hanno potuto rendersi conto della differenza sensibilissima. E quell’accoglienza fu spontanea, sgorgava dal cuore stesso del popolo: se ne citano cento episodi, taluni commoventi, taluni perfino comici nella loro semplicità. Il popolo greco dei nostri giorni, loquace, rumoroso, violento, è però – come tutti i popoli orientali – tutt’altro che proclive all’espansione ed alle manifestazioni acclamanti. L’onda di entusiasmo che lo avvolse e lo trascinò durante il soggiorno in Atene del nostro Augusto Sovrano, era sincera ed irresistibile. E si può affermare che l’affratellamento delle bandiere greca ed italiana che sventolavano accoppiate in quei giorni su ogni trofeo, da ogni finestra di Atene, non rappresentava una vana immagine rettorica, ma rispondeva ad un sentimento reale e profondo di tutto il popolo di Grecia. In questo, non vi fu una sola nota discordante.

Dove le divergenze incominciano, è negli apprezzamenti circa il significato politico dell’avvenimento. In generale, si capisce, prevale piuttosto la tendenza di esagerare, in un senso favorevole alla Grecia, la portata e le conseguenze del viaggio reale. Senza andar fino alle insulse fantasticherie di coloro che pretendono – così fu stampato da un giornale di patrasso – che questo viaggio sarà il punto di partenza di un mutamento radicale nel sistema delle alleanze europee, re Giorgio essendo riuscito a staccare re Vittorio Emanuele dalla Triplice per far entrare l’Italia nella nuova alleanza franco-inglese, la quale assicurerà alla Grecia vantaggi incommensurabili in un prossimo avvenire, la maggior parte della stampa ellenica persiste ad esprimere, in occasione della visita del Nostro Sovrano, desideri, speranze e convinzioni che sembrano, almeno, alquanto avventate. L’appoggio dell’Italia è ormai assicurato, – dicono gli uni, – per l’attuazione delle più care aspirazioni della Grecia; il Re d’Italia – dicono gli altri, – è la più dolce speranza dell’Ellenismo. Non manca però in questo concerto di lirismo, qualche nota più moderata e ragionevole. Il Neon Asti, il più autorevole, relativamente, fra i numerosi fogli che si pubblicano in Atene, così si esprime: «La Grecia non pretende che il Governo italiano faccia dei sacrifici per essa, e nemmeno che regoli la sua politica in modo tale da metterlo in urto cogli altri Stati balcanici. La Grecia chiede soltanto che sia apprezzata con giustizia la parte sua nella penisola Balcanica, quale elemento di progresso e di civiltà». Un altro giornale il keri credé, sinceramente, che «il Governo italiano non segue in Oriente una politica di conquista, disastrosa per gli interessi e la grandezza dell’Italia: convinto di ciò, e convinto che l’Italia rispetterà sempre i duoi diritti, l’Ellenismo è disposto ad appoggiare cordialmente gli interessi economici e l’influenza politica dell’Italia in Oriente. La visita reale tolse ogni sfiducia tra due popoli chiamati ad intendersi». La Patria che è pure un periodico noto per le sue informazioni fantastiche e le sue

tendenze ultra-nazionaliste, nel render conto, a modo suo, dei colloqui che l’E.V. ebbe coi sigg. Theotoky e Skousez, e pure affermando che la visita di re Vittorio ha avuto un grande significato politico, soggiunge però che non si tratta né di alleanza né di collaborazione nei Balcani: «Si tratta solo di spiegazioni date dal Governo greco e di suggerimenti dati dal Governo italiano. Quanto alla Macedonia il sig. Theotoky ha sostenuto che la situazione anormale in quella provincia è opera esclusivamente dei bulgari, e che i greci si limitano ad esercitarvi un diritto di legittima difesa: l’on. Tittoni consigliò nel modo più amichevole di seguire in Macedonia una politica tale da non dar motivo ad accuse contro la Grecia».

Come contrapposto a queste proteste di piena fiducia nella politica italiana, si sta facendo in tutta la stampa ellenica una vera campagna contro la politica austriaca, motivata dagli attacchi dei giornali viennesi a proposito della visita reale.

A Vienna, dice il keri, non ci devono prendere per ragazzi ingenui, che non comprendono che cosa gli austriaci vanno tramando in Rumania e in Bulgaria contro la Grecia, e quale sia la loro condotta in Macedonia. Sono troppo note, dice un altro giornale, le mire di conquista dell’Austria in Oriente. Dopo aver conseguito l’annessione della Bosnia e dell’Erzegovina, essa fa maneggi ed intrighi nell’Alta Albania, appoggia la propaganda cattolica e la propaganda rumena, fomentando la zizzania tra le varie nazionalità in Macedonia, osteggia dappertutto ed accanitamente l’Ellenismo. «potevamo desiderare un’Austria forte per combattere gli slavi del Sud e trattenere l’avidità russa; e prestarle perciò il nostro appoggio: ma fino ad un certo limite e non oltre».

L’Estia, più moderata, rimprovera solo ai giornali austriaci il malumore dimostrato per il viaggio reale, come se da esso potesse derivare un pericolo per gli interessi austriaci: «Tale sospetto è imperdonabile, tenuto conto dell’alleanza fra l’Italia e l’Austria-Ungheria. Le potenze centrali dovrebbero invece felicitare e ringraziare l’Italia di essere riuscita ad ispirare fiducia alla Grecia, perché l’aumento del prestigio italiano in Oriente non può che ridondare a vantaggio della Triplice».

Accennerò da ultimo che questi miei colleghi delle grandi potenze non mancarono, naturalmente, di rivolgermi qualche discreta interrogazione circa la visita del nostro Augusto Sovrano ed i suoi risultati. Il ministro d’Inghilterra che più degli altri si espresse meco apertamente a tale proposito, mi diceva che realmente, da principio, si era qui manifestata, tanto alla legazione di Turchia, quanto a quelle di talune potenze europee, una certa agitazione circa le eventuali conseguenze di un avvenimento che si temeva potesse alimentare le speranze dell’Ellenismo; senza andare fino a credere alla possibilità di accordi speciali, e nemmeno della semplice promessa di un appoggio italiano alla Grecia, si esprimeva colà il dubbio che il nazionalismo ellenico, incoraggiato e lusingato dall’onore reso alla Grecia colla visita reale, avesse a trarre da ciò pretesto per un’azione avventurosa in Oriente. Ma il tenore dei brindisi scambiati tra i due Sovrani e tutto quanto era trapelato circa il linguaggio qui tenuto dall’E.V., avevano valso ad assicurare completamente anche i più dubbiosi. E queste dichiarazioni mi furono concordamente ripetute dagli altri miei colleghi, non meno dal ministro di Turchia, – che accennava con compiacimento allo scambio di telegrammi qui avvenuto fra il nostro Re ed il Sultano – che dai ministri di AustriaUngheria, e di Germania, da quelli di Francia e di Russia. L’agente diplomatico di Bulgaria mi diceva, infine, di aver riferito al suo Governo che dal viaggio di Sua Maestà in Grecia non solo non doveva temersi alcuna conseguenza dannosa per il

suo paese, ma che era lecito salutarlo invece come l’augurio e l’inizio di un’era più fortunata per tutta la penisola Balcanica.

Dopo che l’E.V. ha potuto rendersi conto personalmente dei fatti avvenuti e dell’ambiente locale, ho creduto mio dovere di riferirle, colla maggiore esattezza che mi fu possibile, circa l’impressione qui lasciata dal viaggio reale. Il quale, in ogni modo, per la simpatia che ha procacciato al nome d’Italia, e per l’ammirazione rispettosa che ha saputo ispirare l’eccelsa figura del nostro Sovrano, mi sembra dover essere considerato come un lieto avvenimento per il nostro paese.

327

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO CONFIDENzIALE 615/811. Bucarest, 16 aprile 1907.

per quanto io abbia attentamente tenuto d’occhio i principali organi della stampa rumena, non vi rilevai commenti di sorta circa il recente viaggio a Atene del nostro Augusto Sovrano, essendosi essi limitati in generale a riportare, senza apprezzamenti, telegrammi delle agenzie e di giornali stranieri e tutt’al più qualche articolo di questi ultimi sull’argomento.

Tuttavia, quantunque non lo si volesse dar a vedere, la premura posta da S.M. il Re a restituire la visita del Monarca ellenico non fu senza produrre qui da principio – non già negli uomini di Stato che, al pari del sig. Sturdza, ben sanno come la politica italiana in Oriente si informi a concetti precisi e costanti, non soggetti per conseguenza a variare da un momento all’altro, ma in taluni circoli meno informati – un po’ di emozione, che sembra però essersi oramai dileguata in seguito a più matura riflessione. Vi contribuii il meglio possibile, valendomi all’occasione di quanto l’E.V. ben volle comunicarmi con telegramma n. 2530 del 25 novembre scorso2, relativamente al carattere del viaggio di re Giorgio a Roma e facendo intendere che, se colla solita sua squisita gentilezza il nostro Augusto Sovrano non ha voluto tardare a ricambiare un atto di cortesia usatogli, d’altronde più di quattro mesi addietro, la nostra politica in Oriente rimane, non pertanto immutata, e la Rumania – cui il R. Governo diede e dà tuttora continue testimonianze di sincera amicizia appoggiandone le rivendicazioni in favore dei cutzo-valacchi in ciò che hanno di legittimo e realizzabile – dovrebbe anzi rallegrarsi di un riavvicinamento della Grecia all’Italia che porrà quest’ultima in grado di esercitare a Atene un’azione moderatrice più efficace.

Esprimendomi famigliarmente nel senso sovraindicato con un personaggio assolutamente all’infuori della politica, ma meritatamente onorato da re Carlo della maggior stima e fiducia e col quale sono in cordialissime relazioni, mi lasciai poi sfuggire: «Credete voi che se si fosse trattato del vostro Sovrano non avrebbe trovato

2 Non pubblicato.

a Roma un’accoglienza ben altrimenti entusiasta di quella fatta a re Giorgio, date essendo le universali simpatie di cui gode in Italia la Rumania!». Il mio interlocutore dissemi allora di essere sempre stato partigiano d’una visita a Roma di re Carlo o del principe Ereditario.

A titolo strettamente confidenziale non mi tacque però esservi a ciò un grave ostacolo nel fatto seguente. Il principe ereditario – di religione cattolica, come sa l’E.V., e credente – è molto addolorato della interdizione inflittagli di confessarsi e comunicarsi per aver fatto battezzare i suoi figli nella religione ortodossa. D’allora in poi la Corte rumena negoziò segretamente a varie riprese, anche sotto pio X, col Vaticano onde ottenere la revoca della interdizione. Ma finora sempre invano, essendosi urtata in ultimo all’opposizione del cardinale Merry del Val. Essa tuttavia non ha ancora perso ogni speranza. Ma se il Re od il principe andassero a Roma senza chiedere d’essere ricevuti dal papa o ne avessero un rifiuto, come capitò al principe di Bulgaria, la conseguenza fatale sarebbe un peggioramento della situazione e forse la perdita di ogni probabilità di piegare il papa. Una visita a Roma sarebbe quindi possibile soltanto se si avesse prima la certezza di vedere ben accolta da pio X una domanda d’essere ricevuto da lui.

327 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto e privo dell’indicazione della data di arrivo.

328

L’AMBASCIATORE A BERLINO, pANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 351. Berlino, 18 aprile 1907, ore 12,44 (perv. ore 14,30).

Dopo il telegramma di V.E. dell’11 aprile2 i giornali tedeschi non si sono più occupati del viaggio del Re in Grecia se non per riprodurre gli articoli ufficiosi di quelli d’Atene e di Roma che ristabilivano il vero carattere di quella visita. Quando ne parlai a Bülow, questi mi ha assicurato che la cosa non aveva la minima importanza dichiarando non valere la pena di occuparsene. Oggi vedendo Tschirschky ritornai sull’argomento a proposito della visita del re Edoardo VII a Gaeta della quale gli accennai in modo accidentale le origini ed espressi la speranza che la stampa tedesca non tornerebbe alle solite fantasie anche su quell’avvenimento, ma Tschirschky mi ripeté che pur deplorando simili esagerazioni il Governo non aveva mezzo alcuno di prevenirle e che il miglior sistema era ancora quello di lasciar dire.

2 Vedi D. 322.

328 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

329

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOpOLI, IMpERIALI

T. 699. Roma, 19 aprile 1907, ore 19,40.

Dal r. console in Tripoli ricevo il seguente telegramma1: «Banco di Roma avendo inaugurato lunedì scorso [il 15] questa sua succursale, affiggendo targa intestata nome, ne diedi comunicazione verbale al valì lo stesso giorno. Egli si astenne da osservazioni, né fece a tutt’oggi alcuna protesta scritta, ma intanto, stante mantenuto sequestro in dogana della prima targa, stante che ieri dogana rifiutato consegna mercanzia indirizzata al Banco, constandomi tali ordini emanati dall’autorità politica; e visto che oggi stesso valì respinse circolare mandata a lui dal Banco, reputo urgentissimo ottenere ordini perentori gran visir a questo valì per riconoscimento del Banco, finché vertenza definita tra rispettivi Governi; diversamente Banco di Roma ne rimarrebbe danneggiato nei suoi interessi e nel nostro prestigio. prego V.E. cortese sollecita definizione, notando, fin d’ora che contestata nazionalità Eugenio Arbib darà luogo altra opposizione per voltura suoi beni immobili al Banco».

Della temuta opposizione per la voltura dei beni Arbib si potrà trattare se e quando fosse per verificarsi. Desidero che ella intanto reclami formalmente per le vessazioni a cui soggiace un benemerito istituto italiano che si propone, in Tripoli, uno scopo di manifesta utilità economica per il paese. Noi dovremmo considerare non solo come arbitrario, ma anche come decisamente ostile ogni atto che ne ostacoli la legittima azione e scorgervi, a breve intervallo dopo le recenti e precise dichiarazioni di codesti ministri, una smentita che non potrebbe lasciarci indifferenti. La prego di esprimersi in questi termini e con fermo linguaggio, la presente questione non essendo di quelle che possano lasciarsi lungamente trascinare, e sulla quale si possa da noi transigere, ed importando che precisi ordini siano senza indugio telegrafati al valì di Tripoli2.

330

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 635/236. Londra, 19 aprile 1907 (perv. il 24).

Ho l’onore di trasmettere qui unito a V.E. gli articoli di fondo di questa mane e che il Times e lo Standard pubblicano intorno al fausto incontro avvenuto jeri a Gaeta

2 per la risposta vedi D. 336.

fra i Sovrani d’Italia e di Gran Brettagna, nonché due corrispondenze da Berlino ricevute dai predetti giornali intorno al medesimo argomento1.

Tanto dagli articoli che dalle corrispondenze si rileva che alla sincera esultanza prodotta qui dal convegno di Gaeta, fa stridente contrasto le nervosità della stampa germanica.

E non debbo nascondere a V.E. che in questi ultimi giorni l’incaricato di affari di Germania mi ha, più volte e con una insistenza che non è nel suo carattere, chiesto ciò che io sapessi intorno ai viaggi del re Edoardo VII in Ispagna ed in Italia; e mi ha lasciato intendere che specialmente da Madrid gli venivano comunicati rapporti da cui sembrava potersi desumere che quei viaggi avessero più importanza di quanto si voglia lasciar trasparire.

Ma i timori ed i sospetti del sig. di Radovitz verso l’Inghilterra sono già noti a V.E. e soltanto sarebbe desiderabile che non fossero divisi dal suo collega di Roma in ciò che riguarda i nostri rapporti con questo paese, così chiari e così corretti per chi vuole considerare le cose con la dovuta calma ed imparzialità2.

329 1 T. 836, pari data.

331

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A BERLINO, pANSA

T. RISERVATISSIMO pERSONALE1. Roma, 20 aprile 1907, ore 20,15.

pur confermando mio precedente telegramma circa ferrovia Bagdad2 raccomando la maggiore circospezione affinché in qualunque circostanza io possa dichiarare che affare fu trattato direttamente fra capitalisti tedeschi e italiani assolutamente all’infuori di qualunque ingerenza del Governo.

2 per il seguito vedi D. 333.

2 Con T. 618 del 3 aprile, Tittoni comunicava che Theodoli era stato incaricato di condurre a

buon fine le pratiche per la partecipazione del capitale italiano alla ferrovia di Bagdad.

330 1 Non si pubblicano.

331 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

332

L’AMBASCIATORE A pARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1127/480. Parigi, 20 aprile 1907 (perv. il 24).

Restituisco qui unito il rapporto originale n. 85 del 25 marzo ultimo1, con il quale l’ambasciatore di S.M. a pietroburgo ha riferito circa lo stato presente delle relazioni fra la Russia e la Francia.

La base data all’alleanza fra le due potenze era certamente delle più solide poiché i grandi interessi finanziari impegnati dai capitalisti francesi di ogni categoria, nei fondi di Stato russo, costituivano una garanzia che l’opinione pubblica di questo paese sarebbe fedelmente rimasta favorevole alle sorti dell’Impero alleato. Ma il pubblico francese, vivamente impressionato dai disastri militari toccati alla Russia nella sua guerra con il Giappone, si stancò di correre dietro con altri ingenti capitali a quelli già impiegati in quell’Impero, sicché le grandi operazioni di credito che furono fatte in Francia ed ebbero carattere di popolare entusiasmo, sono divenute oggi impossibili. Ma i bisogni finanziari dell’Impero sono di tale mole da richiedere forzatamente nuovi ricorsi al capitale straniero e forse, senza il concorso dell’alta banca parigina, nessuno sarebbe in grado di sopperire, nella misura necessaria, a tali bisogni. Sovra coloro che possono ricusare o determinare il concorso finanziario francese non hanno influenza determinante le frazioni che nella Camera pesano sul Governo attuale e, qualunque sia il Governo in Francia dovrà tener d’occhio a due interessi vitali che questo paese ha in Russia, il finanziario cioè ed il politico. A rompere l’intreccio d’interessi sul quale poggia l’alleanza franco-russa hanno pertanto le due parti da pensare bene; né io sarei disposto a credere che vi sia tanto nell’una, quanto nell’altra, un grado di cecità sufficiente per non avvedersene. Si capisce che il linguaggio di alcuni giornali ed anche di alcuni oratori parlamentari francesi possa creare negli ambienti conservatori di pietroburgo qualche malumore. Molte delle cose esposte nel rapporto del comm. Melegari sono certamente notate quotidianamente nella stampa francese e straniera; ma la compagine degli interessi che ha cimentato fra i due paesi ciò che l’entusiasmo popolare avea determinato, non mi sembra così vicina a rompersi da permettere fin d’ora la previsione di radicali mutamenti.

332 1 R. 206/85, non pubblicato.

333

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A BERLINO, pANSA

T. RISERVATISSIMO 7051. Roma, 21 aprile 1907, ore 19,55.

A Gaeta [il 18]2 io non ebbi agio di parlare a lungo con re Edoardo, ma potei conferire lungamente con sir Charles Hardinge. A questi io riferii come il principe di Bülow a Rapallo mi aveva confermato la sua ferma intenzione di mantenere buoni rapporti tra Germania e Inghilterra.

Hardinge si dichiarò contentissimo di apprender ciò e mi affermò nel modo più esplicito che tale è anche l’intenzione del Governo inglese. Egli mi disse che nelle sfere ufficiali inglesi non si prevede che tra Inghilterra e Germania possano sorgere questioni che non debbano essere amichevolmente risolute. Soltanto mi manifestò qualche inquietudine circa il Marocco in cui l’Inghilterra è impegnata ad appoggiare la Francia, soggiungendo che questa inquietudine gli era ispirata non dal contegno del Governo germanico ma piuttosto dalla esaltazione di Rosen, poiché egli ritiene che nei rapporti che manda a Berlino esageri i fatti e carichi le tinte.

Quanto alla questione della limitazione degli armamenti Hardinge mi fece comprendere chiaramente che il Governo inglese non aveva potuto esimersi dal farla per impegni presi da sir Henry Campbell e dai membri più radicali del Gabinetto nelle elezioni generali. Quindi per l’Inghilterra trattasi più che altro di opportunità di politica interna ciò che dimostra come essa non tenga molto alla proposta per sé stessa. Hardinge poi negò nel modo più assoluto che l’Inghilterra agisca per far dispetto alla Germania o per tentare di isolarla. Concluse deplorando il male che fa una parte della stampa dei due paesi colle sue esagerazioni.

Autorizzo V.E. a comunicare confidenzialmente tutto ciò al principe di Bülow3.

2 Vedi D. 330. 3 per la risposta vedi D. 342.

333 1 Minuta autografa. Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

334

L’AMBASCIATORE A WASHINGTON, MAYOR, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1030/298. Washington, 21 aprile 1907 (perv. il 7 maggio).

Il «Congresso della pace universale e dell’arbitrato internazionale», promosso da Andrew Carnegie, avrà, se non altro, avuto questo risultato di fornire al presidente Roosevelt ed al segretario di Stato, on. Root, l’opportunità di far nota, in anticipazione, qualcuna delle linee direttive che saranno seguite dalla delegazione americana nella Conferenza dell’Aja. Invio, qui unito, il testo della lettera1 che, scusandosi di non intervenire di persona al Congresso, il presidente ha diretta al sig. Carnegie per essere letta nel Congresso stesso. Unisco pure frammenti del discorso dell’on. Root. Entrambi i documenti contemperati danno, secondo il concetto di questi circoli politici e diplomatici, un’idea del programma che la delegazione americana propugnerà all’Aja, ove, a giudicare dalla qualità e dal numero dei suoi componenti, l’Unione Nord-Americana aspirerebbe ad avere parte notevole.

La lettera del presidente fu dal Congresso ascoltata con deferenza, ma riscosse pochi applausi. Il presidente non è un pacifista incondizionato. Egli dichiara amar la pace, ma più ancora il diritto e la giustizia, e si comprende che sacrificherebbe quella per far trionfare questi. Tale è il primo concetto, parte espresso, parte adombrato, che emerge dalla lettera in parola. Il secondo è che, i popoli essendo inegualmente progrediti nelle vie della giustizia e della civiltà, sarebbe un danno che le nazioni più progredite disarmassero di fronte alle altre. In terzo luogo il presidente mette in guardia il Congresso contro le eloquenti utopie. Crede che si possa favorire la causa della pace, ma con giudizio (sanity), e sembra, senza dirlo, fidare, più che altro, nella saviezza degli uomini di Stato. Cita gli Stati Uniti che, nei primi sei anni del secolo, senza sacrificare alcun che dei loro diritti, hanno scrupolosamente rispettati i diritti degli altri popoli, vivendo in buona amicizia con le grandi potenze militari del mondo, educando i filippini nell’arte di governarsi, scavando il Canale di panama a beneficio dell’umanità; intervenendo nelle isole del mare delle Antille al solo scopo di evitare estere conquiste ed ingerenze; stringendo vincoli più intimi con gli Stati sud-americani; cercando, ora con successo ora senza, di evitare guerra nel Centro-America; mostrando, in ogni occasione, di essere pronti, se richiesti, a fare da pacieri; ricorrendo, per loro conto, quando ne fu il caso, al Tribunale dell’Aja; evitando di ingerirsi negli interessi altrui, pur conservandosi il diritto di parlare a favore della giustizia e contro la barbarie e l’oppressione.

Venendo a parlare della seconda Conferenza dell’Aja, il presidente dice che i delegati americani vi si recheranno con istruzione di concorrere, in ogni modo pratico, a far progredire la grande opera iniziata dalla prima Conferenza. Tale opera non può essere compiuta da una o due conferenze. Il domandarlo è domandare l’impossi-

bile e fare il giuoco di coloro che le vorrebbero inefficaci. La nuova conferenza non raggiungerà la meta distante, ma farà qualche passo sulla via della giustizia, della pace e dell’equità. Una delle questioni, non però delle più importanti, sarà quella della limitazione degli armamenti. Gli Stati Uniti, in conseguenza della loro posizione, posseggono un esercito infimo, in paragone degli eserciti delle grandi potenze, ma maggiori forze di terra non occorrono loro. Né aumenteranno la loro marina da guerra, contentandosi di conservarle la sua forza attuale, ben modesta, se la si paragona con la ricchezza, la popolazione e l’estensione delle coste americane. E la lettera accenna, come al modo più pratico di diminuire le spese navali, ad un accordo che limiti le dimensioni delle navi da costruirsi in avvenire (quasiché le dimensioni siano l’unico coefficente della loro potenzialità); sul qual punto, però, dichiara che altre nazioni si sono mostrate dissenzienti.

Ciò che importa, conclude il presidente, è di ridurre le cause possibili di guerra, col trovare altri mezzi atti a comporre le questioni internazionali. Il migliore è l’arbitrato. Non tutte le potenze potranno consentire a sottomettere tutte le questioni all’arbitrato; ma si può aumentare il numero dei casi in cui si debba avervi ricorso, e si può rendere questo di più facile accesso. Il presidente spera che le nazioni concludano un trattato generale di arbitrato e che il Tribunale dell’Aja, grandemente accresciuto di attribuzioni, sia reso permanente con giudici inamovibili e largamente retribuiti. Molte altre questioni verranno dinanzi alla Conferenza; il trattato generale di arbitrato pare al presidente la più importante.

Il discorso del segretario di Stato seguì la lettura della lettera presidenziale. Disse in genere della prossima Conferenza, dell’aspettativa che si ha di essa. Espresse la fiducia che farà opera utile. Ricordò il lascito della prima, nel quale figurano due risoluzioni connesse, auguranti la riduzione delle spese militari e la limitazione delle forze armate. Accennò alle riserve espresse dagli Stati Uniti sul programma della seconda Conferenza, a quella segnatamente relativa alla riduzione degli armamenti ed all’intendimento di parecchie potenze europee di abbordare l’argomento. Accennò alle difficoltà che il problema presenta, dicendo che va però affrontato. Ne è fallita la soluzione in via preliminare, potrà fallire in conferenza; ma la questione va tenuta desta. Lunghi sforzi occorrono a realizzare alti ideali.

Un punto sul quale il Governo americano desidera che la Conferenza si trovi d’accordo è quello della limitazione dell’uso della forza per la riscossione dei crediti internazionali. Cotale uso non esiste nella politica americana, a cui non sembra compatibile col rispetto dell’altrui sovranità, che è il principio più importante del diritto internazionale e la principale protezione del debole contro il forte. L’on. Root ammette che vi sono casi in cui il rifiuto di pagamento del debito contratto, accompagnandosi con circostanze di frode o violazione dei trattati, autorizzi l’uso della forza, ma spera che un accordo internazionale scevererà, gli uni dagli altri, i diversi casi, e farà sì che gli avventurieri i quali approfittano della debolezza e del bisogno di certi Stati per imporre esorbitanti condizioni ed accampare esorbitanti pretese, saranno obbligati di sottomettere le loro domande ad un arbitrato. Accennò alla ragione principale per la quale il principio dell’arbitrato non è universalmente adottato: il timore che il tribunale non sia imparziale e che gli arbitri si considerino piuttosto diplomatici che giudici. Ad ovviare a tale diffidenza, occorre sostituire, e far che si sappia sostituito, il senso giudiziale della responsabilità al senso diplomatico della responsabilità, la

responsabilità verso la giustizia obbiettiva alla responsabilità verso interessi nazionali. Onde la necessità di giudici permanenti, senza altri doveri che quelli di pronunciarsi secondo giustizia.

L’on. Root ha, indi, premunito l’uditorio contro le troppo grandi speranze che si possono concepire sull’opera della Conferenza, le quali preparerebbero amare disillusioni. Le difficoltà che si frappongono sono molte e gravi. La Conferenza del 1907 non realizzerà certamente i sogni di certuni: non creerà il parlamento dell’umanità, né la federazione del mondo. Ma un passo di più sarà stato fatto verso il regno della giustizia, conformemente a ciò che le condizioni presenti dell’umanità consentono. Ed è inutile cercare di andare oltre al possibile. «Il più grande beneficio della Conferenza della pace del 1907 sarà, come per la Conferenza del 1899, i1 fatto della Conferenza stessa...».

Seguirono altri discorsi, ma nessuno di politica importanza.

334 1 Non si pubblicano gli allegati.

335

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, DI SAN GIULIANO,

A MADRID, SILVESTRELLI, E A pARIGI, TORNIELLI

T. RISERVATISSIMO1. Roma, 22 aprile 1907, ore 11,30.

Ambasciatore Barrère parlando con persona mia intima gli ha detto che esiste un accordo anglo-franco-spagnuolo per regolare tutte le questioni mediterranee comprendendo nel Mediterraneo anche l’Adriatico e l’Egeo e quindi anche le questioni balcaniche, e che tra breve l’Italia sarebbe stata invitata ad accedere a tale accordo coll’avvertenza che non accedendo ne sarebbe esclusa suo danno. Gli confermò inoltre che Francia ed Inghilterra avrebbero aiutato pecuniariamente la Spagna per la creazione di una flotta. Io non credo affatto a queste affermazioni. A Gaeta né re Edoardo né Hardinge che pure dissero molte cose, accennarono menomamente a tale accordo mediterraneo. Quanto alla flotta spagnuola credo che l’Inghilterra volendo spendere dei denari non può non riflettere che li impiegherebbe meglio aumentando la propria flotta. Ad ogni modo data l’autorità della persona da cui tali notizie emanano prego V.E. di fare in proposito accurate e prudenti indagini per mettermi in grado di giudicare se Barrère almeno in parte ha detto il vero o se, sapendo che il suo irterlocutore mi avrebbe riferito le sue parole, ha tentato di impressionarmi con delle panzane2.

2 per la risposta da Londra vedi D. 340, da Madrid vedi DD. 337, 338. Tornielli rispose con R.

riservatissimo 1285/541 del 6 maggio, non pubblicato.

335 1 Minuta autografa. Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

336

L’INCARICATO D’AFFARI A COSTANTINOpOLI, SFORzA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 854/67. Pera, 22 aprile 1907, ore 16 (perv. ore 19,30).

Nel comunicare al ministro degli affari esteri e al gran visir il telegramma di V.E. n. 6991, ho dichiarato loro recisamente che, dati i numerosi e sempre rinnovantisi precedenti nell’Impero, il Banco di Roma non aveva bisogno di alcun precedente per la sua succursale in Tripoli di Barberia, ed ho fatto sentire quanta gravità potrebbe assumere incidente sequestro operato per ordine valì ove ordini immediati non fossero dati.

Gran visir mi ha oggi formalmente dichiarato che manda al valì telegrafiche istruzioni per libero sdoganamento oggetti Banco. Nell’informarmi che tale decisione era stata presa in Consiglio dei ministri, gran visir mi lasciò comprendere che con ciò si mostrava come Sublime porta non intenda muovere obiezioni contro libero funzionamento del Banco di Roma a Tripoli.

337

L’AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO pERSONALE1. Madrid, 23 aprile 1907, ore 10,20 (perv. ore 15).

Affermazioni Barrère trovano fedele riscontro nella campagna tendenziosa di questa stampa periodica, nell’articolo spedito col mio rapporto 2152, nella notizia dell’andata del nostro Sovrano a Cartagena che evidentemente va intesa metaforicamente nel senso accessione dell’Italia al preteso accordo colà concluso. Alla vigilia Conferenza Aja si ripetono le manovre e le intimidazioni che precedettero l’apertura di quella di Algeciras, alle quali il nostro Governo credette, nulla guadagnando nel cosiddetto Mediterraneo e solo compromettendo la sua alleanza. Farò ad ogni modo indagini ordinatemi3.

337 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto. Risponde al D. 335.

2 Non pubblicato. 3 Vedi D. 338.

336 1 Vedi D. 329.

338

L’AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO pERSONALE1. Madrid, 25 aprile 1907, ore 11,45 (perv. ore 14,55).

Accurate indagini compiute fino ad ora, confermano il mio telegramma 23 corrente2 escludendo preteso accordo salvo il caso non ammissibile che esso sia così vago da non contenere alcun programma od impegno preciso. Spedisco oggi rapporto particolareggiato n. 2253 nel quale riferisco rumore del preteso accordo quale è dato da Barrère ed i suoi disgustosi intrighi.

339

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. pERSONALE 551. Vienna, 25 aprile 1907, ore 14,05 (perv. ore 16,15).

Barone Aehrenthal mi ha confermato oggi che sarebbe partito 30 corrente Berlino per chiedere udienza imperatore Guglielmo al quale non aveva potuto ancora presentarsi Sua Maestà essendo stato assente quando vi si era recato per far visita a Bülow. Egli mi ha detto che sarebbe sua intenzione nel far conoscere sua partenza per mezzo stampa aggiungere essere suo desiderio recarsi durante le vacanze parlarmentari in Italia per chiedere udienza a S.M. il Re e far visita a V.E.

Credeva fosse nell’interesse entrambi i paesi annunziare fin d’ora un fatto che avverrebbe in prossimo avvenire. D’altra parte ciò avrebbe potuto prevenire commenti cui sua andata Berlino darebbe da noi luogo per parte di certa stampa, come interrogazioni che avrebbero potuto forse esserle rivolte in parlamento durante la discussione sulle politica estera non essendo egli venuto ancora in Italia.

Mi ha chiesto quindi d’informare V.E. di tale sua intenzione pregandola fargli conoscere suo pensiero al riguardo che le sarò grato telegrafarmi in tempo utile per comunicarlo al barone Aehrenthal qualche giorno prima del 30 corrente2.

2 Vedi D. 337. 3 Vedi D. 341.

2 È stata rinvenuta soltano una minuta di risposta senza data che così recita: «V.E. può dire ad

Aehrenthal che anche io trovo opportuno che comunicando alla stampa sua visita a Berlino aggiunga che, dopo la vacanza parlamentare, verrà in Italia per chiedere udienza a Sua Maestà e farmi visita».

338 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

339 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

340

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO pERSONALE1. Londra, 25 aprile 1907, ore 19,45 (perv. ore 23,10).

prendendo motivo da un articolo pubblicato stamane dal Daily Mail che domani trasmetterò per posta, Grey mi ha fatto oggi chiamare e mi ha detto che in vista dei rumori sparsi dalla stampa di quasi tutti i paesi egli avrebbe domani fatto smentire nei giornali la notizia di presunta alleanza fra Governo britannico, Francia e Spagna e che frattanto mi pregava comunicare all’E.V. essere assolutamente privo di fondamento che si intenda da questa presunta coalizione di potenze di invitare l’Italia ad aderirvi. Gli ho risposto che questa sua dichiarazione giungeva tanto più opportuna in quanto che simili rumori erano stati sparsi in Roma da persona talmente altolocata che non era più possibile non prestar fede ad essi.

Ieri poi avevo avuto un lungo colloquio con Cambon sull’argomento del telegramma di V.E. in data del 22 aprile. Egli mi aveva detto di non ritenere possibile che Barrère si fosse espresso nel modo riferito a V.E. Che era desiderio costante del Governo francese di intendersi coll’Italia, coll’Inghilterra e colla Spagna per tutte le questioni mediterranee ma che era assurdo voler arguire da questo che si fosse formata come una lega delle tre potenze per forzare la mano all’Italia. Io dissi a Cambon che prestavo fede alle sue parole ma che mi pareva vivamente da deplorare che alle notizie false propalate dai giornali con tanto danno dei buoni rapporti fra le potenze venissero talora ad aggiungersi insinuazioni e discorsi emananti da personaggi che non debbono rendersi conto dell’importanza che si attribuisce ad ogni loro detto.

341

L’AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 410/225. Madrid, 25 aprile 1907 (perv. il 29).

Nel mio rapporto del 13 corr. n. 1871 cercai di riassumere quella ch’era a mio avviso la portata esatta dell’intervista di Cartagena: conferma cioè dell’attuale uniformità di vedute fra l’Inghilterra e la Spagna; cooperazione nelle questioni pendenti; ma nessun trattato formale, né firmato né in progetto. Aggiungerei che, ciò malgrado,

341 1 Non pubblicato.

la politica estera della Spagna, qualunque siano i partiti politici al potere, si svolge adesso nell’orbita dell’Entente anglo-francese.

prima e dopo ch’io scrissi il suddetto rapporto, la solita stampa tendenziosa commentò ben altrimenti l’incontro dei due Sovrani: l’articolo della Correspondencia de Espaňa spedito a V.E. col mio rapporto 215 del 20 corrente1 affermò l’esistenza d’un accordo formale anglo-franco-spagnuolo relativo al Mediterraneo ed anche alle questioni balcaniche ed orientali; e lo stesso giornale, divulgando la notizia inverosimile ed insussistente della prossima andata del Nostro Augusto Sovrano a Cartagena, volle evidentemente preconizzare con tale metafora la prossima accessione dell’Italia al preteso suddetto accordo, che sarebbe stato colà concluso durante la visita del re Edoardo.

Tanto scalpore alla vigilia d’una grande conferenza europea rassomiglia troppo alle manovre ed alle intimidazioni che precedettero l’apertura di quella d’Algeciras, giacché allora pare corsero voci persistenti d’accordi relativi al Mediterraneo e d’armamenti marittimi considerevoli a Gibilterra e a Tolone. Ed il nostro Governo, è inutile nasconderlo, si lasciò impressionare da quegli intrighi col solo risultato di compromettere la propria alleanza, senza conseguir nulla, assolutamente nulla, nel così detto Mediterraneo, espressione oramai troppo vaga e mal digerita della quale abusano i nostri politicanti, guardandosi bene però dal definire e precisare quali siano, a loro avviso, gli interessi dell’Italia in quel mare.

Tralasciando questi penosi raffronti ed analizzando la probabilità o meno del preteso accordo formale anglo-franco-spagnuolo, ci convinceremo facilmente della sua inesistenza, a meno che esso sia così vago da non contenere alcun programma ed alcun impegno preciso. Qualunque sia l’attuale orientamento della sua politica, l’Inghilterra non può avere interesse ad ingrandire la Francia nel Mare Mediterraneo e meno ancora a spingerla verso la penisola Balcanica ed il Bosforo, dove la Francia favorì unicamente sinora le aspirazioni della Russia e così farebbe di nuovo se questa potenza riprendesse la posizione che le fecero perdere le disfatte della Manciuria e le mene rivoluzionarie. Non si comprende poi quale sarebbe il compito della Spagna in un accordo esteso alla questione d’Oriente.

I colleghi esteri, salvo alcune eccezioni, se ne mostrano quindi assai increduli; ed alcuni delle potenze minori, portati a prestar fede all’esistenza di patti fra l’Inghilterra e la Spagna, considerano piuttosto tali fatti come destinati eventualmente e solamente a frenare le ambizioni francesi, soprattutto al Marocco. Ed infatti a rigore di logica i porti delle isole Baleari, dei quali parlarono con insistenza i giornali, potrebbero solo servire di base d’operazione in una guerra navale contro la Francia, come già fece quello di Mahon ai primi del secolo XVIII nella guerra di successione spagnuola. Della ricostituzione poi del naviglio e della difesa dei suoi porti «favorita ed incoraggiata dall’Inghilterra» la Spagna non avrebbe praticamente bisogno che per garantirsi da attacchi francesi: e rassomiglierebbe poco allo spirito pratico del Governo britannico di fare o consigliare checchessia senza uno scopo ben determinato e preciso.

L’Inghilterra ha sempre dimostrato di non poter concludere alleanze a meno di portarle a conoscenza del suo parlamento e fu ognora restìa a stipularne a tempo indeterminato, riservandosi di farlo al momento solo di cominciare una guerra. Non è dunque credibile che abbia adesso firmato un accordo così complesso e così gravido

di future complicazioni. Ed apparisce assai chiaramente che tutti questi rumori sono unicamente destinati a far credere all’Italia l’esistenza del vantato accordo mediterraneo al solo fine di distaccarla dai suoi alleati. Non senza osservare che laddove tale accordo esistesse, le potenze signatarie non avrebbero alcun interesse ad assicurarsi la cooperazione dell’Italia nel Mediterraneo e non potrebbero riservarle che una parte molto meschina, del tutto simile a quella che le toccò ad Algeciras, dove persino il modesto desiderio espresso dal nostro delegato d’avere un controllore italiano nel banco marocchino fu giudicato eccessivo e non venne nemmeno discusso.

Dai ragionamenti passando ai fatti concreti io rammenterò a V.E. gli autorevoli comunicati comparsi nel Times e nell’Epoca che sfrondarono l’intervista di Cartagena dalle asserite stipulazioni politiche. Il ministro di Stato, parlando con me a tale riguardo, si espresse in termini di scherzo e di meraviglia circa alle pretese rivelazioni dei giornalisti. L’ambasciatore d’Inghilterra fece lo stesso in un colloquio che ebbi ultimamente con lui; e debbo osservare che tutto quanto egli ha sinora creduto di dirmi s’è sempre provato della più rigorosa esattezza. Al contrario del suo predecessore Nicolson che parlava senza prova dell’alleanza delle potenze occidentali, sir Maurice de Bunsen m’ha più volte affermato che, a suo avviso, il dissidio, del quale tanto si parla, fra l’Inghilterra e l’Impero germanico, esiste soltanto nella stampa dei due paesi.

Nel citato rapporto del 13 dissi che riguardo all’intervista di Cartagena l’ambasciatore di Germania si mostrò meno rassicurato e tranquillo. In una lunga conversazione confidenziale avuta questa mattina con lui, mi disse d’aver interpellato formalmente il ministro di Stato sull’articolo della Correspondencia de España, ed ottenuto le più categoriche smentite; il comunicato comparso nell’Epoca era dovuto appunto a quel suo colloquio. Il sig. de Radowitz m’informò che l’articolo della Correspondencia era stato scritto dal direttore del giornale sig. Leopoldo Romeo, il quale si vanta di ricevere informazioni dal palazzo Reale, perché la Corte disgraziatamente s’è servita di lui per qualche comunicato ufficioso. Quello pure che l’articolo dice della ricostituzione della flotta è completamente inesatto risultando da fonti sicure all’ambasciata di Germania che i progetti di questo Governo concernono solo la difesa di alcuni porti e la costruzione di torpediniere. Mi disse infine che volle interpellare sull’intervista di Cartagena il nostro collega inglese, il quale gli confermò le smentite del sig. Allendesalazar, aggiungendo che durante la visita del re Edoardo si parlò pochissimo di politica.

Secondo dunque il sig. de Radowitz il preteso accordo anglo-franco-spagnuolo relativo al Mediterraneo non esisterebbe; e tale è la convinzione quasi generale di questo ambiente politico e diplomatico, dove all’intervista di Cartagena non si attribuisce portata maggiore di quella da me riferita nel citato rapporto del 13 corr. n. 187.

340 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto. Risponde al D. 335.

342

L’AMBASCIATORE A BERLINO, pANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO pERSONALE 391. Berlino, 26 aprile 1907, ore 8,18 (perv. ore 11).

Bülow non essendo visibile in questi giorni ho parlato confidenzialmente a Tschirschky valendomi del contenuto del telegramma di V.E. in data del 212. Egli si è mostrato assai soddisfatto delle concilianti dichiarazioni inglesi da V.E. raccolte, confermando essere identiche disposizioni del Governo germanico. Si attende qui nei primi di maggio una visita delle autorità municipali di Londra che si spera possa produrre favorevole effetto nel pubblico e nella stampa. Giornali hanno da ultimo naturalmente moderato il loro linguaggio specie dopo il comunicato inserito nella kölnische-Zeitung a proposito del viaggio di re Edoardo VII in Italia. Circa precedente articolo stizzoso di quel giornale Tschirschky mi disse essere impossibile malgrado ogni precauzione prevenire simili accidenti dovuti ad influenze occulte dirette contro il Governo da dicerie ostili.

Quanto all’argomento del mio telegramma n. 343 circa questione armamenti Aja Tschirschky mi informò dello scambio di comunicazioni cui esso ha dato luogo in Roma aggiungendo che attende ora conoscere più esattamente termini preferiti a Vienna riguardo ultimo inciso proposta dichiarazione parlamentare. Bülow sta ora preparando il suo discorso al Reichstag da pronunziarsi entro pochi giorni. Tschirschky mi disse che, tenuto conto attitudine qui già in precedenza assunta, quel discorso necessariamente accentuerà le riserve della Germania un poco di più che non possa farlo l’E.V. per conto dell’Italia ma basterà che le dichiarazioni dei tre alleati suonino genericamente concordi nella sostanza.

343

L’INCARICATO D’AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L.1. Londra, 26 aprile 1907.

Facendo seguito al mio telegramma riservato alla persona di V.E. in data di ieri2, le trasmetto qui unito il testo dell’articolo del Daily Mail che dette luogo al discorso fattomi ieri da sir Edward Grey, nonché la smentita ufficiale3 apparsa questa mane nello stesso giornale, delle notizie propalate nel suo numero di ieri.

2 Vedi D. 333. 3 Non rivenuto.

2 Vedi D. 340. 3 Non pubblicati.

Non ho molto da aggiungere a quanto le telegrafai. Non appena ella mi ebbe fornito quelle singolari notizie intorno ai discorsi fatti a Roma dal sig. Barrère, io mi recai dal sig. Cambon e, fidandomi alla benevolenza ed amicizia sempre da lui dimostratami, ed anche alla serietà e riservatezza del suo carattere, gli parlai francamente. Egli rimase profondamente colpito anzi quasi interdetto, da quanto gli dissi.

Riavutosi poi dallo stupore, mi disse con una certa energia che non era possibile che Barrère avesse parlato così. Che l’espressione del desiderio che l’Italia nelle quistioni mediterranee si avvicinasse maggiormente alla Francia ed all’Inghilterra, e si rendesse più indipendente dai suoi alleati, era un luogo comune nelle conversazioni diplomatiche a Roma. Che egli stesso nel suo recente soggiorno colà, aveva inteso il marchese Visconti Venosta esprimersi in tal senso. Che evidentemente qualche frase di tal genere doveva esser stata trasformata e riferita da qualcuno a V.E. nel modo che io gli dicevo. Continuò il sig. Cambon deplorando l’atmosfera di sospetti nella quale, da qualche tempo a questa parte, vive il mondo politico e diplomatico, di cui naturalmente egli attribuisce tutta la colpa alla Germania.

Io gli dissi che naturalmente il mio Governo era ben lontano dal prestar fede a simili dicerie e che, se non altro, il recente incontro a Gaeta fra i Sovrani d’Italia e di Inghilterra e fra V.E. e sir C. Hardinge, avrebbe bastato, se ve ne fosse stato bisogno, a dissipare ogni sospetto che l’Inghilterra potesse in qualche modo cospirare contro l’Italia presentandosi a lei, per porgerle la mano, dopo aver già conchiuso una intesa colle altre due potenze mediterranee.

Aggiunsi di mio che sapevo che il sig. Barrère aveva per sistema di annunziare come fatte le cose che desiderava; e che pur non volendo contraddire quanto egli Cambon mi diceva sulla impossibilità che il suo collega a Roma si fosse espresso nel modo riferito, non mi pareva assurdo, conoscendo l’uomo, di supporre che egli si fosse espresso in guisa da lasciar intenzionalmente serpeggiare il sospetto che a V.E. era poi stato riferito come realtà. Divagando poi alquanto, il sig. Cambon mi disse che l’Italia aveva già dei positivi impegni colla Francia nelle quistioni mediterranee e che talora faceva non del tutto buona impressione in Francia il notar qualche esitazione da parte nostra nell’adempirli. E mi citò ad esempio la quistione dell’ingegnere da nominarsi a Tangeri; nella quale quistione il Governo italiano aveva tentato di dimostrarsi neutrale, mentre invece, secondo lo spirito dei suoi impegni, esso sarebbe obbligato a sostenere senza esitazione la Francia.

Non volli prolungare il discorso su simili punti speciali, e salutai l’ambasciatore, rifiutando l’impressione che le notizie propalate dal sig. Barrère fossero del tutto false, ma che [scil. con l’impressione che] nella diplomazia francese sussiste tuttora il fermo proposito di rendere sempre più difficile la nostra posizione nella Triplice Alleanza.

Ed è naturale che a tale intento chi manca di scrupoli, usi ogni mezzo meno plausibile.

Dopo la mia conversazione col Cambon, pensavo a procurarmi un colloquio con sir E. Grey, e stavo studiando il miglior modo di farlo parlare senza apparir dominato da una preoccupazione senza fondamento ed anche, in qualche modo, ingiuriosa per la lealtà di questo Governo. Il giorno stesso in cui pensavo di chieder di esser ricevuto dal segretario di Stato egli mi fece chiamare; e non fu senza sorpresa che, fin dalle prime parole dettemi da lui, mi resi conto che egli aveva desiderato di

parlarmi per lo stesso motivo che faceva desiderare a me di parlare a lui. Sir Edward mi parlò dell’articolo del Daily Mail, che io non avevo letto; e mi disse che lo avrebbe fatto smentire l’indomani, ma che frattanto non aveva voluto tardare a dirmi che il Governo italiano poteva star sicuro che il Governo britannico, non aveva fatto nessuna lega colla Francia e colla Spagna; e che non si preparava nessuna avance all’Italia per indurla ad aderire a tale lega.

Io dissi a sir E. Grey che, avendomi V.E. comunicato il tenore dei suoi colloqui con sir C. Hardinge, le voci dei giornali non mi preoccupavano più che tanto. Che peraltro la sua smentita giungeva veramente opportuna in quanto che da fonti che non possiamo non ritenere autorevoli, erano state sparse a Roma delle strane voci che era meglio dissipare senza indugio.

Sir E. Grey replicò che i rapporti fra Gran Brettagna e Italia erano talmente chiari che non potevano prestarsi ad equivoci altro che per dei malintenzionati. Lo statu quo del Mediterraneo, mi disse egli, forma la base dei nostri rapporti. Speriamo (continuò) che tale statu quo possa mantenersi a lungo. Finché esso dura non son da prevedersi complicazioni né da desiderarsi mutamenti nella politica internazionale dell’Europa. Ma se le condizioni presenti dovessero essere minacciate, certo l’Inghilterra dovrebbe preoccuparsi dell’avvenire e cercare in ogni modo di salvaguardare i propri interessi.

342 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

343 1 Autografo.

344

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 668/2501. Monsummano, 27 aprile 1907.

Appena giunto, il 19 aprile a Napoli, dove mi ero appositamente recato per ossequiare i Sovrani di Gran Bretagna, ricevetti il loro invito a pranzo per la stessa sera a bordo del yacht reale «Victoria & Albert».

Sovrani, sempre gentilissimi e cordialissimi, lo furono questa volta ancora di più del solito. S.M. la regina Alessandra, alla quale davo il braccio e che tenne durante il pranzo brillantissima conversazione, mi disse fra l’altro che le aveva fatto immenso piacere il viaggio del Nostro Augusto Sovrano ad Atene. Diceva questo con intensità e sincerità di sentimenti, ispirata certo più che da ragioni politiche, dal suo affetto personale per i suoi stretti congiunti che regnano ad Atene. La regina Alessandra mi disse pure spontaneamente che non fu colpa dello Czar se questi non venne a Roma, ma della polizia e di persone dell’entourage e aggiunse che in Italia sarebbe stato sicuro per lo meno quanto in Russia; essere essa personalmente dolentissima di questo contrattempo e sapere che ne fu dolentissimo anche Nicola II.

Dopo il pranzo, S.M. Edoardo VII mi condusse seco in una sala vicina, dove mi trattenne in conversazione confidenziale ed amichevole per oltre un’ora. Verso la fine sopraggiunse sir Charles Hardinge, per sottoporgli un telegramma da spedire, e prese pure parte al resto della conversazione.

S.M. mi parlò dei più svariati argomenti politici e non politici esprimendosi con molta franchezza e fiducia e prendendo, quasi sempre egli stesso l’iniziativa degli argomenti da trattare: dico quasi sempre, perché fui io che colsi l’opportunità del discorso per volgerlo con naturalezza sulla Cirenaica. Su questo speciale argomento nonché sull’incontro del nostro Sovrano con quello di Spagna e sulla questione di Creta, invio in pari data rapporti separati a V.E.2 mentre comprendo in questo tutti gli altri argomenti politici del colloquio.

Sua Maestà mi espresse suo compiacimento per l’accoglienza ricevuta a Gaeta e mi diede formale incarico di ringraziare ancora, a suo nome, S.M. il nostro Re la prima volta che avrò l’onore di vederlo. Mi chiese pure premurosamente notizie di S.M. la Regina, con intonazione non di formalità consueta, ma di interessamento amichevole. A proposito dell’incontro di Gaeta, il discorso cadde sulle manifestazioni della stampa tedesca, sulle quali il re Edoardo si espresse con molta vivacità. «Il Mediterraneo è libero», egli aggiunse, «ognuno vi può navigare e vedere i suoi amici, senza che per questo si abbia il diritto di accusarlo di intrighi». Sapeva che il sig. paul Cambon era stato mio ospite qualche giorno prima a Catania e mi chiese se questi mi avesse detto se suo fratello avesse speranza di presto migliorare i rapporti franco-germanici. Risposi, come era vero, che il sig. Cambon nulla me ne aveva detto, e che credevo che nulla ancora ne potesse sapere.

All’infuori di queste due occasioni, re Edoardo non nominò mai nel corso della sua conversazione, la Germania ed il suo Imperatore, ma da mezze parole e frasi coperte e dal tono in cui furono profferite, risulta chiaro che l’animo suo è ancora tutt’altro che ben disposto verso il nostro potente alleato. Fece pure grandi elogi del nostro Re, e ne lodò pure la politica interna liberale, non senza allusione abbastanza chiara agli apprezzamenti ed alla diversa condotta di un altro Sovrano. Mi domandò come fossero ora i nostri rapporti colla Francia, e si rallegrò molto sentendo anche da me la conferma che sono ottimi: e da ciò egli trasse nuovo argomento ad insistere nel concetto, ripetuto più volte da lui nel colloquio, che, cioè, tutte le potenze mediterranee hanno solidarietà di interessi. Non disse chi minacci, a suo avviso, questi interessi comuni, ma l’allusione e l’intento erano evidenti. Mi disse aver mandato il principe di Battenberg a Spezia col «Venerable» per assistere al varo della corazzata «Roma», e mi fu facile capire che interpretavo il suo desiderio dicendogli che sapevo che questo atto cortese era stato apprezzato e gradito in Italia. Egli mi disse pure che è molto grato della cordiale ospitalità che riceve sempre nei porti italiani la flotta britannica. Durante tutto il colloquio il Re fu sempre molto cordiale ed espansivo, e per ciò che disse e il modo con cui lo disse, sembrava che non mi conoscesse da pochi mesi, ma che da lunghi anni godessi della sua fiducia.

344 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto e privo dell’indicazione della data di arrivo.

344 2 Vedi DD. 345, 346 e 347.

345

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 669/2511. Monsummano, 27 aprile 1907.

Come ho esposto a V.E. nel mio rapporto di pari data n. 668/2502, nel colloquio che ebbi il 19 aprile con S.M. il re Edoardo VII, vidi che il momento era favorevole per trattare della designazione dei confini tra l’Egitto e la Cirenaica.

Risultava chiaro dal contesto del colloquio che il re desiderava di fare cosa gradita all’Italia, tanto per sentimento d’amicizia, quanto per fini di politica generale che ci consigliano, è vero, la maggiore circospezione, ma non possono impedirci di cercare di trarre i maggiori vantaggi possibili da una situazione internazionale, che presenta per noi anche pericoli, difficoltà non lievi. È noto anche che è nell’indole di re Edoardo di essere assai transigente nelle questioni minori, di comprendere, cioè, la necessità di proporre la soluzione di piccole questioni ai fini più generali e più alti della politica britannica. Sapevo dunque di usare argomento idoneo a convincerlo, dicendogli, come è vero, che il portare un po’ più in qua o un poco più in la un confine vago ed incerto, come è quello che, per lunga distesa di deserto, separa la Cirenaica dall’Egitto, è un ben piccolo interesse britannico, di fronte al comune interesse delle due nazioni di eliminare tutto ciò che può essere cagione di dissenso e di malinteso tra l’Italia e l’Inghilterra o di falsi allarmi nell’opinione pubblica italiana. Gli esposi allora, per sommi capi, lo stato delle cose relativamente a quei confini e ne inferii l’utilità di definirli d’accordo tra l’Italia e l’Inghilterra. Il Re aderì esplicitamente a questa proposta anche prima di sentire da me che lord Cromer aveva dato parere favorevole. Sembrandomi impossibile che sir Edward Grey si opponga dopo che il suo Sovrano ha esplicitamente dato il suo assenso ad un ambasciatore estero, resta la questione del modus procedendi, e quella di merito, cioè dell’accertamento dei limiti delle pretese britanniche.

Sir Charles Hardinge, con cui ne ho pure parlato la stessa sera, è d’accordo che la determinazione dei confini si faccia e vorrebbe che si facesse per mezzo di uno scambio di note, destinate a restare segrete, perché reputa utile che la Turchia non ne sappia nulla. pare che egli consideri il golfo di Solum come tutto o quasi tutto appartenente all’Egitto, poiché si è lamentato meco di incursioni della Turchia in quel golfo, mentre è assai probabile che la verità sia ben diversa. Io ho risposto a sir Charles che non credo che il Governo italiano abbia obbiezioni contro la segretezza e che la repugnanza a patti segreti è sempre venuta da parte della Gran Bretagna. Egli ha replicato che, adottando la forma di uno scambio di note, gli scrupoli costituzionali del Governo britannico sarebbero calmati, e che il segreto si potrebbe mantenere.

In merito, a mio parere, non è dubbio che le oasi di Giarabub e di Cufra appartengono alla Turchia e non all’Egitto, e non dispero che il Governo britannico lo vorrà riconoscere spontaneamente. Nel dubbio, però, che qualche contestazione sia

2 Vedi D. 344.

sollevata, è bene che V.E. mi mandi a Londra tutti gli elementi necessari per sostenere la nostra tesi. Il Governo britannico è preoccupato forse oltre il giusto, dell’agitazione panislamica e sotto questo aspetto, le oasi di Giarabub e di Cufra, sede originaria l’una e sede attuale l’altra, del capo degli Senussi, hanno un’importanza politica, che non permette di escludere del tutto la possibilità di delicate trattative col Governo britannico. So che il comm. pestalozza vorrebbe che si cercasse di comprendere nella Cirenaica l’oasi di Siwa: certo sarebbe bene se ciò potesse riescire, ma io lo credo difficile, oserei dire impossibile, e dubito persino che sia inopportuno di chiederlo. potremo del resto prima che io torni a Londra, discutere di questo e di altri punti, in un colloquio, che sarà bene che io abbia con V.E., assistendovi anche il comm. Agnesa. Nello stesso colloquio potremo esaminare se convenga addirittura, al mio arrivo a Londra, sottoporre senz’altro al Governo inglese la bozza delle note, in cui sia designato il confine, o se convenga prima sondare, sulla designazione particolareggiata di esso, l’animo di sir Eldon Gorst, il quale è già partito dall’Inghilterrna e sarà arrivato al Cairo, quando V.E. riceverà questo mio rapporto3. Intanto sarà bene che l’Ufficio Coloniale non tardi a preparare e redigere la bozza delle note.

345 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto e privo dell’indicazione della data di arrivo.

346

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 670/2521. Monsummano, 27 aprile 1907.

Come ho già detto a V.E. nel mio rapporto di pari data n. 2502, S.M. il re Edoardo VII mi ha espresso il suo vivo compiacimento per il viaggio di S.M. il nostro Re in Grecia e mi ha domandato quali impressioni avesse riportato il nostro Sovrano dall’accoglienza ivi ricevuta. Si rallegrò molto di sentire che il nostro Re ne era rimasto molto contento, e più volte insisté sull’utilità di quel viaggio e sui vantaggi per l’Italia e per la Grecia di cordiali rapporti tra loro. «Sono sicuro», aggiunse, «che questo viaggio avrà contribuito a dissipare sempre più le ingiuste diffidenze di molti greci sulle mire dell’Italia in Epiro». Si parlò a lungo di quei paesi, ed io ne trassi occasione a dimostrargli sempre più quanto quei sospetti fossero assurdi e quali fossero i veri intenti della nostra politica nell’Adriatico nell’Ionio e ne’ Balcani. Sua Maestà sapeva che io ero stato in Albania: vi è stato anch’egli ed è ben convinto che gli albanesi d’oggi non sono punto maturi per governarsi da se stessi. Fu molto lieto quando io gli dissi che, avendo visto più volte la Grecia, reputavo quel giovane Regno assai migliore della sua fama.

Lodò molto l’opera di zaimis in Creta: «Mio nipote», aggiunse, «aveva buone intenzioni, ma era mal circondato». Allusi al noto papadiamantopulos, ed egli riden-

346 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto e privo dell’indicazione della data di arrivo.

2 Vedi D. 344.

do: «Ah! sì, anche il nome di quel signore è arduo a pronunziare! Del resto i cretesi sono stati sempre ingovernabili, durante tutte le epoche della storia». «Sì, Sire ed anche prima», dissi io, «e sin da Minosse». Il Re rise di nuovo e disse che, a suo avviso, l’unica soluzione possibile è l’annessione alla Grecia, che non si dovrebbe ritardare troppo. «Vi sono, può dirsi», egli notò, «i diritti del Sultano, ma a che valgono i diritti quando un popolo non vuol più saperne? Bisogna persuadere il Sultano che è meglio lasciare andare quelli che non vogliono più stare sotto la sua sovranità».

Feci notare che si deve tener conto anche del contraccolpo che l’annessione alla Grecia produrrebbe in quel vespaio minaccioso, che è la penisola Balcanica, e il Re, dopo aver taciuto e riflettuto un momento, rispose: «Sì, avete ragione: quello è un vespaio pericoloso e bisogna per questo motivo procedere guardinghi».

345 3 Nota del documento: «È già arrivato al Cairo (2/5)».

347

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATISSIMO 671/2531. Monsummano, 27 aprile 1907.

Come ho detto a V.E. nel mio rapporto di pari data n. 2502, S.M. il re Edoardo VII, di sua iniziativa, mi parlò dell’opportunità di un incontro tra il nostro Sovrano e S.M. il Re di Spagna, e riprese questo argomento, quando, verso la fine dell’intero colloquio, sopraggiunse sir Charles Hardinge. La mia impressione è che il re Edoardo tenga molto a questo incontro che, per quanto gli si spieghino le ragioni del punto di vista italiano sulle necessità delle visite reali a Roma, tale punto di vista non gli appare del tutto giustificato. Anzi sir Charles Hardinge disse più chiaramente: «voler sempre le visite a Roma equivale a rendere impossibili i rapporti personali coi Sovrani cattolici». Il concetto di re Edoardo è che la difficoltà di Roma si possa evitare non scambiando vere e proprie visite, bensì combinando un incontro fra i due Sovrani d’Italia e di Spagna, forse anche apparentemente involontario, o, inevitabile, o casuale, sia durante una crociera, forse anche in acque non italiane o spagnuole, sia presso una Corte amica, in un momento in cui la presenza dei due Sovrani appaia naturale. Ciò, a cui re Edoardo tiene, non è la formalità della visita, né il luogo, né il modo, bensì il fatto che i due Sovrani si conoscano di persona e possano conversare direttamente l’uno coll’altro. Che nella questione della visita a Roma egli e Hardinge non ci diano ragione, anzi non capiscano bene le nostre ragioni, è naturale, perché le nostre ragioni sono di quelle che la mentalità inglese difficilmente capisce ed apprezza. Re Edoardo considera l’impossibilità di un sovrano cattolico di venire a Roma come una causa di forza maggiore ineluttabile, ed infatti, parlandomi della mancata restituzione della visita di S.M. l’Imperatore d’Austria, egli compiangeva quest’ultimo per avere dovuto suo malgrado, fare il

2 Vedi D. 344.

sacrifizio di venire meno all’etichetta (parola testuale, benché inadeguata forse, adoperata dal re Edoardo) «alla quale», aggiunse, «tiene tanto».

D’altra parte, dall’animazione colla quale parlava, risultava ben chiaro che egli tiene molto a questo incontro, il quale è parte di un suo vasto disegno politico, che può, alla sua volta, essere cagione di imbarazzo a noi, amici dell’Inghilterra ed alleati della Germania. Le frequenti allusioni che S.M. mi faceva alla solidarietà di interessi di tutte le potenze mediterranee sono già state da me segnalate nel mio rapporto di pari data n. 250.

La questione delicatissima, va senza dubbio guardata sotto svariati aspetti di politica interna ed esterna. Uno dei pesi da porre in una delle coppe della bilancia è certo il possibile effetto di un definito rifiuto sui rapporti anglo-italiani, e sarebbe per lo meno desiderabile che, se tale sarà la soluzione, sia nota al Governo britannico dopo lo scambio di note sui confini fra l’Egitto e la Cirenaica.

In tutto il difficile colloquio, io ho cercato, rispondendo a S.M. il Re Edoardo, di evitare i diversi scogli, ma, essendo probabile che, a1 mio ritorno a Londra, o il re Edoardo o sir Edward Grey o Charles Hardinge me ne riparli, è necessario che io abbia dal R. Governo le opportune istruzioni per norma di linguaggio.

347 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto e privo dell’indicazione della data di arrivo.

348

L’AMBASCIATORE A pIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 902/31. Pietroburgo, 1° maggio 1907, ore 20,40.

Izvolskij si è mostrato meco molto soddisfatto delle dichiarazioni di Bülow relativamente alla Conferenza della Aja che sebbene lascino aperta la questione della riduzione degli armamenti, non possono mancare di produrre una impressione tranquillizzante. Egli aspetta ora con vivo interesse le dichiarazioni che farà l’E.V. al parlamento1 che egli sa essere state concordate coi Governi di Berlino e di Vienna.

349

L’INCARICATO D’AFFARI A COSTANTINOpOLI, SFORzA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATISSIMO 834/300. Costantinopoli, 3 maggio 1907 (perv. il 14).

Dall’annesso copia di rapporto del maggior Romei al R. Ministero della Guerra1 l’E.V. rileverà come quel nostro ufficiale fosse interrogato dal Sultano circa l’indiriz-

15 maggio 1907, pp. 14152-14156.

zo della politica estera italiana e il contegno che terrebbe l’Italia di fronte a certi eventuali conflitti e come egli rispondesse a S.M. Imperiale.

Il Sultano avendogli poi ordinato di riassumere per iscritto le sue risposte, il maggiore Romei, nel riferirmi quanto egli col suo tatto abituale aveva risposto, mi pregava che gli redigessi alcuni periodi che fissassero il senso delle sue parole. Dettai quindi al maggiore Romei, le linee qui pure accluse in copia2, raccomandandogli di presentarle a palazzo come sua esclusiva personale composizione, il che egli non ha mancato di fare.

ALLEGATO Il ressort de la façon la plus indiscutable des actes et des déclarations du Gouvernement

italien ainsi que des déclarations spontanées et individuelles de tous les hommes d’État qui ont été appelés au pouvoir, que la Triple Alliance continue à être voulue unanimement en Italie, où l’on estime qu’elle forme la plus sûre garantie de la paix. L’Italie ne se détacherait pas d’une politique qui assure la paix à l’Europe.

La Triple Alliance est d’autant plus appréciée en Italie qu’elle n’empêche aucunement les rapports les plus cordiaux avec des puissances qui, comme l’Angleterre, sont liées à l’Italie par une intimité traditionelle. Ces rapports cordiaux avec des puissances en dehors de la Triple Alliance ont d’ailleurs pour résultat de consolider le maintien de la paix.

348 1 Vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1904-1907, vol. 11, tornata del

349 1 R. 51 del 30 aprile, non pubblicato.

350

L’AMBASCIATORE A BERLINO, pANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 693/265. Berlino, 4 maggio 1907 (perv. il 17).

Ieri sera è ripartito da Berlino il barone di Aehrenthal, ministro degli affari esteri austro-ungarico, dopo una visita di tre giorni da lui fatta a questa capitale. Come egli stesso me lo disse e tutto sembra confermare, la sua venuta non ebbe alcuno scopo politico speciale, ma quello soltanto generico di presentarsi personalmente a S.M. l’Imperatore ed entrare in rapporti personali coi principali uomini politici di questo Impero, nel momento in cui egli sta per assumere le sue nuove funzioni come dirigente la politica estera della Monarchia alleata. Il sig. d’Aehrentahal fu infatti ricevuto in lungo colloquio da S.M. Imperiale e conferì col principe di Bülow e col sig. von Tschirschky sulle questioni di generale interesse. E tutto indica che, oltre alla buona impressione da lui prodotta personalmente sopra i suoi interlocutori, quelle conversazioni condussero ad una reciproca constatazione della perfetta comunanza d’idee e d’intendimenti esistente tra i due Governi.

Ebbi occasione di avvicinare il barone d’Aehrenthal, dapprima, ad un colazione offerta in suo onore dal sig. von Tschirschky (alla quale, con evidente intenzione di riunirvi i rappresentanti della Triplice Alleanza, io solo fui invitato fra gli ambascia-

tori qui residenti, oltre quello di Austria-Ungheria); e lo rividi poscia altre due volte coll’opportunità delle visite fra di noi scambiate.

primo argomento naturale della nostra conversazione fu quello della Conferenza dell’Aja che aveva poco prima formato oggetto del recente discorso del principe Bülow. Il sig. d’Aehrenthal mi confermò quanto sapevo sul previo accordo con lui stabilito dal Cancelliere circa l’attitudine da adottarsi di fronte ad eventuali proposte per la limitazione degli armamenti. Non avendo prossima occasione, egli mi disse, di trattarne egli stesso dinanzi alla Camera austriaca non ancora eletta, dichiarazioni analoghe a quelle del principe Bülow saranno fatte in nome del Governo della Monarchia dal presidente dei ministri d’Ungheria al parlamento in Budapest.

Quanto al contegno dell’Italia verso quella questione, il sig. d’Aehrenthal mi disse che egli si rendeva ben conto delle circostanze un poco diverse nelle quali noi ci troviamo, ma non essere poi indispensabile che il linguaggio da tenersi davanti al nostro parlamento sia assolutamente identico a quello di Berlino e di Vienna, bastando si faccia risultare che si è d’accordo sulla sostanza, cioè che le eventuali proposizioni di cui si tratta devono, per poter esser prese in considerazione, venire formulate in modo concreto dai promotori di esse e che, quando ciò avvenga, le tre potenze alleate si riserveranno di esaminarle nel modo il più coscienzioso. Il mio interlocutore si riferiva a questo proposito allo scambio d’idee avvenuto in Roma in seguito al mio telegramma del 17 aprile1, dicendomi che egli aveva soltanto suggerito una lieve modificazione dell’ultimo inciso nel senso dei termini qui sovra indicati. Tutto ciò, del resto, dev’essere già ben noto a V.E. ed io qui lo riferisco soltanto a titolo di annotazione di quanto mi disse il sig. d’Aehrenthal.

Nel corso della nostra conversazione, si parlò poi dei rapporti anglo-tedeschi nella loro connessione cogli interessi della Triplice Alleanza e con la posizione talvolta un poco imbarazzante che certe difficoltà hanno creato e potrebbero ancora creare alle potenze che come l’Austria-Ungheria e l’Italia si trovano legate da alleanze all’una delle parti e da tradizionale amicizia all’altra. per questo riguardo il sig. d’Aehrentahal riconosceva meco che abbiamo uguale interesse ad adoperarci quando se ne offra l’occasione ad attenuare gli attriti che ogni tanto si producono, i quali però non sono dovuti all’azione dei due Governi entrambi solleciti di mantenere reciproche buone relazioni, ma all’intervento imprudente della stampa della quale egli molto deplorava il linguaggio. Unica cosa, egli soggiunse, che potevano fare i Governi era di rettificare i fatti nei casi più patenti mediante qualche comunicato ufficioso, ma una prevenzione efficace delle intemperanze di tale o tal altro giornale era impossibile: ed egli mi citò a titolo d’esempio, il caso del noto articolo della Neue Freie Presse dello scorso mese sul viaggio del nostro Sovrano in Grecia, articolo che non gli era riuscito di fermare mentre già si trovava in corso di stampa. Egli sperava però che dopo gli ultimi incidenti, anche la stampa comprenderà almeno per un certo tempo la convenienza di contenersi con maggiore moderazione.

In argomento più speciale, il barone d’Aehrenthal mi accennò alla situazione nei Balcani che aveva sembrato da ultimo presentare qualche tensione per effetto dei rapporti non amichevoli tra la Serbia e la Bulgaria. Egli alluse a tale proposito a certe

notizie di Sofia comunicategli tempo fa da V.E., le quali dipingevano le disposizioni della Bulgaria in termini piuttosto inquietanti e tali quasi da far temere un conflitto. Egli però aveva ora ricevuto da Sofia informazioni che riteneva attendibili le quali lo rassicuravano circa gli intendimenti del Governo bulgaro: si era bensì prodotta colà un certa irritazione pel fatto delle recenti incursioni di bande serbe, ma nulla indicava che ciò dovesse condurre, almeno per ora ad alcuna grave conseguenza.

In complesso, il barone Aehrenthal mi parve fiducioso nel pacifico sviluppo della situazione internazionale quale essa si presenta per il prossimo avvenire. Egli alluse alle amichevoli relazioni di reciproca confidenza che si erano venute raffermando fra i nostri due paesi e che egli si proponeva coltivare col concorso di V.E. e mi disse rallegrarsi al pensiero di avere nella prossima estate occasione d’incontrarsi con lei e di offrire personalmente i suoi omaggi al Nostro Augusto Sovrano2.

349 2 Vedi allegato.

350 1 Non rinvenuto.

351

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENzIALE 611. Vienna, 6 maggio 1907, ore 19,10. (perv. ore 20,55)

Barone Aeherenthal mi ha detto essere soddisfatto suoi colloqui con principe di Bülow. Egli aveva [trovato]2 Cancelliere dell’Impero perfettamente tranquillo e le varie questioni presenti erano da lui considerate colla maggiore calma nonostante nervosità manifestatasi di recente in una parte della stampa europea.

Quanto alla Conferenza dell’Aja non credeva potesse dar luogo a preoccupazioni. La Germania del resto si era riservata di non partecipare discussione proposta limitazione armamenti. Nell’accennare a questo proposito alle dichiarazioni concordate tra il r. ambasciatore in Berlino ed il sig. Tschirschy, barone Aehrenthal ha rilevato che esse erano atte, ove fossero state accolte da V.E., dimostrare, come Italia quantunque disposta a partecipare a quella discussione non si trovasse quanto alla sostanza in disaccordo coi suoi alleati.

Rispetto rapporti tra Germania e Inghilterra Bülow non prevedeva questioni che non potessero essere risolte amichevolmente, né per ciò che riguardava il Marocco sorgeva difficoltà colla Francia, l’atto d’Algeciras avendo regolato la situazione delle varie potenze nell’Impero.

Barone Aehrenthal ha concluso col dirmi che suo viaggio Berlino, il quale sarebbe stato seguito da quello in Italia, non poteva non far constatare opinione pubblica stabilità della Triplice Alleanza che avrebbe continuato ad essere, siccome lo era stato finora, una guarentigia di pace per l’Europa.

351 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

2 Integrazione del decifratore.

350 2 Vedi DD. 398, 399.

352

IL GOVERNATORE DELL’ERITREA, SALVAGO RAGGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 364/2260. Asmara, 6 maggio 1907 (perv. il 18).

Ringrazio l’E.V. per la comunicazione fattami col dispaccio 14 marzo u.s. n. 1571 del rapporto 18 gennaio c.a. della r. legazione di Addis Abeba2, circa le notizie che circolano in Abissinia contro gli italiani.

Quanto alle voci di guerra prossima fra l’Italia e l’Etiopia, e che son pure giunte a conoscenza di questo Governo, se esse dovessero riferirsi a iniziative bellicose da parte nostra, tutto il nostro contegno, oltre le esplicite affermazioni fatte ad ogni occasione, starebbe a smentire; se si riferiscono poi ad intendimenti ostili da parte del Negus, sarebbe opportuno che la r. legazione provvedesse affinché fosse, autorevolmente, posto fine alla loro diffusione.

Mi permetto poi di richiamare l’attenzione della E.V. su quella parte del rapporto della r. legazione ove si parla della ripercussione che alcuni provvedimenti da noi presi per l’indemaniazione dei terreni, in ottemperanza alle tassative disposizioni in vigore, avrebbero tra le popolazioni di oltre confine. Tale ripercussione, certo esagerata, non è peraltro meno reale, e già questo Governo ne ebbe sentore, tanto che ritenne opportuno negli ultimi tempi procedere con le maggiori cautele in fatto di indemaniamenti. Credo doveroso segnalare il fatto all’E.V., anche in relazione alle disposizioni che su tale materia potranno essere contenute nel nuovo ordinamento fondiario3.

353

L’AMBASCIATORE A pIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 361. Pietroburgo, 8 maggio 1907, ore 12 (perv. ore 17,10).

Izvolskij mi ha parlato oggi ancora della questione della riduzione degli armamenti che dopo il discorso di Bülow ha preso indubbiamente una piega più rassicurante. Mi dice aver avuto notizie da Londra delle disposizioni concilianti del

2 R. 7/7, non pubblicato. 3 Allegata al presente rapporto è la seguente annotazione: «Terrò conto della delicata questio-

ne nell’approvazione dell’ordinamento fondiario. A Addis Abeba». 353 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

Governo inglese. Egli confida che dopo le dichiarazioni di V.E. alla Camera2 riesca ancora possibile trovare una formula che con bel garbo sotterri definitivamente la questione. L’Italia o la Francia o le due insieme gli sembrerebbero particolarmente indicate ad un tale compito.

352 1 Non pubblicato.

354

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. pERSONALE. Vienna, 8 maggio 1907.

Credo dover completare il telegramma riservatissimo n. 62 ch’ebbi l’onore di dirigere all’E.V. il 6 corrente1, relativamente al colloquio da me avuto col barone d’Aehrenthal circa il suo viaggio in Italia.

Nel ricordare al barone d’Aehrenthal la comunicazione fattagli nello scorso febbraio2 del programma di visite da lei proposto gli feci rilevare – per mostrargli come questo avesse incontrato la piena sua adesione – l’osservazione da lui fatta che, qualora S.M. l’Imperatore, per circostanze impreviste o a causa delle manovre militari, avesse dovuto lasciare Ischl il 27 o il 28 agosto, egli sarebbe stato costretto di pregare V.E. di recarsi prima in quella residenza per essere ricevuto da Sua Maestà e quindi al Semmering per fargli visita.

Il barone d’Aehrenthal mi rispose che rammentava bensì tale osservazione, ma che era nella persuasione che egli avesse dovuto recarsi, nel venire in Italia, dapprima a Racconigi, per chiedere udienza a S.M. il Re e di là a Desio per farle visita. La pubblicazione quindi comparsa nel Fremdenblatt era da considerarsi come il risultato di un mero equivoco ed egli si sarebbe conformato al programma da lei proposto.

Nel farmi poi intendere che avrebbe desiderato conoscere le ragioni per le quali V.E. credeva che la sua visita a Desio dovesse precedere quella a Racconigi, aggiunse che non poteva non riconoscere anzi utile d’incontrarsi dapprima con lei, perché l’avrebbe messo meglio in grado di parlare delle cose nostre a S.M. il Re, nell’udienza che gli sarebbe piaciuto di accordargli.

Qualora l’eventualità accennata dal barone di Aehrenthal si avverasse e V.E. dovesse conseguentemente recarsi dapprima ad Ischl per presentarsi a S.M. l’Imperatore, l’opinione pubblica italiana potrebbe forse notare il procedimento differente seguito da barone d’Aehrethal nel suo viaggio in Italia ed, ignara come sarebbe delle circostanze che l’avrebbero motivato, considerarlo in modo poco favorevole,

354 1 Non rinvenuto.

2 L. confidenziale dell’11 febbraio, non pubblicata.

ritornando sui commenti già fatti dalla nostra stampa all’annunzio che la visita del ministro imperiale e reale degli affari esteri a S.M. il Re sarebbe avvenuta non in Roma, bensì a Racconigi.

V.E. giudicherà se e qual conto debbasi tenere di tale considerazione che mi permetto di sottometterle, per ogni buon fine3.

353 2 Vedi D. 348, nota 1.

355

L’INCARICATO D’AFFARI A COSTANTINOpOLI, SFORzA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATISSIMO 885/317. Costantinopoli, 9 maggio 1907 (perv. il 14).

Lo stato di estremo esaurimento del tesoro ottomano, di cui ho riferito in recenti rapporti, ha obbligato la Sublime porta a concludere il 1° corrente un nuovo prestito. Ogni cespite d’entrata essendo impegnato, salvo i fari sui cui redditi si è cercato invano finora di fare una combinazione, il Governo imperiale ha dovuto ancora una volta ricorrere agli eccedenti dei redditi concessi al Debito pubblico Ottomano e, sempre, si è diretto alla Banca ottomana la quale ha consentito a fargli un nuovo anticipo di lire turche duecentomila garantito sui detti eccedenti, con che essa ha fatto, del resto, un’ottima speculazione, impiegando il suo denaro al 7% e su una garanzia sicura, giacché i redditi concessi non fanno che aumentare costantemente.

Fra i tanti urgenti bisogni che stringono l’amministrazione turca, due urgentissimi l’hanno obbligata al nuovo imprestito: la necessità di nuovi fondi per lo Yemen ove l’ultima carta di pacificazione è tentata con l’invio di un missione; e l’obbligazione di non più oltre ritardare il pagamento degli stipendi militari e civili in Macedonia, ove il deficit non faceva, in questi ultimi mesi, che accumularsi, visto che la messa in vigore del nuovo regime doganale è stata tanto ritardata.

Col nuovo imprestito le somme fornite alla Sublime porta dalla Banca ottomana su garanzia dei «redditi concessi» son salite a oltre ottocentomila lire turche. Il che inquieta la diplomazia e la finanza germaniche le quali contavano sugli eccedenti di quei redditi per la garanzia chilometrica della seconda sezione della ferrovia di Bagdad. E per quanto non si potesse negare che al nuovo prestito la porta era obbligata da necessità impellenti, pure questo deve aver prodotto nei circoli germanici un certo senso di irritazione, a giudicarne da una corrispondenza da Costantinopoli apparsa nella Frankfurter Zeitung del 5, giunta qui ieri, ove la recente operazione consentita dal potente istituto franco-inglese, è definita «un serio attacco degli avversari della ferrovia di Bagdad contro il compimento della linea» e in cui si finisce perfino col parlare «di far alzar la visiera al Sultano e ai suoi consigliere». Qui accluso trasmetto

a V.E. la traduzione di tale articolo, la cui importanza vien tutta dal fatto che n’è autore il noto corrispondente Weiss, il quale più che un giornalista è un vero e proprio portavoce pagato dell’ambasciata germanica.

Si è perciò che l’articolo ha prodotto un viva impressione qui, ove è stato considerato come un severo avvertimento indiretto della Germania la quale vorrebbe far sentire agli uomini di Stato turchi e ai gruppi finanziari franco-inglesi ch’essa è decisa a mantenere la sua posizione privilegiata e a difendere con energia i suoi interessi minacciati dalla concorrenza anglo-francese di cui una prima manifestazione è stato il sindacato formato dalla Banca d’Inghilterra e dalla Banca ottomana di parigi per impedire che le azioni della Società delle Banchine di Costantinopoli cadano nelle mani di finanziari tedeschi (vedi mio rapporto n. 187 del 12 marzo scorso)1.

Quel che da parte germanica evidentemente si teme si è che i «redditi concessi», i cui eccedenti sono ormai impegnati in garanzie di prestiti fino al 30 giugno 1910, debbano servire ancora a nuovi anticipi al tesoro turco, allontanando sempre più, per tal modo, l’epoca in cui essi possano essere sfruttati come garanzia chilometrica per i nuovi tronchi, ormai troppo ritardati, della ferrovia di Bagdad.

Un altro giornale qui giunto oggi mi sembra offra la prova che la stessa impressione, per quanto con opposte ragioni e tendenze, si ha nel campo francese. Si legge infatti nell’autorevole Bulletin de l’étranger del Temps portante la data del 6 maggio, che i capitalisti francesi non debbono consentire alla Turchia un prestito che permettendole di offrire altre garanzie che quelle dei «redditi concessi» avrebbe «per risultato diretto o indiretto di aumentare le disponibilità che potran servire alla garanzia chilometrica di Bagdad – e per conseguenza di facilitare lo sviluppo d’un’intrapresa che si persegue all’infuori della Francia».

Sembra infatti – da confidenziali informazioni giuntemi – che il progettato futuro accordo fra i capitalisti tedeschi e il sindacato francese, rappresentato dalla Banca ottomana, per la partecipazione di questo alla costruzione e all’esercizio delle linea Conia-Bagdad si urta contro divergenze troppo essenziali, perché si possa supporre sia facile eliminarle. In sostanza, i tedeschi proporrebbero l’internazionalizzazione della linea alla condizione che la maggior parte del capitale fosse riservato al sindacato germanico, assicurando per tal modo a questo la maggioranza nel consiglio d’amministrazione. Il gruppo francese domanderebbe invece che il capitale sia sottoscritto a parti uguali fra i tedeschi, i francesi e gli inglesi e che la parte della linea compresa fra Conia e Adana fosse considerata tedesca, quella da Adana al vilaiet di Bagdad, francese, e quella dal vilaiet di Bagdad fino alla testa di linea Bassora, inglese.

È chiaro che il punto di vista francese trarrebbe seco, una volta accettato, una trasformazione completa dell’antica concezione germanica della linea di Bagdad e che non può quindi non tornare eccessivamente sgradito in Germania.

Mi permetta, sig. ministro, di aggiungere una riflessione: ed è che ove la Turchia continui – anche controvoglia, ma perché forzata dalla penuria del tesoro – in una politica finanziaria che, mentre toglie ai tedeschi le sperate garanzie chilometriche,

pone vieppiù il Sultano alla mercé del capitale francese ed inglese, ciò potrà avere un’importanza da oltrepassare quella pur grandissima della linea di Bagdad. Non vorrei osare, a proposito di un questione finanziaria e in base ad articoli di giornale, parlare dell’eventualità del diminuire dell’influenza germanica a Costantinopoli.

È argomento troppo grave perché sia praticamente utile parlarne ora – anche se potessi basarmi su alcuni fatti e indizi, che, per constarmi in modo indiscutibile, credo dover accennare all’E.V.: come il cresciuto sentimento generale di un rinnovamento d’interessi inglesi nelle cose d’Oriente, di che già riferii col rapporto succitato del 12 marzo; come il visibilmente diminuito favore del Sultano pel barone Marschall dopo l’incidente dell’imposto esilio di Feim pascià; e come i messaggi quasi quotidiani che da circa un mese si scambiano in modo riservatissimo il Sultano e l’ambasciatore di Inghilterra su questioni finanziarie. posso garantire la cosa, pur ignorando naturalmente l’argomento preciso di tali comunicazioni, circa le quali sir O’Conor che, vedendomene informato, volle tenermene parola, si limitò a dirmi: «Sto predicando al Sultano che studi le condizioni finanziarie del suo Impero e che pensi che si avvia alla bancorotta».

354 3 per la risposta vedi D. 362.

355 1 Non pubblicato.

356

L’AMBASCIATORE A pIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 331/124. Pietroburgo, 9 maggio 1907 (perv. il 20).

Quest’ambasciatore d’Inghilterra mi ha detto che il sig. Izvolskij avrebbe recentemente confidato ad un alto personaggio di cui il mio collega mi tacque il nome, che si proponeva, non appena conchiusi gli accordi coll’Inghilterra e col Giappone, di consacrare tutta la sua attività alla politica balcanica, che, più assai delle complicate e per la Russia ormai ingrate questioni asiatiche, confaceva ai suoi gusti ed alle sue competenze, e ciò al fine di cercare di rialzare nei Balcani il prestigio di quest’Impero e ridargli colà la posizione che le spetta.

Delle buone intenzioni del sig. Izvolskij non ho motivo di dubitare; resta ora soltanto ad attendere in qual modo si proponga raggiungere questi obbiettivi. È possibile che un’azione efficace e ben diretta della diplomazia russa a Costantinopoli e presso i vari Stati balcanici potrà contribuire a rialzare il prestigio della Russia e riconquistare parte almeno delle affievolite simpatie. Fintantoché, però, perdurano i suoi impegni coll’Austria-Ungheria che gli tolgono ogni vera libertà di azione, e da cui, d’altra parte, nelle presenti sue condizioni politiche, difficilmente potrà svincolarsi, è lecito dubitare che riesca a quest’Impero di riconquistare appieno la posizione primaria da esso tenuta un tempo ed a cui già da anni ha dovuto rinunziare.

357

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA

DISp. 25138/99. Roma, 11 maggio 1907.

Ho ricevuto i rapporti n. 79 e 851 in data 14 e 22 aprile scorso relativi alla costruzione di una linea ferroviaria dal Danubio all’Adriatico e alle pratiche eseguite dal ministro di Serbia presso codesto Governo per l’allacciamento delle reti rumena e serba.

Mi riferisco in proposito al rapporto del r. ambasciatore in Vienna (n. 405 in data 15 aprile) di cui trasmetto copia a V.S. illustrissima col dispaccio n. 95 dell’8 maggio scorso1.

per quanto riguarda il desiderio manifestatole dal sig. Ristich di avere l’appoggio di V.E. illustrissima presso codesto Governo nelle trattative che sta per intraprendere, stimo che sarebbe forse più opportuno di attendere, prima di far appositi uffici costì in tal senso, di conoscere con precisione quali siano sull’argomento le possibili intenzioni del Governo rumeno.

Tuttavia, ogni qual volta se ne presenti l’occasione ovvia e spontanea, la S.V. illustrissima potrà esprimersi su questo argomento, tanto coi suoi colleghi che ne la intrattenessero quanto con codesto Governo, in termini generali di simpatia per l’effettuazione del progetto in parola, tenendo presente che ogni iniziativa tendente ad agevolare le comunicazioni tra l’Adriatico il Danubio e il Mar Nero, interessa in modo speciale il R. Governo.

La informo intanto ad ogni buon fine in relazione a quanto mi chiede circa le istruzioni date ai rappresentanti d’Italia e d’Inghilterra in Costantinopoli, che, per quanto ci concerne, quel r. ambasciatore fu da me autorizzato a scambiare in proposito le sue idee col suo collega d’Inghilterra, quando questi di tale scambio prendesse l’iniziativa. Non mi consta però che la r. ambasciata abbia fino ad ora avuto occasione di dare pratico effetto a quelle istruzioni.

358

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 44/7. Addis Abeba, 15 maggio 1907 (perv. il 16 giugno).

Ho l’onore di rispondere al dispaccio di V.E. n. 13956 relativo alle notizie che circolano in Abissinia, contro gli italiani1.

358 1 Vedi D. 304.

Dalle indagini fatte mi sono convinto che le voci e le prevenzioni di possibili e prossime ostilità fra Italia ed Etiopia provengono unicamente dal Tigrè, ove gran parte dei capi malcontenti dell’attuale stato di cose seminano e fomentano ad arte notizie e rancori, e cercano di provocare incidenti che possano turbare la quiete attuale, e procurare ad essi il modo di rivendicare pretesi diritti ed appagare il loro istinto di ambizione e di preda.

Tali voci portate ad Addis Abeba servono a sollecitare presso il Negus grazie e favori e specialmente ad ottenere da lui armi e munizioni, o a soddisfare aspirazioni e vendette personali, accusando qualche capo prossimo alla frontiera di avere con noi relazioni sospette nella speranza di sostituirlo.

Io non credo che tali voci e prevenzioni siano maggiori oggi che negli anni passati susseguenti alla guerra, e siano sincere e generate da qualche nostro provvedimento od atteggiamento; ma essendo invece indubbiamente maggiore il malcontento contro il Governo del Negus per parte dei capi, specialmente tigrini, e delle popolazioni costrette ad una lunga pace che le priva del bottino e le obbliga per poter vivere ad un lavoro al quale non erano abituate, esse accusano naturalmente gli europei di questo stato di cose, ed attribuiscono a noi quelle minacce che forse qualcuno fra i più turbolenti capi tigrini vorrebbe vedere realizzate.

Non credo neppure che di esse si debba in alcun modo essere preoccupati, poiché le relazioni fra i due Governi improntate alle più cordiali ed amichevoli intenzioni danno sufficiente garanzia che nessun incidente deriverà da tali voci che vengono accolte con evidente incredulità al Ghebì imperiale, e non hanno neppure intralciato la nostra azione commerciale in Etiopia; e d’altra parte non conviene nemmeno che i capi tigrini facciano troppa fidanza su di una eccessiva ostentazione dei nostri sentimenti di pace che essi interpreterebbero come debolezza.

Circa alla possibilità che altri abbia inteso valersi di queste voci ed aumentare la diffidenza verso di noi fino al punto di creare una situazione tale che renda indispensabile una pronta soluzione della questione etiopica, io non posso esprimere un mio parere; data però l’attuale situazione generale, il recente accordo fra le tre potenze e le evenienze che non possono tardare troppo a presentarsi, non credo che alcuno possa avere qualche interesse a precipitare le cose.

Anche in Addis Abeba è effettivamente giunto l’eco del malcontento che avrebbe provocato in Eritrea il provvedimento relativo alla indemaniazione delle terre, ed ho cercato di dimostrare al Negus come esso sia inspirato a sensi di giustizia e di buon governo; ma non ho voluto dare alle mie parole alcun carattere di giustificazione del provvedimento preso dal Governo della Colonia, per non incoraggiare Menelik nell’atteggiamento di protettore o rivendicatore degli interessi degli indigeni dell’Eritrea che egli non è alieno qualche volta di attribuirsi2.

debbono provare a Menelik che si tratta di chiacchiere malevoli. A Asmara. A Londra». per il seguito vedi D. 374. per la risposta vedi D. 395.

357 1 Non pubblicati.

358 2 Allegata al presente rapporto è la seguente annotazione: «Approvare. Stia vigile. I fatti

359

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1019/67. Vienna, 17 maggio 1907, ore 18,40.

Barone Aehrenthal mi ha detto oggi che aveva letto col più vivo interesse importante discorso da V.E. pronunziato Camera dei deputati1 e che aveva accolto colla maggiore, sincera soddisfazione esplicite dichiarazioni di lei circa completa concordanza vedute due Governi sulle questioni interessanti rispettivi paesi. Ha soggiunto che aveva già fatto pervenire a V.E. sue congratulazioni e mi ha letto telegramma da lui diretto al riguardo al conte Lützow.

360

L’AMBASCIATORE A pIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1052/40. Pietroburgo, 22 maggio 1907, ore 17,14.

Izvolskij che vidi oggi, si mostrò soddisfatto delle dichiarazioni fatte alla Camera dei deputati sulla questione delle riduzione degli armamenti1, ma riconosceva che esse non modificano gran fatta attuale situazione delle cose. Egli spera tuttora che il Governo inglese desista all’ultimo momento dai suoi propositi, ma teme che la questione possa ancora venire sollevata nella conferenza dagli Stati Uniti d’America.

361

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENzIALE pERSONALE1. Vienna, 22 maggio 1907.

Da persona di fiducia che intrattiene frequenti rapporti con questi circoli politici mi è stata riferita, in via confidenziale, la notizia che si starebbe qui ventilando il progetto di un accordo fra la Germania, l’Austria-Ungheria e la Russia, riguardante le province europee ed asiatiche dell’Impero Ottomano, al quale si cercherebbe di far associare la Francia, quale alleata della Russia.

360 1 Vedi D. 348, nota 1. 361 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto e privo dell’indicazione della data di arrivo.

L’accordo di cui si tratta dovrebbe mirare a far partecipare maggiormente alle questioni balcaniche la Germania e la Francia e ad accordare a quest’ultima potenza una parte maggiore in quelle asiatiche coll’ammetterla, qualora consentisse a prestare il suo concorso finanziario alla ferrovia di Bagdad, al parziale controllo della ferrovia stessa e di assicurarle, in pari tempo, la condiscendenza della Germania nel Marocco col lasciarle una più grande libertà d’azione nell’Impero.

Ma il fine vero cui si mirerebbe collo stipulare tale accordo sarebbe quello di promuovere, da un lato, un riavvicinamento fra la Germania e la Francia, distaccando, possibilmente, la Francia dall’Inghilterra e d’impedire, dall’altro, le eventuali intese che potessero intervenire tra questa potenza e la Russia in vista di un miglioramento dei loro reciproci rapporti.

Questo accordo, dal quale sarebbero escluse l’Italia e l’Inghilterra, non sarebbe in fondo che la ricostituzione dell’alleanza dei tre Imperi coll’ammissione alla medesima della Francia. Esso sarebbe stato concepito a Berlino e la sua esecuzione verrebbe affidata all’Austria-Ungheria. Trattative sarebbero in corso in questo momento, tra Vienna e pietroburgo per indurre il sig. Izvolskij a prendervi parte, ma alcuna entratura al riguardo non venne però iniziata finora a parigi.

La notizia di tale accordo sembra così arrischiata, specialmente per gli scopi reconditi che gli si attribuiscono, che non può che essere accolta con beneficio d’inventario, nonostante la fonte autorevole da cui sarebbe stata attinta dalla persona suddetta.

È certamente nell’interesse della Germania di attenuare, non solo, gli attriti che potrebbero sorgere nei suoi rapporti colla Francia, ma anche di migliorare man mano questi rapporti stessi per addivenire, col tempo, a quel riavvicinamento che è uno degli scopi della sua politica.

Sebbene questo riavvicinamento non abbia probabilità di essere raggiunto nel momento attuale – l’idea di esso non essendosi ancora maturata nell’opinione pubblica francese, memore degli eventi del 1870 – un miglioramento nei rapporti di entrambi i paesi potrebbe infatti effettuarsi se la Germania lasciasse maggior libertà d’azione alla Francia nel Marocco, evitando d’intralciare in avvenire l’opera riformatrice che essa ha colà intrapreso d’accordo colle potenze.

Data l’inquietudine che destano nel barone di Aehrenthal gli attuali rapporti fra la Francia e la Germania, nonché le tendenze favorevoli a quel miglioramento che si manifestano in quest’ultimo paese, non è improbabile ch’egli abbia l’intenzione di tentare di adoperarsi in tal senso, agendo direttamente a Berlino ed indirettamente a parigi giovandosi del concorso della Russia e questa supposizione sarebbe confortata da quanto il barone d’Aehrenthal stesso disse al mio collega di Russia e che riferii all’E.V. colla mia lettera particolare del 9 corrente2.

Ma sarebbe una mera congettura il dedurre da tali tentativi che, col migliorare i rapporti tra la Germania e la Francia, si voglia mirare a distaccare questa potenza dalla Inghilterra, giacché l’Austria-Ungheria e la Germania non possono ignorare che la Francia, la quale non perse tempo né fatica per concludere coll’Inghilterra gli accordi coloniali che ristabilirono l’antica amicizia tra entrambi i paesi, non sarebbe disposta a

venire meno a quegli accordi stessi, che le assicurano una base solida per sostituirli con altro accordo che non le offrirebbe uguali vantaggi né uguale sicurezza.

Né è da presumere che a siffatto accordo essa si lascerebbe indurre neanche al prezzo di un’occupazione del Marocco, quell’Impero essendo destinato, nel pensiero della Francia, a completare i suoi possedimenti africani solo per necessità di cose e coll’andare del tempo e non già per i buoni uffici della Germania.

Quanto ad un’alleanza tra i tre Imperi, essa non sembra avere probabilità di essere rinnovata, siccome ebbi a far conoscere all’E.V. coll’anteriore mia corrispondenza, che nel caso in cui la Russia rinunciasse alla sua alleanza colla Francia e finché il Trono non fosse colà minacciato dall’invadente democrazia sociale.

Quantunque l’alleanza fra la Russia e la Francia sia tuttora fiorente, è da domandarsi se converrebbe alla Russia, nonostante i pericoli a cui sarebbero esposte ora le basi della Monarchia ed ove un miglioramento avvenisse nei rapporti tra la Francia e la Germania, a rinnovare l’alleanza fra i due Imperi, accettando di cooperare con loro agli scopi che si prefiggono se questi fossero, come pare, in opposizione alla linea di condotta che le è consigliata dai suoi interessi e dalle condizioni sue interne, intesa ad attenuare ogni attrito eventuale colla Inghilterra per stringere, all’evenienza, con questa, gli accordi che devono servire di garanzia ai suoi possedimenti nell’Estremo Oriente.

Non v’ha dubbio che nell’interesse della stabilità del Trono un’alleanza tra i tre Imperi sarebbe vista di buon occhio dall’imperatore Francesco Giuseppe, che desidera che maggiori legami si stringano non solo tra essi, ma anche fra i vari Stati monarchici per porre un argine all’invasione delle idee radicali e socialiste.

Ricorderò a questo proposito che il barone d’Aehrenthal, nella prima visita da esso fattami, dopo aver assunto la direzione del Ministero degli affari esteri, accennava anche a tale punto di vista per dimostrarmi la necessità di rendere anche più intimi i nostri reciproci rapporti. E d’altra parte è noto come egli sia stato sempre considerato durante la sua missione a pietroburgo quale caldo fautore d’un’alleanza colla Russia e, a quanto si afferma, avrebbe anzi agito in tal senso presso il conte Goluchowski. La sua presenza quindi al Ballplatz, che ha avuto per conseguenza di rendere le relazioni tra l’Austria-Ungheria e la Russia più fiduciose che per l’innanzi, potrebbe forse far supporre ch’egli fosse disposto ad attuare questa sua idea.

Ma pur ammettendo che il progetto di un’alleanza tra i tre Imperi, coll’accessione alla medesima della Francia, sia stata ventilata a Berlino ed a Vienna, sarebbe, mi sembra, da escludersi, per le ragioni sopra esposte, ch’essa possa aver gli intenti reconditi che le si attribuiscono, di distaccare, cioè, la Francia dall’Inghilterra e di impedire un miglioramento di rapporti tra questa potenza e la Russia.

Si comprende che la Germania voglia premunirsi contro le eventualità che potrebbero sorgere in avvenire da parte dell’Inghilterra e rialzare, in pari tempo, il suo prestigio di fronte all’opinione pubblica dell’Impero in cui, nonostante le ripetute dichiarazioni ufficiali, perdura tuttora un certo disagio ed il sentimento latente, che prima manifestavasi apertamente, del proprio isolamento in Europa.

È vero altresì che il barone d’Aehrenthal si mostra talvolta infastidito dell’atteggiamento assunto dall’Inghilterra nelle questioni balcaniche e degli impicci che, a suo parere, creerebbe all’opera delle riforme, nonché dell’azione esercitata in Macedonia dai comitati balcanici inglesi.

Ma queste ragioni non possono indurre la Germania e l’Austria-Ungheria a prendere l’iniziativa di un accordo che potrebbe provocare, col distruggere l’equilibrio attuale in Europa, le più gravi complicazioni, mentre i loro sforzi sono diretti ad eliminarle, e condurre, conseguentemente, coll’esclusione dell’Italia dal medesimo, alla rottura della Triplice Alleanza, la quale è da loro riconosciuta come necessaria al mantenimento dell’equilibrio stesso.

Date queste premesse non si può quindi che dubitare, fino a prova del contrario, del fondamento della notizia dell’accordo in questione, almeno per ciò che riguarda gli estremi dell’azione attribuita alle due potenze suddette, e se le trattative, che mi risulta esistono di presente tra il barone d’Aehrenthal ed il principe Ourousoff, di cui ignoro per ora lo scopo, avessero realmente per oggetto quell’accordo stesso, non si potrebbe, del pari, che dubitare del loro esito favorevole.

Comunque sia, credo mio debito di comunicare tale notizia all’E.V. con tutta riserva, non senza accompagnarla dalla considerazione che dal suo esame mi sono suggerite, tanto più che mi consta ch’essa è stata comunicata altresì dal mio collega d’Inghilterra a sir Edward Grey.

Non mancherò di continuare le mie indagini, in via confidenziale, per venire a fondo della cosa e mi farò premura di far conoscere all’E.V. le ulteriori informazioni che mi sarà dato di raccogliere al riguardo3.

359 1 Vedi D. 348, nota 1.

361 2 Non pubblicata.

362

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

L. pERSONALE. Roma, 27 maggio 1907.

Ho ricevuto il suo telegramma del 61 e la sua lettera particolare dell’8 corrente2. Le ragioni per le quali io desidererei che il barone di Aehrenthal venisse a Desio

prima, e a Racconigi poi, sono appunto quelle da lui indicate e da V.E. riferitemi. Mi sembra assai utile che, prima di parlare con Sua Maestà e per poter esprimere più liberamente e sicuramente il suo pensiero, egli abbia avuto con me una conversazione su tutte le questioni che interessano la politica estera dei nostri due paesi. Alla stessa guisa, ravviserei opportuno che la mia visita al barone di Aehrenthal al Semmering precedesse l’udienza che mi sarà accordata ad Ischl da S.M. l’Imperatore, tenendo conto della circostanza, accennatami nella sua lettera, circa la probabile data di partenza dell’Imperatore per le manovre militari.

anche se a questo piano può riferirsi il contegno favorevole alla Francia assunto inaspettatamente a Tangeri dal ministro austriaco. Su quest’ultimo punto si scriva anche ad Avarna accusandogli ricevuta del rapporto». per il seguito vedi D. 386.

2 Vedi D. 354.

Si potrebbe dunque stabilire, per il progettato scambio di visite, i giorni seguente: il barone di Aehrenthal verrebbe il 14 luglio a Desio, il 16 luglio a Racconigi; dal canto mio, mi troverei al Semmering il 22 agosto, e ad Ischl il successivo 25. Ove queste date fossero approvate dal barone, esse rimarrebbero fin d’ora definitivamente fissate. prego quindi V.E. di volermi rispondere in proposito3.

361 3 Allegata alla lettera è la seguente annotazioni di Tittoni: «Inviare copia per corriere, riservatissima, agli ambasciatori a Berlino, parigi, Londra e pietroburgo per caute e riservate indagini. Vedano

362 1 Vedi D. 354, nota 1.

363

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOpOLI, IMpERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1124/74. Pera, 1° giugno 1907, ore 21,15.

Ricevuto ieri dal Sultano. Dopo aver trasmesso amichevoli messaggi di S.M. il Re, rinnovai, a nome di V.E. precedenti dichiarazioni circa ferma intenzione del Governo di Sua Maestà di mantenere e sviluppare ottime relazioni italo-turche. politica italiana, dissi, chiara, limpida quale cristallo, resta immutata, basata come fu ed è tuttora oggi mantenimento dello status quo integrità dell’Impero ottomano.

Mie dichiarazioni produssero eccellente impressione. Sultano mi ringraziò vivamente; si disse lieto di constatare che la cordialità ed intimità delle relazioni fra i due paesi in questi ultimi tempi è andata sempre crescendo.

S.M. Imperiale menzionò recenti discorsi di V.E. alla Camera dei deputati1 e se ne mostrò compiaciuta, assicurandomi confidare più che mai nella buona fedele amicizia del Re e del Governo italiano. Annunziai poscia prossima visita ammiraglio, esprimendo la fiducia che in essa il Sultano ravvisi il desiderio del Governo del Re di fargli cosa gradita, e tangibile dimostrazione delle eccellenti relazioni fra i due paesi. Replicò il Sultano la visita giungergli oltremodo cara ad accetta: egli è sinceramente grato a S.M. il Re ed al Governo. Ammiraglio sarà da lui ricevuto col massimo piacere e riceverà cordiale accoglienza, non solo qui, ma anche in tutti i porti ottomani toccati dalla squadra. Gran vizir, che ho veduto testé, mi ha confermato ottima impressione prodotta dalle mie dichiarazioni, non che dall’annunzio della visita dell’ammiraglio. Il linguaggio di S.A. mi dà motivo di ritenere che essa giungerà molto a proposito e varrà a dissipare qualsiasi traccia del leggero malumore indubbiamente qui sorto dopo la visita ad Atene.

363 1 Vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1904-1907, vol. 11, tornata del

15 maggio 1907, pp. 14160-14162.

362 3 per il seguito vedi D. 369.

364

L’INCARICATO D’AFFARI A pECHINO, BORGHESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1172/17. Pechino, 6 giugno 1907, ore 15,30.

Nostra missione Honan occidentale fatta oggetto serie vessazioni autorità locali con palese violazione trattati. Malgrado pratiche energiche questa r. legazione, questo ministro degli affari esteri trascura tranquillamente questioni, con grave danno prestigio e missione.

prego V.E., qualora creda opportuno, fare serie ed energiche rimostranze presso codesto ministro di Cina altre questioni; […]1 Grassi, vertenza pallavicini, indennità piviotti, ancora sospese, malvolere evidente questo Governo trattazione affari in generale. prego di autorizzarmi esprimere questo ministro degli affari esteri malcontento Governo del Re2.

365

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOpOLI, IMpERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1055/393. Therapia, 8 giugno 1907 (perv. il 18).

Il ministro di Germania a Bukarest, incaricato, come è noto all’E.V., di dirigere l’ambasciata imperiale durante la prolungata assenza del barone Marschall, giunto a Costantinopoli la settimana passata, fu, trascorsi pochi giorni dopo l’arrivo, ammesso domenica scorsa [il 2], a presentare le sue lettere credenziali a S.M.I. il Sultano.

Il sig. von Kiderlen venne ricevuto con onori affatto speciali. Il cerimoniale seguìto si discostava di molto da quello usato di solito nei ricevimenti degli inviati straordinari e si accostava, invece, assai più a quello stabilito per le udienze solenni degli ambasciatori.

Inoltre, contrariamente ai precedenti di questi ultimi anni, il Sultano dette la sera stessa, in onore dell’inviato dell’Imperatore e Re un gran pranzo di gala, cui furono invitati i ministri e le alte cariche di corte.

Gl’insoliti onori resi al rappresentante interinario della Germania hanno, com’è ben naturale, dato luogo ad osservazioni e commenti. In via incidentale, aggiungerò, pure che essi hanno cagionato alquanto leggero risentimento all’ambasciatore austroungarico, che dovette attendere quasi tre settimane prima di presentare le sue lettere, ed in onore del quale un pranzo di gala verrà dato solo sabato prossimo [il 15].

2 per la risposta vedi D. 378.

Il ricevimento del sig. von Kiderlen mi porge l’occasione di intrattenere l’E.V. di un argomento assai più importante, ossia dello stato presente delle relazioni tra la Germania e la Turchia.

Al mio ritorno al posto, sono stato colpito dalla insistenza delle voci che qui circolavano relativamente al raffreddamento delle relazioni germano-turche, alla tramontata influenza germanica a palazzo, alla cattiva piega presa dagli affari tedeschi e, per contro, ad un sensibile risveglio dell’influenza inglese, verso la quale si dovrebbe, d’ora in poi, di preferenza, orientare la politica del Sultano.

Assunte sul delicato argomento informazioni a svariate, ma sicure sorgenti, credo di essere ora in grado di riferire all’E.V. la mia impressione, che ritengo rispecchi fedelmente la situazione.

Le voci corse sono di molto esagerate, ma non possono dirsi assolutamente prive di fondamento.

per quanto concerne direttamente il Sultano, conviene distinguere, anzitutto, le sue disposizioni per l’Imperatore e l’Impero germanico, dai suoi sentimenti di maggiore o minore benevolenza per la persona dell’ambasciatore.

Verso il barone Marschall, sembra ormai assodato che le simpatie del Sultano, per motivi di varia indole, segnatamente a causa dell’energico atteggiamento assunto da S.E. nell’incidente di Fehim pascià, si son venute sensibilmente attenuando, per non dire che siano svanite addirittura. Mi è stato, in proposito, riferito da chi può saperlo, che quando fu noto che il barone Marschall sarebbe stato per molti mesi assente da Costantinopoli e che la direzione all’ambasciata verrebbe in frattempo affidata ad un inviato speciale con lettere credenziali di ministro plenipotenziario, vi fu a palazzo una vera esplosione di gioia. I cortigiani – e non certo l’avrebbero osato se non fossero stati ben sicuri d’interpretare i veri sentimenti del Sovrano – fecero circolare la voce che la partenza del barone Marschall mascherava un richiamo definitivo, e che la missione del sig. von Kiderlen da temporanea si sarebbe poi trasformata in permanente.

Non è improbabile – secondo mi si è fatto osservare – che, con gli insoliti onori tributati al sig. Kiderlen, il Sultano abbia avuto il doppio scopo di dare, da un lato, tangibile prova degli immutati suoi sentimenti per la Germania, e di fare sentire, ad un tempo, indirettamente che la eventuale designazione dello stesso Kiderlen a successore del barone Marschall gli riescirebbe gradita.

Che i sentimenti personali del Sultano verso l’Imperatore e il suo Governo sieno immutati, e che, nelle direttive generali della politica ottomana, l’amicizia tedesca continui a costituire un fattore importantissimo, è cosa che nessuna persona seria ed autorevole qui mette in dubbio. A parte i sentimenti di cordiale amicizia e di profonda e vivissima ammirazione professata da S.M. Imperiale per la persona dell’Imperatore, va tenuto il debito conto della circostanza che la politica germanofila è stato proprio il Sultano a volerla, malgrado le opposizioni e le difficoltà sollevate da alti e influenti personaggi, e la più che scarsa simpatia che quella politica ha sempre incontrato presso il grosso pubblico musulmano. Non ho, per provare il mio asserto, che a ricordare le dichiarazioni fattemi spontaneamente dal Sultano, e da me riferite a suo tempo all’E.V. (vedi rapporto n. 935, 31 dicembre 1906)1.

Sembra, stando così le cose, poco verosimile che S.M. Imperiale si decida ad un tratto a mutare in modo radicale l’orientamento alla politica dell’Impero, rischiando, con ciò non solo di attirarsi, da un lato, il corruccio della potentissima Germania, ma di proclamare anche, di fronte ai suoi sudditi, la bancarotta di una politica da lui personalmente caldeggiata e per tanti anni imposta.

pur volendo conservare saldi e cordiali i rapporti d’amicizia con la Germania, non è men vero, però, che in questi ultimi tempi e questo Sovrano ed i suoi migliori e più illuminati consiglieri si sono preoccupati della freddezza delle relazioni con l’Inghilterra e dell’interesse che presenterebbe per l’Impero di migliorarle, ridando loro l’antica e tradizionale cordialità.

La determinazione presa dal Sultano, ad onta di tutte le diffidenze solidamente radicate nell’animo suo contro l’Inghilterra – diffidenze che, data l’indole di lui, non credo si potranno mai del tutto dissipare – si spiega col fatto che a S.M. Imperiale ha cagionato una profonda impressione l’atteggiamento energico, e risoluto assunto dal Governo britannico in questa recente fase delle riforme in Macedonia, e segnatamente in occasione della concessione del 3%. Non poteva qui sfuggire il fatto ammesso e riconosciuto da tutti che l’Inghilterra ha saputo imporre la sua volontà alle altre potenze, le quali tutte – compresa la Germania – hanno dovuto acconciarvisi anche nei più minuti particolari. Donde il Sultano, di cui la mentalità non si perde in sottili disquisizioni politiche, ha tratto la conseguenza che l’Inghilterra, intimamente legata alla Francia dalla Entente cordiale ed in via di intendersi anche con la Russia, è attualmente più potente della Germania, e che per tanto non conviene alla Turchia di averla nemica.

L’ambasciatore britannico, dal canto suo, ha anche attenuato il contegno rigido assunto fin dall’inizio della sua missione, e in più di un’occasione deve, a quanto sembra, avere dato affidamento sul fermo proposito del suo Governo di mantenere ad ogni costo lo statu quo e l’integrità dell’Impero ottomano. Né sono mancati in questo senso consigli ed esortazioni da parte dell’ambasciatore di Francia, il quale all’ora presente, e per motivi varii che mi riservo di riferire in via particolare all’E.V.2, è riuscito a riguadagnarsi le buone grazie del Sultano.

Dall’insieme di quanto le sono venuto narrando, parmi, sig. ministro, possa tirarsi la seguente conclusione che rappresenta, a mio modesto parere, la nota giusta circa la situazione presente dei rapporti fra la Turchia, la Germania e l’Inghilterra.

Le relazioni germano-turche restano siccome erano, intime e cordiali. L’influenza germanica ha sempre peso ed importanza a palazzo; essa però non si potrebbe oggi qualificare di più assolutamente preponderante e dirimente, come lo è stata negli ultimi anni. In altri termini quando, in avvenire, i tedeschi vorranno sollecitare nuove concessioni ed assicurarsi brillanti affari, non basterà più per essi il seminare, prima danari per corrompere funzionari ed invocare, poi l’appoggio e le pressioni dell’ambasciatore. Converrà, invece, fare pure i conti con la influenza inglese, la quale, spalleggiata da quella francese, e forse anche, alquanto più in sordina, da quella russa, sarà perfettamente capace di rendere vani i loro sforzi e mandare a monte qualche novello affare di cui i vantaggi e benefici assicurati all’industria, al commercio e alla finanza germanica, non compensino a sufficienza i vantaggi derivanti alla Turchia.

«L’epoca degli affari loschi», mi diceva recentemente il mio collega britannico «delle concessioni disoneste ottenute mediante la connivenza di corrotti funzionari, della spedizione, dell’impoverimento graduale di quest’Impero, deve assolutamente cessare. Noi abbiamo qui interesse a mantenere in piedi questo Impero, ad infondergli vigore, ad aiutarlo moralmente ed economicamente. Ed a ciò non mancheremo di vegliare». Le parole del mio collega, che rivelano la tendenza attualmente prevalente al Foreign Office riguardo la Turchia, confermano pienamente le informazioni ch’io ebbi l’onore di dare all’E.V. fino dal mese di febbraio, col telegramma n. 273 nel quale annunziavo l’intervento diretto del Governo presso la Banca d’Inghilterra allo scopo di caldeggiare l’affare, successivamente conchiusosi, dell’acquisto della metà delle azioni della Société des Quais de Constantinople, e la trasformazione di quella compagnia da francese in franco-inglese.

E non sarei sorpreso se altri affari di simile genere, promossi e caldeggiati dall’Inghilterra in pieno accordo con la Francia, avessero, in un avvenire più o meno prossimo, a concludersi, volenti o nolenti i tedeschi.

Tutto ciò non è che la conseguenza della rivalità economico-politica anglo-germanica, la quale accenna ora a stabilirsi anche in Levante.

364 1 Gruppo indecifrato.

365 1 Non pubblicato.

365 2 Non rinvenuto.

366

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO,

E ALL’INCARICATO D’AFFARI A pARIGI, ALIOTTI

T. 955. Roma, 10 giugno 1907, ore 16,20.

Colli telegrafa: «Ho ragione di credere che ministro di Francia, nelle trattative col Negus, per questione ferrovia Gibuti, sosterrà diritti compagnia concessionaria, esigere tariffa 10% sulle merci in entrata ed uscita dall’Etiopia, secondo termini concessione; e per parte di Menelik di imporre uguale tariffa in più dei diritti di dogana a tutte le altre merci che entrano ed escono dall’Etiopia per qualsiasi altra strada. Nel caso si verificasse questa supposizione, prego V.E. di darmi istruzioni in proposito»1. «Rappresentante capitalisti inglesi interessati ferrovia Gibuti ha posto sequestro tratto sessanta chilometri ferrovia e stazione capolinea»2.

Secondo l’art. 10 dell’accordo 13 dicembre 1906, i rappresentanti delle tre potenze in Addis Abeba dovendosi tenere reciprocamente informati di ogni cosa di comune interesse è necessario che anche la presente questione non sia portata innanzi a Menelik se prima non vi sia l’accordo tra di essi. Ora se Menelik accettasse la soluzione attribuita al rappresentante francese, sarebbe l’Eritrea a soffrirne il maggior danno, mentre è

366 1 T. 1164/57 del 4 giugno, trasmesso da Asmara il 5.

2 T. 1176/59 del 6 giugno, trasmesso da Asmara il 7.

noto che il commercio che passa per l’Eritrea non fa concorrenza alla ferrovia Gibuti. Noi siamo in massima contrari ad un rincrudimento dell’attuale già vessatorio regime doganale etiopico, ciò che avverrebbe in modo enorme se Menelik, oltre che consentire secondo la Convenzione del 1894 il prelevamento del 10% sulle mercanzie che passano per Harrar Dire Daua, estendesse il provvedimento a tutte le altre vie. D’altra parte, una modificazione di tariffa doganale che Menelik introducesse nel senso della proposta francese, toccherebbe la essenza del nostro trattato di commercio e modificherebbe lo statu quo a nostro danno. È quindi una grave questione che deve essere sotto ogni riguardo trattata di comune accordo prima di essere presentata a Menelik.

(Per Londra) prego V.E. di comunicare tutto ciò a sir E. Grey, che credo consenziente, e di chiedergli che siano date opportune istruzioni al rappresentante inglese in Addis Abeba.

(Per Parigi) Riferendomi rapporto conte Tornielli, 20 gennaio n. 723, prego la S.V. di comunicare tutto ciò al sig. pichon interessandolo a dare opportune istruzioni al rappresentante francese in Etiopia, e al sig. Cambon a Londra, affinché la questione sia trattata secondo i reciproci interessi.

(Per tutti e due) Dico a V.E. confidenzialmente che anche applicazioni dazio 10% alle sole merci transitanti per Harrar Dire Daua, nuocerebbe al commercio delle cotonate italiane che appunto ora combattono con buon risultato concorrenza americana sulla linea di Gibuti Dire Daua4.

365 3 T. 310/27 del 4 febbraio, non pubblicato.

367

L’AMBASCIATORE A pIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 396/146. Pietroburgo, 10 giugno 1907 (perv. il 18).

Ad uno degli ultimi ricevimenti del Corpo diplomatico, avendo io chiesto al sig. Izvolskij quale accoglienza fosse stata qui fatta alle trattative presentemente in corso fra la Francia ed il Giappone, in vista della combinazione di un accordo, ne ebbi per risposta che la Russia, venuta come era a proseguire in Asia una politica di raccoglimento, non poteva far che buon viso ad ogni stipulazione internazionale che, come quelle di cui parlavo, aveva esclusivamente per scopo di garantire lo statu quo e la pace nell’Estremo Oriente.

In quest’occasione il sig. Izvolskij si fece a parlarmi a lungo della situazione creata nell’Estremo Oriente dall’ultima guerra di cui le potenze estere avrebbero motivo di seriamente preoccuparsi fin d’ora. Ad onta di quanto vien spesso affermato,

4 Con T. 1218 del 13 giugno, Tornielli comunicò una dichiarazione di pichon, secondo la quale

la questione non poteva essere risolta, se prima non fosse intervenuto l’accordo fra le potenze firmatarie dell’Accordo tripartito. per la risposta da Londra vedi D. 373.

essere la politica conquistatrice del Giappone anzitutto dovuta a motivi d’ordine economico ed allo scopo di procurare ad un paese povero e sovrabbondante di popolazione nuove fonti di ricchezza e nuovi sfoghi alla sua corrente migratoria, egli credeva fermamente non essere il Giappone uno stato colonizzatore, come lo attestano del resto le medesime cifre della sua emigrazione, né avere altra mira se non quella di stabilire solidamente la sua supremazia politica sul continente asiatico. Esso tenderà ora indubbiamente a porre l’Impero cinese sotto la sua assoluta dipendenza, eliminando poco a poco l’influenza e la concorrenza economica delle altre potenze. Non rifuggirà davanti a nessun mezzo per raggiungere questo obbiettivo, provocando anche al bisogno, solo se lo crede necessario alla sua politica, agitazioni e disordini. E le potenze le quali tanto appoggiarono l’azione politica del Giappone che condusse all’ultima guerra, che così calorosamente plaudirono alle disfatte della Russia, s’accorgeranno allora, ma troppo tardi, dell’errore commesso, cui non sarà ormai più possibile portare rimedio. Tutto il peso della spedizione chinese del 1900, la quale non fu in fondo per le altre potenze che una passeggiata militare, gravò esclusivamente sulle spalle del Giappone e della Russia, alla cui azione devesi esclusivamente se l’insurrezione poté venir domata e la China riaperta senza che ne fossero compromessi la posizione e gli interessi degli altri Stati. Di questo grande servizio reso alla civiltà, la Russia non ha raccolto che disillusioni e sciagure. Qualora un movimento consimile a quello del 1900 avesse a rinnovarsi in China – dicevami il sig. Izvolskij – e quando, a quel momento, avesse ancora l’onore di dirigere la politica estera di quest’Impero, egli sarebbesi opposto con tutte le sue forze ad un nuovo intervento della Russia, la quale colla sua immensa frontiera siberiana e del Turkestan, è anzitutto interessata a mantenersi colla popolazione chinese in relazioni di buon vicinato. Spetterebbe allora alle potenze di vedere coi propri mezzi di tirarsi dal difficile passo, e difendersi contro l’invadenza del Giappone, il quale da quella insurrezione, forse da esso stesso ad arte provocata, si studierà indubbiamente di ritrarre per sé il maggiore possibile vantaggio.

Questo sfogo del sig. Izvolskij, che parmi rispecchiare abbastanza bene le idee dominanti nelle sfere che circondano l’Imperatore, ed ove al penoso ricordo delle patite sconfitte si accoppia un malcelato risentimento contro quelle potenze che secondarono l’azione giapponese, va sotto molti punti soggetto a cauzione. In gran parte poco convincenti sembranmi le sue argomentazioni circa gli scopi puramente politici della azione giapponese, mentre è accertato che pure impellenti ragioni di carattere economico spingono il Giappone ad una politica di espansione; ed ingiustificate pure ed alquanto esagerate appaiono le sue querimonie sui grandi servizi resi dalla Russia all’Europa all’epoca dell’insurrezione dei boxers, e sull’ingratitudine da quest’ultima dimostrata.

Di tutte le potenze fu difatti incontrastabilmente la Russia che da molti chinesi del 1900 ebbe il maggior vantaggio, fu anzi per la ragione di averne voluto trarre troppi profitti e coll’annessione di port-Arturo e la prolungata occupazione della Manciuria che essa attirò sul suo capo la sciagurata guerra del 1904. più ancora obbiettabile parmi poi finalmente la minaccia del non intervento per parte della Russia nel caso di nuove complicazioni interne in China, giacché non mancai di farlo osservare al sig. Izvolskij, la protezione di quegli stessi interessi di paese limitrofo da lui poc’anzi invocati non permetterebbe alla Russia di assistere indifferente ed inoperosa a nuovi moti rivoluzionari in China, che assumerebbe molto probabilmente un

carattere sovversivo, ed in ogni caso come sempre avviene in China, antiforestiero, senza contare poi che essa farebbe così il giuoco del Giappone, a cui questa astensione, questo disinteressamento della Russia, non potrebbe che tornare sommamente giovevole agli asseriti suoi piani ambiziosi.

366 3 Non pubblicato.

368

L’AMBASCIATORE A pARIGI E pRIMO DELEGATO ALLA CONFERENzA DELLA pACE, TORNIELLI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 4/4. L’Aja, 14 giugno 19071.

Quasi al momento di partire da parigi mi pervenne una lettera del mio collega, l’ambasciatore di S.M. a Vienna, con la quale mi veniva espresso il desiderio di S.E. de Mérey, primo delegato plenipotenziario d’Austria-Ungheria, di esser introdotto presso di me in questa forma. Ed infatti io ero da poco giunto all’Aja che già questo signore si presentava per visitarmi. Io avevo avuto l’occasione di conoscerlo quando negli anni scorsi egli accompagnò a parigi il conte Goluchowski allora ministro degli affari esteri. Gli feci naturalmente un’accoglienza corrispondente alla sua cortesia e nel colloquio che seguì i primi complimenti, egli manifestò ripetutamente il desiderio dal suo Governo che l’Italia e l’Austria-Ungheria abbiano a procedere d’accordo nell’opera devoluta alla Conferenza. Si sfiorarono brevemente alcuni punti del programma e notai la grande moderazione d’idee e di linguaggio del mio collega austroungherese. Se ci fosse dato di ritenere che il sig. de Mérey si conserverà nell’atteggiamento dimostratomi oggi anche quando sarà qui arrivato il barone Marschall, si potrebbe prevedere molti casi nei quali l’accordo della nostra condotta con quella dell’Austria-Ungheria si effettuerebbe senza verun sforzo ma per semplice uniformità d’idee. Ciò che sarebbe veramente desiderabile.

369

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

L. Roma, 15 giugno 1907.

Ho pregato il conte Lützow, che parte questa sera per Vienna, di chiedere al barone Aehrenthal e di comunicarmi sollecitamente tutti i particolari – via da seguirsi, ora dell’arrivo, persone che lo accompagneranno, ecc. – circa la sua prossima visita in Italia. Il conte Lützow, in questa occasione, mi chiese se egli sarebbe stato invitato, insieme al barone di Aehrenthal, a Racconigi. Risposi che ero convinto che

S.M. il Re non avrebbe mancato di invitarlo, quando avesse saputo che S.M. l’Imperatore avrebbe pure invitato V.E. ad Ischl. Ella può riferire francamente ad Aehrenthal la domanda di Lützow e la risposta mia. Debbo aggiungere, però, che a mio avviso non sarebbe precisamente necessario che i due ambasciatori si trovassero, a Racconigi e ad Ischl, con i loro ministri degli affari esteri. Sarebbe forse migliore cosa che il conte Lützow si limitasse ad accompagnare il barone di Aehrenthal a Desio, dove gli ho già detto di venire, mentre pregherei poi l’E.V. di raggiungermi al Semmering. Le sarò grato, in ogni modo, di farmi sapere quanto avrà combinato a questo riguardo.

368 1 Manca l’indicazione della data di arrivo.

370

L’AMBASCIATORE A pARIGI E pRIMO DELEGATO ALLA CONFERENzA DELLA pACE, TORNIELLI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1232/2. L’Aja, 15 giugno 1907, ore 13,10.

Avendo avuto informazioni confidenziali sicure che l’Inghilterra proporrà alla Conferenza soppressione, in massima, del contrabbando di guerra, la delegazione ha esaminata la questione in relazione alla attitudine che ad essa converrà di prendere. parve alla delegazione che da punto di vista giuridico tutte le nostre tradizioni e le nostre disposizioni legislative essendo favorevoli alla libertà del commercio neutrale convenga a noi di associarsi alle tendenze che si manifestino in questo senso. Quanto al punto di vista militare, specialmente le difficoltà che potrebbero derivare a noi per il rifornimento del carbone qualora, come è probabile, venisse dichiarato in caso di nostra guerra come contrabbando, conducono alla stessa conclusione. prego V.E., pertanto, di volermi comunicare le istruzioni del R. Governo1.

371

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A pARIGI E pRIMO DELEGATO

ALLA CONFERENzA DELLA pACE, TORNIELLI

T. 997. Roma, 16 giugno 1907, ore 13.

Rispondo al telegramma n. 21. Divido, circa la questione del contrabbando di guerra considerata dal punto di

vista dei nostri principii e del nostro interesse, la impressione di lei e dei colleghi. Mentre mi riservo di porgerle istruzioni in proposito, gradirei che ella avesse modo di scandagliare in proposito, il pensiero delle delegazioni di Austria-Ungheria e di Germania.

371 1 Vedi D. 370.

370 1 per la risposta vedi D. 371.

372

L’AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 625/343. Madrid, 16 giugno 1907 (perv. il 21).

Il ministro di Stato espresse ieri il desiderio di vedermi: mi recai da lui, ma non lo trovai, e solo questa mattina potei abboccarmi con lui. S.E. mi fece leggere i due accordi identici qui uniti, stipulati con scambi di note il 16 maggio u.s. tra la Francia e la Spagna e tra l’Inghilterra e la Spagna1.

Essi nulla aggiungono alla situazione che esiste già da quasi tre anni, e constatano puramente e semplicemente che la Spagna si trova adesso nell’orbita della politica anglo-francese. Ognuno dei due contraenti dichiara nel rispettivo accordo di volere lo statu quo nel Mediterraneo e nelle coste europee ed africane dell’Atlantico, e dichiara di voler conservare le proprie possessioni. Se qualche nuova circostanza venisse o tendesse a mutare lo statu quo, i due Governi si porranno in comunicazione «per aver occasione di accordarsi, se così desiderino, sull’azione comune da adottare».

Tali impegni vaghi e generici sono a noi ben noti per antica esperienza: li abbiamo avuti anche noi coll’Inghilterra, e non impedirono che l’hinterland tripolino fosse riconosciuto alla Francia e che quest’ultima potenza divenisse l’amica migliore dell’Inghilterra a ciò senza bisogno di denunciarci l’accordo.

Nel caso presente poi un simile patto scritto non esiste nemmeno, e così m’ha assicurato l’ambasciatore de Bunsen, tra la Francia e l’Inghilterra: esistono solo tra quelle due potenze, ciascuna per suo conto, e la Spagna. Sicché non è un accordo a tre né contiene garanzie reciproche qualsiasi.

L’ambasciatore d’Inghilterra in un colloquio ch’ebbi con lui chiamò “anodino” l’accordo concluso dal suo Governo, ed espresse la speranza che non impressionerà male la Germania favorevole credere che sia diretto contro di lei.

Ciò nonostante i due accordi hanno prodotto sgradevole sorpresa tanto a me che agli ambasciatori di Germania e d’Austria-Ungheria. E ciò non perché abbiano per se stessi importanza, ma perché comunicati come furono al momento dell’apertura della Conferenza della pace, sembrano far parte di tutta una campagna che accenna a farsi all’Aja, come già ad Algeciras, per insidiare e battere in breccia la Triplice Alleanza. È questa l’impressione mia e del sig. de Radowitz.

La comunicazione degli accordi m’è stata fatta a condizione di tenerli per ora segreti ma si ritiene che presto si pubblicheranno.

372 1 Nouveau Recueil général des traités et autres actes relatifs aux rapports de droit international, serie seconda, t. XXXV, Lipsia, Librairie Dieterich, 1908, pp. 692-694.

373

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1270/951. Londra, 19 giugno 1907, ore 7,55.

Grey mi disse adesso che farà conoscere al Governo francese che l’aumento del 10% frontiera Sudan-Eritrea, non può essere stabilito per semplice accordo tra la Francia e Menelik, ma deve formare oggetto di trattative fra le tre potenze firmatarie dell’accordo del 13 dicembre 1906.

In merito non si è pronunziato, ma se non muta per ragioni di politica generale, parmi convinto che le nostre obiezioni sono fondate e che interesse del Sudan è identico, in proposito, a quello dell’Eritrea.

374

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

DISp. RISERVATO 32951/64. Roma, 19 giugno 1907.

Faccio seguito al dispaccio n. 13956/35 del 13 marzo p.p.1. Il governatore dell’Eritrea cui a suo tempo comunicai rapporto di codesta r.

legazione in data del 18 gennaio u.s.2 informa3 che le voci di prossima guerra fra l’Italia e l’Etiopia sono pure giunte a conoscenza di quel Governo. Egli giustamente osserva che se esse dovessero riferirsi a iniziative bellicose da parte nostra sarebbero sufficientemente smentite da tutto il nostro contegno oltre che dalle esplicite affermazioni fatte ad ogni occasione. Se si riferissero poi ad intendimenti ostili da parte del Negus sarebbe opportuno che codesta r. legazione provvedesse affinché fosse autorevolmente posto fine alla loro diffusione, costituendo queste voci tendenziose un pericolo ed un danno costante per le buone relazioni di vicinanza e di commercio dell’Etiopia e della Colonia Eritrea.

Quanto all’indemaniazione dei terreni il Governo coloniale, che già aveva avuto sentore delle voci astutamente sparse oltre confine, riconobbe l’opportunità negli ultimi tempi di provvedere con le maggiori cautele ed io non mancherò di tener presente la delicata questione nell’approvare le disposizioni contenute nell’ordinamento fondiario dell’Eritrea che sarà fra breve emanato.

374 1 Vedi D. 304.

2 R. 7/7, non pubblicato. 3 Vedi D. 352.

373 1 Risponde al D. 366.

375

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE AD ADEN, CAppELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 274/53. Aden, 19 giugno 1907 (perv. il 1° luglio).

Facendo seguito al mio rapporto n. 236/461, nel quale mi limitai alla semplice parte narrativa della mia missione io credo conveniente riferire a V.E. le impressioni che ho riportate da questa mia ultima visita alla costa somala.

Io ho dovuto ancora una volta confermarmi nell’opinione come la via da noi attualmente seguìta non sia certo la più atta a tranquillizzare la Somalia settentrionale e ad affermarvi la nostra autorità.

La saltuarietà delle nostre relazioni con le popolazioni predette, il nessun beneficio, che almeno sino a qualche tempo fa, da questa nostra protezione esse hanno avuto, l’abbandono in cui per forza di eventi fummo costretti a lasciarle di fronte al Mullah, di cui riconoscemmo le usurpazioni senza preoccuparci della sorte dei vinti, hanno reso sempre più difficile lo sviluppo della nostra influenza nel protettorato.

Ogni mia cura, assumendo la temporanea direzione degli affari del protettorato, fu rivolta a modificare i sentimenti delle popolazioni protette, o di una parte almeno di esse a nostro riguardo: ma quantunque favorito in questa mia azione dal lusinghiero appoggio di V. E., io debbo dolorosamente constatare i poveri risultati cui sortirono i miei sforzi.

Dei tre Sultanati protetti, quello solo della Migiurtina Settentrionale accenna ad entrare nell’orbita della nostra influenza: le nostre relazioni con il sultano Osman sono divenute in questi ultimi tempi assai più cordiali tanto da permetterci di presentare nettamente la proposta della completa cessione di Hafun, cosa cui sarebbe stato vano pensare qualche tempo fa. Anche le tribù del Sultanato, nella gran maggioranza, hanno fortemente modificato i loro sentimenti a nostro riguardo e per mezzo dei loro capi esse hanno di loro iniziativa iniziato relazioni con questo ufficio: gli stessi Bahdir che rappresentano per interesse di casta il baluardo dell’indipendenza e dell’odio allo straniero, stanno lentamente capitolando riconoscendo la nostra supremazia: e a questo proposito è caratteristico il fatto che un Bahdir in questi giorni m’invio una lettera nella quale esponevami il desiderio di costruire una casa in Bander Kassim qualora avesse potuto sperare di affittarla prossimamente al Governo.

Di questa benevole disposizione di animi a nostro riguardo ebbi una nuova prova nella cordiale e deferente accoglienza avuta a Bela: in quest’occasione potei pure confermarmi nell’opinione che mi ero andato formando che quantunque il sultano Osman non abbia l’autorità dispotica di un monarca assoluto ha però tale

influenza, specialmente tra gli Osman Mahmud, da renderci sicuri che la sua volontà sarà sempre la predominante nonostante le inevitabili dissidenze.

In conclusione nei riguardi dei Migiurtini del Nord e di Osman Mahmud io credo poter affermare che la situazione è tale che sapendola sfruttare opportunamente noi potremo senza eccessive difficoltà dare a quel sultanato un organizzazione più corrispondente alla sua condizione di nostro protetto.

Le popolazioni della Migiurtina sono ormai in attesa di un nostro effettivo intervento nelle loro cose e sarebbe davvero doloroso che si dovesse perdere ancora una volta la favorevole occasione che molto difficilmente si ripeterebbe qualora i Migiurtini dovessero persuadersi dell’improbabilità di una nostra azione.

Meno liete sono le condizioni del territorio del Nogal ed ancor oggi non sono riuscito a capire quali sieno i veri sentimenti del Sayed e dei suoi Dervisc e quale il fine più o meno prossimo cui essi mirano.

È purtroppo fuori di ogni dubbio che nessun affidamento noi possiamo fare sulle proteste pacifiche dei Dervisc: io non so se il solo Mullah sia responsabile della condotta equivoca che egli tiene a nostro riguardo o se egli sia a ciò costretto dai suoi seguaci: forse l’una e l’altra cosa: fortunatamente in questi ultimi tempi noi abbiamo avuto prove manifeste della sua malafede quali la lettera da lui diretta a Menelik, e intercettata da questo consolato per opera di Abdullah Sheri e Dir Arale (allegato n. 1) e quella alle autorità inglesi affidata ad Osman Dervisc.

Il Mullah da me interpellato durante la mia intervista negò assolutamente l’autenticità della lettera sconfessante l’operato di Abdullah Sheri e Dir Arale, e a quest’ultimo, in mia presenza, giurò di aver in lui la massima fiducia e suggellò questa dichiarazione con un doppio bacio in fronte.

Del resto tutta la condotta del Mullah in occasione della mia visita fu equivoca e falsa: mentre egli per indurmi a scendere a terra mi aveva assicurato che la nostra intervista avrebbe avuto luogo senza troppi inutili testimoni, al lato pratico fui ricevuto in mezzo a qualche centinaio di armati, la cui attitudine tutt’altro che deferente, non permetteva la serenità della discussione: il fine propostomi fu da me raggiunto, ma per ottenere la lettera e l’ergo per i Bimal io dovetti aderire, dopo cinque ore di discussione, a quasi tutte le richieste del Mullah e… dei suoi capi.

L’impressione che io ho della mia ultima intervista è che essa sia stata poco diversa da un ricatto perpetrato contro di noi dal Sayed Mohamed e propendo a credere che si sia anche in effetti pensato a qualche rappresaglia contro di me, idea cui poi si rinunziò, per considerazioni di opportunità nella speranza di poter ancora senza rischio sfruttare la nostra buona fede.

Ho sentito tante volte citare l’autorità indiscussa del Sayed Mohamed che mi fu assai difficile persuadermi del contrario: oggi però mi sono convinto che, se il Sayed Mohamed ha un gran ascendente sui suoi seguaci, questo esiste solo perché egli sfrutta la loro tendenza al fanatismo, alla rapina ed alla violenza, ma che se egli volesse diventare apostolo di pace i suoi Dervisc lo abbandonerebbero ben presto lasciandolo solo con pochi ingenui fedeli.

La maggioranza dei Dervisc è composta di Dolbohanta, ai quali, come è noto, il Sayed è legato per parte di madre da vincoli di parentela, e sono appunto i Dolbohanta, irrequieti e battaglieri che con il loro malandrinaggio impediscono al Mullah, se pur ne avesse il desiderio, di mantenersi tranquillo.

Da numerose e svariate informazioni avute sull’organizzazione dei Dervisc ho potuto formarmi la convinzione che essa non esiste che in modo primordiale e che certamente è inferiore a quella del vicini Sultanati: i delitti più feroci anche tra i Dervisc rimangono impuniti e lo stesso Mullah, in certi momenti di furore sanguinario, si abbandona alle più truci efferatezze contro i suoi stessi parenti: le gelosie le più ardenti, le passioni le più sfrenate trovano facile agone in mezzo a una popolazione esaltata quale quella dei Dervisc e presso un uomo impulsivo quale il Mullah: solo la diffidenza e di conseguenza lo spionaggio e il terrore riescono a mantenere riuniti i Dervisc: di cui io credo la parte migliore aneli in segreto a spezzare i legami, ormai divenuti odiosi ceppi, che la tiene avvinta al falso apostolo: ma queste sue aspirazioni essa paurosamente nasconde per tema di inevitabili feroci rappresaglie. Questo sistema di terrore e di diffidenza spiega appunto come non avvengano diserzioni tra i maggiorenti, che se anche riuscissero a fuggire dovrebbero lasciare ai vendicativi sfoghi del Mullah e dei suoi seguaci le mogli ed i figli.

Io credo che qualche volta il Sayed abbia la visione esatta della sua vera condizione: in questi momenti, più frequenti attualmente in cui si trova in grandi strettezze di munizioni, egli intuisce tutta la precarietà della sua potenza e tutto il vergognoso disordine che regna tra i suoi adepti: a questi momenti di lucida percezione noi dobbiamo le sue saltuarie manifestazioni pacifiche presto cancellate dall’impetuosa volontà dei Dervisc che ha tutto il campo di sbizzarirsi per la nostra passiva attitudine.

potrà apparire un quadro a troppo fosche tinte quello che io ho fatto del campo del Mullah, ma credo che purtroppo esso rappresenti la verità: l’anno di relativa calma testé trascorso non deve crearci illusioni, perché è mia convinzione che esso non sia dovuto né all’opera nostra né alla buona volontà del Mullah ma bensì alla imprescindibile necessità in cui questi si trovava di non precipitare gli eventi, per non trovarsi poi nell’impossibilità, data la sua attuale debolezza, di fronteggiarli.

Fortunatamente noi siamo ancora in condizioni abbastanza favorevoli per impedire che il Mullah riprenda quella posizione predominante che egli conquistò durante la guerra con gli inglesi e conservò sino a qualche tempo fa: tale intento noi possiamo solo conseguire sia impedendogli di potersi rifornire di armi e munizioni, cosa che gli è ora impossibile o quasi per via di mare, sia dimostrandogli con una pronta organizzazione della Somalia che intendiamo, quantunque pacificamente, affermare la nostra autorità.

I conoscitori del Mullah e dei Dervisc non dubitano che una nostra simile azione non mancherebbe di fare impressione sul Sayed il quale, come lo dimostra l’attuale tranquillità ottenuta dagli inglesi nel loro territorio, non si sente affatto di lottare nuovamente con una nazione europea e tanto meno con l’Italia della cui potenza militare terrestre i Somali hanno un gran concetto.

preoccupazioni dobbiamo avere anche per il Sultanato di Obbia: in esso il vecchio Jusuf Ali, reso forse più riottoso e più interessato dalla vecchiaia, pur atteggiandosi a vittima cerca di sfruttare la posizione a tutto suo vantaggio inveendo ed angariando le popolazioni Auja a lui soggette.

Jusuf Ali commerciante e guerriero non ha altra finalità che il proprio guadagno: io credo che egli si sia ormai convinto della precarietà della sua indipendenza in Obbia e che cerchi quindi di sfruttare ogni occasione per ammassare in questi ultimi tempi le maggiori ricchezze possibili.

È caratteristica a questo proposito la differente attitudine che nelle loro relazioni con il Governo usano Jusuf Ali ed il figlio Ali: mentre il primo non solo non lascia passare occasione ma accampa pretesti per lagnarsi della nostra condotta a suo riguardo, il secondo invece si mostra deferente e premuroso nel soddisfare ogni desiderio del Governo. In una sola occasione ho trovato solidali contro di me padre e figlio: nella mia ultima visita ad Obbia, per richiesta, che io ritengo assolutamente giustificata della locale agenzia della Società Coloniale Italiana, tentai di persuadere il Sultano Jusuf Ali a permettere che un rappresentante della detta agenzia si stabilisse in Obbia anche durante il periodo di costa chiusa, ma ogni mia insistenza fu vana ed io dovetti per il momento rinunciare al mio proposito per non alterare con qualche fatto imprevisto, quell’equilibrio che è indispensabile mantenere attualmente nella Somalia del Nord.

Tuttavia per l’ipotesi sopra fatta io stimo che l’opposizione di Jusuf Ali ed Ali Jusuf allo stabilirsi in Obbia di commercianti durante il periodo di costa chiusa dipenda più che da altro dal desiderio di poter sfruttare finché è loro possibile le risorse economiche di Obbia. È questa anche l’opinione dei Somali tra i quali si è fatta strada la persuasione che al prossimo ottobre Jusuf Ali invierà ad Alula tutto il suo denaro onde metterlo in luogo sicuro dai rischi, i quali, secondo la sua diffidenza ammaestrata dai precedenti degli inglesi, esso potrebbe correr nel caso di un occupazione italiana.

Non so quanta fede meriti questa idea dei Somali, ma se non altro essa serve a dimostrare ancora una volta che la maggioranza delle popolazioni del nostro protettorato attendono come inevitabile un nostro pratico intervento.

Ali Jusuf del resto in occasione della mia ultima visita in Obbia ebbe a dirmi a bordo al «Colonna» in presenza di quel comandante che la sua famiglia non avrebbe potuto assolutamente opporsi all’istituzione di una nostra residenza ad Obbia specialmente se ciò si facesse anche in altri paesi della Migiurtina: Jusuf Ali ed i suoi figli per loro stessa confessione sono troppo attaccati alla spiaggia dalla quale godono certi comodi della vita cui non possono rinunziare, perché tentino, ritirandosi nell’interno, una resistenza qualsiasi e faranno certamente buon viso a cattivo giuoco adattandosi ad accettare il controllo ed il consiglio di un nostro funzionario, il quale sarà poi accolto con entusiasmo dalla totalità delle popolazioni Auja assoggettate da Jusuf Ali.

Quest’ultimo solo, con il suo carattere rapace e prepotente, insofferente di qualsiasi sorveglianza, potrebbe crearci con i suoi maneggi delle noie, ma io spero che ci sarà possibile relegarlo ad Alula ed in ogni caso paralizzare la sua azione con l’opera di un residente abile e conoscitore dei Somali e dei loro intrighi.

Ho creduto opportuno quest’esame delle condizioni interne del nostro protettorato perché ormai il tempo stringe ed urgono meno platonici provvedimenti di quelli sino ad oggi usati.

Io credo che solo un nostro intervento esplicantesi con l’occupazione effettiva di Hafun e con l’istituzione di due residenze di controllo ad Obbia ed a Bander Kassim porterà la tranquillità da parecchi anni bandita dal protettorato: col tempo, e se gli eventi lo consiglieranno, si potrà pensare all’istituzione di una residenza presso il Mullah, quantunque l’unico augurio che possiamo formare per la nostra tranquillità avvenire è quello che la potenza del Sayed vada svanendo: a ciò anzi devono mirare tutti i nostri sforzi ed io non sono alieno dallo sperare che si possa raggiungere questo intento con un oculata azione che deve precipuamente tendere ad impedirgli il rifornimento di armi e munizioni.

ALLEGATO Ti faccio sapere che vi è stata lunga guerra tra me e gli inglesi. Essa fu causata dal fatto

che gli inglesi volevano prendere la nostra terra, il nostro bestiame, e persino la nostra religione. Questo è il motivo vero della guerra con gli inglesi, guerra che è durata nove o dieci

anni, finché gli inglesi si sono stancati e ci hanno chiesto pace. Io ora ho inteso che i francesi, gl’italiani e gl’inglesi si sono messi d’accordo per

dividere la tua terra: se essi riescono nel loro scopo noi pure troveremmo più sicurezza e però è meglio che ci aiutiamo vicendevolmente, poiché essi considerano tutti noi resi alla stessa stregua: poiché noi siamo della stessa terra dobbiamo riunirci per difenderci.

375 1 Del 29 maggio, non pubblicato.

376

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOpOLI, IMpERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1281/84. Therapia, 22 giugno 1907, ore 17.

Sultano ricevutomi ieri accentuò suo compiacimento per imminente visita ammiraglio [Faravelli] la quale, disse, cagionargli speciale soddisfazione. S.M. Imperiale ringrazia vivamente S.M. il Re e suo Governo per graditissima attenzione. Ammiraglio sarà ricevuto venerdì prossimo [il 28] in udienza solenne: in suo onore verrà pure dato pranzo di gala.

Dal canto mio insistei sul carattere amichevole visita, determinata dal desiderio del Re e del Governo di fare cosa gradita al Sultano, dando, in pari tempo, nuova testimonianza eccellenti relazioni tra i due paesi. In questo senso crederei indicato ammiraglio, quando io lo presenterò, pronunziasse poche parole dicendosi incaricato portare al Sultano affettuosi saluti da Sua Maestà. prego V.E. telegrafarmi al riguardo sua autorizzazione. Nel corso della conversazione, il Sultano, accennando recente accordo Mediterraneo, rilevò Italia essere, all’ora presente, corteggiata da vari gruppi potenze. S.M. Imperiale voleva evidentemente provocare confidenze da parte mia per rendersi conto nostro eventuale contegno. Mi limitai a replicare, in linea generale, Italia camminare per la sua strada chiaramente tracciata da V.E. Conviene, pertanto, prestar fede soltanto alle dichiarazioni ufficiali del ministro responsabile senza preoccuparsi disquisizioni congetture della stampa internazionale.

377

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1395/637. Vienna, 22 giugno 1907 (perv. il 29).

La notizia dell’accordo concluso tra l’Inghilterra, la Francia e la Spagna giunse qui inaspettata ed ha prodotto in questi circoli politici una certa sensazione, siccome

si rileva dagli svariati commenti cui esso ha dato luogo per parte della stampa austriaca ed ungherese, circa i quali riferisco all’E.V. con separato rapporto1.

Nel colloquio ch’ebbi mercoledì scorso [il 19] col barone d’Aehrenthal, il discorso essendo caduto su tale accordo, egli mi disse, in via confidenziale, che non si rendeva ragione dei motivi che ne avevano provocato la conclusione. Si domandava infatti contro che e contro quale eventualità fosse stato stipulato e perché, dopo di aver mantenuto finora su di esso il segreto, si fosse creduto di comunicarlo alle potenze, al momento stesso dell’apertura della Conferenza internazionale della pace all’Aja.

Egli aveva avuto notizia dagli ambasciatori delle potenze contraenti del testo delle note scambiate in proposito tra i rispettivi Governi, ma lo scopo non chiaro che gli sembrava avesse l’accordo, gli faceva supporre che fosse accompagnato da qualche clausola segreta e che assicurazioni fossero state date alla Spagna per farla entrare nell’orbita dell’intesa franco-inglese.

Non scorgeva del resto da quali potenze potessero essere minacciati la Spagna e lo statu quo nel Mediterraneo. Non erano certo l’Italia né l’Austria-Ungheria, le quali erano pure potenze mediterranee, che avessero una tale velleità. Quanto al Marocco, l’atto di Algeciras, collo stabilire il principio della porta aperta, aveva determinato la situazione delle varie potenze in quell’Impero ed alcuna di esse non aveva l’intenzione di venir meno agli obblighi assunti. L’accordo, però, aveva evidentemente in mira la Germania, sebbene fosse noto che essa non avesse mai preteso di esercitare un’azione predominante nel Mediterraneo, né fosse suo proposito di farvi conquiste col minacciare lo stato presente di cose, onde non avrebbe potuto esser visto di buon occhio dall’opinione pubblica germanica.

Ma non dubitava che la sua stipulazione non sarebbe per aver alcuna influenza sulla politica del Governo e che questo avrebbe continuato a comportarsi coll’abituale sua prudenza.

Nel corso del colloquio, il barone d’Aehrenthal mi fece conoscere di aver ricevuto dal conte Lützow un telegramma, col quale l’informava non avere quell’accordo dato luogo per parte dell’E.V. ad alcuna obiezione ed aggiunse che l’incaricato d’affari di Turchia, nel parlargli di esso, aveva osservato che il Governo ottomano non avrebbe potuto che compiacersi della sua stipulazione perché mirava a consolidare lo statu quo nel Mediterraneo, al cui mantenimento la Sublime porta era interessata.

Il barone d’Aehrenthal non si è mostrato meco molto soddisfatto della conclusione dell’accordo suddetto e le cose da lui dettemi al riguardo riflettono l’impressione poco favorevole ch’esso avrebbe prodotto sull’opinione pubblica in Germania.

Il conte Wedel mi diceva infatti, ieri, nel ripetermi le considerazioni stesse svolte dal barone d’Aehrenthal, che quell’accordo, il quale credeva fosse stato combinato a parigi ed a Cartagena, in occasione del viaggio di S.M. il Re Edoardo, non poteva essere ritenuto che come un atto d’indole più tosto equivoca e poco amichevole verso la Germania il quale avrebbe potuto forse avere conseguenze pericolose.

Credeva tuttavia che tale accordo, nel quale scorgeva un tentativo per distaccare l’Italia dalla sua alleanza coi due Imperi, sarebbe stato accolto in Germania colla dovuta calma.

377 1 R. 1394/636, pari data, non pubblicato.

378

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A pECHINO, BORGHESE

T. 1035. Roma, 24 giugno 1907, ore 14,25.

Rispondo ai nn. 171 e 202. Approvo che V.S. esprima malcontento del R. Governo, fondando sue lagnanze

ed insistendo energicamente, più ancora che sulle singole questioni in sospeso, sull’atteggiamento di persistente malvolere a nostro riguardo in genere manifestato da codeste autorità. per parte mia, parlerò opportunamente, nello stesso senso, a questo ministro imperiale.

379

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 966/392. Londra, 26 giugno 1907 (perv. il 30).

L’ambasciatore di Germania mi ha portato il testo completo delle note scambiate il 16 maggio tra i tre Governi di Spagna, Francia e Gran Bretagna, comunicatogli dal suo Governo.

Come risulta da diversi miei rapporti, non è questa la prima volta che i miei colleghi sono dai loro Governi informati prima e meglio di me degli importanti fatti internazionali, il che, oltre a pormi in condizione di inferiorità rispetto a loro, non giova al prestigio del nostro paese, e fa credere agli stranieri che i nostri servizi siano male organizzati. più volte ho dovuto sentire in proposito cortesi bons mots, che non sempre posso fingere di non capire.

Letti, in ogni modo, quegli accordi, mi parve in esse assai ambigua la frase relativa al mantenimento dello statu quo del Mediterraneo, poiché, presa alla lettera, sembrerebbe che non si limiti ai possessi e diritti delle tre potenze, ma a tutto il bacino del Mediterraneo, il che sarebbe in contraddizione coll’obbligo contratto dalla Francia verso di noi di non porre ostacolo a qualsiasi nostra eventuale azione in Tripolitania e Cirenaica nel momento da noi e da noi soli giudicato opportuno.

Colsi dunque con piacere l’opportunità offertami ieri da sir Charles Hardinge per chiarire questo punto: avendomi egli detto che il Governo britannico era lieto che al Governo italiano quegli accordi avessero fatta buona impressione, come gli risulta-

2 T. 1272/20 del 21 giugno, con il quale Borghese sollecitava una risposta al D. 364.

va da un rapporto dall’ambasciatore britannico a Roma, io gli risposi che avevo letto quegli accordi, e che non ne capivo bene il primo comma. «Che significa infatti», gli chiesi, «che ogni potenza affermi il proposito di mantenere i propri diritti e le proprie possessioni? Ciò va sé». A questa domanda, apparentemente ingenua, egli rispose facendomi notare che a questa dichiarazione dà valore ed importanza il capoverso successivo, in cui le tre potenze si obbligano a concertarsi nel caso che tali diritti e possessi siano minacciati, e così egli fu condotto ad accentuare il vero carattere di questi accordi, che, in dati eventi, equivalgono praticamente ad una alleanza, e sono probabilmente completati da intese segrete, forse anche verbali. Gli dissi poi che, dal punto di vista, per così dire, letterario, mi pareva non molto chiara la frase relativa al Mediterraneo, perché mentre letteralmente è suscettibile di doppia interpretazione, dal contesto della nota e dal complesso della situazione e degli impegni internazionali non è dubbio che l’accordo si applichi solo ai possessi e ai diritti delle tre potenze, e non all’intero bacino del Mediterraneo, «così che», conchiusi, «è chiaro che, se mutamenti nello statu quo territoriale avvenissero in altre parti del Mediterraneo, essi non sarebbero contemplati da questo triplice accordo». Sir Charles convenne che questa ultima interpretazione è la sola esatta, la sola possibile, e che quella frase non è ben redatta, ma che questo, e questo solo, ne è e ne può e deve essere il significato.

Da questo argomento mi fu facile di far venire naturalmente il discorso su quello, assai grave e delicato, degli accordi vigenti tra l’Italia e l’Inghilterra, di cui V.E ed io ci siamo intrattenuti a Roma quando insieme rileggemmo tutti i reciproci accordi tra i due Stati.

Io ricordai ieri a sir Charles che a Napoli1, in un colloquio amichevole e non ufficiale, interrotto da S.M. il Re Edoardo, che mi chiamò in altra stanza, egli mi aveva detto che, a senso del Governo britannico, non sono più in vigore gli accordi anglo-italiani relativi al Mediterraneo. Aggiunsi che, riletti tutti i nostri reciproci accordi, parmi indiscutibile che quello del 19022 sia in pieno vigore ed in questo egli convenne pienamente. «Quanto a quello», dissi «del 18873, non è dubbio che i fini della politica italiana e della politica inglese, sono oggi gli stessi, che in quegli accordi vengono proclamati». Avendo egli in ciò consentito, io continuai: «Se è diminuito o scomparso il pericolo proveniente dalla Francia, che quegli accordi prevedevano, ciò significa, non che gli accordi non sono in vigore, ma che è poco probabile che occorra di tradurli in atto». Gli feci pure notare che a quegli accordi ha aderito anche l’Austria, e che, per gli eventuali rapporti tra l’Italia e l’Inghilterra da una parte e l’Austria dall’altra, può non convenire alle due potenze di dichiarare quegli accordi perenti. Sir Charles mi rispose che, siano o no quegli accordi in vigore, i rapporti anglo-italiani sono tali da non dare, a suo avviso, a questa questione un grandissimo peso, ma che nei rapporti con l’Austria riconosce che la mia osservazione è molto seria. Gli pare quindi che la migliore soluzione sia di non approfondire l’esame se quegli accordi siano o non siano in vigore, e lasciare sussistere il dubbio, salvo a risolverlo secondo gli eventi, se si presenterà il caso. Io replicai che

2 Vedi serie terza, vol. VI, D. 234. 3 Vedi serie seconda, vol. XX, DD. 409, 505 e 510.

ignoro se il Governo italiano divida questo modo di vedere, ma che in ogni modo constato che esso è diverso da quello che egli mi aveva esposto a Napoli. Egli alla sua volta mi rispose che effettivamente il Governo britannico aveva modificato il suo punto di vista, da lui espresso a Napoli, tanto più che non v’ha incompatibilità tra gli accordi anglo-austro-italiani del 1887 e quelli anglo-franco-spagnuoli dal 1907. In ogni modo sul pieno vigore degli accordi del 1902 nessun dubbio è possibile, e sir Charles lo ha ripetuto in modo esplicito4.

378 1 Vedi D. 364.

379 1 Su questi colloqui si vedano i DD. 344-347.

380

L’INCARICATO D’AFFARI A pARIGI, ALIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO CONFIDENzIALE 1843/769. Parigi, 26 giugno 1907 (perv. il 2 luglio).

Lo scambio di note, contenenti dichiarazione in vista delle quali l’Inghilterra, la Francia e la Spagna garantiscono lo statu quo per quanto riguarda i loro possessi nel Mediterraneo e sulla costa africana bagnata dall’Atlantico, non ha prodotto in Francia quella viva sensazione né quella soddisfazione che generalmente si manifesta nella pubblica opinione del paese dopo ogni grande successo nella politica internazionale. Il timore penetrato nella parte meno bellicosa del paese che questa ultima mossa della diplomazia inglese non costituisca una nuova sfida troppo palese all’indirizzo della Germania, ha prodotto qui, contrariamente a quanto si riprometteva il Ministero Clemenceau, un sentimento di preoccupazione unito a diffidenza. L’irrequietezza interna del paese ha pure assorbito la massima parte dell’attenzione se non dell’energia politica della nazione: questa, sfiduciata e nervosa allo stesso tempo, vede innanzi a sé l’avvenire carico di gravi avvenimenti che si trova impotente a frenare, e non si lascia più trascinare a grandi manifestazioni di orgoglio o di rallegramenti. Il sig. pichon ha creduto di calmare, nella misura del possibile, il malumore della Germania con dichiarazioni pacifiche fra cui quella pubblicata nella Gazzetta di Francoforte il 25 corrente.

Il Governo di Berlino non poteva formulare lamenti sul contenuto né sulla forma delle dichiarazioni che garantiscono uno statu quo per possessi che nessuno vuole contestare né aggredire, statu quo che previ accordi hanno già in massima parte sanzionato, o riconosciuto pel Marocco e l’Egitto. Apparentemente una simile intesa ha uno scopo puramente pacifico, e nessuno avrebbe aperti motivi per accusare «la nuova triplice occidentale» di avere propositi di guerra o di conquista. Ma chi ben considera ed esamina i precedenti e le circostanze che accompagnarono lo scambio di note, ben si avvede che le tre potenze interessate ebbero in mente di

combinare le loro forze marittime e terrestri nella evenienza di una forse anche lontana complicazione colla Germania. Il Governo francese vi riscontra possibilmente in buona fede una nuova garanzia contro un eventuale attacco del vicino Impero e nulla di più per ora; la Spagna vi ha cercato forse una garanzia per la posizione da essa acquistata nel Marocco e cede forse in parte ad un sentimento di vanità, lusingata di vedersi, in una potente combinazione europea, e spera, alcuni dicono, qualche aiuto finanziario; ma l’Inghilterra ha evidentemente voluto fortificare la Francia, accumulare ostacoli e nemici contro la Germania, involgere eventualmente la Spagna in una alleanza ed in una guerra dove questa potrebbe essere preziosa per le sue basi navali e per le truppe che sarebbe in grado di fornire.

Risulta in modo ora certo che l’intesa militare tra la Francia e l’Inghilterra è un fatto compiuto; il Re di Spagna ha recentemente dichiarato a questo suo addetto militare in parigi che, in caso di conflitto, l’Inghilterra avrebbe promesso alla Francia di sbarcare duecentomila uomini sul continente. La Spagna sarebbe direttamente o indirettamente trascinata sulla stessa via; ciò almeno tenterebbero di fare re Edoardo e questo Governo.

Tutto ciò non può mancare di trapelare e la Germania se ne rende conto, sia pure confusamente e se anche non si possa da nessuno prevedere che cosa succederebbe in caso di contestazioni e fino a che punto e per quali cause le tre potenze concerterebbero la loro azione diplomatica, unirebbero le loro forze, seguendo la lettera e soprattutto lo spirito delle recenti dichiarazioni; molto evidentemente dipenderà dagli interessi reciproci e dai sentimenti del momento. A questa ambasciata di Germania spunta una evidente amarezza per gli intrighi nei quali, secondo la Germania, la Francia avrebbe torto di lasciarsi imprudentemente trascinare dall’Inghilterra, nonostante i suoi ben intesi interessi; secondo l’ambasciata stessa si attribuisce in Germania minor gravità all’intesa franco-anglo-spagnuola che non agli accordi giapponesi. Ma ciò non corrisponde esattamente alla verità delle cose; si osserva infatti che in Cina la Germania ha possedimenti, mentre che nel Mediterraneo non avrebbe che interessi commerciali. Essa quindi non può mostrare di adombrarsi molto per lo scambio di note avvenuto il 16 maggio. Senonché l’Africa ed il Mediterraneo l’interessano forse quanto la Cina, se non di più, per mire ambiziose lontane, non manifeste né confessabili; e d’altra parte la Spagna è un nemico più vicino che il Giappone. La visita dell’imperatore Guglielmo in Inghilterra, sarebbe stata decisa dietro suggerimento dell’Imperatore stesso ed avrà luogo a Balmoral invece che a Londra, contrariamente al suo desiderio, secondo quanto mi assicura di sapere da fonte ineccepibile questo corrispondente del Times. Questa visita, non molto sollecitata da re Eduardo, avrebbe per effetto di attutire l’impressione prodotta da recenti avvenimenti politici, ma non avrebbe nessun altro importante significato.

382 1 Trasmesso da Asmara il 1° luglio.

379 4 per la risposta vedi D. 387.

381 1 Trasmesso da Asmara il 30 giugno.

381

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1340/66. Addis Abeba, 28 giugno 19071.

Sto concretando coi miei colleghi di Francia e d’Inghilterra provvedimenti da presentarsi a Menelik per reprimere traffico armi. Questi jeri mi ha nuovamente confermato sua ferma intenzione adottare immediatamente quei provvedimenti che saranno di accordo concretati e mi ha incaricato di trasmettere codesto Governo assicurazioni sue. Egli ha già preso disposizioni in proposito e dato ordine ad Harrar negli Arussi ed ai capi abissini che si trovano attualmente in Ogaden, per sorvegliare e impedire ogni passaggio di armi e munizioni. Comunicherò per posta a V.E. provvedimenti concretati, ma esprimo mio convincimento conforme a quello del mio collega d’Inghilterra e del Negus stesso che essi saranno inefficaci fin quando Governo francese non interdirà Gibuti commercio armi che vi è tuttora attivamente esercitato senza controllo efficace. Codesto Governo dovrebbe ottenere dal Governo francese che quel Ministero delle colonie rinunziasse definitivamente ai proventi derivanti a Gibuti dal commercio delle armi e ne lasciasse solo libero passaggio a quelle destinate al Negus.

382

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1348/69. Addis Abeba, 30 giugno 19071.

Menelik mi ha di sua iniziativa espresso intenzione requisire ed acquistare egli stesso tutte le armi che attualmente si trovano presso commercianti in Abissinia appena sarà concretato accordo, e vietarne rigorosamente la vendita in avvenire. Io l’ho indotto insistere egli stesso presso ministro di Francia perché venga definitivamente vietato a Gibuti commercio armi. Sarebbe quindi ancora più opportuna ed efficace azione codesto Governo presso Governo francese nello stesso senso.

383

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 984/400. Londra, 1° luglio 1907 (perv. l’8).

Rispondo al suo dispaccio del 26 corr. n. 441 (Ufficio Coloniale)1. Come ho già detto a V.E., credo che oggi qualsiasi nostro passo presso il Gover-

no inglese per impedire il ritorno di sir John Harrington ad Addis Abeba, rimarrebbe senza risultato, cosicché ne vedo gli inconvenienti ma non i vantaggi. Harrington, in ogni modo, salvo eventi imprevisti, rimarrà qui sino a tutto ottobre, ed in questo frattempo possono forse presentarsi occasioni propizie per tentare, con speranza di successo, d’impedirne il ritorno.

La frase testuale, di cui si servì S.E, Cambon, fu che egli vi sarebbe tornato pour un temps limité e lo ripete due o tre volte. Cercherò di sapere quanto V.E. desidera, sia riparlandone col sig. Cambon, sia da altre fonti, non escluso Harrington stesso.

È bene però che non ci facciamo illusioni: l’egemonia dell’Inghilterra e perciò della sua rappresentanza in Addis Abeba non è politica personale di Harrington, ma è politica dell’Inghilterra. Essa può essere più rudemente accentuata da Harrington che da altri, e certo anche per ragioni di prestigio, non giova a noi il suo ritorno colà, ma il suo successore qualunque sia, forse in forma più cortese ed apparentemente più mite, seguirà in sostanza lo stesso indirizzo. Vero è che la convenzione del 13 dicembre fa obbligo ai tre rappresentanti ed ai tre Governi di procedere d’accordo in ogni occasione, ma l’accordo fra tre volontà non si raggiunge se non col sacrificio di una parte di ciò che ognuna di queste tre volontà avrebbe preferito, e tutto sta nel determinare la misura rispettiva di questo sacrificio. Nel determinare siffatta misura è probabile che spesso le nostre vedute non collimeranno perfettamente con quelle del Governo inglese, chiunque lo rappresenti ad Addis Abeba, e già sappiamo che tale è appunto il caso per l’interpretazione da dare, massime nel campo economico, al concetto delle sfere d’influenza2.

2 Per la risposta vedi D. 413.

383 1 Non publicato.

384

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. RISERVATO PERSONALE1. Roma, 2 luglio 1907, ore 23.

Prego dire al barone di Aehrenthal che in seguito alla legge che ha dichiarato festa dello Stato il centenario di Garibaldi ne viene per conseguenza innalzamento bandiera nazionale nelle residenze delle nostre rappresentanze all’estero. Non è in mia facoltà di impedire ciò o di fare un’eccezione per l’Austria-Ungheria non potendo io contravvenire ad una legge dello Stato. V.E. ha già fatto rilevare giustamente ad Aehrenthal che le informazioni dell’imperiale e reale incaricato d’affari a Roma non sono esatte perché il Governo all’infuori dell’innalzamento della bandiera non ha dato altre disposizioni né ha rivolto alcun invito alle colonie italiane all’estero per altre manifestazioni. Quanto alla personalità di Garibaldi è bene che V.E. faccia notare al barone Aehrenthal che non è esatto quanto egli ha detto a V.E. e cioè Garibaldi non ebbe a combattere che contro l’Austria. Garibaldi combatté contro l’Austria coll’esercito italiano che oggi è alleato dell’austriaco e questa non fu la sua principale impresa che invece fu la spedizione dei Mille in Sicilia e la conquista del Reame di Napoli. Quanto alla discussione del bilancio della Marina anch’io deplorai i discorsi di taluni oratori. Ma è d’uopo considerare che sono irresponsabili ed hanno pochissima autorità in Parlamento e l’effetto delle parole loro fu distrutto dalle franche e leali dichiarazioni di Giolitti. Giolitti ed io siamo fermi nel proposito di propugnare energicamente l’amicizia con l’Austria-Ungheria e persino convinti che la grande maggioranza degli italiani ci seguirà2.

385

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL GOVERNATORE DELL’ERITREA, SALVAGO RAGGI

DISP. RISERVATO 35710/408. Roma, 4 luglio 1907.

Ho ricevuto il rapporto n. 467/310, in data del 24 maggio u.s.1 circa lo svolgimento dell’azione politica dell’Italia in Etiopia nei riguardi delle relazioni fra il Governo centrale, il Governo coloniale e la r. legazione in Addis Abeba.

2 Per il seguito vedi D. 389.

Ad evitare ogni malinteso sembrami utile aggiungere in proposito qualche considerazione a quanto le comunicavo con il precedente mio dispaccio n. 17806/1942. Se la responsabilità della politica coloniale secondo gli attuali ordinamenti risale al Ministero degli affari esteri, ciò non può e non deve significare che il Governo della Colonia debba e possa di essa disinteressarsi, che anzi il Governo del Re da esso attende, naturalmente, il necessario servizio d’informazioni per la vigile tutela degli interessi italiani, elementi e anche pratiche proposte che servano ad integrare il programma politico e ad agevolarne l’attuazione.

Se il ministro degli esteri è responsabile di fronte al Parlamento per la politica che il Governo del Re segue rispetto all’Etiopia, il Governatore della Colonia è, da parte sua, responsabile di fronte al Governo centrale per le ispirazioni e gli aiuti che esso deve dare a questa politica acciocché risponda ai suoi scopi. E ciò è evidente giacché mentre le due Colonie dell’Eritrea e del Benadir hanno gran parte del loro avvenire in Etiopia, e noi siamo andati in Eritrea e in Benadir appunto per l’Etiopia, esiste oggi per l’Italia una questione etiopica in quanto essa possiede quelle due Colonie.

Concludendo: il Governo coloniale non può e non deve esplicare nessuna azione politica oltre confine se prima non sia d’accordo con il Governo centrale, ma esso deve prendere parte attivissima nell’integrazione e nell’attuazione del programma politico del Governo3.

384 1 Minuta autografa. Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

385 1 Non pubblicato.

386

L’AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1012/3991. Berlino, 5 luglio 1907.

Ho ricevuto coll’ultimo corriere la lettera di V.E. in data del 15 giugno2 colla quale ella mi comunicava due rapporti del r. ambasciatore a Vienna3, riguardanti la notizia corsa nello scorso maggio di un progetto di accordo che si asseriva essere stato ventilato fra quel Gabinetto e questo di Berlino, in vista di una ricostituzione dell’alleanza dei tre Imperi riguardo in ispecie gli affari di Turchia e cercando ottenervi l’adesione della Francia cui si sarebbero offerti certi compensi al Marocco.

Avevo già osservato le due corrispondenze del Times citate dal duca Avarna, che appunto in quel tempo avevano fatto allusione ad un supposto tentativo di tal genere. Ma poco dopo mi era stato detto che, essendosene manifestato a Londra qualche sospetto, la cosa era stata formalmente smentita e che quell’ambasciata di Russia

3 Per la risposta vedi D. 402.

2 Non pubblicata. 3 Vedi D. 361; R. confidenziale del 3 giugno, non pubblicato.

era stata autorizzata a dichiarare a sir Edward Grey che il sig. Izvolskij non aveva mai ricevuto, né da Vienna né da qui, offerta veruna di una simile combinazione, né si era quindi trovato nemmeno nel caso di declinarla. Io quindi ritenni, per riguardo eziandio alla intrinseca inverosimiglianza della notizia, che si trattasse semplicemente di uno dei soliti incidenti, in oggi così spesso cagionati dalle facili supposizioni del pubblico e da considerarsi come cosa finita; né credetti meritasse di occuparmene nella mia corrispondenza.

In seguito alla comunicazione suddetta di V.E., dalla quale appare che di quell’affare fu intrattenuto da persona autorevole il mio collega di Vienna, ho cercato di verificare se ne esistesse qui qualche conferma; ma dalle assunte informazioni mi è risultato finora che realmente si tratterebbe di una gratuita invenzione, o tutto al più di una esagerazione congetturale di fatti assai meno gravi.

Questi fatti sarebbero il desiderio manifestato dal barone d’Aerenthal di condurre possibilmente una più stretta intimità fra i Gabinetti di Vienna e Berlino e quello di Pietroburgo, e la tendenza che ora si rinnova di cercare una base di riavvicinamento fra la Germania e la Francia.

Sul primo punto il r. ambasciatore a Vienna è meglio di me in grado di conoscere in quale misura l’attuale ministro degli esteri austro-ungarico si riprometta di dar effetto alle sue note simpatie russe e non posso che associarmi alle giuste considerazioni da lui esposte a tale riguardo.

Per quanto concerne la Germania, rilevo soltanto che il coltivare l’amicizia della Russia è sempre stato e rimane anche ora uno dei dogmi della sua politica. Nelle questioni balcaniche, essa si attiene sistematicamente al principio di appoggiare senza riserve l’Austria-Ungheria e giacché questa procede ora d’accordo con la Russia sulla base del programma di Mürzsteg, la linea di condotta del Governo tedesco è tutta tracciata, né si vede che cosa si potrebbe domandargli di più.

Di un riavvicinamento franco-tedesco molto si è parlato in questi ultimi tempi e ancora si parla. Sono progetti già più di una volta ventilati in diverse forme dopo il 1870 e che ora si riproducono, sia per la generale disposizione dei popoli alle idee di pace, sia per naturale reazione dopo i pericoli di rottura degli ultimi due anni e sia per induzioni create dall’inizio della missione del nuovo ambasciatore francese a Berlino. Già ne riferii a V.E. in occasione dell’arrivo qui del sig. G. Cambon4 e dopo di allora il mio collega stesso ebbe ancora ad intrattenermene. Egli mi confermò essere suo proposito di coltivare il più possibile i buoni rapporti con la Germania e sarebbe suo desiderio di cogliere una favorevole occasione per darvi corpo, mediante un eventuale accordo fra i due paesi su qualche argomento speciale. La loro situazione, egli osservava, è tale da rendere assai difficile il trovare materia per una simile intesa, giacché essi sono divisi da un’unica questione che è e rimarrà per lungo tempo terreno proibito e, questa esclusa, ben non si vedono altri punti di contatto, né argomenti che si prestino a reciproche concessioni del genere di quelle che formarono di recente l’oggetto di tante convenzioni fra le potenze. D’altra parte, si comprende che appunto la conclusione di tutti questi accordi fatti all’infuori della Germania contribuisca a generare in essa quel senso di isolamento che prende la forma di malumore, nell’idea

che tutti gli altri paesi hanno qualcosa di amichevole a dire fra loro e nulla alla Germania. Se quindi fosse possibile trovare un qualsiasi oggetto, fosse pure di poca entità, che permettesse di firmare qualche cosa fra la Germania e la Francia, se ne otterrebbe il desiderabile effetto di rischiarare l’atmosfera. Non potrebbe mai trattarsi, beninteso, di una di quelle intimità implicanti un oblìo che, come patriota francese, egli per primo si rifiuterebbe a consacrare, ma sarebbe già molto il poter dimostrare che i rapporti fra i due paesi non interdicono loro di procedere d’accordo su qualche punto di comune interesse. Ma quale punto? Ad una mia allusione interrogativa alla nota idea di abbinare le questioni del Marocco e della ferrovia di Bagdad, il mio collega replicò che ciò gli pareva impraticabile, per difetto della necessaria equipollenza fra quei due affari. Egli confessava non vedere pel momento alcunché di possibile, ma non rinunciava a farne ricerca. In ogni caso, era suo desiderio che ciò si sapesse alla Wilhelm Strasse: «e se voi aveste occasione di dirlo», conchiudeva l’ambasciatore rivolgendosi a me, «vi prego di ciò fare!». E con ciò egli alludeva alla osservazione già altre volte fatte con me, circa la difficoltà che l’organizzazione del Ministero degli esteri in questo paese crea alla trattazione di questioni delicate di tal fatta, le quali richiederebbero una certa preparazione mediante frequenti contatti col ministro responsabile, mentre invece, dal suo arrivo in Berlino, egli poté una sola volta parlare col Cancelliere dell’Impero.

Dopo quella conversazione, essendo il sig. Cambon partito in congedo, io mi trovai una sera col barone Bülow, ma in condizioni che non offrivano opportunità ad intrattenerlo confidenzialmente. Avendo però veduto il sottosegretario di Stato sig. von Mühlberg, questi mi riferì che l’ambasciatore francese gli aveva esposte le stesse cose a me dette, in termini quasi identici. Il sig. Mühlberg trovava eccellenti le intenzioni del sig. Cambon, ma egli pure non vedeva che esistesse attualmente materia alcuna per un qualsiasi accordo speciale con la Francia. Se essa fosse disposta, egli soggiungeva scherzando, a guarentire lo status quo territoriale sulle basi del Trattato di Francoforte, molte cose potrebbero sistemarsi, ma essendo ciò poco probabile, egli non sapeva che altro si potesse fare. Una convenzione, egli osservava, che per esempio si limitasse a sanzionare una qualche piccola rettificazione di confini in Africa, non avrebbe significato; e lo stesso sarebbe di qualsiasi altro simile accordo che per la sua piccolezza mostrerebbe troppo chiaramente di essere cosa voluta, artificiale, e fatta per gettare polvere negli occhi e produrrebbe forse nel pubblico un effetto contrario a quello desiderato. Avendo io con lui pure accennato a ciò che i giornali avevano detto di un’eventuale combinazione Marocco-Bagdad, il sottosegretario di Stato rilevò che la Germania non vi troverebbe il proprio interesse. La ferrovia di Bagdad infatti, egli disse, sarà presto o tardi costruita, essendovi soltanto una questione di tempo e di denaro che finirà sempre per trovarsi. Non vi sarebbe equivalenza fra un’anticipazione di qualche milione che facesse la Francia per quell’impresa e la rinuncia per parte della Germania alla posizione acquistata con tanta fatica al Marocco mediante l’atto di Algeciras: quell’atto essendo ormai stato conchiuso per cinque anni con l’assenso di tutte le potenze, non rimane che da attendere al suo funzionamento fino al termine stabilito, dopo il quale si vedrà il da farsi.

Da tutto quanto precede io ho in complesso riportato l’impressione che nessun formale mutamento sia per ora da attendersi nelle relazioni della Germania con la Francia e con qualunque altra potenza. Credo bensì che, salvo casi imprevisti, conti-

nuerà a produrre i suoi effetti l’attuale tendenza alla conciliazione che già ebbi da qualche tempo occasione di segnalare a V.E. riguardo agli affari del Marocco e che è sperabile si estenderà eziandio sopra un terreno più generale. Come dissi parlando della venuta a Berlino del sig. G. Cambon, egli vi troverà tutta la cordialità che la sua posizione di rappresentante francese gli permetterà di contraccambiare. L’onorevole accoglienza fatta dianzi dall’Imperatore agli ospiti francesi a Kiel ed in ispecie al sig. Étienne, che fu anche qui ricevuto con premura dal principe Bülow, sono la prova di codeste buone disposizioni. Ma non vi è luogo ad attribuire a simili dimostrazioni di cortesia — che da parte in ispecie di S. M. Imperiale furono sempre prodigate ai personaggi francesi di qualche distinzione che vennero anche in altri tempi a visitarlo — un significato particolare superiore a quello che possono avere.

385 2 Vedi D. 314.

386 1 Autografo. Dall’archivio segreto di Gabinetto e privo dell’indicazione della data di arrivo.

386 4 Vedi D. 321.

387

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. RISERVATO 36113/477. Roma, 6 luglio 1907.

Col rapporto n. 392 in data 26 giugno scorso1 V.E. mi riferisce un colloquio avuto con codesto sottosegretario di Stato per gli affari esteri, intorno agli accordi recentemente conclusi dalla Spagna con la Francia e con l’Inghilterra.

L’E.V. aggiunge di avere approfittato dell’occasione per intrattenere sir C. Hardinge sugli accordi anglo-italiani in vigore, relativi al Mediterraneo.

La ringrazio in particolar modo, per questo suo interessante rapporto, e mi compiaccio delle importanti dichiarazioni che ella ha, opportunamente, provocate dal sottosegretario di Stato circa la validità degli accordi stipulati, tra l’Italia e l’Inghilterra, e circa la loro compatibilità col nuovo accordo anglo-spagnuolo.

Quanto all’invio del testo dei recenti atti internazionali, debbo far rilevare a V.E. che essi mi furono comunicati da questi rappresentanti d’Inghilterra, di Francia e di Spagna come segreti.

Non sarebbe, quindi, stato possibile di mandarne subito un esemplare a codesta r. ambasciata la quale, del resto, poté prenderne conoscenza pochi giorni dopo essendo quei documenti stati, poi in quel torno, pubblicati.

387 1 Vedi D. 379.

388

L’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1896/7931. Parigi, 6 luglio 1907.

Mi pervenne all’Aja il dispaccio senza numero del 15 dello scorso mese2; al quale vanno allegate in copia due lettere del r. ambasciatore Vienna, l’una del 22 maggio3 e l’altra del 3 giugno2, entrambe relative a pratiche che si sarebbero intavolate a Parigi nell’intento di disgiungere la Francia dall’Inghilterra, d’impedire la conclusione degli accordi anglo-russi e di ricostituire l’alleanza dei tre Imperi con una specie di accessione della Francia che vi guadagnerebbe di non incontrare più ostacoli nella sua politica di espansione in Marocco. In altri termini il Gabinetto di Vienna si sarebbe incaricato di assumere le preliminari trattative per un’azione politica che avrebbe per finale scopo di rovesciare tutto l’edificio costruito dall’Inghilterra negli ultimi anni ed, invertendo la situazione presente, di togliere dall’isolamento la Germania per mettervi la Gran Bretagna. In tutto questo armeggio l’Italia sarebbe lasciata in disparte e delle ragioni di tale indifferenza a riguardo nostro troverei superflua la ricerca, mentre stimerei che a noi non converrebbe di adontarcene.

Ma, riflettendo alle date in cui corsero a Vienna le voci che a V.E. vennero riferite, sarei inclinato a ritenere che, se il progetto vagheggiato a Vienna ed a Berlino ha [sic] esistito ed anzi se pur il medesimo avesse avuto un principio di esecuzione negli episodi preparatori destinati all’appianamento delle vie per quanto riguarda la Francia, i fatti avvenuti da un mese in qua starebbero a dimostrare che, per ora almeno il Gabinetto di Parigi non si palesa preparato ad accogliere la suggestione di staccarsi dall’Inghilterra. La divulgazione della convenzione franco-giapponese, seguita a breve distanza da quella dell’accordo anglo-franco-spagnolo per il Mediterraneo, sono due fatti che bastano a determinare la situazione che li rese possibili. E se tali pubblicazioni furono, direi quasi, affrettate, si potrebbe dedurne che con esse si sia voluto tagliar corto a qualunque tentativo di creare una situazione diversa. Il punto veramente essenziale in tutto ciò, si trova nelle incertezze della politica russa sovra la quale pesano le necessità create dallo stato della politica interna di quel paese. Sono facili ad indovinare le tendenze reazionarie di una parte influente del popolo russo stanco ormai degli eccessi di ogni specie che lo terrorizzano. Ben si sa che alle Corti di Berlino e sovra tutto di Vienna quelle tendenze sono, se non incoraggiate, seguite con simpatia. Ma ammettendo pure l’ipotesi che si possa ancora pensare in certi circoli dei tre paesi a far rivivere i concetti che furono inscritti nelle convenzioni d’intervento per il reciproco sostegno dei troni ecc. potrebbe oggi una siffatta politica entrare in un periodo di attuazione ed in ogni caso che cosa la Francia repubblicana andrebbe a cercare, che cosa spererebbe essa di trovare in simile compagnia?

2 Non pubblicato. 3 Vedi D. 361.

Fra le cause che determinarono il ravvicinamento della Francia all’Inghilterra tiene principalissimo posto l’impressione prodotta in questo paese dai disastrosi eventi dai quali il credito militare e politico della Russia fu per il momento distrutto. Per non perdere l’equilibrio si piegò il contrappeso dalla parte dell’Inghilterra ed il momento di capovolgerlo di nuovo verso Pietroburgo non sembra prossimo.

La politica francese vedrà con grande favore, ora che con l’accordo giapponese stima avere provveduto ai suoi interessi veri in Asia, ora che ha potuto dare pacifica esecuzione al suo trattato siamese, l’intesa della Russia con l’Inghilterra. L’equilibrio degli interessi asiatici toglie alla Francia ogni preoccupazione prossima circa le conseguenze possibili della imprudente avventura nella quale si lasciò spingere dopo il 1870 in Indo-Cina. Ne riesce rinforzata considerevolmente la sua posizione in Europa. Per quanto si voglia ritenere incostante e leggero il carattere dei francesi bisognerebbe considerarli come assolutamente dementi se si lasciassero smuovere da una situazione che ha per base il loro accordo con l’Inghilterra dalle blandizie di Vienna o di Berlino. Si riproduce sovra una scena assai più vasta la situazione internazionale che prese il nome di «entente cordiale», che unì le armi anglo-francesi nella guerra del 1854 e condusse al Congresso del 1856, con la differenza essenziale che non è più la Francia che in quella situazione esercita azione direttiva.

Però di alcuni incidenti, od episodi, che si produssero negli ultimi tempi e che si annunziano come probabili, anzi come prossimi, e possono sembrare indizi o sintomi di una certa instabilità nell’opera che è dovuta in massima parte allo spirito politico di Edoardo VII, è pur mestieri rendersi ragione.

Tutti i passi che si sono fatti fin qui per coordinare e concertare gl’interessi dei quali l’Inghilterra sta a capo, hanno prodotto in Germania successive ma inquietanti emozioni. È nella natura delle cose e conforme all’interesse francese di evitare che si producano le estreme conseguenze che da tali emozioni continuate potrebbero derivare. Le dimostrazioni di un sentimento pacifico pronto ad accettare le iniziative amichevoli della Germania, corrispondono ad un sentimento prevalente in questo momento fra le popolazioni della Francia.

Per altra parte gli eventi che distrussero il credito politico e militare della Russia, scossero anche il credito finanziario di quel paese che da buon numero d’anni era divenuto il miglior cliente per il collocamento degli ingenti capitali che i francesi economizzano ogni anno. Nella ricerca di altri luoghi dove tali capitali potranno essere impiegati con profitto e sicurezza, può occorrere alla Francia di assicurarsi che l’opposizione della Germania non faccia ostacolo. Forse a questo ordine d’interessi potrebbe coordinarsi il viaggio, alcuni dissero missione, dell’on. Étienne a Berlino. Per poter rispondere al dispaccio di V.E. del 15 giugno con qualche maggiore sicurezza, mi occorreva rendermi conto esatto di ciò che si è verificato qui negli ultimi venti giorni. Venni perciò a Parigi dove giunsi questa mattina e daddove partirò domani. Dal sig. barone Aliotti e dalla lettura dei rapporti da lui spediti in questo periodo di tempo, fui messo a giorno rapidamente dello stato dell’opinione in Francia; sicché ritengo che la risposta mia la quale parte con il corriere di Gabinetto questa sera, potrà dare a V.E. le informazioni e le indicazioni ch’ella mi ha domandate.

388 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto e privo dell’indicazione della data di arrivo.

389

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. CONFIDENZIALE PERSONALE. Vienna, 6 luglio 1907.

Con telegramma personale del 3 corrente riferii all’E.V.1 come il barone d’Aehrenthal si fosse mostrato poco soddisfatto della comunicazione da me fattagli del telegramma da lei direttomi nella notte stessa, relativo alla celebrazione del centenario di Garibaldi2. Anzi devo dirle ch’egli mi sembrò dolente che ella non avesse corrisposto al suo desiderio di non fare innalzare in tale occasione la bandiera nazionale sulle residenze delle rr. rappresentanze nella Monarchia.

Io non aveva, però, mancato, nel colloquio avuto con lui al Ballplatz, ove mi aveva chiamato appositamente, di fargli rilevare l’impossibilità, nella quale V.E. si sarebbe trovata, di soddisfarvi, trattandosi di una decisione del nostro Parlamento. E, non contento di ciò, credetti, anzi, mio debito, prima d’inviare il telegramma suddetto all’E.V., di conferire di nuovo con esso ed, essendomi recato a tale uopo nella sera stessa alla sua villeggiatura di Schönbrunn, cercai di convincerlo a rivenire sulla sua domanda, facendogli notare come, nonostante le amichevoli disposizioni di lei, ella non avrebbe potuto accoglierla, non essendo nella sua facoltà di contravvenire ad una decisione del Parlamento.

Ma tale tentativo riuscì infruttuoso e, tornando all’ambasciata, mi feci premura di telegrafare la cosa all’E.V.

Da quanto mi è risultato di poi, all’innalzamento della bandiera nazionale sarebbe stato contrario S.M. l’Imperatore, che lo considerava come poco riguardoso per la sua persona, Garibaldi avendo combattuto contro l’Austria-Ungheria sotto il suo regno. E ciò farebbe capire perché il barone d’Aehrenthal tenesse talmente a che esso non avvenisse. Sarebbe stato, però, più opportuno che avesse lasciato passare inosservata questa formalità, come passò nel fatto, e non avesse avuto i timori che mi manifestò e che non si realizzarono, le nostre colonie essendosi comportate, in tale circostanza, nel modo più corretto.

Non si spiega, però, per quale ragione il barone d’Aehrenthal abbia creduto collegare, colla discussione del bilancio della Marina alla nostra Camera dei deputati3, questa quistione, mentre alcuna correlazione non esiste tra le due cose. È da supporre forse che abbia voluto far rilevare all’E.V. l’importanza che l’innalzamento della bandiera avrebbe qui acquistato e l’impressione maggiore che se ne sarebbe risentita, se fosse avvenuto dopo le inopportune dichiarazioni fatte in quella discussione, per cercare così di esercitare sopra di lei una specie di pressione ed indurla a corrispondere alla sua domanda.

2 Vedi D. 384. 3 Vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1904-1907, vol. 13, tornata del 23

giugno 1907, pp. 16531-16541.

Il certo si è che il modo col quale il barone d’Aehrenthal si espresse meco intorno ai nostri rapporti, dopo avergli comunicata la risposta dell’E.V., mi fece constatare come questa avesse prodotto in lui un senso maggiore di quello che avrebbesi potuto immaginare, ciò che prova una volta di più, siccome già feci rilevare nell’anteriore mia corrispondenza particolare, l’eccessiva suscettibilità che qui si ha per tutto ciò che possa avere il benché minimo o lontano rapporto colle provincie di lingua italiana della Monarchia.

Accennando, infatti, in via privata ed amichevole alle dichiarazioni fatte nella discussione suddetta e per dimostrarmi come esse fossero in contrasto colle disposizioni da cui esso ed il Governo imperiale e reale erano animati verso l’Italia e col loro sincero desiderio di far riposare i nostri rapporti sopra una mutua fiducia, egli mi disse che, nell’assumere il Ministero degli affari esteri, aveva pregato il ministro della Guerra ed il capo dello Stato Maggiore Generale dell’Esercito di non prendere verso la frontiera italiana provvedimenti militari che potessero provocare da noi sfiducia e dar luogo a commenti nella nostra stampa, facendo credere che l’AustriaUngheria, come si andava dicendo in Italia, avesse intenzioni bellicose a nostro riguardo. Egli aveva, quindi, avuto la promessa dai generali Schönaich e Conrad di Hötzendorf che si sarebbero uniformati alla sua preghiera e nessun provvedimento, infatti, era stato adottato al riguardo dacché si trovava al Ballplatz.

Ma, mentre si adoperava in tale senso nell’interesse comune, da noi, per contro, si prendevano, a quanto risultava, provvedimenti militari alla frontiera della Monarchia e si presentavano nuovi crediti al Parlamento per l’Esercito e per la Marina: si dichiarava poi in pieno Parlamento che questi non avevano altro scopo che di mettere l’Italia in grado di far fronte ad una guerra eventuale contro l’Austria-Ungheria e si accennava, anzi, ai piani della guerra futura, indicando i punti d’attacco in Dalmazia. E non solo tale argomento era trattato in Parlamento, ma anche dalla stampa, che teneva un identico linguaggio.

Era stato lieto delle franche e leali dichiarazioni dello on. Giolitti, constatanti il fermo proposito del R. Governo di mantenersi fedele all’alleanza, ma non avea visto che il Governo stesso avesse colto tale occasione per manifestare il suo rammarico per quelle dichiarazioni, contrarie alla politica da esso seguita.

Se dichiarazioni simili fossero state fatte alle Delegazioni dell’Impero contro l’Italia, egli non avrebbe mancato di respingerle colla maggiore energia, rilevando che non poteva permettere che si parlasse in modo siffatto di una potenza amica ed alleata, colla quale il Governo imperiale e reale manteneva i migliori rapporti.

Quantunque avesse procurato, per evitare polemiche inopportune, che la stampa viennese non si occupasse di tale discussione, egli non aveva potuto impedire la sgradevole impressione che aveva prodotto in questi circoli politici, né le riflessioni a cui aveva dato luogo ed i commenti sfavorevoli che eransi fatti sulla poca stabilità delle nostre relazioni e ciò, oltre al non giovare alle medesime, non poteva che intralciare la sua azione conciliante. Come posso io continuare ad impedire, egli disse, che si prendano qui provvedimenti militari verso la vostra frontiera dopo le intenzioni che da voi si sono manifestate pubblicamente contro l’Austria-Ungheria ed i nuovi crediti militari che si è affermato dovere servire a combattere contro la Monarchia?

Quest’insieme di cose l’aveva amareggiato e facevalo divenire scettico ed era dolente che fosse avvenuto alla vigilia della sua visita a Desio.

Risposi al barone d’Aehrenthal che alle dichiarazioni suddette, siccome avevogli già fatto notare, non dovevasi attribuire un’importanza esagerata, né considerarle come l’espressione dei sentimenti della generalità dei nostri uomini politici e delle popolazioni italiane, la gran maggioranza del paese essendo pienamente concorde col Governo per mantenere salda l’alleanza coll’Austria-Ungheria e rendere i comuni rapporti più fiduciosi e cordiali ancora. Quelle dichiarazioni, del resto, erano state fatte da persone irresponsabili ed il loro effetto era stato distrutto dalle schiette parole dell’on. Giolitti, le quali erano state pronunziate appunto allo scopo da esso desiderato di respingerle ed affermare in modo esplicito le intenzioni del R. Governo in opposizione alle dichiarazioni stesse.

Né dovevasi dare, d’altra parte, troppo peso al linguaggio tenuto in tale circostanza da certi giornali italiani, giacché, se da noi, come in Austria-Ungheria, esistevano persone che erano poco partigiane dell’alleanza, il R. Governo, a causa della gran libertà di cui gode nel Regno la stampa, non aveva facoltà, contrariamente a quanto avveniva per il Governo imperiale e reale, di agire su di essa per impedire qualsiasi inopportuno commento.

Quanto ai crediti militari, feci rilevare al barone d’Aehrenthal che non credevo aver bisogno di dichiarargli che essi non attestavano affatto la sfiducia che egli supponeva esistere da noi contro il Governo imperiale e reale, né avevano alcuno scopo recondito diretto contro la Monarchia.

Le somme richieste dimostravano, del resto, ch’esse erano destinate soltanto ai bisogni più urgenti dell’Esercito, il quale, siccome egli doveva sapere dall’addetto militare all’ambasciata imperiale e reale presso il R. Governo, non era ancora provvisto del necessario, ed erano, quindi, intese a metterlo in grado di provvedere, al pari degli eserciti delle altre potenze alla difesa del paese ed ai servizi interni.

Al che il barone d’Aehrenthal osservò che non contestava quanto gli avevo detto: riconosceva, anzi, che il R. Governo, dovesse curare la propria difesa e prendere quei provvedimenti che fossero necessari per l’Esercito e la Marina, ed il Governo imperiale e reale non avrebbe potuto che lamentare se l’Italia, la quale era sua alleata, si indebolisse, e non fosse nel caso di far fronte agli eventi che fossero per avvenire.

Non erano, quindi, i provvedimenti né i crediti militari, di cui si era stati qui adombrati, bensì dello spirito col quale ad essi si procedeva e del sentimento di sfiducia verso l’Austria-Ungheria, al quale erano impressi ed era ciò che l’aveva turbato, ed impressionato l’opinione pubblica della Monarchia.

Questa sfiducia non risultava soltanto dalle cose suddette, ma anche da altri fatti, come per esempio dalla sorveglianza a cui erano assoggettati gli ufficiali austroungarici che si recavano per semplice gita in Italia. Ed a tale proposito mi disse che un colonnello austro-ungarico, aiutante di campo di S.M. l’Imperatore, del quale non mi fece il nome, che, trovandosi in congedo, aveva intrapreso di recente colla sua famiglia un viaggio di diporto a Venezia, era stato seguito, durante la sua dimora colà, dai nostri agenti di polizia, che erano anche venuti a chiedergli nell’albergo ove aveva preso alloggio, quale fosse lo scopo del suo viaggio. Queste varie circostanze non erano certo confacenti ai nostri rapporti, né potevano cattivarci le simpatie dell’opinione pubblica della Monarchia.

L’Austria-Ungheria non aveva alcuna intenzione ostile contro l’Italia, anzi desiderava vivere, non solo in buona armonia con essa, ma rendere i reciproci rapporti

sempre più intimi nell’interesse di entrambi i paesi, tra i quali non scorgeva quistioni che potessero dar luogo a dissidi. L’intesa sull’Albania aveva messo da banda qualsiasi motivo di controversia. Il Governo imperiale e reale aveva dichiarato, anche nelle ultime Delegazioni, che non aveva alcuna velleità di conquistare quella regione e che si sarebbe, mantenuto fedele alla intesa stessa: identiche dichiarazioni erano state fatte dal R. Governo. Non esistevano, quindi, in realtà ragioni che potessero giustificare le diffidenze che sembravano nutrirsi da noi contro l’Austria-Ungheria.

Il procedere d’accordo nelle quistioni balcaniche ed il concertarsi insieme per far passi in comune presso i vari Stati della penisola per impegnarli a non turbare colà la tranquillità non aveva certo valore se d’altra parte i nostri rapporti non riposassero sopra una completa e mutua fiducia. Il suo credito qui sarebbe stato del tutto esaurito se da noi si continuasse a diffidare del Governo imperiale e reale, attribuendogli fini che era lungi dal prefiggersi.

Replicai che la politica seguita sempre dal R. Governo e dalla E.V. verso l’Austria-Ungheria era stata non solo impressa alla maggiore fiducia verso il Governo imperiale e reale, ma diretta in pari tempo ad ispirargli uguali sentimenti verso il R. Governo. Ed egli non poteva certo dubitare della lealtà dell’E.V. del fermo suo proposito di continuare in tale politica, la quale era stata approvata a più riprese dal Parlamento ed in cui consentiva la gran maggioranza delle nostre popolazioni, perché ella conveniva pienamente con lui che i nostri rapporti non avrebbero potuto conseguire il desiderato effetto di divenire più cordiali ed essere proficui agli interessi dei due paesi se non fossero basati sopra una intera e reciproca fiducia.

Durante il lungo colloquio che ebbi col barone d’Aehrenthal egli si espresse meco nel modo più amichevole e colla maggiore franchezza e mi ringraziò, anzi, di quanto erogli andato dicendo in risposta alle varie sue osservazioni.

Avendogli detto che ero lieto dell’incontro che avrebbe avuto prossimamente coll’E.V. a Desio, perché avrebbe potuto avere dalla bocca autorevole di lei la conferma di ciò che eragli stato da me affermato, egli mi rispose che non avrebbe mancato di cogliere quell’occasione per parlarle con uguale franchezza.

Siccome l’E.V. ha potuto constatare, il barone di Aehrenthal è animato a nostro riguardo dalle migliori disposizioni. Converrebbe, però, che la momentanea e sgradevole impressione da esso risentita per le circostanze sopra accennate fosse per dileguarsi al più presto. Ed in tal senso io ho cercato di adoperarmi presso di lui nella misura delle mie deboli forze.

Ma V.E. giudicherà forse opportuno di approfittare dei colloquî che sarà per avere col barone d’Aehrenthal per far sì che di quell’impressione non rimanga più traccia nell’animo di lui.

Se noi possiamo fare il maggiore assegnamento sulle intenzioni francamente amichevoli e leali dell’imperatore Francesco Giuseppe ed essere sicuri che Sua Maestà continuerà ad evitare durante il suo regno qualsiasi cosa atta ad intorbidire i nostri rapporti e se uguale assegnamento possiamo fare per ora sul barone d’Aehrenthal, non si deve dimenticare che tra coloro con cui il ministro imperiale e reale degli affari esteri è legato d’amicizia per i principî conservatori ed in parte clericali ch’egli professa e per le relazioni di famiglia e di Corte, hannovi persone di sentimenti non molto favorevoli all’Italia, le quali potrebbero far nascere ed alimentare in lui sospetti e diminuire quella fiducia che sembra avere per il momento a nostro riguardo.

Ma a noi preme che la base su cui poggiano i nostri rapporti col Governo imperiale e reale, che, per buona ventura divennero più amichevoli dopo le dimissioni del conte Goluchowski, non sia per essere scossa, ma si consolidi vieppiù in avvenire, anche in previsione dell’avvento al trono del nuovo Imperatore.

Aggiungo che il barone d’Aehrenthal, che gode, com’è noto le simpatie dell’arciduca Francesco Ferdinando, sarebbe, a quanto mi fu riferito in via confidenziale da persona sua intima, più disposto del suo predecessore a subire influenze estranee. Ciò dipenderebbe in parte dalla sua indole alquanto indecisa e specialmente dal breve tempo dacché ha assunto il Ministero degli affari esteri, che non gli ha dato agio di acquistare ancora l’autorità che aveva conseguito il conte Goluchowski per la lunga permanenza fatta al Ballplatz, la quale gli permetteva di agire con maggiore libertà ed indipendentemente da certe influenze di Corte.

389 1 Non pubblicato.

390

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 1241/460. Therapia, 8 luglio 1907 (perv. il 16).

Il r. console generale in Tripoli mi aveva già comunicato il rapporto da lui diretto al R. Ministero in data del 2 giugno, n. 846/2931, ed io mi proponevo appunto di scrivere al riguardo all’E.V., quando mi è giunto il dispaccio del 18 giugno, Uff. Diplomatico, n. 181, pos. 1/11.

Tutto quello che il cav. Pestalozza riferisce circa le difficoltà e gli ostacoli sollevati costantemente, sistematicamente dalle autorità locali per neutralizzare e paralizzare, nei limiti del possibile, ogni tentativo di impresa italiana, non può destare meraviglia.

Sono due anni che io non cesso di segnalare gli ordini segreti, perentorii che a tale scopo partono direttamente dal Palazzo, per quanto, ad ogni mia lagnanza, il gran vizir ed il ministro degli affari esteri li abbiano categoricamente negati.

La verità è che, dopo le discussioni avvenute nel nostro Parlamento nella primavera del 19052, e dopo il chiasso intempestivo fatto dalla nostra stampa a quell’epoca, e gli accenni che di tanto in tanto compaiono nei giornali sulla più o meno prossima realizzazione delle aspirazioni italiane in Tripolitania e Cirenaica, nonché sugli accordi all’uopo intervenuti con questa o quella potenza, i sospetti e le diffidenze del Sultano si sono venuti sempre più accentuando e consolidando. Né a dissiparli sono valse le ripetute e precise dichiarazioni da me fatte a S.M. Imperiale ed alla Sublime Porta circa il fermo proposito del Governo di Sua Maestà di sostenere il principio dell’integrità in tutto dell’Impero ottomano, compresa la Tripolitania.

2 Vedi serie terza, vol. IX, D. 183, nota 1.

Gli ordini da noi giustamente lamentati non sono che la conseguenza di tali sospetti, ed essi si rinnovano periodicamente ad ogni accenno da parte nostra di intensificare maggiormente l’attività economica italiana in quella regione. Questa è la verità, ed io non credo di averla mai dissimulata. Non ho al riguardo che a richiamarmi a tutta la mia corrispondenza, e, fra gli altri, ai rapporti del 15 luglio e 28 novembre l905, nn. 4651 e 8091, 9 luglio 1906, n. 4321, 1° settembre 1906, n. 6334.

Il Sultano crede, con i sistemi adottati, di premunirsi contro ogni pericolo da parte nostra. Egli, ad onta di tutti i consigli e gli avvertimenti da me datigli direttamente o fattigli indirettamente pervenire, non si avvede che così operando male provvede ai suoi affari; ma tale è la mentalità di questo Sovrano e nessuno al mondo è stato né sarà mai capace di mutarla, facendogli comprendere in tempo quali sono i suoi veri interessi.

A curare il male in modo radicale, ad assidere su basi solide l’azione nostra in Tripolitania, il cav. Pestalozza suggerisce rimedii molto drastici. Nel fondo, egli vorrebbe, se io ho bene afferrato il suo concetto, rinnovare oggi l’esperienza già tentata da S.E. il marchese Prinetti, il quale, pur conservando in apparenza lo statu quo, mirava in realtà a far passare nelle nostre mani la Tripolitania, mediante opportuni accordi segreti con la Turchia.

Ma il tentativo fallì, e fallì miseramente, come risulta in modo chiaro dalla corrispondenza particolare del mio predecessore.

Né io penso che miglior sorte avrebbero in oggi aperture da parte nostra, tendenti ad ottenere concessioni — come ad esempio sarebbe quella di affidare ad ufficiali italiani la polizia e la gendarmeria — le quali hanno una portata politica, ed equivalgono in sostanza ad una modificazione dello statu quo.

Comunque, io non esiterei a consigliare al Governo di Sua Maestà d’incamminarsi per tale via, per quanto scabrosa e difficile, se non mi trattenesse la considerazione ovvia che lo statu quo dell’Impero ottomano è una questione inscindibile. Se a noi conviene — e quanto conviene! — di vederlo mantenuto nella Penisola Balcanica ed in Albania, dobbiamo per forza rassegnarci a conservarlo nella sua integrità anche in Tripolitania. E ciò a prescindere dall’altra considerazione, non meno importante, e cioè che un tentativo da parte nostra in tal senso — data la situazione generale dell’Europa, e la tendenza generalmente manifesta ad evitare grosse e complicate questioni — potrebbe non incontrare in grado uguale le simpatie di tutte le potenze, e magari anche urtarsi contro eventuali difficoltà sollevate da questo o quel Governo cui il Sultano si rivolgesse per invocare ausilio e protezione.

Chiedere, d’altra parte, in via amichevole alla Turchia — come vorrebbe il comm. Pestalozza — di darci un affidamento non a parole o a scritti, ma di fatto, in base al quale non si possa essere sicuri di vedere cessare tutta l’opposizione che ora si fa al trapasso della proprietà di immobili da musulmani a forestieri e ad italiani in particolare, sarebbe opera vana ed illusoria. Di affidamenti e di promesse ne avremo quante vorremo, ma all’atto pratico le cose continueranno ad andare per il verso attuale.

4 Vedi D. 92.

Tutta la legge turca sulla proprietà immobiliare accettata dalle potenze, mira, nel fondo, ad intralciare il più che possibile, il trapasso della proprietà in mano a stranieri. E le sue disposizioni intricate e complicate si prestano mirabilmente a tale intento. Né siamo noi i soli a farne la triste esperienza in Tripolitania. Anche altre potenze, e delle maggiori, si trovano per lo stesso motivo continuamente impigliate con la Sublime Porta in eterne spinose controversie, che da anni invano aspettano una soluzione, con grave pregiudizio dei rispettivi sudditi interessati.

Per i motivi suesposti io sono quindi d’avviso che a raggiungere un risultato pratico a nulla servirebbe il provocare dalla Sublime Porta impegni d’indole generale, verbali o scritti, destinati ad essere senza alcun dubbio violati e manomessi alla prima occasione. Occorrerà invece intervenire caso per caso con la massima energia, ed esigere ad ogni costo che siano rimosse le difficoltà ingiustamente frapposte dalle autorità al trapasso di proprietà acquistate da italiani, quando bene inteso saremo in grado di poter luminosamente dimostrare che l’acquisto delle proprietà stesse è avvenuto in buona fede, in conformità della legge, e che, pertanto, le difficoltà e gli ostacoli sollevati dalle autorità costituiscono un intollerabile abuso di potere. In tal caso, siccome è avvenuto di recente a Bengasi, dovremo mostrarci rigidi, irremovibili, e tirare dritto per la nostra via, senza preoccuparci dei lamenti e delle proteste della Sublime Porta, la quale, in fine dei conti, finirà fatalmente sempre per cedere. Occorrerà, in altri termini, molta pazienza e molta fermezza.

Per quanto finalmente concerne le concessioni economiche, V.E. conosce già il modesto avviso che da due anni non ho mai cessato di esprimere, sia sulla necessità assoluta che vi è per noi di assicurarcele ad impedire che le medesime cadano in mano di altri, sia sui mezzi più adatti e confacenti per raggiungere l’intento finché dura in Turchia l’attuale regime.

Non è mestieri quindi che io mi dilunghi sull’argomento. Una sola osservazione credo di dovere aggiungere. Ed è questa. Se mai avverrà — siccome io fermamente desidero e spero — che una potente Società italiana, disponendo ampiamente dei capitali necessari e pronta a seguire i metodi di azione senza i quali non si riuscirà a nulla, si accinga a tentare l’ardua impresa di sollecitare concessioni economiche in Tripolitania (costruzioni di ferrovie, porti, scavi, esplorazione e lavorazione di miniere, ecc.) sarà indispensabile che da quel giorno il Governo di Sua Maestà contempli tutte le eventualità anche le più remote, sia deciso ad andare fino in fondo, e prenda in tempo utile tutte, niuna esclusa, le debite precauzioni per conferire alle parole dell’ambasciatore di Sua Maestà il peso e l’autorità necessaria, allorquando, al momento psicologico, preparato bene il terreno ed assicuratosi il concorso efficace dei funzionarii interessati, converrà eseguire energica pressione per trionfare delle ultime difficoltà, costringendo il Sultano a mutare in «sì» quel «no» che per molto tempo egli non avrà mancato di pronunziare.

E, fra le precauzioni da prendere, io, siccome ebbi già a scriverlo nel precitato mio rapporto del 15 luglio 1905, non credo di poter omettere anche quella di assicurarsi all’occorrenza, se non l’aiuto effettivo, almeno la neutralità benevola di qualche altra grande potenza in grado di esercitare salutare influenza sia a Palazzo, sia alla Sublime Porta. Converrà, in altri termini, che il Sultano sia ben convinto che la sua eventuale resistenza non solo non è incoraggiata da altri Governi, ma che i Governi stessi ritengono invece opportuno nello interesse suo — e glielo consigliano — il

dare soddisfazione alle giuste e modeste domande dell’Italia, delle quali sono chiari ed evidenti i vantaggi ed i benefici che sotto l’aspetto economico possono ripromettersi i suoi dominii africani con il conseguente accrescimento delle risorse del tesoro imperiale.

A giustificare l’opportunità di questo mio suggerimento non ho che a ricordare l’incidente turco-inglese per Acabà. Il Sultano, com’è noto all’E.V., era deciso a resistere, perché credeva di poter contare sull’appoggio della Germania, ma abbassò subito le armi non appena l’ambasciatore imperiale gli lasciò intendere che, nel suo interesse, ad evitare complicazioni e pericoli maggiori, valeva meglio il cedere ai voleri dell’Inghilterra.

In conclusione, quali che possano essere le decisioni definitive che saranno per essere un giorno o l’altro adottate, di una cosa io sono profondamente convinto, sig. ministro, ed è che, una volta iniziate ufficialmente le trattative per appoggiare le pratiche dei capitalisti italiani, noi non potremo più assolutamente indietreggiare, ma dovremo far sì che le medesime abbiano, infallibilmente, ad ogni costo, un risultato conforme ai nostri desideri ed alle nostre richieste. In caso contrario, non solo ritarderemo chi sa per quanto tempo il serio inizio ed il progressivo sviluppo della nostra azione politico-economica in Tripolitania, ma — peggio ancora — comprometteremo gravemente il prestigio e l’influenza nostra in Turchia, prestigio ed influenza che, mi è grato il constatarlo, sono venuti in questi ultimi anni gradatamente, ma tangibilmente aumentando.

L’amicizia del Sultano verso una Potenza, non mi stancherò mai dal ripeterlo, è in realtà determinata precipuamente, per non dire unicamente, dal grado di timore che la potenza stessa gli ispira.

Nel restituire qui unito il rapporto del comm. Pestalozza ...5.

390 1 Non pubblicato.

390 3 Ivi, D. 183.

391

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1042/430. Londra, 10 luglio 1907 (perv. il 14).

Facendo seguito al mio odierno telegramma, n. 1071, ho l’onore di qui unito trasmettere a V.E. il testo della risposta che sir Edward Grey ha dato alla commissione presieduta dall’arcivescovo di Canterbury, intorno alle condizioni della Macedonia ed alla politica del Governo britannico in questa questione.

391 1 T. 1397/107, non pubblicato.

È notevole che sir E. Grey abbia, per la prima volta, per quanto io ricordi, riconosciuto che il peggior flagello della Macedonia non sono i turchi, e che l’ingerenza europea a favore dei cristiani, se da un lato ha migliorato le loro condizioni in rapporto ai governanti ottomani, dall’altro lato le ha peggiorate, perché, creando l’aspettazione dello smembramento dell’Impero, ha indotto ognuna delle nazionalità cristiane rivali a cercare di sterminare o di assorbire con la violenza le altre per assicurarsi in quel giorno la prevalenza definitiva.

Non meno importanti sono le dichiarazioni di sir E. Grey intorno alle ragioni che rendono presentemente non consigliabile la proposta di dare alla Macedonia un governatore generale nominato ed amovibile col consenso delle potenze e responsabile verso di esse. Egli inclinava, qualche tempo fa, verso questa soluzione, ed è notevole che abbia ora modificato la sua opinione, il che in massima parte si deve all’aver capito le difficoltà ed i pericoli della proposta, ma in parte si connette forse ad uno degli episodi della lotta mondiale d’influenza tra la Germania e l’Inghilterra, cui accenna anche il r. ambasciatore in Costantinopoli nell’interessante rapporto dell’8 giugno n. 3932, da V.E. comunicatomi con dispaccio del 26 giugno n. 4403, e a cui si connette forse l’insolita preoccupazione delle suscettibilità ottomane, manifestata da Nicholas O’Conor al marchese Imperiali a proposito della determinazione del confine della Cirenaica, giusta il telegramma di V.E. del 6 luglio n. 11113.

Non meno importante è il fatto che è questa la prima volta che sir E. Grey dichiara apertamente ed esplicitamente che la riforma giudiziaria deve essere opera di tutte le grandi potenze, e non soltanto austro-russa. Noi sappiamo che egli ha agito in questo senso, e che lo ha detto senza ambagi a tutti i Governi interessati, ma è la prima volta che lo dichiara in pubblico in modo così chiaro e deciso, in guisa da non poter più retrocedere e da sventare anticipatamente qualunque macchinazione altrui, dato e non concesso che i disegni occulti, cui si riferisce il mio rapporto del 26 giugno u.s.4, abbiano avuto qualche fondamento di verità.

L’opinione pubblica inglese, per quanto antiturca, o meglio anti-hamidiana, e desiderosa di por termine ai mali della Macedonia, intuisce tutte le considerazioni che consigliano la prudenza, ed inoltre, a meno di nuove «bulgarian atrocities» sensazionali, è troppo assorbita da gravi ed appassionanti questioni di politica interna, per rendere possibile la formazione di una irresistibile corrente, capace di forzar la mano a sir E. Grey, oltre i limiti della politica ferma, ma prudente, che egli vuol seguire.

Come ho telegrafato a V.E., tutto il discorso del segretario di Stato si può riassumere nella formula seguente: «we intend to do our utmost to maintain the concert of Europe, but, acting inside that concert, to do our utmost to make that concert as effective as possible».

E questa è pure, sostanzialmente, la politica italiana.

3 Non pubblicato. 4 R. 965/391, non pubblicato.

390 5 Per la risposta vedi D. 405.

391 2 Vedi D. 365.

392

L’INCARICATO D’AFFARI A WASHINGTON, MONTAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1846/484. Manchester, Mass., 10 luglio 1907 (perv. il 31).

L’annunzio improvviso dell’invio di una potente flotta americana a San Francisco non poteva non provocare una grande emozione nell’opinione pubblica di questo paese, la quale, sotto l’impulso della prima impressione, ha attribuito all’imminente provvedimento speciale gravità per la relazione che si è voluto riconoscere tra esso ed i rapporti, apparentemente non del tutto rassicuranti, fra Stati Uniti e Giappone. È forse da attribuirsi al fatto di tale eccitamento la smentita ufficiosa che per bocca del suo segretario particolare l’indomani della pubblicazione fatta dai giornali dava il presidente Roosevelt nei termini più recisi alla notizia istantaneamente divulgatasi di qua e di là dagli Oceani. Sopita così, in parte, l’agitazione degli animi, un comunicato proveniente dalla medesima fonte, ma del tutto contrario al primo, veniva a dare il 5 corr. la versione ufficiale delle ragioni dell’imminente avvenimento con le seguenti parole: «... già da due anni l’amministrazione contemplava e studiava i suoi piani per organizzare una prolungata crociera oceanica di una flotta appena si fosse potuto riunire un numero sufficiente di corazzate». Quasi al tempo stesso una dichiarazione del segretario per la Marina, che trovasi da qualche tempo in California sotto il pretesto di una visita alla famiglia nel luogo di sua origine, ha fatto bordone al comunicato di Oyster Bay adducendo che il progettato viaggio della grande squadra dalla costa dell’Atlantico a quella del Pacifico è determinato dallo scopo esclusivo di esercitazioni navali a grande distanza.

Se non proprio da due anni, come si è detto, con fine di opportunità, la misura era stata oggetto di considerazione da parte del Governo Federale, gli è però certo che la decisione di porla in effetto data da qualche tempo. L’Amministrazione della Marina, in fatto, già da qualche mese era andata noleggiando vapori inglesi per il trasporto di grandi quantità di carbone dai porti dell’Atlantico agli approdi navali del Pacifico. Alla notizia regolarmente pubblicata dai giornali nessuno aveva dato importanza ed aveva sollevato commenti solo in quanto quell’atto amministrativo era in contrasto colla regola legislativa che i trasporti di materiali per conto del Governo debbono farsi esclusivamente con bastimenti di bandiera americana. L’Amministrazione dal canto suo ha potuto facilmente giustificarsi adducendo che la marina mercantile nazionale non dispone di mezzi sufficienti per rispondere alle esigenze straordinarie delle forniture navali su larga scala.

La polemica è stata del tutto troncata dal sopragiungere degli avvenimenti odierni. I supremi interessi nazionali che sono in giuoco hanno soppiantato questi altri interessi di carattere privato e più ristretto.

Intanto l’opinione pubblica americana, abilmente condotta dalla stampa ufficiosa, è entrata in uno stadio di calma esemplare che ha facilitato l’esame e la discussione delle vere cause per cui il presidente Roosevelt, d’accordo coi suoi consiglieri, ha

deciso l’invio della flotta a San Francisco. Considerata l’attitudine assunta nella circostanza dal Governo americano, vagliate e coordinate le manifestazioni e le opinioni emesse da personaggi politici e militari, in relazione al vero stato dei rapporti fra Stati Uniti e Giappone, si può dedurne che la decisione del grande movimento strategico delle forze navali di questo paese poggia su ragioni di carattere politico, tanto internazionali che nazionali scevre da qualsiasi idea aggressiva o bellicosa. Trattasi in altri termini di una mossa determinata da considerazioni di opportuna preveggenza, e nello stesso suo sfoggio di forza agguerrita, da fini eminentemente pacifici.

Da mille segni, fra cui non ultimi, lo scambio continuo di cortesie fra i due paesi nella circostanza di frequenti visite che da qualche tempo alti personaggi giapponesi vanno facendo agli Stati Uniti, le ripetute affermazioni di pace e di concordia provenienti da membri dei due Governi, la serenità con la quale la stampa seria, di ambo le parti, considera gl’incidenti che dai «guerrafondai» delle due nazioni sono presi a pretesto di contesa, infine la visione chiara dell’esito incerto che presenta un conflitto e più ancora l’effetto disastroso che il medesimo avrebbe sull’economia nazionale fiorentissima presso l’uno, in via di sviluppo presso l’altro degli avversari, da mille segni dico, si può arguire che la guerra sia lungi dal pensiero di coloro che reggono i destini dei popoli a Washington ed a Tokio, non voluta né dalle parti ben pensanti di quello né di questo. Il più sincero di tutti in tale voto è poi, il presidente Roosevelt che vuol lasciare il suo alto seggio non senza aver saputo risparmiare alla Confederazione una calamità mentre uguale desiderio è concepito dai capi repubblicani i quali giustamente vedono minacciato, nell’eventuale triste contingenza, il tramonto della egemonia del loro partito.

Rimangono, tuttavia, nell’uno e nell’altro campo in non piccolo numero, elementi irreflessivi o più attaccati ad erronei interessi regionali o guidati da pregiudizi personali che non curanti delle vere ed alte ragioni di Stato. Elementi che potrebbero anche prendere il sopravvento e trascinare tutti e tutto a risoluzioni estreme. E le opportunità non mancano. Il rinnovamento del trattato nipponico-americano, gli eccessi della folla californiana contro residenti giapponesi provocati dall’odio innato di razza e che possono ripetersi, lo svilupparsi dell’influenza giapponese nell’Estremo Oriente in contrasto alle aspirazioni politiche commerciali americane, l’insaziabile desiderio di espansione nel Pacifico da parte dei giapponesi, l’osservanza dei regolamenti di pesca nello Stretto di Behring, le misure ristrettive dell’emigrazione etc., possono fornire altrettanti pretesti a frustrare le buone intenzioni dei due Governi.

La presenza di una potentissima flotta americana sulle coste del Pacifico, servirà senza dubbio, a tenere in freno quegli elementi turbulenti. Gli spiriti bellicosi nell’Impero asiatico sapranno che gli Stati Uniti non sono impreparati a sostenere un conflitto e che le vittorie non saranno strappate colla stessa facilità con cui ciò sarebbe stato possibile nella mancanza quasi assoluta di mezzi di difesa e d’offesa da quel lato della Confederazione. Le folle irragionevoli americane della California non avranno più a che fare con l’indulgenza o l’acquiescenza delle autorità statali, ma saranno tenute in rispetto dalla grande mostra della forza federale che, occorrendo, potrà anche agire. Non è anzi escluso che per tal modo sia anche possibile risolvere la grave questione del conflitto fra capitale ed unioni operaie. Queste ultime vanno imponendosi a dismisura privando della libertà del lavoro i volenterosi e lanciando la capitale di quel fiorente Stato in una crisi pericolosa. L’invio di truppe attraverso il

continente sebbene giustificato dalle circostanze potrebbe essere tacciato di violazione dei diritti statali, mentre, lo sbarco immediato e temporaneo di forze se opportunamente imposto dagli avvenimenti raccoglierebbe il plauso generale.

Ecco come nel decidere l’invio di una potente flotta nel Pacifico, il Governo di Washington ha considerato il problema tanto nel suo aspetto politico internazionale che interno. Pare che il Governo di Tokio e tutti coloro che ne dividono le idee — stando a quanto viene riferito dai telegrammi dei giornali americani — si sarebbe mostrato indifferente all’atto del Governo di Washington. Né d’altra parte è concepibile un’attitudine diversa se le sue manifestazioni pacifiche sono sincere. Meno ancora avrebbe sollevato obbiezioni che nel caso presente sarebbero state una violazione dell’esercizio della sovranità degli Stati Uniti. Mancata adunque dall’altra parte qualsiasi provocazione la stampa seria di questa è concorde nel riguardare l’invio della flotta a San Francisco come una «garanzia di pace».

Il progettato movimento non impedirà che tutte le forze navali dell’Atlantico partecipino, secondo il costume, alle grandi manovre che avranno luogo nell’estate. Solo dopo — e per quel che è dato saperne ora — ad autunno inoltrato la grande squadra composta di sedici corazzate si riunirà ad Hampton Roads. Sotto il comando supremo del contrammiraglio Evans, formata in due grandi divisioni, farà rotta per San Francisco seguendo la via dello stretto di Magellano. Toccherà vari porti delle Americhe su ambo gli Oceani e si dice che potrà giungere a destinazione in sessanta giorni.

Intanto mentre ferve in tutti i cantieri della Confederazione nell’Atlantico il lavoro più attivo per i grandi preparativi della partenza, si sta provvedendo ad allargare ed a fornire di potenti risorse gli arsenali sul Pacifico perché possano rispondere alle esigenze che comporta il prolungato soggiorno della flotta in quelle acque. Anche nelle Filippine si lavora alacremente poiché, sebbene non se ne sia fatto cenno, non è improbabile che più tardi una parte delle forze navali sia dislocata in quel possesso.

A giudicare dall’attività e dal carattere delle opere che si stanno compiendo non si può parimenti escludere del tutto che gli Stati Uniti si preparino anche per quelle eventualità che per il momento non sembra il caso di contemplare.

393

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1055/434. Londra, 12 luglio 1907 (perv. il 16).

L’associazione anglo-francese, intitolata l’Entente cordiale, ha tenuto ieri il suo annuo banchetto, al quale, tra gli altri, assistevano il console generale di Francia, un rappresentante dell’ambasciata francese, lord Fitzmaurice sottosegretario di Stato per gli affari esteri, ed il Lord Mayor, reduce dal suo viaggio in Germania.

Lord Fitzmaurice, nel suo brindisi, dopo aver accennato alle benemerenze dell’associazione e all’impossibilità per i Governi moderni di seguire una politica estera non desiderata dalla nazione, soggiunse esser lieto di saper che la società «while creating good feeling on one hand, did not create jealousy on the other. The Lord Mayor’s presence was in itself an illustration of what he meant. He had just returned from a friendly visit to the capital of a great nation, with which this country desires to maintain good relations, as it did with France and the other nations of Europe».

È fortunatamente significativo il fatto che il sottosegretario di Stato per gli affari esteri abbia fatto questa allusione alla Germania in una festa anglo-francese, ma, senza negargli importanza, non dobbiamo neanche esagerarla. Resta fermo il mio convincimento, espresso da me in diversi rapporti, che la vera causa profonda e permanente del dissidio anglo-tedesco sia la rivalità commerciale, destinata certo a durare e ad intensificarsi probabilmente sempre più. Vedo dal rapporto del r. ambasciatore a Berlino, del 24 giugno u.s. n. 3751, che tale è anche il suo avviso, non diviso, come V.E. ben sa, dall’ambasciatore tedesco in Londra, e, come risulta da vari miei rapporti, e segnatamente da quello del 31 ottobre 1906 n. 4571, non diviso neanche da parecchi autorevoli inglesi, tra cui il capo dell’opposizione, Mr. A. Balfour.

Io credo, però, che quelli i quali negano che la rivalità commerciale sia la vera causa del dissidio anglo-tedesco, vi siano indotti da un errore di osservazione, poiché si soffermano sulle cause politiche del dissidio, come, ad esempio, lo sviluppo della flotta da guerra tedesca o il telegramma a Kruger, e dimenticano che questi fatti politici sono le conseguenze necessarie, benché non sempre palesi ed evidenti, dell’antagonismo economico. La Germania, la cui popolazione cresce di un milione all’anno, ha bisogno di sbocchi, e vede nell’egemonia economica, diminuita, ma tuttora esistente, dell’Inghilterra, l’ostacolo principale al soddisfacimento di questo suo vitale bisogno, ostacolo aggravato e reso addirittura pericoloso dalla politica britannica, che, pur essendo pacifica nei suoi intenti, potrà a lungo andare non esserlo nei suoi effetti, se continuerà a mettere ostacoli all’espansione commerciale, anche se scevra da secondi fini politici, della Germania, come va facendo in Turchia, in Persia e dovunque vede il principio o la possibilità di un’iniziativa economica tedesca, persino nelle nuove Ebridi come notai nel mio rapporto del 10 gennaio u.s. n. 241. E d’altra parte se il popolo inglese vede negli armamenti navali tedeschi un pericolo, se li crede diretti contro la Gran Bretagna, egli è perché è convinto che la Germania, per ragioni economiche, aspira ad impadronirsi di alcune delle colonie inglesi e ad abbattere o indebolire colla forza la nazione che tiene il primato della produzione industriale e del commercio mondiale.

La rivalità commerciale, o, per adoperare una espressione più larga e più appropriata, il fattore economico è dunque la causa permanente, benché non sempre palese, del dissidio anglo-tedesco e delle reciproche diffidenze, e noi dobbiamo tener conto del fatto che questa è una causa permanente per non esagerare il valore degli sforzi, che ora si fanno per migliorare i rapporti tra le due grandi nazioni, e dei risultati abbastanza soddisfacenti, che si sono recentemente ottenuti e che saranno probabilmente rafforzati dal prossimo incontro dei due Sovrani.

D’altra parte, si capisce che uomini di valore siano indotti a undervalue gli effetti del fattore economico, perché questo non influisce sui rapporti anglo-tedeschi in modo diretto, bensì per mezzo di fattori politici che sono però un suo effetto. Perciò, in un certo senso, non è vero che il semplice fatto della concorrenza commerciale sia la causa diretta e palese del dissidio, in quanto che gli inglesi e i tedeschi trovano perfettamente naturale e non incompatibile coll’amicizia politica che ognuno cerchi di smerciare i propri prodotti e di vincere l’altro nella qualità, nel prezzo, nella réclame o nell’adattamento al gusto dei consumatori. Siffatta concorrenza ci appare però, quale è, il vero movente della politica dei due Stati e la vera causa permanente del loro dissidio e della loro mutua diffidenza, quando si studi in qual modo essa operi, in qual modo essa influisca sugli atti dei due Governi e sui sentimenti e sui convincimenti dei due popoli.

Né, a confutare il mio ragionamento, vale il dire che anche gli Stati Uniti sono per l’Inghilterra un formidabile concorrente commerciale, e pure l’Inghilterra ha per la grande Repubblica una viva amicizia. Il caso è diverso: anzitutto, finora l’esportazione degli Stati Uniti è assai più agricola che industriale, mentre la Germania, oltre la concorrenza nei mercati stranieri, importa in Inghilterra principalmente manufatti e ne esporta principalmente materie prime e strumenti di produzione. Ma anche altre cause concorrono a far sì che gli inglesi siano più preoccupati ed irritati della concorrenza tedesca che dell’americana. Non c’è, nel caso degli Stati Uniti, il pericolo politico militare; c’è il vincolo della lingua e della razza, assai più vivamente sentito nell’old country, che nella nuova, non fosse altro perché le migliaia di immigranti, che sbarcano ogni giorno ad Ellis Island, ne modificano il carattere etnico; l’americano è un competitore, che, sebbene più intraprendente ed attivo dell’inglese, procede quasi cogli stessi metodi, laddove la Germania scende in campo con armi, che sono nuove per gli inglesi, cioè la scienza, il buon mercato, l’attitudine e la volontà di adattarsi ai gusti ed alle abitudini altrui, la coordinazione degli sforzi individuali per opera dello Stato, servito da una burocrazia forte, laboriosa, disciplinata ed accentrata.

Finalmente, oltre i fattori economici e politici, oltre altri elementi della situazione che sono più personali e più mutevoli, non dimentichiamo che l’uomo non è una macchina ragionante, e che il sentimento ha un’influenza reale ed effettiva sulla condotta degli individui come dei popoli. Ora, fra tedeschi ed inglesi non vi ha simpatia, e quando, mancando la reciproca simpatia, i germi della diffidenza sono stati una volta seminati, è difficile estirparli del tutto.

Rallegriamoci pure della prossima visita dell’imperatore Guglielmo all’imperatore Edoardo e delle altre manifestazioni amichevoli anglo-tedesche, ma non ci facciamo soverchie illusioni sulla durata e sulla portata degli effetti di questi fatti, in se stessi consolanti. Le difficoltà derivanti all’Italia dai rapporti anglo-tedeschi possono essere momentaneamente forse attenuate, ma non sono oggi, né saranno in un prossimo avvenire eliminate.

Ho l’onore di restituire qui unito a V.E. il rapporto n. 375 del r. ambasciatore in Berlino comunicatomi con dispaccio n. 478 del 6 corr.1.

393 1 Non pubblicato.

393 1 Non pubblicato.

394

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, MALVANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, A DESIO

T.1. Roma, 13 luglio 1907, ore 13.

Il corrispondente romano della Neue Freie Presse manda al giornale ed il giornale commenta con favore la notizia che la Triplice Alleanza è stata prolungata al giugno 1914. V.E. sa che si tratta invece di una tacita prolungazione per la non avvenuta denuncia entro il termine prestabilito. L’Agenzia Stefani chiedendo come contenersi di fronte alla notizia prego V.E. telegrafarmi istruzioni. A mio avviso potrebbe dirsi non è intervenuto alcun atto nuovo e che l’alleanza è continuativa per parecchi anni ancora2.

395

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

DISP. 37537/73. Roma, 13 luglio 1907.

Prendo atto del rapporto n. 44/7 del 15 maggio scorso1 col quale V.E. assicura che le tendenziose voci di guerra fra l’Etiopia e l’Eritrea fatte correre in questi ultimi tempi hanno origine unicamente dalle turbolenti mene di capi tigrini e non ottengono alcun credito presso l’Imperatore.

V.E. farà opera prudente segnalando ogni volta che se ne presenterà l’occasione queste false notizie e smentendole subito in attesa che la smentita migliore sia loro data dai fatti.

Nel dubbio che la S.V. abbia ottemperato alle istruzioni contenute nel dispaccio n. 19523/45 in data del 12 aprile c.a.2 comunico al governatore dell’Eritrea copia del precitato suo rapporto.

La prego di voler in avvenire far cenno della fatta comunicazione al Governo coloniale in ciascun rapporto d’indole politica.

2 La risposta non è stata rinvenuta.

2 Non pubblicato.

394 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

395 1 Vedi D. 358.

396

L’INCARICATO D’AFFARI A PARIGI, ALIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1951/819. Parigi, 14 luglio 1907 (perv. il 25).

Il 1° corrente, giorno del ricevimento ebdomadario del Corpo diplomatico, il sig. Pichon, discorrendo delle feste per l’inaugurazione del monumento a Garibaldi, mi annunziò che avrebbe pronunziata un’allocuzione nella quale aveva l’intenzione di ricordare l’illustre generale e di rallegrarsi in tale occasione dei legami di sincera amicizia ora esistenti fra l’Italia e la Francia. Avendo con prudenza presentito i suoi apprezzamenti sul carattere della cerimonia, ne ebbi la dichiarazione ben schietta che avrebbe gradito un breve discorso per parte mia: era ben naturale che si dovesse usare alcune espressioni di riconoscimento per quanto ha fatto il Governo francese nella circostanza. Dalle parole del ministro degli affari esteri risulta chiaro il vivo e spontaneo suo desiderio di cogliere l’occasione per dare precisa e solenne conferma delle buone relazioni esistenti tra i due popoli latini e dell’accordo sempre più stretto fra i due Governi.

Pur serbando una naturale riserva, non mancai di dire innanzi a tali manifestazioni alcune parole di ringraziamento e di premurosa cortesia.

Il sig. Pichon fece allusione a telegrammi pervenuti dal sig. Barrère secondo i quali il Governo italiano si compiacerebbe vedendo tutte le manifestazioni ora in corso in Francia per Garibaldi e la parte presavi dal Governo francese.

La vigilia dell’inaugurazione, quando ebbi l’autorizzazione di V.E. di rispondere alcune parole al discorso del sig. Pichon, mi recai dal sig. Mollard, introduttore degli ambasciatori, ed avendo dal medesimo avuto comunicazione del tenore generale del discorso del ministro, dissi che avrei pronunziato alcune parole di ringraziamento per la partecipazione del Governo francese alla festa.

Senza poterlo affermare, credo, o per lo meno ho avuto l’impressione che il presidente della Repubblica decise di assistere all’inaugurazione quando seppe che l’incaricato d’affari d’Italia vi avrebbe preso la parola. Infatti la sua decisione, per varie riprese differita, fu data venerdì sera [il 12] soltanto, dopo che ebbi il mio colloquio col sig. Mollard. Ho quindi potuto regolarmi per scegliere poche parole improntate a sentimento di cortesia giusta le istruzioni di V.E., mantenendo la voluta riserva nella sostanza.

Ho l’onore di unire qui acclusi i testi del discorso del sig. Pichon e della mia breve risposta1.

La festa riuscì ordinata, cordiale e provocò la soddisfazione generale. Il presidente della Repubblica ed il ministro degli affari esteri gradiscono i termini in cui fu espressa la nostra riconoscenza e ciò mi fu poi confermato dal sig. Mollard. L’impressione nella colonia ne fu ottima.

È manifesta la tendenza di questo Governo e di buona parte dell’opinione pubblica francese di cogliere ogni buona occasione per spingere il popolo italiano nell’orbita delle simpatie e degli interessi francesi, in opposizione alla Triplice Alleanza.

396 1 Non pubblicati.

397

L’AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1087/4201. Berlino, 17 luglio 1907.

Col mio rapporto del 15 corrente2 e col mio susseguente telegramma del 93, ho riferito a V.E. ciò che mi era constato delle visite fatte dal sig. Étienne all’Imperatore in Kiel e qui al Cancelliere dell’Impero, in connessione alle dicerìe che da ultimo ebbero corso nella stampa europea sulla questione dei rapporti franco-tedeschi.

Essendo testé ritornato a Berlino il mio collega sig. Giulio Cambon dopo un breve congedo da lui passato in Francia, ebbi ora occasione d’intrattenermi nuovamente con lui di questo argomento. Avendogli accennato quanto mi era stato riferito sul colloquio del sig. Étienne coll’Imperatore, nei termini esposti nel sopracitato mio telegramma, il sig. Cambon mi confermò che quello era stato in sostanza il linguaggio tenuto da Sua Maestà; ma vi aggiunse un particolare che il mio primo informatore aveva taciuto o probabilmente ignorato, e cioè che l’Imperatore, dopo aver detto al sig. Étienne che non era il caso di affaticarsi a cercare materia per un piccolo accordo insignificante fra i due paesi, avrebbe aggiunto che ciò a cui egli tendeva era un’alleanza colla Francia! Il sig. Étienne sarebbe rimasto alquanto imbarazzato da questa uscita inattesa, la quale, osservava il sig. Cambon, era dovuta al temperamento impulsivo di Sua Maestà ed alla sua idea fissa di voler staccare la Francia dall’Inghilterra. Ma ciò — egli dichiarava — era assolutamente impossibile: tutti i tentativi più o meno malaccorti fatti dalla diplomazia germanica a tale scopo non erano riusciti che a stringere vieppiù i legami dell’Entente, la più solida, a parer suo, di tutte le alleanze ora esistenti nel mondo. Il mio collega proseguì confermando che egli era pronto ad agire per la pacificazione, ma che questa non poteva andare oltre certi limiti. Il sig. Étienne da Kiel gli aveva fatto dire di recarsi egli pure colà, ma egli non aveva creduto che ciò fosse degno né opportuno, in mancanza di un qualunque invito, almeno indiretto, da parte tedesca. In questo senso il sig. Cambon si era espresso col principe Radolin che aveva veduto a Parigi. Egli del resto non si riprometteva gran cosa da tutti questi conati di persone irresponsabili che volevano fare della politica à côté, manifestazioni da dilettanti che a nulla potevano condurre. Egli non sapeva quali fossero gli affari del sig. Étienne a Berlino, ma gli affari finanziarii non

2 Si fa presumibilmente riferimento al rapporto del 5 luglio: vedi D. 386. 3 T. 1393/64, non pubblicato.

potrebbero mai costituire se non un eventuale sussidio complementare dell’intesa politica da stabilirsi per le vie regolari, e l’idea che sembravano avere certi banchieri di fondarla sulle loro combinazioni d’interessi, valeva quanto quelle delle eleganti signore che per aver ricevuto qualche complimento dall’Imperatore a bordo di un yacht, si figuravano di portare nei loro strascichi la riconciliazione colla Germania.

Checché sia di ciò, il sig. Cambon persisteva a ritenere, malgrado anche le obiezioni dell’Imperatore, che sarebbe eccellente cosa se si riuscisse a trovare un terreno per un accordo, sia pure di ordine secondario, il quale produrrebbe buon effetto, dimostrando che, con le debite riserve, i due paesi potevano non solo vivere in pace ma anche intendersi amichevolmente, laddove i loro interessi lo consigliavano. Già fin d’ora il mio collega ammetteva del resto che, riguardo in ispecie al Marocco, le cose si erano avviate abbastanza bene ed egli riconosceva la verità di quanto io gli avevo detto sin dal suo arrivo qui circa le attuali disposizioni concilianti del Governo tedesco in quella questione. Alla mia interrogazione se egli non temesse di vederne compromesso il buon effetto dalle misure di rigore di recente rinnovatesi in Lorena contro l’elemento francese e per la germanizzazione di cui ricominciavano a parlare i giornali, egli rispose che sperava di no, ritenendo che tutto ciò fosse più che altro dovuto a zelo delle autorità locali: finora non ne aveva detto nulla, né si proponeva adesso di farne cenno, per non guastare le buone disposizioni del momento ma quegli incidenti stessi provavano come fosse prematuro il parlare di alleanze e il lasciarsi andare a troppe effusioni. E a proposito della utilità che vi sarebbe di venire a più frequenti scambi d’idee con gli uomini di Governo germanici, il sig. Cambon notava ancora come ciò fosse reso difficile dall’organismo di questo Stato per quanto riguarda in ispecie i rapporti col Dipartimento degli Esteri. Difatti, come credo già averlo accennato, il sig. Cambon non rivide più il principe di Bülow dopo la prima visita ufficiale fattagli quando giunse a Berlino quattro mesi or sono. Malgrado tutte queste difficoltà, conchiudeva il mio collega, gli conveniva star attento per cogliere una qualunque opportunità che si offrisse per colorire il suo disegno, la riuscita del quale segnerebbe il felice successo della sua missione diplomatica in Berlino.

397 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto e privo dell’indicazione della data di arrivo.

398

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1530/7021. Vienna, 17 luglio 1907.

La stampa austriaca dedica al viaggio del barone d’Aehrenthal in Italia2 ed all’intervista che esso ha avuto colla E.V., nonché all’udienza accordatagli da S.M. il Re, articoli ispirati a viva simpatia.

2 Dal 14 al 16 luglio.

La Wiener Abendpost ha pubblicato a questo proposito un comunicato ufficioso che è del seguente tenore: «Durante i colloqui ch’ebbero luogo a Desio3 tra il barone d’Aehrenthal e l’on. Tittoni sono state espresse e rinnovate le disposizioni di cordiale amicizia, le quali, aventi per base l’alleanza esistente, uniscono i due Governi ed i due Stati. L’esame della situazione generale in Europa, nonché di tutte le questioni speciali che interessano particolarmente l’Austria-Ungheria e l’Italia, ha fornito ai due ministri l’occasione di costatare con soddisfazione l’accordo assoluto che regna tra loro. Questa concordanza di vedute, la cui base continua ad essere il principio dell’equilibrio e del mantenimento dello status quo, non si applica unicamente al presente, ma anche a tutte le eventualità che potrebbero prodursi in avvenire».

L’ufficioso Fremdenblatt, nell’articolo comparso oggi, attribuisce all’intervista di Desio, che afferma essere circondata da una simpatia che esorbita dai ristretti limiti della cortesia internazionale, un’importanza maggiore che non a quelli di Monza, Venezia ed Abbazia. L’opinione pubblica nei due Stati ha riconosciuto gli sforzi sinceri fatti da ambedue i ministri pel riavvicinamento italo-austro-ungarico. L’articolo conclude, mettendo in rilievo il passo del comunicato ufficioso relativo al mantenimento dello status quo di fronte «a tutte le eventualità dell’avvenire», il che costituisce la certezza d’uno stato di cose duraturo, osserva che l’alleanza delle potenze centrali è un elemento di pace e, quindi, l’intervista di Desio, che la conferma, deve essere considerata come una nuova garanzia per la pace stessa e sarà accolta con gioia dovunque.

Il Neues Wiener Tagblatt, nel suo numero di ieri, fa risaltare, in modo speciale, il mutamento in senso favorevole all’Austria-Ungheria verificatosi in Italia e l’unanime consenso della stampa italiana, da cui è circondata l’opera dell’E.V., che «seppe mantenersi fedele con lealtà ed abilità alla Triplice Alleanza e conservare l’amicizia dell’Italia colla Monarchia austro-ungarica». Anch’esso riconosce che la politica consacrata a Desio ha un carattere di durevolezza e di completo accordo.

L’articolo, poi, della Neue Freie Presse è tutto un inno alla intervista di Desio ed all’intesa dei due popoli, legati da comuni interessi e da viva simpatia. Esso constata che, per quanto sia cara all’Italia l’amicizia dell’Inghilterra e della Francia, l’intervista di Desio dimostra che essa non vuol spostare l’asse della sua politica, che è costituito dalla Triplice.

Mi pregio di trasmettere, qui uniti, gli articoli suddetti, nonché quello della Zeit ch’è informato agli stessi sentimenti4.

4 Non pubblicati.

398 1 Dall’archivio dell’ambasciata a Vienna.

398 3 Il 15 luglio.

399

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. 1177. Roma, 19 luglio 1907, ore 11,35.

Ricevo il suo telegramma n. 1131. La ringrazio e me ne compiaccio. Aggiungo che, nel colloquio di Desio, Aeh-

renthal mi disse intenzione dell’Austria-Ungheria e della Russia essere appunto quella che corrisponde al proposito a lei ora dichiarato da Grey, avendomi egli soggiunto che sarebbero sollecitamente presentate le loro proposte tra le quali andrebbe compresa la vigilanza sulla riforma giudiziaria per parte della Commissione del controllo finanziario.

400

IL CONSOLE A USKUB, STRANIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 350/108. Uskub, 19 luglio 1907 (perv. il 22).

Mi onoro inviare, qui acclusa, copia di un interessante rapporto testé direttomi dal r. vice-console in Prizrend, sig. Galanti1.

Le notizie in esso contenute sono importanti, perché stanno a dimostrare gli sforzi continui fatti dal Governo austro-ungarico per rinsaldare sempre più la propria posizione in Albania.

Oltre che al miglioramento delle scuole cattoliche sovvenzionate, sul quale ebbi già l’onore di riferire al R. Ministero col mio rapporto del 12 scorso mese n. 289/882, il Governo di Vienna ha volto le sue cure a migliorare le condizioni personali del clero, in mezzo al quale si era andato manifestando, specie negli ultimi tempi, un certo malcontento contro la potenza protettrice.

Veramente il clero cattolico del vilayet di Kossovo è guidato da un uomo, qual è l’arcivescovo monsignor Troksi, sulla cui assoluta devozione verso il Governo protettore credo che l’autorità austriaca per prima non si faccia soverchie illusioni. Monsignor Troksi, come il R. Ministero avrà potuto rilevare dai miei rapporti, è spirito piuttosto irrequieto, pieno di quegli stessi sentimenti che contraddistinguono la

400 1 Si tratta del R. riservato 146/119 del 14 luglio, non pubblicato.

2 Non pubblicato.

razza albanese, impetuosità di carattere e desiderio, spinto alcune volte fino alla vanità, di affermare la propria autorità ed indipendenza. Ma egli in Prizrend ed altrove, in Albania, gode di un forte ascendente in mezzo all’elemento cattolico ed il Governo austriaco ha potuto sperimentare all’epoca del conflitto, avvenuto anni sono, tra l’arcivescovo e l’allora console d’Austria in Prizrend, sig. Rappaport, che non è facile liberarsene senza correre pericolo di alienarsi gli animi della maggioranza della popolazione cattolica.

Nello scorso mese, lo stesso sig. Rappaport, che attualmente è console d’Austria in Uskub, si recò, certo, dietro istruzioni pervenutegli da Vienna, in Prizrend per rappattumarsi con l’arcivescovo. Fu lui stesso, come il r. ministro leggerà nel rapporto del sig. Galanti, che annunziò a monsignor Troksi e ai preti di Prizrend l’avvenuto aumento delle relative sovvenzioni decretato dal Governo austriaco.

Se si mette tutto questo in relazione anche col fatto che, dopo pochi mesi dalla istituzione del nostro vice-consolato, fu improvvisamente trasferito da Prizrend il reggente di quel consolato d’Austria, che in più d’una occasione, non esclusi i rapporti col nostro rappresentante, non si era dimostrato pari al suo delicato ufficio, e sostituito col sig. Prohaska, reggente del consolato di Monastir, uno dei più abili ed esperti fra i giovani funzionari austriaci in Macedonia, appare evidente l’intento del Governo di Vienna di rafforzare per quanto gli è possibile la propria posizione in una importantissima regione dell’Albania, preoccupato, dopo la creazione del vice-consolato d’Italia, che questo possa distrargli parte della acquistata influenza.

Chi ha vissuto per qualche tempo in paesi con popolazione albanese, sa per esperienza quale studio pongano i rappresentanti consolari austriaci, naturalmente ubbidendo ad una linea di condotta propostasi dal loro Governo, a fare proselitismo con tutti i mezzi fra l’elemento indigeno sia cristiano che musulmano, spesso incoraggiandone gli stessi difetti e suscettibilità. I due centri di questa politica sono sempre stati Scutari da una parte e Prizrend dall’altra, dove l’autorità del nome austriaco fino a pochi mesi fa, fino alla istituzione del nostro vice-consolato, ha dominato, si può dire, incontrastata.

Certo il nostro vice-consolato non persegue lo scopo di attraversare l’azione austriaca per ciò che riguarda la protezione del clero e della popolazione cattolica in Prizrend poiché, oltre che non ne avrebbe i mezzi, non mi pare che questo sia negli intendimenti del R. Governo. Il sig. Galanti, benché giovane funzionario, è persona di delicato tatto, che conosce i limiti della sua missione e poi io non ho mancato d’impartirgli precise istruzioni al proposito.

Nullameno, ho stimato opportuno di segnalare al R. Ministero questa continua attività della propaganda austriaca in Prizrend, poiché essa dimostra quale importanza il Governo alleato annetta a radicare sempre più la propria influenza in quella regione e, conseguentemente, far risaltare quanto sia stata utile l’istituzione colà di una nostra rappresentenza che, sull’azione austriaca, possa tenere costantemente illuminato il R. Governo.

Copia del presente rapporto e relativo annesso2 trasmetto alla r. ambasciata3.

399 1 T. 1455/113 del 18 luglio, non pubblicato.

400 3 Per la risposta vedi D. 406.

401

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. 11841. Roma, 20 luglio 1907, ore 18,15.

Ricevuti telegrammi 12 e 5 luglio3. Approvo provvedimenti concordati coi suoi colleghi Francia e Inghilterra per

repressione traffico armi. Non faccio questione di forma circa modus procedendi per agire presso Menelik, purché proposti provvedimenti siano, sebbene separatamente, presentati, però, integralmente a Menelik ed appoggiati da ciascuno dei tre rappresentanti. Bisogna tener presente che Menelik stesso ha reclamato la cooperazione delle tre potenze, come risulta da suo telegramma 344.

Senza nostra diretta responsabilità, ella dovrebbe trovar modo indurre Menelik spiegare azione energica esemplare repressione vergognoso traffico, dare ordini capi assalire arrestare sequestrare inesorabilmente carovane con armi al momento che entrano in territorio etiopico verso la valle dell’Auasc o verso Harrar. Basta un esempio per convincere chi di ragione che si vuole agire sul serio.

402

IL GOVERNATORE DELL’ERITREA, SALVAGO RAGGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 921/594. Asmara, 21 luglio 1907 (perv. il 4 agosto).

Il dispaccio ministeriale n. 35710/408 (riservato) del 4 luglio corrente1 al quale ho l’onore di rispondere, mi fa sorgere il dubbio di non aver chiaramente spiegato il mio pensiero nel rapporto n. 467/310 del 24 maggio2.

Non credevo infatti di esprimere con detto rapporto il pensiero di disinteressarmi della politica etiopica ma soltanto di prendere atto delle istruzioni che col dispaccio n. 17806/1943 l’E.V. mi impartiva e che io semplicemente trascrivevo nel citato rapporto.

2 T. 1369, non pubblicato. 3 T. 1390/71, non pubblicato. 4 T. 645/34 del 17 marzo, non pubblicato.

2 Non pubblicato. 3 Vedi D. 314.

Debbo poi ringraziarla per le considerazioni che col dispaccio n. 35710/408 ha creduto aggiungere per evitare malintesi. Infatti se io non avevo capito di dovermi disinteressare della politica etiopica, credevo però fosse nelle intenzioni dell’E.V. che io dovessi limitarmi a tenere cotesto R. Ministero informato di quei fatti che venissero a mia conoscenza e quella politica potessero concernere.

Ciò infatti io feci per quanto riguarda la Dancalia e le notizie che mi pervennero sull’azione inglese nell’Etiopia occidentale; ma mi sarei astenuto dallo aggiungere apprezzamenti o suggerimenti.

Dal dispaccio al quale ho l’onore di rispondere apprendo che l’E.V. desidera invece che le sottoponga, anche riguardo alla politica etiopica, quelle pratiche proposte che credessi potessero servire ad integrare il programma politico del R. Governo.

Non mancherò certamente di uniformarmi a queste prescrizioni, ma perché ciò io possa fare pregherei l’E.V. di volermi far conoscere, se lo crede, con esattezza questo programma giacché negli archivi della Colonia non ho trovato alcuna comunicazione al riguardo, di data recente, e non credo vi sia dubbio che il programma del R. Governo debba essersi, se non modificato almeno precisato, dopo l’accordo concernente l’Etiopia fra la Francia la Gran Bretagna e l’Italia del 1906.

Nel ringraziare l’E.V. per quelle notizie che crederà darmi al riguardo e che mi permetteranno di attenermi alle istruzioni impartitemi, ...

401 1 Trasmesso via Asmara.

402 1 Vedi D. 385.

403

L’AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. S.N. Berlino, 22 luglio 1907 (perv. il 30).

Ieri sera fu di passaggio per Berlino l’ambasciatore britannico in Pietroburgo sir Arthur Nicolson, avviato a Londra in breve licenza. Essendomi recato a salutarlo durante la sua fermata qui fra due treni, egli mi disse che andava in Inghilterra per conferire al Foreign Office circa i negoziati dei quali, come è noto, egli si sta occupando da parecchi mesi, in vista di un’intesa colla Russia, riguardo specialmente agli interessi di questa e della Gran Brettagna in Persia e nell’Asia centrale. L’estrema brevità del tempo non mi permise d’interrogare, come avrei desiderato, il mio collega circa il punto cui era giunto quell’importante affare. Egli mi disse però che l’intesa poteva considerarsi come conseguita in massima e che solo rimanevano taluni particolari, a stabilire i quali egli si recava ora a Londra per ottenere definitive istruzioni. Egli quindi si proponeva di ritornare a Pietroburgo entro due o tre settimane e, sperava, con poteri sufficienti per essere in grado di conchiudere le trattative.

404

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1593/731. Vienna, 24 luglio 1907 (perv. il 28).

In occasione del dibattito intorno al bilancio provvisorio, il deputato socialista triestino Pittoni ha pronunziato un discorso, che presenta un certo interesse, in quanto lumeggia l’attitudine dei deputati socialisti italiani nelle questioni nazionali.

Premesso un vivace attacco contro i cristiano-sociali e gli altri partiti clericali, l’oratore viene a parlare delle condizioni economiche di Trieste, e ne patrocina gli interessi portuali, commerciali ed industriali.

Trattando quindi della questione nazionale, il deputato Pittoni osserva che il Governo deve rinunziare ad una politica di diffidenza contro gli italiani. Riconosce, bensì, che i funzionari austriaci a Trieste si sono moderati in questi ultimi tempi, come se ne ha avuto la prova in occasione del convegno ciclistico, pel quale si videro circolare liberamente i rappresentanti delle società ciclistiche del Regno coi loro stendardi ed altri emblemi nazionali. Deplora, però, la proibizione dei festeggiamenti pel centenario di Garibaldi, ch’è un eroe nazionale. Se il barone d’Aehrenthal, aggiunge, è stato ricevuto in Italia in modo migliore che non in altri tempi, ciò è dipeso dal fatto che l’Austria, adottando il suffragio universale, ha dimostrato di voler entrare nel novero degli Stati democratici. E se il Governo desidera che il ministro degli esteri trovi sempre anche in avvenire nel vicino Regno la stessa cordiale accoglienza, esso dovrà mantenere un’attitudine benevola verso gli italiani dello Impero.

Nel rilevare quindi che i socialisti italiani differiscono negli scopi che si prefiggono dai rappresentanti borghesi italiani, osserva che, mentre questi ultimi avanzavano delle domande nazionali a puro scopo d’agitazione, senza neppur desiderare che fossero accolte, attendendone la realizzazione dall’annessione al Regno, i primi non sono chauvinistes: essi intendono lavorare insieme ai rappresentanti del proletariato delle altre nazionalità pel benessere di tutti i popoli, pretendendo di progredire nazionalmente, politicamente ed economicamente, col concorso dello Stato per cui lavorano ed a cui pagano le imposte.

Nel corso del suo lungo discorso, il deputato Pittoni aveva sostenuto i postulati principali della popolazione italiana dell’Impero, quali l’assunzione della spesa per l’istruzione media italiana a Trieste da parte dello Stato, esentandone il comune, l’istituzione in un prossimo avvenire d’una Università italiana nella detta città, e frattanto la parificazione delle lauree ottenute nel Regno e l’aggiunzione d’una facoltà giuridica all’accademia commerciale di Trieste.

405

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

DISP. CONFIDENZIALE 39937/596. Roma, 26 luglio 1907.

Ho letto con particolare interesse il pregevole rapporto in data n. 1241/4601, col quale l’E.V., a proposito delle note suggestioni messe innanzi di recente dal r. console generale in Tripoli, ella espone, o, piuttosto conferma esplicandoli con ulteriori delucidazioni, i criteri ai quali a suo avviso, deve informarsi l’azione politica del R. Governo per quanto concerne la Tripolitania.

Nell’assicurare V.E. che concordo pienamente nei concetti da lei espressi e riconosco l’esattezza della situazione quale essa è da lei delineata, ...

406

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL CONSOLE A USKUB, STRANIERI

DISP. 40357/66. Roma, 27 luglio 1907.

Segno ricevuta e ringrazio del rapporto in data 19 corrente n. 1081, col quale la S.V., trasmettendomi copia di quello direttole dal r. vice console in Prizrend sull’aumento delle sovvenzioni al clero cattolico albanese da parte del Governo austroungarico, mi riferisce sull’argomento dei rapporti di quell’estero Governo col clero stesso.

Per quanto concerne la linea di condotta da seguire dal r. vice consolato in Prizrend, la S.V. ha opportunamente accennato ai criteri cui occorre informarla; ed io non dubito che il sig. Galanti continuerà a mantenere un contegno riserbato e prudente, evitando ogni atto che possa apparire siccome un’inframettenza di fronte all’azione spiegata dall’autorità consolare austro-ungarica, senza, tuttavia, tralasciare di attentamente osservare e riferire alla S.V. quanto può interessare la situazione locale.

406 1 Vedi D. 400.

405 1 Vedi D. 390.

407

L’AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1145/444. Berlino, 29 luglio 1907 (perv. il 13 agosto).

Col dispaccio del 18 corrente n. 3851, l’E.V. esprime il desiderio di ricevere nuove informazioni sugli incarichi che i sigg. Altmann e Banks avessero eventualmente missione di compiere in Tripolitania.

Di questo argomento intrattenni recentemente il sottosegretario di Stato per gli affari esteri e dopo il colloquio che ebbi con lui diressi all’E.V. il mio telegramma in data 5 giugno scorso (n. 56)2 col quale la informavo avermi il sig. von Mühlberg dichiarato che qui assolutamente nulla si conosce circa un supposto progetto di Banca germanica da stabilirsi a Tripoli. E quanto al Banks, il sig. von Mühlberg mi ricordò che già una volta egli aveva avuto occasione di significare al mio predecessore che nulla si sapeva qui dei fatti suoi. Il sottosegretario di Stato mi ripeté eziandio in modo generico che il Governo imperiale si asteneva e intendeva astenersi da qualsiasi azione in Tripolitania che fosse di natura a portar ombra all’Italia, osservando del resto che la Germania non teneva nemmeno a Tripoli un proprio consolato sicché tutte le notizie da quei luoghi dovevano venirgli soltanto per la via indiretta del consolato imperiale a Tunisi.

Dopo tutto questo, è evidente che qualsiasi nuova interrogazione io fossi per muovere sul medesimo argomento a questo Governo, non provocherà se non una ripetizione delle identiche dichiarazioni ufficiali. Ora mi permetto di osservare che qualora, per una supposizione che non voglio ammettere, esse nascondessero qualche proposito contrario, ciò non impedirà, anzi sarebbe per questi funzionarii un motivo di più per persistere nelle loro denegazioni. E il giorno in cui poi si trovasse che un tedesco avesse realmente ottenuto una qualunque concessione dall’una o dall’altra di quelle autorità, qui si potrà sempre affermare e si affermerà che ciò ebbe luogo all’infuori di ogni ingerenza del Governo il quale non ha diritto né modo di impedire che uno dei suoi connazionali faccia a sua posta affari in Turchia. Che se per contro, come io veramente credo, le fatteci dichiarazioni sono sincere, la nostra insistenza a provocarle ad ogni momento, non può non suscitare un certo senso di sorpresa per l’evidente sospetto che essa dimostra esistere da parte nostra, circa la loro buona fede.

Nel sottoporre queste considerazioni all’apprezzamento dell’E.V., attenderò in ogni modo i suoi ordini prima di procedere a passi ulteriori.

2 T. 1158/56, non pubblicato.

407 1 Non pubblicato.

408

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

DISP. 40787/411. Roma, 30 luglio 1907.

Con riferimento al dispaccio n. 385 in data 18 corrente1, mi pregio di informare V.E. che il r. console generale in Tripoli mi telegrafa rinnovarsi colà insistentemente la voce che il sig. Banks, attualmente in Amburgo e atteso presto di ritorno in Tripolitania stia preparando la istituzione di una linea di navigazione, di una banca, o di una colonia agricola, in Cirenaica.

Mentre scrivo al r. console generale in Amburgo2 invitandolo ad eseguire, per parte sua, le possibili indagini al riguardo prego V.E. di nuovamente indagare anche costì nel senso del dispaccio sopra menzionato, per accertare quanto di vero possa esservi in queste insistenti voci di imprese commerciali germaniche in Tripolitania e in Cirenaica, le quali, secondo che telegrafa il comm. Pestalozza, sembrano avere serio fondamento e sono avvalorate dal modo di agire del sig. Banks3.

409

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

DISP. RISERVATO 40791/624. Roma, 30 luglio 1907.

Il r. console generale in Tripoli di Barberia mi ha trasmesso copia del rapporto diretto a codesta ambasciata in data 18 corr. n. 841 col quale egli ritorna sull’argomento della persistente opposizione di quelle autorità contro ogni iniziativa italiana in Tripolitania e riferisce in particolare circa l’azione e l’atteggiamento di Regeb Pascià e di Bekir Bey.

Gradirei conoscere il modo di vedere dell’E.V. circa i fatti e le considerazioni di cui al rapporto stesso e di essere informato della risposta che ella avrà data al comm. Pestalozza.

In ordine alla serie di fatti che figurano nel documento annesso al rapporto in questione, parmi potersi affermare esser necessario di ben sceverare fra i casi di opposizione alla attività straniera in Tripolitania che derivano dalle applicazioni delle leggi locali, spesso restrittive e talora vessatorie, dai casi in cui tale opposizione risulta effettivamente ed unicamente dovuta al mal volere, al capriccio delle autorità ottomane od al partito preso di ostacolare ogni iniziativa estera e specialmente italiana2.

2 Con Disp. 40776/33, pari data, non pubblicato. 3 Per il seguito vedi D. 429.

2 Per la risposta vedi D. 424.

408 1 Non pubblicato.

409 1 Non pubblicato.

410

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. CONFIDENZIALE 40959/537. Roma, 30 luglio 1907.

Mi sono giunti i suoi rapporti del 13 e 19 corr. nn. 1064/438, 1094/449 e 20 corr. senza numero1 e le esprimo il mio vivo compiacimento per l’efficacia e il tatto coi quali V.E. ha sostenuto la nostra proposta.

Le difficoltà che incontra il presente negoziato danno la prova, se pur ve ne fosse bisogno, dei pericoli che ci minaccia la espansione anglo-egiziana verso la Cirenaica, e ci confermano la necessità di addivenire ad una esplicita intesa con l’Inghilterra, per i confini della Cirenaica.

Credo anch’io che il timore di guastarsi con la Turchia, timore che ritengo sincero nell’ambasciatore inglese a Costantinopoli per la posizione che egli colà occupa, sia nel Governo britannico in gran parte un pretesto per non legarsi le mani con un accordo di delimitazione.

Questi scrupoli, infatti, non vennero al Governo inglese quando con la Francia essa fece la ripartizione dell’hinterland della Tripolitania con l’accordo del 21 marzo 1899, e quando prima e dopo e con la Francia e con l’Italia stessa fece dichiarazioni solenni che si riferivano a territorio turco.

Sulla formula che possa servir meglio agli scrupoli inglesi, io non faccio questione se non è possibile far adottare la nostra proposta, purché però si raggiunga lo scopo di assicurarsi completamente che un’espansione territoriale egiziana verso la Cirenaica non sia possibile. Certo, per togliere ogni possibilità di equivoci o di ambigue interpretazioni, la formula che includa una vera e propria determinazione di linea di confine, sia pure generica, come quella da noi proposta, è più rispondente al comune scopo poiché qualsiasi altra formula deve per necessità di cose eludere [sic] l’accordo indeterminato.

Le obiezioni di sir Charles Hardinge sulla appartenenza delle oasi di Kufra e di Giarabub, e specialmente di quest’ultima e di parte del golfo di Solum dimostrano all’evidenza i pericoli dell’adozione di una formula generica che si risolva con una vaga dichiarazione.

Ripeto, però, che non mi rifiuterei di esaminare una controproposta inglese al riguardo, quando non fosse possibile vincere le resistenze del Governo britannico.

Quanto poi al merito, io non ho che a riferirmi alle copiose notizie e agli elementi di cui V.E. si è saputa così efficacemente valere.

Quanto alle indicazioni delle carte, non ho bisogno di dirle che esse hanno poco valore quando non sono carte ufficiali annesse ad un documento internazionale; a quella del Johnston se ne possono contrapporre altre che mettono Kufra e Giarabub in territorio cirenaico.

Io confido che codesto Governo seguendo la ispirazione di re Eduardo e guardando al grande interesse politico di togliere una cagione costante di dissidio tra due potenze amiche, veda la necessità dell’intesa e dia modo di metterla in atto con efficace praticità.

410 1 Non pubblicati.

411

IL MINISTRO A SOFIA, CUCCHI BOASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. PERSONALE CONFIDENZIALE S.N.1. Sofia, 1° agosto 1907.

Ieri, in occasione del ricevimento del Corpo diplomatico, ho parlato con questo ministro degli affari esteri della nuova fase in cui è entrato l’affare Caleff (oggetto del mio rapporto n. 916/323 del 28 luglio u.s.)2.

Prendendo argomento dal reclamo che gli esponevo il sig. Stancioff mi tenne il seguente linguaggio: «Come ministro degli affari esteri sono obbligato di occuparmi di questa questione, ma, prescindendo dal caso speciale che ci occupa, debbo confessarle che le insistenze dei rappresentanti delle grandi potenze relative al regime di tutela al quale siamo ancor soggetti mi riescono ben dolorose e feriscono i sentimenti del nostro patriottismo. Dopo che la Bulgaria da anni ha dimostrato di esser uno Stato civile e ben organizzato, quanto altri Stati d’Europa, è per essa ben duro di vedersi ancora sottoposta ad un incessante ed umiliante controllo. In ogni circostanza, si tratti di prestiti, di contratti, di concessioni, di disposizioni legislative od amministrative, di controversie per lavori o intraprese pubbliche, quando un interesse straniero è in giuoco, il Governo bulgaro deve sottostare alle domande delle potenze, le quali, per quanto benevole, esaminando il caso singolo unilateralmente, prendono sempre la difesa dei loro amministrati, siano sudditi o protetti. L’opera del ministro degli affari esteri diventa ogni giorno più difficile: egli ha contro di lui non solo i suoi colleghi del Gabinetto ma anche i funzionari delle varie amministrazioni dello Stato, i quali, in gran parte educati all’estero e conscii dei diritti di un popolo libero, protestano contro l’ingerenza di autorità straniere in questioni di natura interna. L’opinione pubblica, unanime, invoca quindi dal Governo la fine di un simile stato di cose. Anche il Principe, disse il sig. Stancioff, nell’apprendere i casi tanto frequenti d’intervento dei rappresentanti esteri in favore dei proprii amministrati si domanda a che servono i progressi compiuti e l’opera assidua sua e del Governo per portar il paese a quel grado di civiltà ormai, per consenso di tutti, raggiunto».

2 Non pubblicato.

Il sig. Stancioff mi tenne questa conversazione a titolo privato pregandomi caldamente di far noto all’E.V. tale situazione che asserisce esser insostenibile. Egli disse inoltre che la Bulgaria faceva assegnamento per ogni evenienza in quei sentimenti benevoli che l’Italia, ispirandosi alle sue generose tradizioni liberali, le ha sempre dimostrato; pure il Principe, aggiunse, conta sulla amicizia di cui l’onora S.M. il Re.

Mi affretto a riferire quanto precede all’E.V. In questi ultimi giorni il sig. Stancioff ha tenuto un analogo linguaggio ai rappresentanti di Germania, di Francia e d’Inghilterra e mi è lecito il supporlo anche al ministro di Russia col quale è da molto tempo in intime relazioni personali. Come è noto a V.E. il rappresentante d’AustriaUngheria è assente da Sofia in congedo. A questi miei colleghi come a me il sig. Stancioff ha pure detto che persino la vista dei “cavass” da qualche tempo produce in città un’impressione sfavorevole della quale si sono resi interpreti presso il Governo numerosi uomini politici.

Valendomi della cordiale amicizia che mi lega al ministro d’Inghilterra gli ho tenuto parola del discorso del sig. Stancioff; sir George Buchanan mi confermò che l’E.V. si era espresso con lui in termini quasi identici. Anche il predetto mio collega riscontrava in queste dichiarazioni un sintomo dell’ardentissimo desiderio nutrito dal Principe e dal suo Governo di veder finalmente risolta la questione dell’ambigua situazione internazionale in cui si trova la Bulgaria.

411 1 Dall’archivio segreto di Gabinetto e privo dell’indicazione della data di arrivo.

412

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AGENTE E CONSOLE GENERALE A SOFIA, CUCCHI BOASSO

DISP. 41803/231. Roma, 3 agosto 1907.

In relazione ai rapporti suoi precedenti, circa le voci di una eventuale proclamazione del principe Ferdinando a Re di Bulgaria, la S.V. mi ha diretta la lettera confidenziale del 23 corrente1, colla quale, dopo aver confermate le circostanze che sembrerebbero eliminare la eventualità stessa, accenna, però, all’impressione sua personale che, in fatto, la possibilità di tale proclamazione esista tuttavia.

La S.V. aggiunge che anche i suoi colleghi si mostrano, in questi giorni, meno recisi che in passato, nello escludere che la proclamazione possa avvenire; e, ad ogni buon fine, chiede che io le faccia pervenire, d’urgenza, le mie istruzioni per il caso, sia pure assai incerto, che a Tirnovo il Principe venga acclamato Re.

Poiché, come ella mi partecipa, a lei manca, fino ad ora, non solo qualsiasi notizia, sia pure d’indole ufficiosa, ma anche ogni positivo indizio, che la eventualità accennata abbia ad avverarsi, è naturale che, ove la medesima effettivamente si realizzasse, ella si dichiari senza istruzioni e riferisca al R. Governo per avere allora quelle direzioni che saranno del caso.

412 1 Non pubblicata.

413

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. 41913/548. Roma, 5 agosto 1907.

Segno ricevuta del rapporto 1° luglio a.c. n. 984/400 circa il ritorno in Addis Abeba di sir J. Harrington1.

Questo Ministero ben conosce che la politica inglese di preponderanza politica in Etiopia non è personale all’attuale ministro in Addis Abeba, ma è [...]2 dei princìpi prevalenti nelle sfere dirigenti britanniche. D’altra parte noi non possiamo in alcun modo acquietarci a tali intendimenti poiché l’accordo 13 dicembre 1906 consacra il principio di un’equa partecipazione delle tre potenze in tutto quanto si riannoda alla vita politica ed economica dell’Etiopia: e certamente l’accordo perderebbe buona parte del suo valore, se noi ci lasciassimo soverchiare dall’attività rudemente o cortesemente dimostrata dagli agenti britannici.

E così, nel mentre pienamente convengo con quanto V.E. mi espone circa la necessità di sacrificare una parte delle nostre aspirazioni allo scopo di conseguire un accordo di volontà, noto che egual principio si deve applicare agli intendimenti delle altre due potenze.

Traducendo in atto simili princìpi ed entrando nel campo pratico, nel mentre ci sarebbe sembrato conforme ad un corretto apprezzamento delle circostanze che il sig. J. Harrington non tornasse ad Addis Abeba come non tornassero gli altri due ministri, pure possiamo sacrificare parte del nostro assunto e limitare il nostro desiderio a conoscere l’ulteriore durata della sua presenza in Etiopia.

Circa il modus procedendi per conseguire simili assicurazioni, V.E. è libera di fare quel che crede più adatto. Credo, però, che la via più opportuna e sicura sia quella di rivolgersi al sig. Cambon con quel tatto e quel senso pratico che ella ha costantemente usati.

Intanto, quello che interessa è di proporre un piano d’azione per rendere utile, nel campo pratico, l’accordo del 13 dicembre 1906. Visto l’atteggiamento dell’Inghilterra, e l’acquiescenza della Francia, l’accordo assumerebbe un aspetto solo formale, se noi non agissimo.

Per questo piano di azione, ho interessato il Governo di Asmara e la legazione in Addis Abeba; ma il consiglio della E.V. mi sarà prezioso, ed io la prego di studiare questo punto e di farmi conoscere le sue idee, riservandomi di comunicarle quali che esse siano quelle del Governo di Asmara e della legazione di Addis Abeba3.

2 Parola illeggibile. 3 Per la risposta vedi D. 422.

413 1 Vedi D. 383.

414

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’ AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

L. PERSONALE. Roma, 5 agosto 1907.

A proposito dei deplorevoli incidenti prodottisi negli scorsi giorni a Pergine ed in altri luoghi del Trentino, desidererei che ella facesse rilevare — ben inteso nella forma più amichevole — al barone di Aehrenthal la penosa impressione che ha destata, e non poteva a meno di destare in Italia, il fatto che si permetta a sudditi stranieri di andare in una regione della Monarchia austro-ungarica, ad inalberare una bandiera straniera e provocare una nazionalità della Monarchia stessa. Agli italiani si deve presentare spontanea la domanda: perché il Governo austriaco permette a sudditi germanici di entrare in Austria per provocare sudditi austriaci di nazionalità italiana, mentre non permetterebbe certo a sudditi italiani di andare a provocare sudditi austriaci di nazionalità germanica? Quello che l’opinione pubblica italiana reclama è la parità di trattamento: il prof. Meyer avrebbe dovuto essere espulso da Pergine, come, tre anni or sono, il prof. De Gubernatis fu espulso da Innsbruck. Se la questione fosse posta fra sudditi austriaci di diversa nazionalità, noi non avremmo evidentemente alcun diritto di interloquire. Abbiamo questo diritto quando vediamo che — col permesso dato ai pangermanisti dell’Impero di recarsi, a scopo apertamente provocatore, nel Trentino, e colla tolleranza verso di loro usata — si fa a sudditi di un altro Stato un trattamento privilegiato, che non si farebbe certamente a sudditi italiani.

Queste osservazioni io prego V.E. di lasciar intendere al barone di Aehrenthal, al quale non dovrebbe sfuggire anche un’altra considerazione, che mi viene inspirata dalla lettura di un articolo della Kölnische Zeitung. Il giornale renano dice, senza ambagi, che i tedeschi della Germania intraprendono spesso escursioni in Tirolo per visitarvi i connazionali, ed incoraggiarli a perseverare nella difesa della loro nazionalità. Se gli italiani facessero lo stesso, il risultato sarebbe che il Tirolo ubbidirebbe in parte ad influenze di Germania, e in parte ad influenze d’Italia. Non si comprende davvero come ciò potrebbe essere compatibile colla sovranità austriaca1.

414 1 Per la risposta vedi D. 425.

415

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1647/7501. Vienna, 5 agosto 1907.

Sotto il titolo L’Italia nella Triplice, dopo l’intervista di Desio, la Zeit dedica un lungo articolo, nel suo numero del 3 corr., all’incontro tra l’E.V. ed il barone d’Aehrenthal.

Quanto è detto nell’articolo stesso è indicato dal redattore della Zeit come proveniente dai «circoli diplomatici».

La diplomazia — premette l’articolo — dice sempre, dopo qualsiasi incontro diplomatico, che esso è «altamente soddisfacente».

Però nel caso presente, la soddisfazione per l’intervista dell’on. Tittoni col barone d’Aehrenthal può dirsi veramente sincera.

Non è un segreto che tra l’Austria e l’Italia vi sono state delle ragioni di dissenso.

L’articolista critica, quindi, l’attitudine del conte Goluchowski che avrebbe dato all’irredentismo maggiore importanza di quella che non meritasse, attribuendo all’Italia delle mire di conquiste.

Dopo il ritiro del conte Goluchowski, le relazioni italo-austro-ungariche sono andate migliorando, il re Vittorio Emanuele scrive una lettera cordiale all’Imperatore ed ha luogo l’intervista di Desio.

Oggetto principale di tale intervista è stata la questione balcanica, che diede sempre luogo a dissensi.

Ciò che fu stipulato a Desio è un segreto, ma è certo che la questione balcanica, per quanto riguarda l’Italia e l’Austria-Ungheria, è ormai regolata «ed ha cessato di essere il pomo della discordia tra i due Stati».

Passando, quindi, a trattare dell’udienza accordata da S.M. il Re al barone d’Aehrenthal a Racconigi, la Zeit riferisce che S.M. il Re si sarebbe compiaciuto dell’esito dell’intervista di Desio, telegrafando in questo senso all’Imperatore.

Si sarebbe anche trattato di uno scambio di visite tra i due Sovrani ed il barone d’Aehrenthal avrebbe osservato che l’Imperatore, per la sua tarda età, non restituisce le visite che gli vengono fatte dagli altri sovrani, come appunto è avvenuto in recenti circostanze.

Non è esclusa la possibilità — prosegue il giornale — che il Re d’Italia venga a visitare l’Imperatore a Vienna in autunno avanzato e che tale visita gli venga restituita a Roma da un principe imperiale a nome dell’Imperatore.

Sembra che questa eventualità sia vista di cattivo occhio dal Vaticano, il quale tenderebbe a far sì, in ogni caso che la visita non fosse resa dall’arciduca ereditario, ma bensì da un altro principe, come ad esempio l’arciduca Federico che già rappresentò altra volta l’Imperatore a Londra.

Accenando, infine, alla data della scadenza della Triplice, il giornale conclude osservando che — più che non questa data — ha importanza l’intervista di Desio, «dopo la quale la Triplice non esiste più solo sulla carta, ma anche di fatto: la parola si è fatta carne».

Nell’accludere il testo di questo articolo ed anche quello di un altro articolo dello stesso giornale2, in cui ritorna sulla fantastica visita di S.M. il Re in Vienna.

415 1 Dall’archivio dell’ambasciata a Vienna.

416

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL GOVERNATORE DELL’ERITREA, SALVAGO RAGGI

T. 1275. Roma, 6 agosto 1907, ore 20,15.

Rapporto 1025, segreto1. Negoziato per cessione Raheita sempre aperto. Noi abbiamo chiesto in compen-

so sistemazione confine tra Etiopia Somalia verso Lugh, sistemazione confine dancalo, stazione Let Marefià, ferrovia oltre Mareb, se questa fosse negata, ferrovia Beilul Socota pel Gualima.

Negoziato è rimasto ancora fermo sia perché ho creduto opportuno tirare in lungo, sia sopratutto perché non abbiamo ancora ricevuta risposta definitiva ufficiale Menelik.

Come risulta da telegramma Colli 31 marzo 392, trasmessomi da V.E., Menelik si è riservato esaminare nostri desiderata per Dancalia non ancora comunicatigli. Sappiamo solo che non intende cedere per Lago Salato. Secondo assicurazioni Menelik a Martini luglio 1906, era allora certo che confine dancalo potesse essere regolato indipendentemente sessanta chilometri, in modo omogeneo, salvo discutere questione Piano Sale e Biru Teru. Volli su queste ragioni che legazione Addis Abeba conoscesse nostri desiderata secondo telegramma Martini 21 marzo3. Essendo pertanto necessario nel regolamento questione dancala, tener presente e lasciare impregiudicato negoziato segreto per Raheita ho soprattutto per questa ragione preferito delle soluzioni indicate da V.E., quella del modus vivendi che permette continuare negoziato per venire ad una definitiva sistemazione. Manderò presto istruzioni segrete a Colli per mezzo di V.E. per negoziato Raheita4. Intanto la prego tener tutto ciò presente nel formulare proposte concrete.

416 1 Non pubblicato.

2 Vedi D. 311. 3 T. 661/355 del 21 marzo, non pubblicato. 4 Vedi D. 421.

415 2 Non pubblicati.

417

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’ AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

L. Roma, 6 agosto 1907.

Nel recente colloquio di Desio si parla, fra le altre cose, anche dell’istituzione di uffici postali italiani in Turchia. Se ne parla, ben inteso, non già come di questione nella quale potesse entrare l’Austria-Ungheria o che potesse interessare le nostre reciproche relazioni. Ma condussi io la conversazione sull’argomento, facendo osservare come una lunga esperienza ci insegni che, finché la Turchia può sperare che una domanda avanzata da una delle potenze non sia secondata dalle altre, essa ha costume di opporre alla domanda un ostinato rifiuto; sarebbe quindi opportuno far nascere nel Governo ottomano la convinzione che, di fronte ad una nostra azione per la creazione di quegli uffici postali, il Governo austro-ungarico non solo non eserciterebbe alcuna influenza contraria a Costantinopoli, ma appoggerebbe la domanda presso la Sublime Porta, dichiarando che la considera come perfettamente giustificata. Il barone di Aehrenthal mostrò le più favorevoli disposizioni al riguardo; ed io sarò grato a V.E. di volerlo in esse confermare.

Ella sa come quello che noi chiederemmo alla Sublime Porta non sarebbe già la concessione di un favore, ma bensì l’esercizio di un diritto nostro: diritto fondato sul principio del trattamento della nazione più favorita, contenuto nel regime generale delle Capitolazioni e confermato espressamente dall’art. 1° del Trattato fra la Sardegna e la Turchia del 31 luglio 18541, il quale fu, alla sua volta, esplicitamente mantenuto in vigore dall’art. 1° del Trattato del 10 luglio 1861 fra l’Italia e la Turchia2. Siccome in tutti i luoghi nei quali intendiamo stabilire uffici postali italiani, già esistono uffici postali di altre nazioni, così è indubitato che il principio della nazione più favorita trova quivi la sua applicazione, e che l’opposizione — eventuale e prevedibile — della Sublime Porta non avrebbe alcun fondamento.

Nell’esporre queste considerazioni al barone di Aehrenthal, ella si compiacerà esprimergli la mia fiducia che, dopo di avere esaminato la questione, egli non esiterà a ripetermi formalmente al Semmering le assicurazioni generiche già statemi date a Desio, in modo che io possa poi avviare senz’altro le pratiche necessarie per l’attuazione di quel nostro già antico progetto.

2 Ivi, pp. 918-928.

417 1 Raccolta dei trattati e delle convenzioni commerciali in vigore tra l’Italia e gli Stati stranieri, compilata per cura del Ministero degli Affari Esteri, Torino Tip. G. Favale, 1862, pp. 515-522.

418

IL CONSOLE GENERALE A TRIPOLI, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATISSIMO 1171/415. Tripoli, 6 agosto 19071.

Ho l’onore di segnare ricevimento del dispaccio, in data 26 luglio u.s., n. 40056/268, riservatissimo2, col quale l’E.V. mi rimette, in via strettamente confidenziale, copia di lettera da Bengasi di autorevole suo amico. Alla fiducia benevola e cortese che l’E.V. vuole riporre in me è mio dovere rispondere con tutta franchezza e ponderazione.

L’esposizione fatta, a sommi capi, dal senatore De Martino sulle condizioni attuali della Cirenaica è assolutamente giusta e veridica; buoni sono i mezzi di preparazione da lui suggeriti per ottenere in quella regione la penetrazione, in conformità all’indirizzo nuovo ed utile saviamente dato dall’E.V. all’azione italiana in Tripolitania.

Ma con la schiettezza che mi sono imposto per dovere imprescindibile verso l’E.V. e verso la Patria, debbo aggiungere che a quell’indirizzo non avrebbero potuto mancare risultati ottimi, se fosse stato iniziato già da parecchi anni, quando le diffidenze della Turchia, rivolte verso altri, potevano lasciare a noi la speranza di essere i preferiti; oggi succede il contrario, le diffidenze sono tutte concentrate contro di noi, né occorre qui ripetere quanto ho già esposto in rapporti diversi e quanto già risulta chiaramente al Governo: oggi, sono altri che cercano di approfittare dell’occasione per essere i preferiti nel campo commerciale e nell’industriale, per ciò raggiungere dichiarano ben altamente di non averci scopi politici; in conseguenza ogni nostra azione, per buona o insignificante che sia, si risolve a profitto di terzi, perché il Governo ottomano attribuisce a noi italiani l’unico scopo politico, contrario, naturalmente, ai di lui interessi.

Del resto l’on. De Martino non dissente da tali concetti quando scrive: «Non è possibile di credere che le nazioni, che hanno esuberanza di capitali e di attività industriale, non fissino lo sguardo ad una terra produttiva quanto la Tunisia e l’Egitto». E più avanti quando aggiunge: «Se la nostra ambasciata a Costantinopoli non riuscirà a fare intendere alla Turchia che essa deve oramai aprire le porte all’attività nostra commerciale ed agricola, questo paese diventerà preda di ineluttabili avvenimenti politici». E subito prosegue: «Non saremo noi, forse; ma saranno altri a profittarne. L’Italia non può essere custode del malgoverno e barriera all’azione della civiltà. Noi in questo modo non abbiamo utilità e compensazione ai servizj che rendiamo alla Turchia».

L’esperienza fatta da sei mesi che sono in Tripolitania mi convince sempre più di quanto ho sopra accennato.

2 Non pubblicato.

Alla pacifica azione italiana, sistematicamente contrariata dai turchi con un crescendo che non corrisponde certamente al garbo ed alla pazienza spiegati dalle autorità italiane, vediamo già, non dirò ancora sostituirsi, ma unirsi l’azione di terzi, dei quali i turchi non si preoccupano e che anzi incoraggiano; ne sono prova la navigazione greca a vapore, la navigazione germanica appena iniziata con l’Egitto e che già annunzia comunicazioni dirette con Costantinopoli.

Qui mi si affaccia alla mente la situazione in Tunisia nel 1881, analoga ma inversa: gli italiani vi erano allora i preferiti ed i francesi, aborriti, dovettero imporsi al Governo tunisino per ottenerne concessioni e privileggi [sic] ma ciò anche non bastò, ed essi dovettero addirittura occupare il paese per rendere effettiva l’imposizione; né titubarono a farlo e con tutta premura, senza tergiversare3. Ora, fatta astrazione dal paragone tra un bey di Tunisi ed un sultano di Costantinopoli, mi sembra scorgere molta analogia tra la posizione politica attuale dell’Italia in Tripolitania e quella della Francia in Tunisia nel 1881, ed auguro che ad imitazione della Francia in Tunisia, l’Italia sappia e possa risolvere a proprio vantaggio la situazione in Tripolitania.

All’E.V., al R. Governo importa di non ritrovarsi poi nel caso di avere tentato il meglio per ricavarne il peggio. Per ciò, rammentando il mio rapporto del 3 giugno u.s. a n. 846/293 sulla «situazione politica in Tripolitania»2 conchiudo, come allora, che verso la Turchia non possiamo illuderci di riuscire, se prima non ci saremo imposti o con un accordo franco ed assoluto, a base di reciproche garanzie, ovvero con una occupazione. Nelle vie di mezzo perdo ogni fiducia, ne rimarremo ritardati nella nostra azione a vantaggio di terzi, che, approfittando della posizione fatta agli italiani, offriranno l’opera propria e saranno i preferiti.

A proposito di occupazione, la stessa lettera dell’on. De Martino mi suggerisce che, in caso di pressioni o di imposizioni estreme verso la Turchia, l’occupazione più o meno temporanea della stessa Cirenaica o meglio della sua capitale, Bengasi, con una stazione navale in Bomba o a preferenza in Tobruk, per il suo ottimo ricovero, con collegamento di telegrafo Marconi fra quei due punti, potrebbero darci definitivamente la dovuta supremazia in Tripolitania, per la quale ci manca ora e ci mancherà sempre una base effettiva del paese, se non ci decideremo, come ho detto ad una azione energica che ce la crei.

So bene che molte considerazioni di indole politica e diversa si affacceranno, ma all’E.V. non mancheranno i buoni argomenti per ritorcerle, con le potenze amiche ed alleate, dimostrando la necessità e l’utilità comune di un tale passo. Quest’idea genuina, che ha già forse balenato nella mente dell’E.V., va naturalmente studiata e sviluppata; però a primo aspetto, la credo fra le più attuabili, quando si debba venire a tale estremo per l’attitudine della Turchia.

Prego l’E.V. di scusare la mia libertà.

418 1 Manca l’indicazione della data di arrivo.

418 3 Annotazione a margine: «Pestalozza dimentica il Congresso di Berlino».

419

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1631/881. Addis Abeba, 7 agosto 19071.

Notizia pubblicata da giornali italiani ed esteri su armamenti e preparativi che si stanno facendo in Benadir per dimostrare e sostenere nostra intenzione mantenere integrità territorio e porto di Lugh contestata da Menelik ha qui destato qualche impressione e potrebbe provocare da parte del Negus qualche dimostrazione od atto di sovranità sui territori in discussione. Io sono senza istruzioni e non ho avuto alcuna comunicazione dei provvedimenti e dell’intenzione del Governo per il Benadir, come non ho avuta alcuna risposta ai miei rapporti che si riferiscono a tale proposito2.

420

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. 1294. Roma, 9 agosto 1907, ore 14,45.

Mi riferisco al telegramma di V.E. n. 1211. Ella sa come, seguendo anche i consigli amichevoli dell’Inghilterra, noi ci

siamo studiati di metterci d’accordo coll’Austria-Ungheria per tutte le questioni concernenti i Balcani. Ciò non impedisce, però, che, in conformità degli accordi verbali presi a Windsor, qualunque atto della nostra politica in Oriente non debba essere intrapreso senza una intesa preventiva coll’Inghilterra. E lo stesso noi confidiamo che avverrà da parte sua. Contando sopra di ciò, e sapendo, del resto, come non sia costume di codesto Governo di assumere impegni segreti di alcuna specie, noi continuiamo a non prestar fede alle voci corse di accordi speciali fra l’Inghilterra e l’Austria-Ungheria in occasione del prossimo incontro dei due Sovrani.

2 Per la risposta vedi D. 428.

incontrato Francesco Giuseppe soltanto perché si sarebbe recato a Marienbad e che non avrebbe modificato la politica britannica verso i Balcani.

419 1 Trasmesso da Asmara il 12 agosto.

420 1 T. 1592/121 del 6 agosto, con il quale di San Giuliano precisava che Edoardo VII avrebbe

421

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. SEGRETO1. Roma, 10 agosto 1907.

Circa rapporto 15 aprile 312 attendevo risposta Menelik alla nota rimessagli da V.S. Impossibile consentire che concessione Raheita costituisca cessione sovranità territorio. A momento opportuno sarà agevole esporre Negus gravi ragioni politicomorali che innanzi paese Parlamento impediscono cessione sovranità. Dobbiamo mantenere concessione termini condizioni telegramma 22 marzo scorso3. Sostanzialmente è per Menelik la stessa cosa, trattandosi concessione perpetua.

1) Per confine somalo, nostra proposta è logica razionale politicamente, etnograficamente. Confido che notizie fornite da capi abissini chiamati dal Negus lo abbiano di ciò convinto. Controproposta Menelik inaccettabile per ragioni da lei indicate. Potremo discutere altra linea sulla base di quella in Somalia che ella crede Menelik possa accettare. Intanto bisogna insistere con tutte le forze sulla prima.

2) Per Let Marefìà è questione morale. Riserviamo nostra decisione secondo esito complessivo negoziato.

3) Per ferrovia oltre Mareb o per Gualima confermo precedenti istruzioni. 4) Per confine dancalo, ella conosce nostri desiderata secondo proposte Odorizzi

comunicatele dal Governo Asmara. Essi saranno oggetto discussione con Menelik. Bisognerà tenerli presenti se questione dancala dovesse essere risoluta separatamente secondo istruzioni che riceverà da Asmara, e ciò per non pregiudicare negoziato generale.

Attendo risposta Menelik che spero modificata da ulteriori colloqui di lei in base presente telegramma.

Mi preoccupa eventualità Menelik forzi la mano con spedizioni verso Lug-Ogaden, come fa ora in Dancalia. Se lo crede necessario, ella potrà domandare formale assicurazione per statu quo cui turbamento sarebbe da noi considerato atto ostile, essendo base nostra politica in Etiopia pace, commercio, rispetto sovranità Menelik.

Intanto prego studiare riferire programma da attuarsi per preservarci se pericolo sorgesse nel caso attuale negoziato fallisse.

Circa nostra posizione verso Inghilterra in presente negoziato segreto, noi siamo coperti da dichiarazione annessa all’accordo 13 dicembre 1906 e dal fatto che Governo inglese tratta con Menelik per frontiera sud Etiopia all’infuori di noi. A questo proposito, è necessario ella segua trattative per eventuali nostre osservazioni in base precedenti formali impegni Inghilterra e in base stesso accordo 13 dicembre.

2 Vedi D. 324. 3 T. 552, non pubblicato.

421 1 Dall’Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana. Trasmesso via Asmara.

422

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1216/508. Londra, 10 agosto 1907 (perv. il 17).

Rispondo al suo dispaccio del 5 corr. n. 548 (Ufficio coloniale)1. È probabile che, scrivendo in fretta il mio rapporto del 1° luglio n. 4002, io non abbia espresso bene il mio pensiero. Io non intendevo di consigliare arrendevolezza, ma volevo dire che tre volontà discordanti non si possono mettere d’accordo senza che ognuno sacrifichi qualche parte di ciò che avrebbe preferito, e che tutto sta nel determinare la misura rispettiva di siffatto sacrificio.

Purtroppo è da temere che tale misura sia in ragione inversa della forza d’ognuna delle tre parti, e credo con V.E. che noi dobbiamo il meglio possibile sostenere i nostri interessi.

Ciò premesso, il dispaccio di V.E. si riassume in due punti fondamentali: scelta piano d’ azione per conseguire questo scopo, e durata della permanenza di Harrington ad Addis Abeba. Su quest’ultimo punto, il sig. Cambon, ora partito per circa un mese per il continente, mi diceva pochi giorni fa che Harrington non torna ad Addis Abeba que pour faire ses paquets, il che è ancora più esplicito che il temps limité, di cui nel mio rapporto del 27 maggio n. 3113. Più importante è il primo punto, sul quale V.E. chiede il mio consiglio, cioè il piano d’ azione per rendere utile, nel campo pratico, l’accordo del 13 dicembre 1906.

Bisogna all’ uopo premettere che l’ Inghilterra eseguirà l’accordo lealmente, ma secondo la propria interpretazione — a V.E. ben nota —, e che considerazioni sentimentali di amicizia e di simpatia non la rimuoveranno dal cercare di svolgere i propri interessi economici e politici, anche a danno dei nostri, in tutto ciò in cui non è obbligata dai patti ad astenersene. Ciò posto, a parere mio, la prima condizione, anzi la condizione sine qua non, di qualsiasi piano d’ azione è che esso, in conformità al proprio nome, sia piano d’ azione e non d’inazione.

È necessario cioè affrettarsi a creare interessi vivi e reali, ad iniziare imprese industriali; avviare commerci, aprire comunicazioni, in Etiopia ed anzitutto a) nelle regioni che sono più specialmente riservate alla nostra futura espansione, b) in quelle in cui è più temibile e più prossima la concorrenza inglese, con o senza sviamento del commercio.

Per questo scopo occorre la cooperazione del Governo e dell’iniziativa privata, nella sua triplice forma d’intelligenza direttiva, capitale e lavoro. Questa è la mia opinione, che ho espressa più volte nei miei rapporti ufficiali, nelle nostre conversazioni

2 Vedi D. 383. 3 Non pubblicato.

private, nei miei discorsi parlamentari. Questa è pure l’opinione di V.E., ma, purtroppo, come siamo d’accordo nel riconoscere la giusta via da battere lo siamo anche nel misurare le difficoltà che vi si oppongono, e che son certo gravissime, benché forse non insuperabili. Uno, al certo, dei provvedimenti più urgenti e al tempo istesso dei più difficili, perché costoso, è una via ferrata e automobilistica da Massaua a Gondar. Se non arriva, e presto, fino a Gondar, e se non consegue il massimo buon mercato nel prezzo di trasporto, non è provvedimento efficace. Urgente pure, ma ci si oppone in egual misura la difficoltà finanziaria, una buona via carovaniera o rotabile, o meglio, automobilistica da Assab a Borumieda. Ottima cosa, che credo già in parte compiuta, perché relativamente facile, la istituzione di agenzie commerciali, di cui quella di Gondar sarebbe la più importante ed urgente. Importante pure è il far realmente eseguire l’art. 3 del trattato di commercio italo-abissino del 21 luglio 1906, che obbliga Menelik a sopprimere le dogane interne, le quali quasi tutte creano dei diritti differenziali a danno nostro.

Nei rapporti con l’Inghilterra, poi, bisogna, pur mantenendo la forma ed anche la sostanza della cordialità e dell’amicizia, ricordarsi che gli affari sono affari, e quindi, tutte le volte che si presenta occasione di fare ad essa cosa utile o gradita, farla soltanto in cambio di un corrispettivo proporzionato. E dico proporzionato, perché non bisogna né chiederne uno esagerato, né contentarsi di uno inadeguato. Per esempio se, adottando i disegni di lord Cromer, il Governo inglese ci chiederà di abbandonare alcuni dei nostri privilegi in Egitto, credo che non convenga consentirvi, neanche in massima, senza un corrispondente compenso.

422 1 Vedi D. 413.

423

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. RISERVATO 13071. Roma, 11 agosto 1907, ore 15,30.

Giungono notizie su spedizione amhara da Harrar verso sud. Prego telegrafarmi scopo tale spedizione e se essa tende hinterland Benadir, voglia subito chiedere a Menelik conferma assicurazioni su mantenimento statu quo e proibizione razzie nella zona che è ora oggetto di negoziato con Menelik. Raccomando vivamente sua azione efficace per scongiurare pericolo Benadir2.

2 Per la risposta vedi D. 426.

423 1 Trasmesso via Asmara.

424

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1469/548. Therapia, 12 agosto 1907 (perv. il 21).

Ho l’onore di rispondere al dispaccio ministeriale delli 30 luglio n. 624, Uff. Diplomatico, pos. 1/11.

Il rapporto del r. console generale in Tripoli, n. 842, mi è stato da lui trasmesso pel tramite di codesto R. Ministero. L’ho quindi ricevuto in pari tempo che il dispaccio di V.E.

Il mio parere circa i fatti e le considerazioni esposte dal cav. Pestalozza, l’ho già manifestato, e nel modo per me più particolareggiato e più esauriente, a varie riprese, e da ultimo ancora nel rapporto delli 8 luglio n. 4603.

I concetti da me enunciati circa i criteri ai quali, a mio remissivo parere, dovrebbe informarsi l’insieme della nostra azione politico-economica per tutto quanto concerne la Tripolitania, hanno avuto la ventura di incontrare l’alta approvazione dell’E.V. la quale si è compiaciuta di manifestarmela col dispaccio del 26 luglio u.s., n. 596, Uff. Diplomatico, pos. 1/14.

Mi sarebbe, ciò stante, assai malagevole, al momento presente, di intrattenere di nuovo l’E.V. sull’importante argomento, perché in tal caso non potrei che ripetere osservazioni, considerazioni e suggerimenti già diffusamente spiegati, e da lei approvati.

Una sola osservazione tuttavolta credo di dovere aggiungere in merito all’azione del valì e dei suoi dipendenti, azione giustamente constatata e deplorata dal r. console generale, il quale riterrebbe venuto il momento per adoperarsi a preparare e cercare l’allontanamento di Regeb pascià, e specialmente di Bekir bey.

Il suggerimento del cav. Pestalozza sarebbe opportunissimo ed io sarei ben lieto di adoperarmi strenuamente per ottenerne l’effettuazione, se il contegno di quel valì fosse da attribuire a sua personale iniziativa. Ma, purtroppo, tale non è il caso, e lo riconosce lo stesso console. Regeb pascià obbedisce ciecamente, scrupolosamente agli ordini del Palazzo, i quali — come non cesso di scriverlo da due anni — si possono riassumere nella formula seguente: ostacolare, intralciare, impedire con tutti i mezzi, con tutti i pretesti, con tutti i cavilli, qualsiasi intrapresa italiana, evitando però gli incidenti.

La conseguenza inevitabile di questa premessa è che qualsiasi valì sarà inviato a Tripoli, al pari che qualsiasi mutessarif a Bengasi, ed in generale qualsiasi funzionario ottomano in Tripolitania o Cirenaica, o seguirà l’esempio di Regeb, o non rimarrà a lungo al suo posto.

2 Non pubblicato. 3 Vedi D. 390. 4 Vedi D. 405.

Di quanto affermo abbiamo una prova manifesta nel fatto che, con l’avere finora provocato mutamenti di due mutessarif a Bengasi e di tre kaimacan, la situazione è rimasta stazionaria, se non è peggiorata. E se la Sublime Porta ha, cedendo alle nostre istanze, traslocati o destituiti quei funzionari, lo ha fatto principalmente perché temeva, mantenendoli al posto, di esporsi a gravi incidenti con noi.

Non vedrei, ciò stante, vantaggi che potremmo ricavare dal promuovere l’allontanamento da Tripoli di Regeb pascià che, al postutto è sempre un uomo intelligente e relativamente maneggevole. Temo invece assai gli inconvenienti gravi cui noi si potrebbe andare incontro, se a Tripoli venisse inviato qualche funzionario, e non ne mancano in questo paese fanatico, privo di ogni coltura e poco intelligente, il quale seguirebbe, con minore autorità di fronte al Palazzo ed alla Sublime Porta le orme di Regeb, accentuando ancora di più la sua ostilità contro di noi rendendo anche più difficile l’attuazione da parte nostra di quelle intraprese per le quali non abbiamo bisogno del consenso del Governo. Cito ad esempio l’apertura della succursale del Banco di Roma. Si trattava, in quel caso, di una impresa alla quale nessuno aveva il diritto di opporsi. Questa circostanza non è sfuggita certo all’acume di Regeb pascià, il quale ha, in realtà, sollevato soltanto ostacoli pro forma, mentre un tipo del genere di Haïri pascià (il defunto muscir di Salonicco) avrebbe talmente inasprito la questione da costringerci a ricorrere a misure coercitive, con vantaggio relativo in proporzione dello sforzo che saremo stati costretti a fare.

Conviene in conclusione tener sempre presente il fatto che il Sultano non è un uomo cui si possa riuscire a fare entrare in mente, ed in tempo utile, qual è il suo vero interesse. Questa ardua impresa è stata invano tentata da tutti i diplomatici, anche i non autorevoli e più eminenti qui succedutisi nel corso del Regno di Abdul Hamid.

Fino a qualche anno fa, è inutile dissimularselo, il cattivarsi l’amicizia con l’Italia non entrava nelle direttive della politica generale di S.M. Imperiale.

Successivamente accortesi che l’Italia, sia per forza e virtù propria, sia per alleanze ed amicizie con le altre grandi potenze, è venuta diventando un fattore della politica europea, il Sultano ha ritenuto essere suo interesse di coltivare sul serio le buone relazioni con noi. Egli quindi si compiace a considerarci come suoi amici, ma, per quanto concerne la Tripolitania, ravvisa e ravviserà sempre in noi, ad onta di tutte le nostre dichiarazioni in contrario, la potenza che aspira a strappargli o presto o tardi quella parte dei suoi dominii. Questo concetto è oramai profondamente radicato nell’animo di lui, e nulla al mondo varrà a strapparglielo o ad affievolirlo.

Qual sorpresa, ciò stante, che S.M. Imperiale cerchi di difendersi come sa e può? Si potrebbe osservare che lo fa male ed in modo poco intelligente ed avveduto, ma, d’altra parte, conviene purtroppo riconoscere che i mezzi da lui adoperati sono i soli alla portata della mentalità sua e di buona parte dei suoi consiglieri.

Quale debba essere, stando così le cose, il contegno nostro per dare al difficile problema la soluzione che si impone e che risponde ai nostri interessi, io l’ho già più volte accennato e non starò qui a ripeterla.

Si riuscirà o non si riuscirà, non potrei garantirlo, ma, diversa linea di condotta, io lo confesso, non saprei indicare.

Escluso pertanto, al momento attuale, a causa della situazione internazionale, ogni piano di annessione territoriale della Tripolitania, importa sommamente di non

disperdere le nostre forze, chiedendo qui facilitazioni e permessi per affari di importanza solo secondaria, missioni scientifiche, acquisti di piccoli lotti di terreno, tentativi di colonizzazione su scala esigua, esercizio di piccola industria, ecc. ecc. Siffatte concessioni, mentre richiedono per ottenerle un grande sviluppo di energia da parte nostra, mentre sono destinate a dare risultati solo relativi, possono d’altra parte svegliare gli appetiti e le cupidigie di sudditi di altre nazioni. È per contro indispensabile, e senza ulteriore perdita di tempo, di frapper le grand coup concretando un solo piano di grande ampiezza o di grande portata, mirante a far passare nelle mani nostre tutte le concessioni economiche veramente essenziali (porti di Tripoli e Bengasi, ferrovie, esercizii di miniere, scavi su vasta scala, ecc.), in modo tale da acquistare sul serio una posizione economica preponderante e porci una volta per sempre al riparo di ogni pericolo di concorrenza straniera. Per tale piano che deve, a mio avviso, essere uno ed indivisibile, occorre beninteso un capitale di tanta entità e di tanta solidità da imporre alle altre nazioni ed alla stessa Turchia. Concretato il piano, approntato il capitale, preparato qui ed altrove il terreno, ci potremo accingere alla lotta con qualche probabilità di riuscita.

Questa è, ripeto, la sola via che, a mio parere, noi possiamo utilmente battere per giungere a risultati pratici. I piccoli affari altro non costituiscono ai miei occhi che l’esponente di una politica di espedienti e di ripieghi, la quale ci procurerà soltanto incidenti fastidi, complicazioni incessanti e ripetute, con danno indiscutibile dei nostri interessi in altre regioni dell’Impero ottomano, mentre non ci farà fare un solo passo serio e positivo verso la sola soluzione, consentitaci all’ora presente, alla questione della Tripolitania5.

424 1 Vedi D. 409.

425

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. PERSONALE. Vienna, 12 agosto 1907.

Nel colloquio che ebbi jeri al Semmering col barone d’Aehrenthal, gli esposi nella forma più amichevole le osservazioni contenute nella lettera particolare dell’E.V. del 5 corrente1, relativa ai deplorevoli incidenti avvenuti di recente a Pergine ed in altri luoghi del Trentino.

Nel fargli conoscere la penosa impressione che aveva destato in Italia il fatto che si fosse permesso a sudditi germanici di andare in una regione della Monarchia

425 1 Vedi D. 414.

austro-ungarica ad inalberare una bandiera straniera e provocare sudditi austriaci di nazionalità italiana, mentre non si permetterebbe a sudditi italiani di recarsi a provocare sudditi austriaci di nazionalità germanica, gli ricordai l’espulsione avvenuta tre anni or sono da Innsbruck del professor De Gubernatis, rilevando come alcun provvedimento in tal senso non fosse Stato, preso nelle circostanze suddette contro il professor Mayer a Pergine.

Aggiunsi che quello che dall’opinione pubblica italiana si reclamava era la parità di trattamento.

Se noi non avremmo avuto il diritto d’interloquire nella questione qualora fosse posta tra sudditi austriaci di diversa nazionalità, questo diritto però avevamo quando vedevamo fare, colla tolleranza usata verso i pangermanici dell’Impero nel Trentino, e sudditi di un altro Stato, un trattamento privilegiato che non si farebbe certo a sudditi italiani.

Il barone d’Aehrenthal mi rispose che la questione di cui l’aveva intrattenuto era d’ordine pienamente interno della Monarchia e che, per ciò che riguardava il trattamento fatto ai pangermanici dell’Impero nella regione suddetta, esso era di competenza esclusiva del Governo austriaco, al quale spettava di prendere quelle determinazioni che giudicava più opportune a seconda delle circostanze, onde non poteva né credeva ingerirsi nella questione stessa.

Quantunque il barone d’Aehrenthal si sia espresso meco nel modo più amichevole, il riserbo però da esso tenuto nel rispondermi, evitando di entrare nel merito degli argomenti da me esposti, mi ha lasciato l’impressione ch’egli avrebbe preferito che non gli parlassi della cosa.

E per quanto quelli argomenti siano pienamente fondati, questo suo riserbo fa constatare come, nonostante le buone disposizioni da cui è animato verso di noi, egli non desideri toccare questioni riguardanti le provincie di lingua italiana appartenenti alla Monarchia, rispetto alle quali qui si dimostra, in generale, per ciò che ci riguarda, una successiva suscettibilità.

P.S. Sono stato or ora informato in via riservata da fonte autorevole, che il barone d’Aehrenthal avrebbe manifestato a quest’incaricato d’affari di Germania il suo rincrescimento per i maltrattamenti di cui si sarebbero fatti segno alcuni sudditi germanici durante i fatti di Pergine2.

lettera non deve avere altro seguito. La questione a cui si riferisce è stata definita al Semmering fra S.E. il ministro ed il barone d’Aehrenthal».

424 5 Per la risposta vedi D. 439.

425 2 Allegata alla presente lettera è la seguente annotazione di Tommasini del 26 agosto: «Questa

426

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1669/92. Addis Abeba, 14 agosto 19071.

Rispondo telegramma n. 13072. Ho già da lungo tempo per posta e per telegrafo informato V.E. della spedizione

amhara in Ogaden e suo scopo di essa ed ho comunicato assicurazione Menelik che il suo unico scopo è riscossione tributi annuali.

Informazioni giuntemi da Harrar composizione e forza spedizione suddetta confermano che essa non può avere altro scopo di quello sopra indicato. Fo pure osservare a V.E. che indigeni Ogaden hanno ripetutamente protestato e chiesto protezione ed intervento amhara per le razzie compiute ancora recentemente da gente del Mad Mullah in quel territorio appunto nel quale V.E. era […]3 che il Negus dia assicurazioni razzie dei suoi soldati. Agirò come da ordini ricevuti: posso assicurarla intanto che per ora status quo Benadir non è minacciato; ma confermo che azione Etiopia si fa sempre più vigilante ed attiva in quel territorio che è bene si faccia oggetto di negoziati ma che, come ho già dichiarato, Menelik non ha nessuna intenzione di cedere.

427

IL GOVERNATORE DELL’ERITREA, SALVAGO RAGGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1670/1104. Asmara, 15 agosto 1907, ore 22,15 (perv. ore 6 del 16).

Prima di proporre a V.E. provvedimenti conclusivi richiesti con telegramma 12331 credetti opportuno telegrafare a Colli che non sarei stato alieno dal proporre al R. Ministero di fare avvertire il Negus che stabiliamo posti lungo linea di frontiera a 60 km, e che dia ordini di rispettarli fino alla delimitazione che avrà luogo dopo i negoziati fatti a tempo opportuno, ma aggiungendo che, pure avendo fiducia che non saranno commessi attentati contro i nostri posti, ove essi avvengano bisogna essere

2 Vedi D. 423. 3 Gruppo indecifrato.

decisi a respingerli. Colli, concordando nelle osservazioni fatte col mio telegramma 10252, mi telegrafa che questione Raheita e questione confini Dancalia debbono essere trattate separatamente. Circa la mia proposta di cui sopra, Colli assicura non potrebbero sollevarsi obbiezioni alcune da parte di Menelik e crede possa dare buoni e pratici risultati. Non credo che nostri posti potrebbero essere intenzionalmente attaccati, ma nel caso che essi dovessero essere implicati in qualche azione, dovrebbero far rispettare la loro consegna e il Governo dovrebbe necessariamente assumere la responsabilità e sostenere il nostro diritto.

Egli ritiene che suddette proposte unitamente a quelle da me fatte e comunicate a V.E. col mio telegramma n. 1091 del 13 corrente3, possono valere a mantenere situazione tollerabile senza pericolo e senza offesa al nostro prestigio. Attendo istruzioni da V.E. avvertendo che istituzione posti può effettuarsi sollecitamente, ma che importerà spesa non lieve4.

426 1 Trasmesso da Asmara il 15 agosto.

427 1 Del 30 luglio, relativo ai negoziati su Raheita e l’Ogaden, non pubblicato.

428

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. 13331. Roma, 16 agosto 1907, ore 14,05.

Notizie giornali su intendimenti R. Governo al Benadir sono fantastiche e puerili, poiché voler sostenere con le armi integrità territorio contestato da Menelik sarebbe grosso impegno sotto ogni riguardo. Nostro programma al Benadir si limita a dare assetto amministrativo Colonia, tenere in buone condizioni difesa stazioni costiere, a svolgere azione commerciale nell’hinterland secondo piano esposto mio telegramma 9 marzo u.s.2, e a mantenere statu quo per questione confine in vista di un’intesa con Menelik. Un disegno di legge sta innanzi alla Camera per ordinamento Colonia con amministrazione governativa, e si sta trattando con gruppo capitalisti per società commerciale di sfruttamento. Essendo poi parte Bimal Uoden ancora ribelli ed avendo avuto con essi conflitti armati, abbiamo aumentato alcuni dei presidi della costa portandoli a circa duemila e migliorato armamento. A Lugh è stato destinato capitano Bongiovanni in sostituzione capitano Molinari ammalato. Ella ha modo di rassicurare Menelik, smentendo recisamente sui fantastici preparativi guerreschi al Benadir. Ella riceverà da Asmara mie istruzioni per suo rapporto su confine somalo.

3 T. 1645/1091, non pubblicato. 4 Per la risposta vedi D. 436.

2 T. 461, non pubblicato.

427 2 T. 1567/1025 del 2 agosto, non pubblicato.

428 1 Trasmesso via Asmara. Risponde al D. 419.

429

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A BERLINO, DE MARTINO

DISP. 44472/439. Roma, 18 agosto 1907.

Mi riferisco al rapporto del r. ambasciatore n. 444 in data 29 luglio scorso1 concernente la questione di eventuali imprese germaniche in Tripolitania.

Apprezzo le considerazioni esposte nel citato rapporto e ne approvo le conclusioni, non senza però richiamare l’attenzione della S.V. sul dispaccio n. 411 del 30 luglio scorso2 e sul telegramma del r. console generale in Tripoli del 1° corr.3 del quale unisco copia per opportuna notizia di lei, dopo averne data partecipazione al r. console generale in Amburgo4 dal quale attendo ragguagli in proposito.

Dal telegramma stesso sembra infatti che le previsioni formulate dal comm. Pestalozza circa l’attività del sig. Banks a favore di imprese germaniche da stabilire in Tripolitania e Cirenaica non erano del tutto infondate.

Ritengo pertanto opportuno che si continui a vegliare, e che nei limiti consentiti dalle difficoltà accennate dal senatore Pansa si procuri di seguire le iniziative che si preparassero costà da privati per spiegare in Tripolitania speciali attività d’ordine economico-commerciale coll’aiuto e il concorso di società, istituti, banche, ecc.

Basta che riesca alla S.V. di procurarsi informazioni e notizie al riguardo anche senza attingere a fonti ufficiali e valendosi di private informazioni e relazioni. Le sarò grato se vorrà parteciparmele senza ritardo.

430

L’INCARICATO D’AFFARI A PECHINO, BORGHESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATISSIMO CONFIDENZIALE 549/159. Pechino, 23 agosto 1907 (perv. il 24 settembre).

Fin dall’epoca in cui il comandante superiore Bollati di St-Pierre fu di passaggio qui a Pechino alla fine dello scorso maggio, credetti opportuno intrattenerlo della scarsa entità delle nostre forze navali in Estremo Oriente, che sono rappresentate attualmente dalla sola r. nave «Vesuvio» già destinata pare ad essere radiata dai ruoli appena torna in Italia.

2 Vedi D. 408. 3 T. 1550: imminente istituzione degli scali a Tripoli e Bengasi da parte della Deutsche Levant

Linie di Amburgo. 4 Con Disp. 42649/34 dell’8 agosto, non pubblicato.

Avendo dimostrato al comandante Bollati la convenienza di crescere il numero delle unità navali in queste acque, gli chiesi altresì di volermi dare il suo parere tecnico sulle qualità delle navi che meglio risponderebbero allo scopo desiderato, quello cioè di poter tenersi a contatto con i principali porti dell’Impero, di essere pronte ad accorrere eventualmente in difesa dei nazionali e delle missioni, di poter risalire in buona parte i fiumi, di poter all’occorrenza sbarcare un sufficiente quantitativo di uomini e di contribuire a rialzare in queste regioni il prestigio della patria nostra.

Il comandante superiore si prestò gentilmente alle mie richieste fornendomi i dati che desideravo e mi assicurò che, pienamente d’accordo con me, avrebbe scritto al Ministero della marina esponendo gli stessi concetti sui quali insieme ci eravamo intrattenuti.

Non mi sembra quindi il caso che io mi dilunghi su quei dettagli tecnici che più direttamente interessano il Ministero della marina. È però mio dovere far rilevare all’E.V. l’opportunità di aumentare la nostra forza navale in questi mari portandone l’entità almeno a due incrociatori ed almeno a due cannoniere fluviali.

I due incrociatori dovrebbero avere per lo meno lo stesso tonnellaggio e la stessa potenzialità dell’attuale «Vesuvio»: quanto alle cannoniere fluviali, che è indispensabile al loro speciale servizio non peschino oltre metri 2.50 circa, potrebbero, a quanto mi si assicura essere costruite in uno spazio di tempo relativamente breve, a Shanghai stesso o in Giappone e potrebbero costare circa lire duecentomila l’una, facendo poscia venire l’armamento dall’Italia.

La r. nave «Vesuvio» infatti è, da sola, una parvenza di forza navale; ed anche il vantaggio per così dire morale, della sua apparizione lungo le coste è assai relativo quando si pensi che il suo raggio d’azione comprende tutti i mari di Cina e del Giappone e si estende da Canton a Wladiwostok e lungo le coste nipponiche potendo così tornare a rari intervalli negli stessi porti.

In questo paese dove l’esteriorità, come in tutto l’Oriente del resto, è parte essenziale del prestigio di una potenza e dove nessuna bandiera commerciale italiana sventola fra quelle delle navi di altri nazioni, l’avere un maggior numero di navi da guerra permetterebbe ad uno almeno degli incrociatori di poter restare sempre presso le coste cinesi ed alle due cannoniere di risalire i fiumi principali mantenendo così un contatto continuo con la terra, con le colonie, con le missioni e con le autorità locali.

Ora per esempio che il «Vesuvio» trovasi a Wladiwostok se fossero avvenuti, come purtroppo vi era minaccia, gravi disordini nell’Hupei contro i nostri missionarii, sarei stato costretto a richiedere d’urgenza l’aiuto e la protezione ad una potenza estera che ha cannoniere sul fiume, e fors’anco alla Francia stessa, occorrendo troppo tempo alla nostra nave per giungere sul posto e non potendo essa risalire il fiume Yang-tze più al nord di Hankow, a causa della poca profondità di quelle acque.

Sarebbe superfluo voler ripetere all’E.V. le ragioni per cui la proposta di aumento di navi in queste acque mi sembra meritare seria considerazione.

L’aumento delle missioni che passano e passeranno in appresso sotto la protezione del R. Governo, la situazione generale dell’Impero, che non dà alcuna garanzia di sicurezza e di tranquillità, l’esempio delle altre potenze, la necessità di migliorare la nostra posizione in Estremo Oriente, sono tutte ragioni ovvie che non richiedono dimostrazioni all’E.V. E ripeto, in un paese del look-see, dove bisogna curare ogni manifestazione esterna che possa valere ad aumentare nella pubblica opinione il

rispetto e l’amministrazione, l’aumento della nostra forza navale avrebbe, è mia convinzione, anche un effetto morale importantissimo su questo Governo, che paragonando le forze nostre con quelle di altre potenze, finirebbe per considerarci nel suo gretto giudizio, non troppo inferiori agli altri.

La Germania ha infatti due potenti incrociatori corazzati, il «Fürst Bismark» e il «Leipzig», cinque altri incrociatori sul tipo della nostra «Iride» od «Aretusa», tre cannoniere fluviali, di cui una piccolissima per poter risalire per quanto è possibile anche i fiumi minori, e due torpediniere.

La Francia ha due incrociatori corazzati il «D’Entrecasteaux» e il «Bruix». Un incrociatore minore, quattro cacciatorpediniere, quattro cannoniere fluviali e

una piccola cannoniera sul Pei-ho che fa servizio per Taku e Tientsin. Gli Stati Uniti hanno grossi incrociatori corazzati «Colorado», «West Virginia»,

«Mary Land», «Pennsylvania», cinque incrociatori minori che possono paragonarsi alla r. nave «Vesuvio», un altro piccolo incrociatore tipo «Iride».

Quattro cannoniere fluviali. L’Inghilterra oltre quattro grossi incrociatori corazzati «King Alfred», «Kent»,

«Bedford», «Monmouh», ha due altri incrociatori, due cacciatorpediniere, una cannoniera e non poche altre piccole navi con venti o trenta uomini di equipaggio che risalgono i fiumi e fanno piccole navigazioni lungo le coste.

Del Giappone non credo dover far menzione perché trovasi in una condizione speciale ed ha tutta la sua flotta pronta ad accorrere al minimo cenno.

L’unica nazione che abbia un solo incrociatore, di poco superiore al «Vesuvio», è l’Austria.

A titolo di cronaca e circa l’impressione prodotta qui dalla nostra squadra dell’Estremo Oriente mi è stato riferito che alcuni alti dignitarii avrebbero osservato dover essere la forza navale dell’Italia ben poca cosa, giacché un solo e modesto incrociatore poteva mandare nell’Estremo Oriente e questo era sempre o il «Marco Polo» o il «Vesuvio».

Ambedue queste navi sono state infatti già due volte destinate in questi mari. L’E.V. terrà naturalmente di tutte le considerazioni che precedono quel conto

che riterrà più opportuno, potendo ella meglio giudicare di qualunque altro che cosa convenga alla politica del paese in Estremo Oriente. Credo però mio dovere averne scritto con tutta franchezza, come ritengo sia obbligo mio, specialmente in vista di futuri avvenimenti ai quali sarebbe opportuno non giungere impreparati.

429 1 Vedi D. 407.

431

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. 1402. Semmering, 24 agosto 1907.

Prego partecipare a Grey che *poiché il progetto austro-russo per la riforma giudiziaria corrisponde al principio del controllo di tutte le potenze che Italia ed Inghilterra hanno sempre propugnato d’accordo, ho dato ad essa la mia adesione*1. Invio per posta copia del progetto.

432

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI AUSTRIA-UNGHERIA, AEHRENTHAL

APPUNTO1. Semmering, [22-24] agosto 1907.

Nous avons d’abord constaté d’un commun accord qu’il convenait aux intérêts de nos deux pays de maintenir aussi pour l’avenir le système politique de la triplice comme base de notre politique extérieure.

II. Quant aux questions d’ordre spécial nous nous sommes rencontrés dans l’idée

que l’Adriatique ne saurait se trouver sous la domination exclusive d’une seule puissance et qu’ elle devait rester pour ainsi dire en partie autrichienne et en partie italienne.

Une descente de l’Italie sur la côte albanaise de l’Adriatique équivaudrait à une clôture de l’Adriatique pour l’Autriche-Hongrie et ne pourrait par conséquent être tolérée par cette dernière.

Une situation analogue résulterait pour l’Italie si l’Autriche-Hongrie manifestait le désir de proroger son territoire le long de la côte Albanaise.

Cette question a été, du reste, réglée d’une manière satisfaisante et définitive par l’arrangement survenu entre M. Tittoni et le Comte Goluchowski.

L’ Autriche-Hongrie et l’Italie désirent unanimement le maintien de la domination turque en Albanie.

data. La notizia fu comunicata, inoltre, alle ambasciate a Berlino, Madrid, Parigi, e Pietroburgo con T. 1403, pari data.

Desio entre LL.EE. M. Tittoni et le Baron d’Aehrenthal». Secondo il Tommasini, Aehrenthal fece redigere un riassunto dei colloqui e ne consegnò una copia a Tittoni che l’avrebbe accettata senza sollevare eccezioni (F. TOMMASINI, L’Italia alla vigilia della guerra, vol. III, Bologna, Zanichelli, 1937, p. 334).

Dans le cas òu cette domination venait à s’écrouler, nous avons envisagé comme seule solution qui corresponderait aux interêts bien compris de nos pays, la formation d’un État albanais; nous nous sommes rendus compte des difficultés qui s’opposent à la réalisation de cette idée, mais nous avons en même temps décidé qu’il fallait abandonner aux Albanais la tâche d’applanir ces difficultés et qu’ il serait au plus haut degré nuisible de vouloir y intervenir nous-mêmes.

Quant a l’idée de fìxer dorénavant les limites géographiques d’une future Albanie autonome, nous sommes convenus qu’il serait prémature de nous occuper de cette question à 1’heure qu’il est et que le moment d’en parler sera venu, lorsque il ne sera plus possible de suivre en Orient la politique du statu quo.

III. En envisageant la situation en Macédoine nous avons reconnu que la politi-

que des réformes ne saurait présenter une solution definitive du problème macédonien et que cette solution ne pourrait être amenée que par l’ultima ratio des peuples, c’est-à-dire par la voie de la guerre.

Ayant pris en considération l’attitude incertaine et douteuse de la population chrétienne dans les Balkans, nous avons également reconnu qu’il était dans l’intérêt tant de l’Autriche-Hongrie que de l’Italie de retarder autant que possible cette solution définitive en maintenant au pouvoir l’élément turc.

Comme pour la question Albanaise nous avons constaté pour celle de la Macédoine que le principe de la non-intervention était celui que nous devrons observer dans le cas d’une conflagration dans les Balkans; nous continuérons donc à la Turquie comme aux États chrétiens des Balkans nos conseils de sagesse et nous ferons de notre mieux pour empêcher une rupture entre eux; dans le cas cependant que nos conseils ne seraient plus suivis et que cette rupture ce produirait, c’est à leurs propres risques et périls que les peuples des Balkans feront appel aux armes. Il est entendu que les Grandes Puissances se reservent néanmoins le dernier mot quant au règlement definitif des affaires macédoniennes.

IV. Ayant enfin parlé de la Tripolitaine et de la situation déplorable dans laquelle se

trouvaient les domaines du Sultan de Tripoli au Nord de l’Afrique nous avons envisagé l’utilité qu’il y aurait à douer ces contrées de réformes à l’instar de celles introduites dans les vilayets Macédoniens. Il nous paraissait indiqué que c’était à l’Italie qu’incombait le soin de prendre l’initiative de cette action réformatrice et de choisir pour la commencer le moment qui lui semblera le plus favorable.

L’Autriche-Hongrie ne manquerait pas de donner à cette action son entier appui.

431 1 Il testo fra asterischi fu trasmesso anche all’ambasciatore a Costantinopoli con T. 1404, pari

432 1 Su carta intestata del segretario generale, reca il seguente titolo: «Résumé de l’entretien à

433

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1752/8021. Vienna, 25 agosto 1907.

La stampa austro-ungarica, come già aveva preannunciato con parole di viva simpatia la prossima visita dell’E.V. al barone d’Aehrenthal al Semmering (vedi rapporto n. 798 del 19 corr.)2, ha riportato ora i particolari dell’incontro stesso e li ha commentati in termini oltremodo favorevoli all’intesa tra i due Stati vicini ed alleati e lusinghieri per l’E.V., a cui bene a ragione si fa risalire in massima parte il merito dell’accordo completo e sincero intervenuto fra di essi dopo un lungo periodo di malintesi.

Interprete autorevole di questa unanime manifestazione dell’opinione pubblica austriaca è innanzi tutto l’ufficioso Fremdenblatt, che fin dal 22 corrente dedicava all’incontro del Semmering il suo articolo di fondo, col quale constatato che tale incontro confermava i rapporti ottimi esistenti tra le Eccellenze, di cui la visita a Desio era già stata una prova, rende giustizia all’azione franca e leale dell’E.V. in favore di un riavvicinamento tra l’Italia e l’Austria-Ungheria. Il giornale osserva che l’E.V. ha seguito una politica pratica e positiva, influendo efficacemente sull’opinione pubblica italiana, le cui manifestazioni avevano talora ostacolato i buoni rapporti tra i due paesi.

Aggiunge, quindi, che l’E.V. ha trovato il barone d’Aehrenthal animato dai medesimi sentimenti e conclude inviando a lei, quale ospite dell’Austria, un cordiale saluto.

Nel successivo numero del 23 il Fremdenblatt pubblica il primo comunicato ufficioso di fonte austro-ungarico, che l’E.V. troverà qui unito3.

Unisco pure il testo pubblicato nel medesimo giornale del 24 sera, del secondo comunicato ufficioso.

Infine l’odierno numero del Fremdenblatt contiene un articolo di fondo pure dedicato alla visita dell’E.V. al suo collega austro-ungarico.

In esso si osserva aver ella dovuto riportare l’impressione che l’accoglienza fattale non è stata solo ispirata dalla cortesia, ma anche alla più viva cordialità.

Tutti conoscono le difficoltà per le quali è passata la politica austro-ungaricaitaliana, nonostante le quali e mercé gli sforzi dei due ministri degli affari esteri si è giunti ad una vera e sincera amicizia. Italia ed Austria-Ungheria si tengono ferme sul terreno della Triplice, su cui si basano interamente le relazioni tra i due Stati. Il principale risultato degli incontri di Desio e del Semmering è stato quello di dimostrare l’identità dei fini a cui tendono i due paesi nella politica balcanica. Mentre in Italia si era finora creduto che l’Austria-Ungheria avesse ben altri scopi, nella sua azione nei

2 Non pubblicato. 3 Non si pubblicano gli allegati.

Balcani, ormai ci si è convinti che i due Stati hanno colà i medesimi interessi. Approvando il progetto austro-ungarico-russo, l’Austria-Ungheria e l’Italia si sono unite in uno stretto legame e possono felicitarsi reciprocamente del buon risultato ottenuto.

L’articolo conclude constatando l’ispirazione alla solidarietà internazionale, a cui tende l’intera Europa.

A tale solidarietà i due ministri hanno spianato la via, e questo è uno dei risultati della Triplice.

Né discorde dal linguaggio del giornale ufficioso austriaco è quello dell’organo ufficioso ungherese.

Nei suoi due numeri di fondo del 22 e 23 corrente, che accludo senza dilungarmici, certo che ne avrà riferito per esteso il r. console generale a Budapest, il Pester Lloyd constata anch’esso il riavvicinamento fra i due Stati e la tendenza generale in Europa alla conclusione di accordi internazionali. Esso riconosce il merito dell’E.V. in questa opera di sincerità e di pace ad attribuire ai convegni di Desio e del Semmering un alto valore politico.

Unisco pure i numeri della Neue Freie Presse del 22, 23, 24 e 25 corrente contenenti articoli dedicati all’intervista del Semmering ed inneggianti all’intesa italo-austro-ungarica.

Il giornale, nell’osservare in particolar modo che tale accordo si è raggiunto nella questione balcanica, la quale era cagione in Italia di sospetto verso la politica austro-ungarica, ricorda l’importanza che hanno per l’Italia i buoni rapporti anglo-austro-ungarici, di cui l’incontro tra il re Edoardo e l’imperatore FrancescoGiuseppe ha dato la conferma.

Né sostanzialmente disformi sono i commenti che al viaggio dell’E.V. in Austria fanno e il Tagblatt (n. del 23 corr. qui unito) e l’Extrablatt (n. 23 corr. pure annesso al presente rapporto) e la Zeit (nn. 22, 23 e 24 corr. qui allegati).

È da rilevarsi, infine, il linguaggio tenuto in tale circostanza dal massimo organo del partito clericale austriaco, il Vaterland. Nell’articolo di fondo, qui unito, pubblicato nel suo numero del 22 corr., esso dichiara che il rappresentante del popolo avente la più antica civiltà dell’Europa e quello dello Impero glorioso che difese durante secoli l’Occidente cristiano contro gli assalti dei conquistatori asiatici, sono più di ogni altro chiamati ad intervenire come protettori della pace, dell’ordine e della vera civiltà nelle grandi decisioni che l’Europa deve prendere al giorno d’oggi per regolare la sorte dei popoli. Egli è perciò che l’Austria saluta con gioia ed orgoglio l’arrivo dell’eminente uomo di Stato italiano presso il ministro degli affari esteri d’Austria ed esprime la fiducia che al Semmering essi possano mettersi pienamente d’accordo.

433 1 Dall’archivio dell’ambasciata a Vienna.

434

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1281/536. Londra, 26 agosto 1907 (perv. il 31).

Oggi ho conferito con sir Edward Grey intorno al convegno d’Ischl nei suoi rapporti colla questione macedone. Egli mi ha confermato che la politica britannica rimane immutata nei suoi punti fondamentali, che sono i seguenti: la riforma giudiziaria deve essere sottoposta al controllo delle sei grandi potenze. Le riforme in genere sono finora riuscite ad attenuare sensibilmente i mali provenienti dall’amministrazione turca. La maggior causa dei mali della Macedonia è oggi costituita dalle bande greche, bulgare e serbe, ma soprattutto greche. Bisogna agire energicamente sui tre Governi di Sofia, Belgrado ed Atene, ma soprattutto su quello d’Atene, il quale, anche volendo, difficilmente potrebbe reprimere energicamente le bande, anche per tema, in tal caso, d’una sollevazione interna. Solo dopo che si sarà provveduto efficacemente a por fine alla dannosa azione delle bande, si potrà esaminare se e quali altre riforme si dovranno proporre alla Turchia.

435

L’INCARICATO D’AFFARI A BERLINO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 1290/512. Berlino, 27 agosto 1907 (perv. il 31).

Sulla portata della visita del sig. Cambon, ambasciatore di Francia, al Cancelliere dell’Impero in Nordeney, sono corse le più svariate supposizioni. In generale osservo da parte francese la tendenza a magnificare l’importanza di quell’incontro e da parte tedesca la cura di ricondurlo entro limiti più modesti. È vero che l’invito ad incontrarsi partì dal Cancelliere, ma il principe di Bülow, prima di lasciare Berlino, manifestò a pressoché tutti gli ambasciatori, in via più o meno accademica, il desiderio di vederli a propizia occasione a Nordeney; desiderio che espresse pure, se non erro, al senatore Pansa. Il sig. Cambon, certo molto opportunamente, ne prese però occasione per recarsi a Nordeney; la sua iniziativa, come si è visto, ebbe ottimo risultato nell’opinione pubblica dei due paesi, e, per quanto concerne personalmente il sig. Cambon, gli servì in certo modo di rivincita dopo essere rimasto un poco in seconda linea allorquando ebbero luogo le note cortesie prodigate dall’Imperatore al sig. Étienne a Kiel.

Il sig. Cambon, che è tornato ieri da Nordeney, mi disse confidenzialmente che egli era rimasto oltremodo soddisfatto dello scambio d’idee avuto col principe di Bülow. Beninteso — soggiunse — egli non si era recato a Nordeney per firmare trattati o concludere accordi formali, ma giudicava che in questo periodo di tempo in cui sono così frequenti gli incontri di uomini di Stato di diversi paesi, fosse opportuno che anche nell’interesse dei rapporti tra la Francia e la Germania avvenisse una consimile manifestazione. La conversazione col principe di Bülow, continuò a dirmi S.E., si svolse sulla situazione generale e toccò pure argomenti speciali, ed egli ebbe a constatare con grande soddisfazione come su tutto si raggiungesse l’intesa. Per quanto concerne il Marocco il Cambon assicurò il Cancelliere che il Governo della Repubblica non ha menomamente scopi di conquista, che la base della sua azione al Marocco è l’atto di Algeciras, ma che naturalmente non poteva prendere impegni né sulla durata dell’occupazione effettuata, né sulla quantità delle truppe da inviarsi sui luoghi a seconda delle necessità imprevedibili. E il principe di Bülow avendo preso atto di queste dichiarazioni, assicurò a sua volta l’ambasciatore che la Germania avrebbe dato il suo appoggio morale all’opera che la Francia prosegue al Marocco a vantaggio della civiltà. Il Cambon soggiunse quindi, (ma non ho bene inteso se mi ripetesse cosa detta al Cancelliere o se si rivolgesse a me), che naturalmente tutto quanto la Francia sta operando al Marocco «viendra s’ajouter à nos droits» . L’ambasciatore osserva poi essere evidente che i rapporti tra la Francia e la Germania sono entrati in un periodo di «détente» che potrà portare ottimi frutti, ma, soggiunse, «ce n’est pas un mariage» e bisogna guardarsi dalle esagerazioni in qualunque senso. È pure da prevedere, aggiunse, che la stampa «chauviniste» germanica non starà a lungo tranquilla e le accuse contro i supposti piani di conquista francesi torneranno in campo. Attualmente però, concluse, non si potrebbe essere più soddisfatti dell’attitudine del Governo e della stampa di questo paese .

Circa il convegno di Nordeney ho pure discorso col sig. von Tschirschky, segretario di Stato per gli affari esteri. S.E. mi disse che nessun accordo speciale fu concluso tra il Cancelliere ed il sig. Cambon e, come fu pubblicato nei comunicati ufficiosi, il colloquio lasciò un’impressione assai soddisfacente. Circa la supposizione fatta da alcuni giornali che intese speciali riguardo il Marocco avessero avuto luogo a Nordeney, il sig. von Tschirschky oppose una recisa smentita; la questione del Marocco — mi disse — è retta dall’atto di Algeciras ed è escluso che due soli dei contraenti possano intendersi all’infuori degli altri. Il segretario di Stato aggiunse che si può con vera soddisfazione constatare una «détente» nei rapporti fra i due paesi; senza addirittura gettarsi le braccia al collo, si può vivere come buoni vicini ed è cosa nell’interesse di entrambi. I francesi si vanno persuadendo che la Germania non pensa ad attaccarli. Si è fatto un gran passo nel senso della pacificazione degli animi e nel qualificare lo stato attuale dei rapporti franco-germanici il sig. von Tschirschky si servì della espressione: «rélations vraiment amicales». Concluse poi che tutto ciò non sarebbe stato possibile se non si fosse riusciti a metter fine allo stato di cose creato da Delcassé, che era assai pericoloso.

Come segno dei nuovi tempi viene pure notato l’arrivo a Berlino di una società di commercianti francesi di Lione che ha visitato la città. Nel riceverli all’ambasciata il sig. Cambon disse che queste iniziative private costituiscono il miglior mezzo per mantenere amichevoli relazioni tra la Germania e la Francia.

Con separato rapporto trasmetto a V.E. gli articoli dei principali giornali relativi alle relazioni franco-germaniche1. Da essi e da quanto ho avuto l’onore di più sopra riferire, risulta con evidenza che un grande miglioramento in quei rapporti si è realmente ottenuto. La ragione di questo nuovo stato di cose potrebbe essere duplice: da una parte la Francia, ingolfata nell’ardua ed ancora incerta impresa marocchina, ha bisogno di eliminare più che sia possibile difficoltà internazionali, e d’altra parte la Germania, che non ha guari ebbe l’impressione che le si stesse facendo il vuoto intorno, non lascia cadere una propizia occasione per dissipare quell’aura poco simpatica che, a torto o a ragione, si pretendeva qui esserle stata suscitata artificialmente nei rapporti della politica internazionale.

436

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL GOVERNATORE DELL’ERITREA, SALVAGO RAGGI

T. 1422. Roma, 28 agosto 1907, ore 18,30.

Ricevuto 10141. Pur rendendomi conto grave responsabilità che assumiamo, vedo necessità

opportunità autorizzare posti armati Dancalia verso frontiera etiopica. Prego quindi dare istruzioni Colli nel senso telegramma 15 corrente. Sta bene questione Raheita sia trattata separatamente da questione dancala, ma è necessario che la trattazione dell’una non pregiudichi l’altra. Attuale soluzione provvisoria Dancalia lascia appunto impregiudicata questione Raheita. Desidero, però, sia ben chiarito presso Menelik che, una volta stabilito comune accordo soluzione provvisoria con istituzione posti armati e con invio nostro agente presso ras Micael, il Negus deve impartire ordini perentori per il rispetto assoluto della nostra gente e del nostro territorio, e che le molestie che ci fossero arrecate dovranno essere considerate come atti di brigantaggio e come atti respinti, chiedendo, se occorre, l’intervento di Menelik. È necessario che l’inviato presso ras Micael e la persona al comando dei posti armati abbiano dalla E.V. istruzioni precise ispirate alle necessità della delicata questione. Quanto alla spesa V.E. saprà contenerla nei limiti del bilancio.

436 1 Si tratta, in realtà, del T. 1670/1104: vedi D. 427.

435 1 Non pubblicato.

437

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. 14361. Roma, 30 agosto 1907, ore 19.

Colli telegrafa2: «Ho appreso da fonte accertata che nel nuovo trattato di commercio tra Francia

ed Etiopia, che si sta attualmente stipulando sarà compresa e regolata giurisdizione sudditi francesi in Etiopia. Ne informo V.E. in attesa ministro di Francia me ne dia direttamente comunicazione».

Sebbene nostro articolo 3 nostro trattato di commercio ci dia modo, godere trattamento francese per giurisdizione, trovo non conforme disposizioni accordo 13 dicembre e specialmente articolo 10 che questione così importante non sia stata discussa prima da tre rappresentanti Addis Abeba. Ella conosce rigorosa interpretazione che Harrington dà all’articolo 10 dell’accordo e soluzione da noi accettata per giurisdizione che, cioè gli europei avessero in Abissinia un magistrato europeo designato e pagato da Menelik come suo funzionario. Prego V.E. conferirne con sig. Grey per sapere se Governo inglese è stato interpellato, e quale sia suo pensiero. In questa occasione V.E. potrà rappresentare opportunità che tre rappresentanti Addis Abeba abbiano concordi istruzioni su punti in cui si è d’accordo sulla applicazione [dell’accordo del] 13 dicembre.

438

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

T.1. Roma, 31 agosto 1907.

Ricevuto 1002. Tengo segreta notizia fino a che V.S. non mi dica che possa essere comunicata

Londra Parigi. Per ogni eventualità prego S.V. attenersi scrupolosamente disposizioni accordo

13 dicembre, tenendo presenti specialmente articoli tre e dieci.

«Riservando nostra libertà d’azione attendo comunicazioni ulteriori da V.S.».

2 T. 1717/99 del 19 agosto, trasmesso da Asmara il 23. 438 1 Trasmesso via Asmara. Dall’Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana.

2 T. 1714 del 19 (trasmesso da Asmara il 22), con il quale Colli comunicava che lo stato di salute di Menelik, pur non grave, rendeva, però, difficile e lenta ogni trattativa d’affari.

Circa provvedimenti sicurezza, oltre che per riunione in un sol quartiere delle sedi delle legazioni, siamo d’accordo con Inghilterra, e credo Governo francese non possa avere difficoltà, che ciascuno dei tre rappresentanti abbia un credito per una data somma per potersi eventualmente servire dell’opera di uno o più capi a scopo di difesa della vita, degli averi degli europei in generale e delle tre legazioni in particolare. Ella è autorizzata agire, a momento opportuno, in conformità, d’intesa coi suoi colleghi, tenendo presente entità somma che noi abbiamo in precedenti istruzioni a codesta legazione indicata in talleri trentamila da erogare a fatti compiuti, almeno nella massima parte.

In questa occasione e sebbene ella abbia avuto, quando è stato necessario, istruzioni, trascrivo per norma generale di condotta della S.V. i punti su i quali si fu d’accordo con Harrington in un colloquio che si ebbe con lui in Roma sulla esecuzione dell’accordo del 13 dicembre 1906.

1) Si ritiene troppo vago l’articolo 10 dell’accordo per l’azione concorde dei tre rappresentanti.

Si crede necessario che i tre rappresentanti abbiano chiare, precise, categoriche istruzioni per agire di accordo in tutte le questioni facendo una politica bianca, e per non far nulla senza prima informare i colleghi rappresentanti le potenze firmatarie.

In caso di disaccordo, la decisione dovrà essere deferita ai Governi centrali evitando, in modo assoluto, di portare innanzi al Negus il dissidio che fosse sorto tra i rappresentanti, che devono essere e apparire sempre concordi innanzi a Menelik.

2) Si crede opportuno che le legazioni siano riunite in un solo quartiere e che ciascuno dei tre rappresentanti abbia un credito per una data somma per potersi eventualmente servire dell’opera di uno o più capi a scopo di difesa della vita degli averi degli europei in generale e delle tre legazioni in particolare.

3) Si crede opportuno che si parli, molto francamente a Menelik, dichiarando che le leggi abissine non sono così evolute da potersi applicare agli europei e che nel fatto non si applicano. Sarebbe quindi bene che gli europei avessero un magistrato europeo, designato dallo stesso Menelik, considerato come suo funzionario europeo e da lui pagato.

4) Quanto all’accordo per la repressione del traffico delle armi i tre rappresentanti in Addis Abeba debbono mettersi d’accordo sul da farsi presso Menelik per ottenere migliori risultati.

5) Sulla questione della ferrovia verso Dire Daua bisogna attendere le proposte francesi.

437 1 Analogo telegramma venne inviato a Colli con T. 1437, pari data, con le seguenti istruzioni:

438 3 Di questi colloqui si conserva la minuta di un promemoria del mese di febbraio, priva dell’indicazione del giorno, non pubblicata.

439

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, MALVANO, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

DISP. 47134/723. Roma, 31 agosto 1907.

Mi pregio di accusare ricevuta e di ringraziare l’E.V., del suo rapporto n. 1469/548, in data del 12 corrente1, nel quale ella mi espone i motivi per cui non ritiene opportuno di chiedere alla Sublime Porta che vengano allontanati dal Governo della Tripolitania Regeb Pascià e Bekir Bey in seguito all’ostilità da essa costantemente dimostrata verso ogni impresa italiana in quella regione.

Convengo pienamente con l’E.V. riguardo all’inutilità di tale allontanamento, visto che l’ostilità dei detti funzionari non deriva da loro iniziativa personale ma da istruzioni del Governo ottomano, ed approvo anche le sue idee circa l’azione che dovremmo esercitare in Tripolitania, trascurando le piccole questioni e mirando invece a conquistarvi una posizione economica preponderante che ci ponga al riparo da ogni pericolo di concorrenza straniera.

440

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI,

LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. 1450. Roma, 2 settembre 1907, ore 14.

In questi giorni mi sono state fatte, circa la riforma giudiziaria, le seguenti due comunicazioni.

L’incaricato d’affari di Turchia mi ha comunicato un telegramma col quale la Sublime Porta esprime penosa meraviglia per l’annunciato progetto di riforma giudiziaria, le cui basi le sembrano contrarie al principio della sovranità territoriale e tanto più inaccettabili in quanto essa crede, con le misure già prese, di avere soddisfatto tutte le necessità. L’incaricato d’affari di Russia mi comunica la risposta del sig. Izvolskij alla lagnanza della Sublime Porta per la riforma giudiziaria. Il sig. Izvolskij ha osservato che conveniva ormai tradurre in atto anche questa parte del programma di Mürzsteg e che, d’altronde, il passo attuale della Sublime Porta era prematuro, nulla essendole stato notificato.

439 1 Vedi D. 424.

441

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. PERSONALE. Vienna, 3 settembre 1907.

Avendo profittato della presenza in Vienna del barone d’Aehrenthal, giunto nel mattino dalla sua villeggiatura del Semmering, per conferire con lui, egli mi disse, nel parlarmi dell’udienza accordata a V.E. dall’Imperatore in Ischl, che Sua Maestà era stata lietissima di fare la personale sua conoscenza ed erasi espresso con esso nel modo più lusinghiero a suo riguardo, facendogli conoscere l’eccellente impressione ch’ella avevagli prodotta.

Rilevò quindi che la colazione a cui V.E. aveva assistito dopo l’udienza imperiale, aveva avuto un carattere veramente cordiale gemütlich e che Sua Maestà come S.A. Imperiale e Reale l’arciduchessa Maria Valeria, ch’è di consueto di poche parole, avevano conversato a lungo con lei nel modo più benevolo.

Il barone d’Aehrenthal mi disse poi che era stato gratissimo all’E.V. per il cortese telegramma che aveva voluto dirigergli nel lasciare il territorio della Monarchia e che si proponeva di scriverle e d’inviarmi la sua lettera perché gliela facesse recapitare.

Il barone di Gagern infatti mi ha rimesso oggi il plico che mi fo premura di accludere alla presente lettera1.

P.S. Il barone d’Aehrenthal mi informò che il sig. Izvolskij che partì ieri da Pietroburgo per Karlsbad, sarebbe venuto a fargli visita a Vienna.

Ignorava però a quale data, supponeva tuttavia ch’egli sarebbe venuto verso la fine del mese corrente.

442

L’AGENTE E CONSOLE GENERALE A SOFIA, CUCCHI BOASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 1085/379. Sofia, 4 settembre 1907 (perv. il 13).

Dopo il pranzo di Corte delli 29 agosto il principe Ferdinando, come è suo costume in simili occasioni, passeggiando per le sale parlò coi varii capi missione. Si avvicinò pure a me e m’intrattenne per circa mezz’ora in modo molto affabile. Dopo aver commemorato con parole di ammirazione il conte Nigra rammentò, a proposito

delle sue feste giubilari, gli inizii torbidi del suo Regno e le simpatie dimostrategli in quegli anni dall’Italia e dai suoi ministri. Accennando a Francesco Crispi, Sua Altezza Reale disse che si era persino compromesso per la Bulgaria.

Ma alla fine del colloquio, passando improvvisamente dal tono di grande cordialità ad uno più sostenuto, accennò alle difficoltà ch’egli incontra, come fu anche ultimamente per l’interesse dimostrato da qualche potenza alla Serbia: «Oh les hommes de Serbie», egli esclamò, «ce ne sont que des pantins et vraiment ils ne méritent pas que l’on s’occupe d’eux, j’en ai fait moi-même la dure expérience!».

Questa frase di Sua Altezza Reale, per essere stata detta a me, mi conferma ch’egli continua a nutrire quei sospetti, più volte da lui manifestati, sulla benevolenza dell’Italia verso la Serbia, di cui sembra esser tanto geloso.

Poiché posso affidare questo rapporto al corriere non debbo nascondere a V.E. che dopo il viaggio di S. M. il Re in Grecia, principalmente negli uomini che sono attualmente al Governo (i quali non vivendo d’una vita politica propria rispecchiano, esagerandole, le tendenze del Palazzo, dove anche i recenti colloqui di V.E. col barone di Aehrenthal, hanno destato delle inquietudini) si è insinuata l’idea che l’attitudine dell’Italia verso la Bulgaria siasi alquanto modificata.

Sebbene non abbia mancato, quando ne ho avuto il destro, di tenere un linguaggio conforme alle dichiarazioni di V.E. che cioè la politica italiana considera con ugual simpatia i vari Stati balcanici e desidera il loro progresso e la loro prosperità, gli attuali ministri sembrano supporre che l’Italia sia meno ben disposta che in passato verso il Principato: e ciò si è avvertito in alcuni articoli comparsi sugli organi officiosi.

Mi consta ad esempio che questo Governo ha creduto di vedere una mossa politica nei passi che sono stato incaricato di fare circa l’estensione ai nostri prodotti delle agevolezze contenute nell’accordo commerciale turco-bulgaro e che persino i ministri si son domandati se l’Italia avesse dei secondi fini nel sostenere le domande del sig. Caleff.

Ben diverso giudizio portano sulle relazioni italo-bulgare gli uomini politici che si trovano all’opposizione i quali sono le intelligenze più chiare del Paese.

Quantunque questo momento per la natura sua non possa esser che transitorio e sia dovuto più che altro alla ben nota impressionabilità del Principe, è mio dovere di segnalarlo all’E.V. ...1.

441 1 Non pubblicato.

442 1 Per la risposta vedi D. 454.

443

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 1474. Roma, 5 settembre 1907, ore 18.

Leggo ora rapporto 26 agosto 538 e documenti annessi1. Sir E. Grey tace delle trattative ora in corso a Costantinopoli, per confine tra

Egitto e Cirenaica, trattative che sembrano causa difficoltà presente negoziato. Comunicazione a lei fatta, sebbene un po’ tardiva, dimostra veri intendimenti e propositi codesto Governo. Siccome essa non può rassicurarci su quella che dovrebbe essere riconosciuta come frontiera orientale Cirenaica senza ledere i nostri interessi, credo necessario che ella diriga a sir E. Grey il memorandum che le invierò per posta avendo noi titolo per intervenire presso Inghilterra nella questione tra Egitto e Turchia. Non credo giunto ancora il momento che io parli con questo rappresentante inglese, nel timore che ciò possa togliere efficacia all’azione di V.E. presso sir E. Grey nel proseguimento del negoziato. Ho telegrafato a Costantinopoli2 per cercare di conoscere risposta turca al promemoria inglese del 1904.

444

IL MINISTRO A BERNA, CUSANI CONFALONIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. PERSONALE. Berna, 5 settembre 1907 (perv. il 20 ottobre).

La ringrazio vivamente del suo cordiale interessamento. Ho ancora il braccio e la spalla destra ingessati, ma prima del 15 corrente sarò perfettamente rimesso, salvo il fare più tardi una breve cura di fanghi in Italia.

Il mio subordinato parere è che il rimandare a migliore occasione la visita di V.E. già annunciata, al Consiglio Federale produrrebbe un effetto per noi molto dannoso. Infatti, come già ebbi l’onore di riferirle1, qui si mostrano lusingatissimi di tale iniziativa di V.E. e ne parlano come di una cosa sicura. Il fatto che le questioni del Gottardo e dello Spluga non sono ancora prossime ad una soluzione, non può secondo me, che accentuare a questa visita il carattere di una cortesia non ispirata da un interesse immediato ed impellente e quindi aumentarne la portata, mentre d’altra

2 T. 1475, pari data, non pubblicato.

parte mi pare utile che il Consiglio Federale abbia, a certa distanza dalla decisione, l’occasione di apprendere direttamente dalla E.V. quali sono in proposito le sue vedute e quelle del Governo del Re.

Quando ella mi annunciò la sua intenzione di fare questa visita, io le accennai alla influenza efficacissima che questa avrebbe avuto sulle nostre relazioni con questo paese. Io non ho che a lodarmi, sotto ogni rispetto, della cortesia del Governo Federale a mio riguardo, ma l’essenza dei rapporti tra i due paesi non è, come ella ben sa, cordiale quale dovrebbe essere. Un poco per circostanze di forza maggiore e molto per i nostri passati errori, qui ci troviamo continuamente di fronte ad una diffidenza, che il più delle volte mette capo a dei fins de non recevoir, molto dannosi ai nostri interessi. Si tratta dunque, secondo me, di stabilire dei rapporti generici più cordiali sulla base dei quali ci sia poi più agevole trattare le nostre vitali questioni economiche. A ciò furono intesi fino dal primo giorno i miei modesti sforzi e mi sembra di averne già ottenuto qualche risultato sensibile. Il rimandare ora la sua visita sarebbe quindi, a mio avviso, pericoloso, data sopratutto la grande suscettibilità dell’amor proprio di qui.

Se l’E.V. conviene, come spero, in questo modo di vedere, io le sarà gratissimo di volermi informare al più presto possibile in che giorno ella intenderebbe giungere qui, dal 15 in poi, escluso, come già le scrissi, il 21 corrente, in cui il Consiglio Federale ha un altro impegno ed escluse anche le domeniche. Le sarò poi anche grato di volermi far conoscere quanto intenderebbe fermarsi, dandomi in pari tempo gli ordini opportuni per le necessarie aperture col Governo Federale2.

443 1 Non pubblicati.

444 1 Non rinvenuto.

445

L’INCARICATO D’AFFARI A PARIGI, ALIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 2414/1001. Parigi, 7 settembre 1907 (perv. il 14).

Poca impressione produsse nei circoli parlamentari e politici francesi la convenzione russo-giapponese firmata a Pietroburgo il 30 luglio u.s. e pubblicata poco tempo dopo. Il pubblico francese meglio informato ravvisava in essa un preludio all’accordo ora noto, anche nelle sue linee generali, tra l’Inghilterra e la Russia. Avendo quest’ultima potenza affrancato la sua diplomazia da ogni preoccupazione nell’Estremo Oriente, essa poteva meglio dirigere i suoi sguardi verso l’Occidente; questo vantaggio è stato acquistato al prezzo di una quasi rinunzia a prendere una

Riproduzione del D. 432 sui colloqui Tittoni – Aehrenthal (Semmering, 22-24 agosto 1907)

MIN ISTERO DEGLI AFFARI ESTERi

IL SEGRETARIO GENERALE

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parte preponderante sulle influenze estere destinate a regolare i destini della Cina; la Manciuria specialmente rimarrà di fatto sotto la direzione o l’egemonia del Giappone. Ma questo sacrifizio servirà a rendere la Russia un’alleata più utile e rispettata della Francia che ora se ne rallegra.

Ben maggiore impressione ha prodotto la convenzione anglo-russa. Sono noti gli antagonismi nel Tibet, nell’Afganistan e nella Persia, che nel passato minacciarono gravi crisi fra i due potenti rivali. Ora, questi motivi di diffidenza e di gelosie sono stati allontanati, se non del tutto eliminati e la Russia è tranquilla su tutte le sue frontiere asiatiche; essa potrà sperare forse anche qualche aiuto finanziario a Londra. Il Governo francese, infine, ha potuto con soddisfazione vedere l’armonia improntare i rapporti fra la sua alleata e la sua amica cordiale, i cui dissidi avrebbero potuto compromettere la sua attuale sicurezza, come pure le ben evidenti manovre di re Edoardo contro le ambizioni dell’imperatore Guglielmo.

Da tutte queste manovre diplomatiche questo Governo sinceramente non vorrebbe risultasse null’altro che una nuova garanzia di pace; ma non si illude del tutto sui pericoli della situazione, pericoli così bene denunziati negli articoli del Novellista di Amburgo.

La Germania se ne risente: il suo Governo si sforza di mostrarsi calmo e dignitoso, ma è una calma significativa che non impedisce alcuni organi non ufficiosi della stampa d’oltre Reno di lamentarsi di una situazione internazionale piena di minacce e di provocazioni mal travestite dalle proteste di buone intenzioni o dalle usuali assicurazioni della stampa dei due campi opposti.

Da quanto mi assicurava persona assai profonda nelle questioni internazionali in Francia, questa, diffidando delle intenzioni dell’Inghilterra, non volendo servire di terzo sacrificato, avrebbe col suo atteggiamento riservato e paziente persuaso all’Inghilterra (già poco fiduciosa del valore militare della vicina d’Oltre Manica) non essere il momento di urtare troppo l’imperatore Guglielmo: questi non si crede ben preparato a correre i rischi di una guerra sempre aleatoria contro troppi avversari, pure persuaso di poter sconfiggere l’esercito francese.

Da questi timori e reciproche diffidenze è risultata la détente nei rapporti fra gli avversari, segnata dalla visita scambiata fra l’Imperatore e re Edoardo, dai prudenti scambi di vedute tra i Governi francese e germanico intorno al Marocco e dallo stesso viaggio del sig. Étienne a Berlino seguìto dai noti articoli da questi pubblicati per provare che non c’è una pericolosa, irreduttibile inimicizia fra Germania ed Inghilterra.

Ciò non toglie che questo Governo, fortemente preoccupato del «vespaio marocchino» consideri la situazione come fortemente tesa. Ciò mi assicurava pochi giorni or sono l’on. Boni de Castellane, noto per le sue sventure matrimoniali, ma ben al corrente del pensiero dei dirigenti la politica estera francese: egli, mostrandomi come sta in contatto continuo col sig. Pichon per gli affari del Marocco, come svolse già varie interpellanze in proposito e conta di presentarne eventualmente delle nuove sullo stesso argomento, si lamentava della pericolosa via senza uscita visibile, nella quale si trova impegnata la Francia. Anche secondo lui, l’Inghilterra e la Germania si troveranno alle prese in un avvenire più o meno lontano per motivi storici e politici assai evidenti e per gelosia commerciale inconciliabile. «Purtroppo», mi disse egli, «il sig. Delcassé ha spinto il suo paese in questa avventura marocchina, subordinandovi tutti gli altri suoi più vitali interessi, ascoltando quasi

esclusivamente il partito coloniale ed algerino e facendo troppo assegnamento sul concorso e la buona volontà dell’Inghilterra; ora non possiamo indietreggiare, la Germania ci lascerà ingolfare in questa nostra impresa che costerà sangue e denari e poi ci chiederà il prezzo della sua astensione e della sua umiliante benevolenza. Se non possiamo o non vogliamo pagare questo prezzo, diventerebbe probabile il minacciato conflitto verso il quale sembra di volerci spingere l’Inghilterra, la cui stampa incoraggia a procedere nella nostra spedizione, senza paure e senza badare all’atto di Algesiras». Secondo l’on. de Castellane, l’aiuto finanziario della Francia sarebbe già stato indirettamente sollecitato dalla Germania e si crede verranno pure chiesti i capitali necessari per compiere la ferrovia di Bagdad, i quali difficilmente potrebbero essere rifiutati se la Francia si troverà in parte paralizzata nel Marocco.

Ricorrendo ad altra fonte, ho potuto accertare che tali sono pure nel complesso le idee del sig. Pichon, il quale usa ogni prudenza ed ogni mezzo per non trovarsi ad oltrepassare il mandato affidato alla Francia dall’atto di Algesiras e per non prestare il fianco alle critiche manifestate dalla Gazzetta di Francoforte, la quale ammonisce contro le eventuali trasgressioni a quel patto internazionale. Discutendo il progetto che avrebbe per scopo d’istituire corpi di polizia composti esclusivamente di francesi e spagnuoli, il giornale stesso lo qualifica di trasgressione tale da sollevare obbiezioni anche se le proposte misure fossero soltanto transitorie. «Una tale eventualità sarebbe», conclude il giornale, «considerata con seria inquietudine dalle potenze. L’atto di Algesiras, anche difettoso, ha fatto le sue prove assegnando all’azione di ogni potenza un limite preciso, e rendendo possibile un’azione parallela, senza violenti attriti».

Mentre dunque, da un lato, il Governo francese cerca di resistere alla pressione del partito coloniale e militare, e di restringere al minimo la sua azione nel Marocco, pur temendo di non potersi arrestare, da un altro lato, esso vuol tenersi pronto a rispondere alle obbiezioni della Germania, aventi per scopo di subordinare la sua benevolenza ad un do ut des; come ultima risorsa per mantenere l’equilibrio da esso ritenuto necessario per la pace, conta infine, oltreché sugli accordi e le alleanze già esistenti, anche sull’accordo anglo-russo, per tenere più compatti gli avversari della Germania o della Triplice, sperando che, in caso di conflitto, la Germania non troverebbe appoggi, se provocatrice, nemmeno sugli alleati.

Personalmente, i1 sig. Clemenceau spera senza dubbio che l’accordo russoinglese avrà, in una certa misura, migliorato pure la sua situazione parlamentare che i miei colleghi inglesi ritengono, rallegrandosene, più salda di quanto generalmente si stima.

444 2 Per il seguito vedi D. 460.

446

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL GOVERNATORE DELL’ERITREA, SALVAGO RAGGI

DISP. 48982/577. Roma, 10 settembre 1907.

Nella precedente corrispondenza relativa al noto incidente di Noggara non mancai di insistere sulla necessità di vigilare costantemente sull’azione invadente degli agenti locali sudanesi ed aggiunsi l’istruzione di tenermi informato di tutto, affinché si potesse, al caso, moderare lo zelo di quei funzionari anglo-sudanesi che, all’atto pratico, si mostrassero non fedeli esecutori dell’accordo del 13 dicembre 1906.

Ringrazio quindi l’E.V. di avermi dato importanti notizie in proposito coi rapporti del 4 luglio a.c. n. 4591/874 e 2 agosto u.s. n. 1029/52361.

Già a proposito dei nostri reclami per l’incidente di Noggara e per l’azione dell’ispettore di frontiera al servizio inglese lungo il Giuba-Daua, il Governo inglese ebbe a dichiarare ufficialmente, confermando una teoria già espressa dal colonnello Harrington nei colloqui che ebbe con me alla Consulta, che esso, in fair competition, crede, secondo l’accordo del 13 dicembre 1906, poter esercitare la sua azione commerciale anche nelle regioni che, secondo quell’accordo, sono riservate a cadere quandochessia sotto la sfera di azione delle altre due potenze, purché non si creino diritti politici. Non abbiano risposto a quella nota per non intavolare una sterile discussione, che sarebbe stata certo dannosa senza condurre ad alcun pratico risultato, poiché è nota la tenacia con cui il Governo inglese sostiene in tutto il mondo questa teoria, dando s’intende la reciprocità.

Abbiamo fatto le nostre riserve ad Harrington e caso per caso mostreremo di non acquetarci a questa teoria, che del resto, comprendo possa essere sostenuta con validi argomenti.

Secondo gli intendimenti degli agenti sudanesi, i fatti da V.E. additatimi entrerebbero a quanto sembra fra gli atti di lecita concorrenza, mentre tali non sono.

Comunico a Londra i suoi rapporti, ma credo che sia a noi necessario contrapporre azione ad azione, sia presso i singoli capi etiopici, sia presso il Negus. Le proteste a nulla giovano, più utile, agire con mezzi leciti che sono nelle nostre mani.

Fondandosi sul recente trattato di commercio con l’Etiopia entrato in vigore il 12 giugno, V.E. voglia continuare nell’opera già iniziata e per la esplicazione di essa le do ogni necessaria facoltà, confermandole l’autorizzazione di stabilire al più presto le agenzie commerciali che si credono più utili a nostri scopi.

Approvo quanto ella ha fatto d’accordo con la r. legazione in Addis Abeba, sia per dare alla agenzia di Noggara una sede più conveniente, e che meglio risponda alle esigenze commerciali della regione, sia per agire presso Menelik per dare ordini ai capi di lasciar libero il commercio.

Sono poi convinto che V.E. vorrà emanare tutte le possibili disposizioni allo scopo di attirare le carovane dell’interno e di favorire quelle che si organizzano nella colonia per recarsi ai mercati abissini.

Ma sarà bene che reparti armati non si aggreghino a queste carovane come hanno pur fatto gli inglesi affinché non vengano travisati i fatti ed astutamente esagerati, siano poi riferiti a Menelik, cosa già verificatasi durante le trattative per risolvere la vertenza di Noggara.

Per facilitare il ritorno nella colonia delle carovane condivido pienamente le idee espresse da V.E. in altro rapporto, e giudicherei quindi opportuno che si abolissero certe misure di fiscalismo, non urgente e non compreso dalla mentalità degli indigeni.

L’importo che ne ricava l’erario è ben poca cosa in confronto dei danni morali e materiali. Così pure rinnovo la preghiera alla E.V. di esaminare la questione delle carovane provenienti dall’interno che hanno al servizio indigeni, dicentisi schiavi.

Per ciò che si riferisce alle stazioni commerciali, istituite dal Governo anglosudanese in territorio abissino, la r. legazione in Addis Abeba, dietro nostra richiesta, diede alcuni ragguagli sulla agenzia di Doncur, e soltanto ora ci comunica la copia del rapporto a V.E. sull’agenzia di Gambela. Tuttavia questo Ministero era informato anche di questa stazione per mezzo della stampa egiziana e per mezzo del rapporto per l’anno 1905 dello stesso lord Cromer (pag. 4 lett. B) inviatoci da V.E. dall’ agenzia del Cairo il 4 maggio 19062.

Questo fatto venne considerato come inevitabile, giacché si tratta di azione esplicantesi nel bacino del Sobat-Baro, lungi dalla nostra immediata sfera d’azione, mentre dobbiamo preoccuparci del bacino dell’Abai e dei suoi affluenti. Riteniamo infatti che si tratti di Gambela sull’Upeno e non di Gambela sull’Abai (v. carta del Dechaurand, I d 1) presso la confluenza del Gudar, e centro anche questo di comunicazione e di attività commerciale. Il rapporto di V.E. non specifica, ma avendo tratto le sue informazioni dai rapporti di lord Cromer debbo ritenere che si alluda senz’altro alla stazione di Gambela sul fiume Upeno.

Per quanto, infine, riguarda la parte che il Governo sudanese avrebbe avuto nella reintegrazione dei capi di Noggara, mentre il Governo britannico avea formalmente dichiarato di disinteressarsene sarebbe utile che V.E. si adoperasse per accertare questa circostanza.

Io dirigo per parte mia al capitano Colli il dispaccio che unisco in copia a V.E.2.

446 1 Non pubblicati.

446 2 Non pubblicato.

447

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. RISERVATO 49025/641. Roma, 10 settembre 1907.

V.E. ricorda la tesi sostenuta dal colonnello Harrington, quando fu a Roma, per intendersi con noi su alcuni punti relativi alla esecuzione dell’accordo del 13 dicembre 1906, che cioè, non potessero ammettersi a termini di quell’accordo sfere di influenza in Etiopia, ma si dovesse invece riconoscere che alcune parti di quella regione, in tale eventualità, potessero essere assegnate all’Italia. In queste zone l’Inghilterra non avrebbe potuto avere diritti politici, ma sarebbe stata libera di spiegare la sua azione in fair commercial competition.

Questa tesi non rappresentava un’idea personale del sig. Harrington, ma rispecchiava il pensiero del Governo britannico non solo, ma purtroppo uno stato di fatto nelle regioni etiopiche verso l’Eritrea e verso il Benadir in contatto col Sudan e col British East Africa Protectorate.

Nelle note del Foreign Office del 18 febbraio e del 1° marzo di quest’anno dirette a codesta ambasciata che me le comunicava con rapporti del 20 febbraio n. 116 (Benadir), e 6 marzo n. 144 (Noggara)1, era ufficialmente dichiarata la tesi del sig. Harrington.

Nei colloqui che si ebbero con quest’ultimo a Roma si fecero ampie riserve su questo punto, e nella memoria (annesso)2 che fu redatta a ricordo di quei colloqui, fra i punti sui quali ci fu l’accordo sulla interpretazione della convenzione del 13 dicembre 1906, manca naturalmente quello di cui ora parliamo essendovi disparità di vedute.

Io non credetti né opportuno né utile replicare a quelle note, poiché la enunciazione inglese che è, del resto, sostenibile, è di quelle alle quali, corrispondendo uno stato di fatto e un programma costantemente eseguito, non si rinuncia. Si sarebbe intavolata una sterile discussione che avrebbe lasciato le traccie ufficiali di un disaccordo sostanziale sull’accordo del 13 dicembre senza venire a pratici risultati.

Dalla corrispondenza di codesta ambasciata con sir E. Grey, e dal processo verbale dei colloqui con Harrington risulta del resto chiaramente il nostro pensiero. E a V.E. non mancherà occasione propizia di rilevare in inciso come i punti sui quali si fu d’accordo con Harrington e quindi col Governo inglese sono solamente quelli che risultano dalla memoria redatta in quella occasione e consegnata al colonnello Harrington che la volle per comunicarla al suo Governo.

Io ho preferito di attendere caso per caso per dimostrare a codesto Governo che praticamente la tesi da esso sostenuta non può non risolversi che a danno degli intenti comuni che si volevano raggiungere con l’accordo del 13 dicembre scorso.

2 Non si pubblicano gli allegati. A proposito dei colloqui vedi D. 438.

A ragione veduta non ho voluto portare a conoscenza di codesto Governo altri fatti oltre quelli già segnalati a codesta ambasciata sia verso il Benadir sia verso l’Eritrea; mi riservo di riunire prove sicure per dimostrare che gli agenti inglesi alle due frontiere non interpretano l’accordo del 13 dicembre né secondo il suo spirito né secondo la sua lettera, e non seguono neanche il principio della fair commercial competition.

Comunico a V.E. due rapporti del 4 luglio e 2 agosto con n. 4591 e n. 52361 del governatore della Eritrea dai quali risultano due fatti su cui fermo l’attenzione della E.V.

Il primo riguarda i procedimenti delle autorità anglo-sudanesi nei territori di Degiach Ghessesse per stornare il commercio etiopico dalla Eritrea; e il secondo l’azione politica che sarebbe stata esercitata per la reintegrazione dei capi di Noggara nonostante la formale dichiarazione di codesto Governo di disinteressarsi della questione politica, dopo la soluzione del noto incidente.

Riconosco che praticamente a noi non rimane altro che contrapporre azione ad azione sia presso i capi abissini sia presso il Negus affinché siano lasciate libere le vie commerciali verso l’Eritrea. E in questo senso si sono impartite istruzioni al governatore della Eritrea e alla legazione in Addis Abeba, affinché in applicazione del trattato di commercio con l’Etiopia entrato in vigore il 12 giugno scorso si agisca presso Menelik per il compimento della dogana unica, si continui e si proceda rapidamente nella istituzione delle agenzie commerciali, e si vigili sulla frontiera etiopico - sudanese per mezzo di un ispettore viaggiante che controlli i traffici e vigili sull’azione dei capi etiopici.

Intanto, però, i fatti che il marchese Salvago mi riferisce, coi rapporti che unisco, ed altri ancora di natura politica che non riferisco fino a che non mi giungano dal governatore della Eritrea prove sicure, sono tali che anche considerati dal punto di vista della tesi del Governo inglese sulla fair commercial competition non possano giovare a quella concordia di azione e di intenti che ha ispirato i negoziatori e i firmatari dell’accordo del 13 dicembre ed è necessario che essi siano portati a conoscenza del Governo inglese per frenare lo zelo dei suoi agenti e per togliere il pericolo che quei fatti diano a Menelik il convincimento che l’Italia e la Inghilterra non sono affatto d’accordo in Etiopia.

Io ora continuerò a comunicare alla E.V. le notizie che mi giungessero da Asmara o da Addis Abeba; ma sono esitante sul modus procedendi più efficace e più opportuno per noi di portare a conoscenza del Governo inglese i fatti che, riconosco, sono in gran parte conseguenza di zelo eccessivo di agenti locali e manifestazioni di un piano prestabilito dalle autorità coloniali sudanesi per guadagnare il mercato di gran parte dell’Etiopia.

Tre modi si presentano nel caso concreto. O lasciare che il Governo eritreo tratti la questione direttamente col Governo sudanese come questione interna di comune interesse; o trattare la cosa per mezzo dall’agenzia italiana al Cairo con istruzioni di questo Ministero o, infine, portarla a Londra affinché V.E. ne faccia oggetto di trattazione presso codesto Governo.

Ho voluto sottoporre in ogni suo particolare la situazione quale resulta dalle relazioni giunte al Ministero affinché V.E., che deve esserne informato, mi esponga il suo pensiero sul modo che, secondo lei, sia più efficace, più opportuno per giungere a qualche pratico risultato3.

447 1 Non pubblicati.

448

L’AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 949/513. S. Sebastiano, 13 settembre 1907 (perv. il 17).

Riferendomi al rapporto del 9 corr. n. 5041, ho l’onore d’informare V. E. che il presidente del Consiglio è partito per Madrid questa mattina. Sono così terminati i colloqui di S. E. col ministro di Stato, coll’ambasciatore francese Révoil e coll’ambasciatore spagnuolo a Parigi, Leon y Castillo.

Informazioni d’ottima fonte confermano che l’oggetto di tali discussioni fu quello da me già enunciato, ossia le eventualità che possano sorgere al Marocco ed un’intesa fra i Governi di Parigi e di Madrid per farvi fronte. Le difficoltà di mettersi d’accordo sarebbero tuttavia state grandi specialmente nel primo giorno, e così da far quasi perdere la speranza d’arrivare ad un compromesso. Giacché, malgrado le stipulazioni dell’autunno 1904, i francesi, considerando che nel momento presente è l’atto d’Algeciras che regola, per quanto nominalmente, la questione marocchina, si sarebbero rifiutati di cedere alla Spagna, nel caso d’una eventuale occupazione di Tangeri, il comando in capo delle forze delle due potenze. Dopo lunghi dibattimenti, pare siasi adottato l’espediente di dividersi le zone d’azione, prendendo gli spagnuoli la città ed il porto, ed i francesi i dintorni, e dichiarando indipendenti l’uno dall’altro i due corpi respettivi d’occupazione. Secondo l’atto d’Algeciras il famoso mandato relativo alla polizia fu dato alla Francia insieme alla Spagna, per Tangeri e Casablanca ; alla Spagna sola, per Tetuan e Larache; alla Francia sola, per Mogador, Saffi, Mazagan e Rabat : è quindi evidente che le difficoltà devono essersi presentate sopratutto per Casablanca e per Tangeri.

L’ambasciatore d’Inghilterra, che vidi ieri, persiste nel considerare assai remote e improbabili le eventualità che formarono oggetto dei colloqui di S. Sebastiano, ossia lo sbarco a Tangeri e negli altri porti marocchini. Laddove poi si verificasse l’occupazione mista di Tangeri così come fu convenuta, egli ritiene, al pari di me, che non potrebbero a meno di nascere screzi ed incidenti fra francesi e spagnuoli, per

448 1 Non pubblicato.

quanto sir Maurizio de Bunsen desideri vivamente che le due potenze procedano d’accordo e faccia il possibile per persuadere il Governo di Madrid ch’è quello il miglior partito. Ma le difficoltà della situazione e il carattere dei due popoli renderebbero gli attriti inevitabili quand’anche i due Governi fossero animati dalle intenzioni più concilianti possibili.

La speranza perduta dagli spagnuoli di rappresentare a Tangeri la parte principale avrà per conseguenza di ribadire nel sig. Maura le sue tendenze di moderazione e d’inerzia, e non gli farà desiderare che si verifichino le eventualità che formarono oggetto delle sue conferenze: ed i giornali governativi già affermano che la Spagna venne dall’atto d’Algeciras associata alla Francia per frenare le ambizioni eccessive di quella potenza, e farle da contrapeso. Non so quanto simili dichiarazioni piaceranno a Parigi, dove il sig. Clemenceau si sarebbe invece espresso in questi giorni, secondo un comunicato all’agenzia Havas, in termini alquanto bellicosi.

Il ministro di Stato, che ho visto oggi al ricevimento diplomatico, non è entrato in soverchi particolari riguardo agli accordi conclusi ; m’ha detto però che i timori già da lui manifestatimi riguardo a Tangeri, erano adesso cessati e la situazione colà poteva ritenersi tranquilla; che per il momento si indugerebbe a procedere all’organizzazione della polizia, salvoché a Casablanca, e non era questione perciò di prossimi sbarchi ed azioni militari; che i due Governi riconoscevano Abdul Aziz come Sultano, e del resto l’usurpazione di Mulay Hafid si riduceva a poco più d’una aspirazione.

Se i colloqui del sig. Maura a S. Sebastiano avranno per effetto di ritardare l’occupazione di Tangeri e degli altri porti marocchini e di calmare gli ardori della Francia, l’Inghilterra nel fondo del cuore ne sarà cosi soddisfatta da lasciar persino supporre che non sia stata estranea, per quanto indirettamente, a tal risultato.

447 3 Per la risposta vedi D. 458.

449

L’INCARICATO D’AFFARI A PIETROBURGO, TOMASI DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 628/220. Pietroburgo, 13 settembre 1907 (perv. il 19).

Gli accordi recentemente stipulati con il Giappone e l’Inghilterra i quali allontanano almeno per un lungo periodo di tempo l’eventualità di complicazioni in Estremo Oriente e nell’Asia Centrale, rappresentano, a quanto mi è stato dato sapere, la prima parte del programma della politica estera del sig. Izvolskij. Liquidato il passato con i detti accordi, tolta ogni causa di ulteriori difficoltà con quelli che ormai qui si chiamavano « i nemici tradizionali » (Inghilterra e Giappone) il sig. Izvolskij ha mirato con ciò ad avere le mani libere per rivolgere tutta la sua attenzione e la sua attività in altro punto, ove egli ritiene avere la Russia ben più gravi interessi da tutelare, ed ove essa è chiamata ad esercitare un’azione più importante, voglio dire la Penisola Balcanica. Questa rappresenterebbe la seconda parte del programma del ministro imperiale degli affari esteri.

Come è noto la Russia si trova legata, per guanto riguarda il vicino Oriente, all’Austria-Ungheria, e tutta la politica balcanica deve derivare dall’accordo di Mürzsteg.

Per quanto qui non manchi chi sostenga doversi tale accordo annullare per ridare alla Russia una completa libertà d’azione, pure tale eventualità non parmi potrà avverarsi né ora, né in un prossimo avvenire. Bisogna tener presente che, se la Russia può essere ora tranquilla per quanto riguarda l’Asia, la situazione interna è sempre grave e le conseguenze di una guerra disastrosa non le consentono poter spingere le cose troppo oltre e perciò l’accordo in parola e l’intesa con l’Austria-Ungheria necessariamente dovranno continuare a sussistere. La nuova attività della Russia deve perciò consistere nel pigliare decisamente il posto che lo stesso accordo le consente. Infatti è noto come sino ad ora la Russia non abbia fatto che seguire l’Austria-Ungheria e non ha avuto nell’opera delle riforme che una parte secondaria.

Se sono giuste le informazioni avute, ed ho ragioni di ritenerle tali, secondo il sig. Izvolskij, la poca parte lasciata alla Russia nell’opera delle riforme non è causata dall’accordo di Mürzsteg, ma dall’uso che si è fatto a Pietroburgo del programma stesso. Invece cioè di spingere energicamente le riforme si è lasciato che l’AustriaUngheria da un lato ne prendesse l’iniziativa, e dall’altro procedesse con la maggiore lentezza all’applicazione delle riforme stesse.

Certamente non sarà facile al Gabinetto di Pietroburgo riprendere un posto predominante, ed il sig. Izvolskij, a quanto mi stato riferito, ne prevede le difficoltà. Per superarle egli conterebbe sull’appoggio delle potenze e soprattutto dell’Inghilterra, nel senso di contrapporre all’inerzia prevedibile della Austria all’applicazione energica delle riforme una spinta proveniente dal di fuori .

Ed in questo momento in cui i rapporti anglo-russi hanno preso un’impronta di cordialità, e considerato anche l’atteggiamento dell’Inghilterra che, a quanto mi disse tempo fa lo stesso sig. Izvolskij, a proposito della riforma giudiziaria, voleva spingere le cose un po’ troppo oltre, è a ritenere che il Gabinetto di Londra, non rifiuterà il suo appoggio all’opera del sig. Izvolskij.

Quanto vengo ad esporre all’E.V. è il risultato di una accurata osservazione dei fatti e di discorsi avuti con diverse persone in grado di essere bene informate, e trova conferma in una serie di articoli comparsi in questi giorni nel Novoe Wremia, articoli che so sicuramente essere stati ispirati dal Ministero degli affari esteri. In essi è appunto detto che, se la Russia ha fatto dei sacrifici per assicurarsi la pace con l’Inghilterra e con il Giappone, se ha rinunciato ad una politica attiva in Asia centrale ed in Estremo Oriente che pure ha costato immensi sacrifici di sangue e di danaro, ciò è stato voluto per potere dirigere ormai tutta l’attività nell’Oriente europeo, per togliere all’Austria-Ungheria la parte predominante nella politica balcanica, e ridare alla Russia nella questione ad essa riferentesi il posto che le compete.

Potrà la Russia in questo momento mettere in pratica tale programma? Non bisogna dimenticare che la rivoluzione è sempre latente, e che da un momento all’altro gravissime complicazioni interne possono sorgere e imporre al Governo una politica più modesta.

Ma credo però potere affermare che, tanto che le circostanze lo permetteranno, è da aspettarsi una maggiore attività della Russia in tutta la politica balcanica, e sembrami ciò meritevole di speciale attenzione per quanto riguarda i nostri interessi.

450

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 1840/133. Therapia, 14 settembre 1907, ore 1,30.

In seguito consigli Gabinetto di Berlino il quale ha segretamente comunicato a questo Governo progetto austro-russo, Sublime Porta jersera ha inviato all’ambasciatore di Russia e d’Austria nota accompagnante contro-progetto turco. Dalla fugace visione presane ho potuto constatare eliminazione del controllo commissione finanziaria. Ispettori musulmano e cristiano nominati dal ministro di grazia e giustizia dovrebbero render conto soltanto all’ispettore generale ed ai valì.

Zinoviev si propone comunicare contro-progetto ambasciatori convocati riunione per giovedì prossimo [il 19].

La Sublime Porta ha inviato od invierà sulla questione circolare ai suo ambasciatori.

451

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1863/134. Therapia, 17 settembre 1907, ore 10,45.

Jeri, gran vizir prese spontaneamente a parlarmi progetto turco riforma giudiziaria. Mi disse progetto contenere tutti i provvedimenti atti a migliorare, nei limiti del possibile, amministrazione giustizia tre vilayet, compatibilmente con rispetto diritti sovranità. Sultano irremovibilmente deciso respingere ogni forma controllo straniero. Sua Altezza aggiunse che se nella riforma finanziaria egli aveva creduto, sprezzando rimproveri, intrighi, pericoli, di potere in coscienza favorire vedute ambasciatori; questa volta, invece, ritiene suo stretto dovere incoraggiare propositi resistenza Sultano, confortati dal suffragio unanime musulmani tutti.

Gran vizir voleva per forza spingermi a prendere, nella riunione di sabato prossimo [21], posizione decisamente favorevole proposta turca.

Ho risposto negativamente, rilevando che V.E. non ha in oggi nemmeno ricevuto testo progetto. In linea generale ho fatto osservare poi:

1) che di questa al pari che delle precedenti riforme, l’Italia non ha preso iniziativa essendosi limitata soltanto propugnare, nell’interesse stesso Turchia, carattere internazionale opera riformatrice;

2) che l’Italia pur pronta e disposta rendere, possibilmente Turchia, servizi analoghi quelli resile in occasione riforma finanziaria, non potrebbe adottare politica isolamento discostandosi dal concerto grandi potenze nel quale, però, sarà sempre facile fare sentire nota amichevole Turchia.

Riunione, indetta per sabato, [il 21], ha per scopo accertare vedute ambasciatori accettabilità, o meno, progetto turco, di cui V.E. riceverà, oggi o domani, da codesta ambasciata ottomana, testo accompagnato da circolare spiegativa questo ministro affari esteri. Verosimilmente rappresentanti Austria-Ungheria, Russia, Gran Bretagna, Francia, si pronunzieranno contro progetto turco, che esclude totalmente ogni controllo e non menziona nemmeno commissione finanziaria. Se quattro colleghi precitati saranno unanimi in tale concetto, mi unirei a loro, salvo ordini contrari di V.E.; se un qualsiasi temperamento conciliativo, proposto eventualmente da ministro di Germania (?)1, trovasse appoggio presso qualche altro collega, riserverei mio voto, cercando nuove istruzioni di V.E. A mio avviso converrebbe procedere in questo affare con grande prudenza e non mostrarsi troppo intransigenti. Tutto lascia prevedere che incontrerà tenace resistenza. Molto dipenderà dall’atteggiamento Germania, che per il momento mi appare piuttosto misterioso. Importa molto chiarirlo, accertando soprattutto se, e fino a qual punto, quel Governo sia disposto unirsi agli altri, nel caso prevedibile di un ricorso a misure coercitive. Per i nostri interessi diretti in questo Impero, riterrei, inoltre, sotto ogni aspetto desiderabile, unirci a quella o più potenze, che fossero eventualmente disposte tendere questo Governo tavola salvataggio. Qualunque informazione V.E. vorrà favorirmi, circa pensiero suo e quello altri Gabinetti in ogni fase presente questione, mi riescirà estremamente preziosa e gradita. In vista di uno dei soliti messaggi del Sultano, sarei particolarmente grato, per regola eventuale di linguaggio telegrafarmi il più presto possibile, se tenore mia risposta gran vizir è approvata da V.E.2.

452

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1724/652. Therapia, 17 settembre 1907 (perv. il 24).

Avevo appena firmato il mio rapporto di ieri n. 644 sulle cose di Tripolitania1, quando mi giunse dal r. consolato generale in Tripoli copia del rapporto n. 459, da quell’ufficio diretto a V.E. il 6 corrente2.

Quanto è in esso riferito è troppo piana e completa riprova della verità delle apprensioni e riflessioni che io avevo creduto dover mio sottoporre a V.E., perché sul rapporto del cav. Bernabei io non stimi opportuno richiamare tutta l’attenzione di lei.

2 Per la risposta vedi D. 456.

2 R. 1269/459, non pubblicato, ma vedi D. 453.

Sull’improvvisa e decisa attività che in Tripolitania sembra voglia iniziare una compagnia di navigazione che come la Deutsche Levant Linie non può non avere a contare coi desiderii ed i consigli del suo Governo, io non avrei esitato a tener cenno all’ambasciatore di Germania, ove S.E. non fosse tuttora assente di qui, ritenuto come è all’Aja. Non avendo col sig. von Kiderlen, che attualmente regge l’ambasciata tedesca, gli stessi sicuri ed intimi rapporti che ho col barone Marschall, mi astengo per ora da ogni confidenziale conversazione in proposito.

Nel mio rapporto di ieri segnalavo il pericolo dell’appoggio che a qualunque iniziativa non italiana in Tripolitania presterebbero volentieri le autorità ottomane: l’E.V. troverà di ciò un tipico esempio nella chiusa del rapporto del sig. Bernabei che riferisce un fatto minimo in sé, ma molto significativo, e cioè come l’agente della Deutsche Levant Linie sia subito riuscito a prendere in affitto una casa che a più riprese e sotto varii pretesti era sempre stata finora rifiutata ad italiani.

Credo opportuno informare anche V.E. come io abbia testé appreso in via confidenziale e sicura che è giunto alla Sublime Porta un lungo telegramma del valì di Tripoli contenente acerbe lagnanze contro il servizio dell’Ufficio Postale italiano che accusa specialmente di aver consegnato all’Ufficio Postale turco sacchi aperti e sdruciti, corrispondenze aperte e persino con i francobolli strappati, e di cercar sempre di far ritardare l’arrivo e la consegna dei sacchi turchi. Che un fondo almeno di vero si trovi in tali lamenti sono inclinato a credere, perché so da fonte sicura che la Sublime Porta ha, appunto pel servizio di Tripoli, ordinato a Parigi dei sacchi circolari senza cucitura.

È superfluo faccia rilevare a V.E. che con tali piccole tracasseries, se veramente esistono, noi potremo forse bensì guadagnare qualche cliente all’Ufficio Postale italiano a scapito dell’Ufficio turco, ma otterremo anche sicuramente che la Sublime Porta si affretterà ad affidare il suo servizio postale alla minacciata linea non italiana fra Tripoli e Costantinopoli di cui ho parlato nel mio succitato rapporto di ieri, e che il Governo ottomano cercherà con ogni mezzo di vedere realizzata.

451 1 Il punto interrogativo è del decifratore.

452 1 Non pubblicato.

453

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

DISP. 50579/776. Roma, 18 settembre 1907.

Il reggente il consolato in Tripoli di Barberia mi ha diretto un rapporto in data del 6 corrente1 nel quale mentre mi informa dell’avvenuta inaugurazione della linea mensile di navigazione tedesca per la Tripolitania e l’Egitto e della sempre crescente attività del sig. Banks nel promuovere l’esportazione tedesca specie dello zucchero in

quelle regioni, insiste anch’egli sulla necessità di provvedere d’urgenza a mantenere la nostra supremazia nei riguardi almeno della navigazione ed evitare massimamente per ciò che concerne l’impiego dei capitali esteri possibili sorprese a nostro danno.

Ho invitato il cav. Bernabei a tenere di tutto (ove già non l’avesse fatto) ragguagliata codesta r. rappresentanza a senso delle vigenti norme sulla corrispondenza.

Per quel che riguarda la navigazione avverto che in seguito alle pratiche fatte dal R. Governo la Navigazione Generale Italiana ha aderito ad attivare dal 1° ottobre il prolungamento fino ad Alessandria d’Egitto della linea della Cirenaica e il prolungamento fino a Genova della linea di Massaua.

Mi sono intanto affrettato a comunicare al mio on. collega delle Poste e Telegrafi il succitato rapporto da Tripoli, vivamente interessandolo a far promuovere raccomandazioni alla Società della Navigazione Generale Italiana perché le proposte del r. consolato siano d’urgenza esaminate in vista di darvi possibilmente immediata esecuzione.

Gradirei che l’E.V. mi esponga il suo pensiero per quanto riguarda quella fra le accennate proposte che concerne la concessione da chiedersi a codesto Governo della rappresentanza in Costantinopoli della Società predetta, del trasporto di truppe forniture militari e materiali per la Tripolitania, offrendo in compenso di stabilire un regolare approdo a Bamba ed a Solum2.

453 1 R. 1296/459, non pubblicato.

454

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AGENTE E CONSOLE GENERALE A SOFIA, CUCCHI BOASSO

DISP. 50614/377. Roma, 18 settembre 1907.

Col rapporto confidenziale in data 4 settembre n. 1085/3791 regolarmente pervenutomi, la S.V. addita alla mia attenzione come da parole dettele in recente occasione dal principe Ferdinando a proposito dei rapporti nostri colla Serbia da articoli di giornali bulgari e da altri indizi sarebbe da arguire che costì, specialmente nelle sfere governative, si abbia il sospetto di un raffreddamento nella buona disposizione dell’Italia verso la Bulgaria. Mentre ringrazio V.S. della sua comunicazione approvo il linguaggio che ella ha fatto costì sentire, conforme alla linea di condotta politica assolutamente imparziale e benevola dell’Italia verso gli Stati balcanici in generale ed in particolare verso la Bulgaria. Non ho quindi bisogno di confermarle che le apprensioni cui ella allude non avrebbero nello stato della cosa fondamento alcuno.

V.S. vorrà insistere, profittando di ogni propizia occasione, nel dare costì esplicite assicurazioni che le nostre buone disposizioni a riguardo del Principato non sono per nulla modificate e che ogni preoccupazione in contrario senso non ha ragione di esistere.

454 1 Vedi D. 442.

453 2 Per la risposta vedi D. 468.

455

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A BERLINO, DE MARTINO

T. 1568. Roma, 20 settembre 1907, ore 18.

R. ambasciatore a Costantinopoli telegrafa1 che il gran visir gli parlò, senza dargliene comunicazione ufficiale, del nuovo progetto turco riforma giudiziaria Macedonia, insistendo perché il R. Governo vi aderisca, e dichiarando essere il Sultano irremovibilmente deciso respingere ogni forma controllo straniero. Avendo noi già concesso adesione progetto austro-russo, che stabilisce appunto quel controllo, non potremmo naturalmente accettare progetto turco. V.S. vorrà indagare in via riservata quali sieno propositi del Governo germanico di fronte alla situazione creata dalla presentazione dei due progetti, e cercare di rendersi conto, sopratutto, se e fino a qual punto codesto Governo sarebbe disposto ad unirsi agli altri nel caso, abbastanza prevedibile, di un ricorso a misure coercitive verso la Turchia2.

456

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. 1569. Roma, 20 settembre 1907, ore 18,20.

Risposta suo telegramma n. 1341. Approvo tenore dichiarazioni fatte da V.E. gran visir circa il progetto turco

riforma giudiziaria. Incaricato d’affari di Turchia mi ha fatto comunicazione annunciata. Il progetto ottomano è inaccettabile, ed ella dovrà naturalmente unirsi ai suoi colleghi per respingerlo. Non avrei però obiezioni a che ella appoggiasse eventualmente un temperamento conciliativo di proposta germanica od altra; ma soltanto nel caso che esso ottenesse l’adesione dei suoi colleghi di Austria-Ungheria e di Russia, e che rimanesse in ogni caso salvaguardato il principio del controllo internazionale con partecipazione di tutte le potenze. Importa, infatti, tener presente che noi abbiamo già aderito al progetto austro-russo, appunto perché esso contiene una pratica applicazione a quel principio. Telegrafo al r. incaricato d’affari a Berlino perché procuri di conoscere i propositi del Governo germanico nella presente fase della questione2.

2 Per la risposta vedi D. 459.

2 Vedi D. 455.

455 1 Vedi 451.

456 1 Vedi D. 451.

457

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’ AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

L. 1437. Roma, 20 settembre 1907.

Ho ricevuto il suo rapporto n. 8451, e i relativi allegati, riferentisi all’incidente seguito il 21 luglio a Bezzecca. Il fatto è oramai di troppo vecchia data, e per la natura sua non si presta a diventare oggetto di un reclamo ufficiale. Nella conversazione amichevole che V.E. dovrà avere col barone di Aehrenthal a proposito di quanto forma argomento di altra mia lettera particolare di oggi1 sarebbe bene, però, che ella gli accennasse incidentalmente anche a quell’incidente, che non posso a meno di qualificare come deplorevole.

Senza dubbio, noi ammettiamo che la situazione nel Trentino sia particolarmente delicata, e tale da non permettere un esatto confronto con quanto accade in Italia. Con tutto ciò, non può a meno di dar luogo ad amare riflessioni il constatare che mentre da noi la bandiera austriaca sventola ogni anno, accanto a quella italiana, nella commemorazione di Solferino e S. Martino, a Bezzecca sia stata fatta subito abbassare e sequestrare, da agenti dell’autorità militare, la bandiera di un paese amico ed alleato. E questo, mentre nella Boemia del Nord dove pure non mancano, fra le popolazioni di lingua tedesca, sentimenti che si potrebbero tacciare di irredentismo si permetta agli Alldeutsche di inalberare liberamente, non pure i colori simbolici del pangermanismo, ma il tricolore dell’Impero germanico. A Bezzecca, il procedere delle autorità austriache fu precipitato e scortese; e su questo, vorrei che 1’E.V. attirasse in modo speciale l’attenzione del barone di Aehrenthal, il quale si mostrò meco così sinceramente animato dal desiderio di evitare tutto ciò che potesse costituire un ostacolo a ricondurre fra i due paesi quella piena e reciproca cordialità che si conviene alle relazioni fra due Stati vicini e alleati.

458

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1472/583. Londra, 21 settembre 1907 (perv. il 25).

Il giorno 19 corr. mi è pervenuto il dispaccio di. V. E. del 10 corr. n. 641 (Ufficio coloniale)1, al quale sono allegati gli interessanti rapporti del governatore dell’ Eritrea e del nostro agente commerciale in Deberech.

458 1 Vedi D. 447.

Premetto che, come dice lo stesso governatore, le informazioni che si raccolgono in Abissinia non sono sempre attendibili, e che di questa essenziale circostanza bisogna tener conto, tanto per il concetto, che dobbiamo formarci della situazione, quanto pel linguaggio, che dobbiamo tenere col Governo inglese e con le autorità inglesi del Cairo e di Cartum.

Esaminando, in ogni modo, i fatti quali vengono esposti, bisogna distinguere quelli che costituiscono azione legittima delle autorità sudanesi, da quelli che possono formare oggetto da parte nostra di giuste lagnanze.

L’ apertura di mercati a Capta, Domhur, Gambela, Medrì Gabeta o altrove, le visite e i doni ai capi abissini, il miglioramento delle strade sono mezzi di espansione commerciale perfettamente legittimi, conformi alle ripetute dichiarazioni del Governo britannico intorno alla portata delle sfere d’influenza, e, come dice saggiamente V.E. nel citato dispaccio, qualunque nostro reclamo in proposito avrebbe influenza non desiderabile sui rapporti anglo-italiani, senza farci conseguire alcun risultato pratico.

Conosco il sig. Armbruster, valentissimo funzionario, con cui ho viaggiato nel 1905 da Shellal a Cartum e molto conversato di cose africane; certo è uomo che non lascerà mezzo intentato per sviluppare i traffici tra l’Abissinia e il Ghedaref e per far progredire la regione a lui affidata.

La reintegrazione di Ali Imam, a Noggara è in se stessa un fatto favorevole ai nostri interessi e al nostro prestigio: non pochi sforzi furono necessari per ottenere il disinteressamento del Governo inglese; se, quando l’abbiamo ottenuto, le autorità locali britanniche, visto che la reintegrazione di Ali Imam era inevitabile, abbian cercato di farsene un merito, è cosa difficile ad accertare. Nel dubbio non mi pare opportuno che io ne parli a sir Edward Grey, ma può essere utile che il Governo dell’Eritrea faccia conoscere ad Ali Imam la verità, onde questi veda che deve la sua reintegrazione soltanto agli sforzi pertinaci del Governo italiano.

Tanto Capta quanto Noggara hanno una certa importanza, ma, a mio parere, minore di quella che altri crede; il mercato veramente importante è Gondar, ed è lì nonché sulla via più breve e diretta fra Gondar e l’Eritrea, che bisogna concentrare, il più presto possibile, i maggiori nostri sforzi, senza trascurare, beninteso, le altre località e le altre vie.

Parmi perciò assai opportuno che al nostro agente commerciale nei territori di Degiacc Ghessessè si sia dato carattere mobile; così che si potrà, col metodo sperimentale, accertare, dopo qualche tempo, se convenga conservargli questo carattere, ovvero farlo risiedere a Noggara o a Capta, o altrove, sempre però senza pregiudizio dell’ agenzia da istituire a Gondar.

Ottima scelta è la persona del cav. Jalamonti, che io ho conosciuto nell’Eritrea e che molto apprezzo. Rivali o concordi, egli e l’Armbruster sono degni l’uno dell’altro. Entrambi hanno la fede negli ideali coloniali, entrambi hanno ingegno, cultura ed energia. Il capitano Tancredi è più maturo e calmo del Jalamonti, e mi pare convenga utilizzarlo per le missioni più delicate in quelle regioni.

Il fatto di forzare le carovane a prendere una via diversa da quella dell’Asmara pare accertato, ma non è accertato se sia stato suggerito dalle autorità britanniche o sia stato commesso dalle autorità abissine per fruire dei vantaggi ad esse promessi dagli inglesi.

A me pare che non vi sia alcun inconveniente, anzi qualche vantaggio (perché gennaio è vicino e le distanze sono grandi) ad intrattenerne qui sir Edward Grey. Io potrei dirgli o scrivergli che ci pervengono le solite dicerìe che le autorità sudanesi inducono i capi abissini a forzare le carovane ad abbandonare la via d’Asmara, che noi non crediamo a tali dicerìe, ma che, in ogni modo, siccome un eccesso di zelo da parte di qualche funzionario locale è sempre possibile, è bene che il Governo inglese mandi chiare istruzioni in proposito, come ha fatto nel caso dei Boran, vietando ai suoi dipendenti di adottare o consigliare agli abissini l’uso della forza o delle minacce per costringere le carovane a percorrere una via piuttosto che un’altra. Io credo che difficilmente sir Edward Grey possa rifiutarsi a ciò, e, pervenendo tali istruzioni alle autorità sudanesi, prima del convegno di Gondar tra Armbruster e Ghessessè (gennaio p.v.), potranno giovare a limitare l’azione dell’Armbruster e degli altri funzionari britannici ai soli mezzi legittimi di concorrenza commerciale.

Aspetto la risposta dell’E.V. a questo rapporto prima di fare un tale passo, il quale non esclude quelle altre pratiche che V.E. e il governatore dell’Eritrea stimeranno opportune al Cairo ed a Cartum. L’ispettore generale Slatin Pascià, che io conosco molto, dev’essere ora in Austria, ma, se ripasserà da Londra, cercherò di parlargliene amichevolmente e così pure con sir Eldon Gorst, che presentemente non è in Londra.

A semplice schiarimento di fatto, e per evitare possibili malintesi, ricordo poi a V.E. che Harrington, tanto nei colloqui avuti con me e con il conte Bosdari a Londra, quanto in quelli avuti a Roma con il comm. Agnesa, con V.E. e con me2, ha più volte ripetuto che le sue dichiarazioni, delle quali desiderava si prendesse nota, esprimevano le sue idee personali e non impegnavano il Governo britannico, presso il quale egli avrebbe cercato di farle valere. Credo però che sostanzialmente le idee di Harrington siano quelle del suo Governo e sui più importanti argomenti, come è detto anche nel citato dispaccio, ne abbiamo la conferma ufficiale.

In ogni modo io concludo esprimendo una volta di più il mio fermo convincimento che le nostre legittime rimostranze a Londra, al Cairo, a Cartum, potranno forse giovare un poco, ma ben poco, e che il solo mezzo efficace per difendere e sviluppare i nostri interessi in Etiopia sia un’azione locale intensa e perseverante, con mezzi adeguati e col concorso coordinato del Governo e dell’ iniziativa privata, profittando, come ho riferito più volte, della presente situazione politica e finanziaria dell’Inghilterra.

Politica, perché il Ministero liberale è meno imperialista ed espansionista di un possibile, benché per qualche tempo non probabile, Governo conservatore; finanziaria, perché non è facile trovare capitali inglesi disposti ad imprese rischiose e lontanamente remuneratrici in Etiopia, quando il tasso del denaro è cosi elevato, con impieghi più comodi e più sicuri, in Inghilterra3.

3 Per il seguito vedi D. 465.

457 1 Non pubblicato.

458 2 Su questi colloqui vedi D. 438.

459

L’INCARICATO D’AFFARI A BERLINO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1908/94. Berlino, 22 settembre 1907, ore 8,20.

Telegramma di V.E. n. 15681. Mi riservo telegrafare ancora martedì [il 24] o mercoledì2 dopo aver conferito

con segretario di Stato; frattanto da colloqui avuti con funzionario Dipartimento, ebbi impressione che nell’ipotesi di ricorso a dimostrazione navale, prevale, attualmente, tendenza nel senso astensione, sotto pretesto mancanza navi adatte nel Mediterraneo o analoghe pur dichiarandosi solidale con potenze. Tale attitudine, conforme quella mantenuta nel 1905 e in armonia colla politica generale tedesca in Turchia, sembra aver maggior probabilità di prevalere anche attualmente, salvo imprevedibili circostanze straordinarie, specie se si tengono presenti dichiarazioni piuttosto categoriche fattemi da Tschirschky il 3 corrente, e riferite a V.E. col mio telegramma n. 843. Testo del contro-progetto turco fu qui comunicato da questo ambasciatore ottomano. Di fronte situazione, creata dalla presentazione dei due progetti, Governo germanico mantiene attitudine riserbo, e secondo mi viene riferito da buona fonte, consiglia al Governo ottomano trovare modo di intendersi con le potenze per evitare che si giunga a misure estreme.

460

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, CON IL PRESIDENTE DELLA CONFEDERAZIONE SVIZZERA, MÜLLER

APPUNTO. [Berna, 26 settembre 1907].

I due temi specifici trattati nel mio colloquio col presidente del Consiglio federale, furono quelli della emigrazione temporanea italiana e delle ferrovie italosvizzere.

Quanto alla emigrazione, erano sorte difficoltà circa a quel nostro addetto. Ora tali difficoltà sono scomparse, e le autorità federali sono soddisfatte dell’addetto quanto dei consoli. E soddisfatte sono della massa della nostra emigrazione. Vi è in essa una minoranza di elementi turbolenti e facinorosi, provocatori di disordini e di scioperi; ma a questi la popolazione è avversa, quindi, riesce più facile ricorrere contro di essi a misure di rigore e procedere alle espulsioni.

2 T. 1925/97, del 27 settembre, non pubblicato. 3 T. 1780/84, del 3 settembre, non pubblicato.

Quanto alle questioni ferroviarie, la Svizzera, nell’avviarsi alle loro soluzioni, deve commisurarle ai proprii mezzi; quindi, quelle soluzioni non possono essere che successive. Ora si deve pensare alla questione del Lötschberg; poi, vi è da risolvere con la Francia il problema del congiungimento del Sempione alle ferrovie francesi. Sicché il Consiglio federale non ha ancora esaminata la questione dello Spluga.

A tale proposito è a notare — mi disse il presidente — che tre quarti dei Grigioni ed una parte di Zurigo sono favorevoli allo Spluga, mentre un quarto dei Grigioni, una parte di Zurigo e l’intero Canton Ticino sono favorevoli al Greina. Ed è probabile prevalga questo partito, che darebbe l’intero tracciato sul territorio svizzero.

Dichiarai che l’Italia concorrerebbe per lo Spluga; per l’altra soluzione, no. Dato però che la Svizzera voglia risolvere successivamente le questioni di questi valichi, si potrebbero prendere sin d’ora accordi per lo Spluga, e fissare anche una data, sia pure più o meno remota, per la costruzione.

Il presidente del Consiglio Federale convenne, in massima, in questo concetto; e si riservò di sollevare la questione dello Spluga in seno al Consiglio, per venire a tali accordi.

Il presidente e tutto il Consiglio sono ancora sotto l’impressione favorevole delle amichevoli accoglienze ricevute dalle autorità federali in Italia nell’occasione delle feste pel Sempione. Il presidente stesso si è mostrato lietissimo della mia visita. Ed è evidente che le relazioni italo-svizzere sono entrate in un periodo di accentuata cordialità, che offre la miglior base alla soluzione delle questioni interessanti i due Stati.

459 1 Vedi D. 455.

461

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1503/599. Londra, 26 settembre 1907 (perv. il 30).

La maggior parte della stampa inglese commenta favorevolmente l’accordo anglo-russo, oramai testualmente pubblicato. Esso, come e noto, è stato fortemente voluto da S.M. Re Edoardo VII, ed è parte essenziale della politica, che, d’accordo con l’immensa maggioranza della nazione inglese, egli ha adottato e segue. Senza essere, considerandolo in se stesso, diretto contro la Germania, è certo che il movente principale della politica britannica nel concluderlo è stato quello di eliminare, o per lo meno attenuare e differire, quelle cause d’antagonismo tra la Gran Bretagna e la Russia, che potevano essere per questa un incentivo a più intima amicizia con la Germania ed un ostacolo a più cordiali relazioni con Inghilterra, al rafforzamento dell’alleanza franco-russa, ad una più libera ed influente azione della Russia in Europa e nel vicino Oriente.

Questo concetto, che qui, malgrado le opposte dichiarazioni dello Standard, della Westminster Gazette e d’altri giornali, è nell’animo di tutti, fu formulato chiaramente da sir Edward Grey prima ancora di assumere il potere, nel discorso che tenne alla City in ottobre 1905. Egli disse fin d’allora essere «urgently desirable» che l’influenza della Russia venga ristabilita nei consigli dell’Europa, e aggiunse che il dissidio anglo-russo ha le sue radici nel passato, non nel presente, e che appunto perché la reciproca fiducia è una pianta che cresce lentamente, è dovere dei due Governi di preparare le condizioni favorevoli al suo sviluppo. Anzi, se l’urgenza e l’utilità dell’accordo furono, come era naturale, più vivamente sentite in Inghilterra dopo le sconfitte della Russia nell’Estremo Oriente, e dopoché nella questione del Marocco si videro gli effetti europei della sua forzata eclissi, il desiderio di concluderlo esisteva nella mente dei maggiori uomini di Stato inglesi, e, per parecchi anni, diversi successivi ministeri ne avevano fatto oggetto dei loro sforzi. Lord Salisbury non poté riescirvi a cagione della questione di Port Arthur. Le trattative, riprese più tardi da lord Lansdowne, furono dapprima interrotte dalla guerra russo-giapponese, ma dipoi facilitate dall’esito di questa, che rendeva l’accordo più utile, per ragioni di politica europea, all’Inghilterra, e, per ragioni di politica asiatica, alla Russia, divenuta, per necessità di cose, più arrendevole visto che, senza l’accordo, una temporanea politica di raccoglimento e di attesa nell’Asia centrale, del pari che nell’Estremo Oriente, le è imposta dalle sue condizioni interne, da una forte corrente di opinione pubblica, ostile alle avventure asiatiche, e dalle conseguenze politico-militari delle sue sconfitte.

Per tutte queste ragioni e per la notizie qui attinte ad ottime fonti fin dai primi giorni della mia missione in Inghilterra potei, dissentendo da quelli che ne dubitavano, esprimere, nel mio rapporto del 4 ottobre 1906 n. 4101, la ferma convinzione che l’accordo anglo-russo, malgrado le difficoltà e gli indugi si sarebbe certamente concluso.

Insieme ai recenti accordi politici franco-giapponese e russo-giapponese, esso è una logica conseguenza ed un importante complemento dell’alleanza franco-russa e dell’entente cordiale anglo-francese ed accresce sensibilmente fino da ora, e forse accrescerà di più in avvenire, l’efficacia pratica e l’influenza politica di queste due combinazioni.

Per conseguire i vantaggi, che ne derivano ai suoi intenti in Europa ed in altre parti dell’Oriente, la Gran Bretagna ha consentito a rinunziare in parte a quelli che avrebbe forse potuto ritrarre, nei paesi contemplati nell’accordo, dal temporaneo indebolimento della Russia, ed ha aderito a condizioni che facilmente si prestano alla critica da parte di quegli inglesi che esaminano l’accordo in base a criteri quasi esclusivamente locali, senza coordinarlo al complesso della situazione politica internazionale.

Ma, anche esaminato da questo punto di vista ristretto, esso mi pare nell’interesse dell’Inghilterra migliore di quello che a prima vista si direbbe.

Come io preannunziai a V.E. nel mio rapporto del 12 ottobre 1906 n. 4252 la caratteristica principale dell’accordo è quella di un protocollo di disinteressamento, non già di cooperazione o di reciproco appoggio, benché elimini od attenui gli ostacoli a siffatta politica, ed il suo oggetto è limitato esclusivamente alla Persia, all’Afganistan ed al Tibet.

2 Vedi D. 132.

Per poterlo equamente giudicare bisogna tener conto di questo suo carattere e bisogna sopratutto tener conto della situazione di fatto preesistente, tanto più che molti inglesi considerano come concessioni nuove alla Russia anche quelle che non sono che accettazioni formali di fatti già da tempo compiuti.

Ora, in via di fatto, l’Afganistan è oggi uno Stato capace di difendere vigorosamente la propria indipendenza ed integrità anche contro potenti vicini: è amico dell’Inghilterra più che della Russia perché tale è presentemente il suo interesse, ma, nonostante gli accordi coll’Emiro per la sua rappresentanza verso l’estero, non è soggetto all’influenza inglese se non nei limiti in cui Habib-Ulla vi trova la propria convenienza.

Nel Tibet, la politica di astensione da parte dell’Inghilterra era già stata, assai prima dell’accordo anglo-russo, decisa e tradotta in atto dal precedente Ministero, che, distruggendo, a torto o a ragione, l’opera di lord Curzon, disapprovò la nomina di un residente a Lasha, riconobbe l’autorità della Cina, si impegnò a sgombrare la valle dello Chumbi, e non solo fece su queste basi dichiarazioni impegnative nel 1904 all’ambasciatore di Russia, ma stipulò con la Cina la Convenzione di Pechino (27 aprile 1906).

In Persia, come già accennai nel mio rapporto del 10 gennaio n. 241, sin dal 1898, quando per l’effetto dell’esitazione di lord Salisbury, lo Shah contrasse il primo prestito russo, seguito da altri due nel 1900 e nel 1902, l’influenza della Russia è predominante, non soltanto nelle provincie settentrionali, di cui fa parte la capitale, ma in tutto il paese. Una banca russa (Banque d’escompte et de prêts), sotto la direzione del ministro delle finanze russo, fu istituita a Teheran; il Governo persiano si obbligò a non costruire né a lasciar costruire ferrovie in alcuna parte del paese senza il consenso della Russia; agenzie commerciali e consolati russi pullularono dovunque; strade rotabili furono concesse alla Russia nelle provincie settentrionali; lungo queste strade e nella capitale stessa si formarono guardie e corpi speciali di cosacchi; la bandiera russa, mercantile e militare, sventolò nel Golfo Persico; funzionari belgi, praticamente dipendenti dalla Russia, furono incaricati di sopraintendere alle dogane e di preparare nuove tariffe che, nel 1903, furono imposte alla Persia e promulgate lo stesso giorno in cui una missione speciale del re Eduardo consegnava in Teheran allo scià Mozaffar ed-Din l’ordine della Giarrettiera. Per effetto di quelle tariffe, nell’anno successivo, si verificava nelle importazioni inglesi una diminuzione di L. 29,708 e in quelle russe un aumento di L. 21935.

Non è da farsi illusioni sulla capacità di resistenza della Persia alla Russia, anche dopo la guerra russo-giapponese, né sulla probabilità di riuscita del regime rappresentativo in un paese privo di educazione politica e di attitudini e tradizioni costituzionali, cosicché, nelle ulteriori fasi della crisi interna che la Persia attraversa, è un bene per essa di non essere teatro ed oggetto di due influenze rivali, che hanno potuto trovare, sia pure temporaneamente, una formula di conciliazione nel mantenimento della sua integrità ed indipendenza.

Questo principio è solennemente affermato nel preambolo della convenzione concernente la Persia. Nessun dubbio che la Gran Bretagna in questa dichiarazione è sincera, ed è da credere che lo sia per il momento anche la Russia, come ne è anche un indizio l’unanime severità, con cui i giornali russi di diverse parti politiche (Novoie Vremia, Slovo, Retch, Gazzetta della Borsa) condannano il linguaggio minaccioso dell’incaricato d’affari russo a Teheran e domandano il suo richiamo.

So da buona fonte che la convenzione, comunicata prima della ratifica al Governo persiano, gli ha fatto buona impressione.

La dichiarazione relativa all’assicurazione di eguali opportunità di commercio ed industria a tutte le nazioni, mentre deve essere tenuta nel debito conto anche dalla Germania per il suo scarso commercio, dovrebbe, per logica e per equità, condurre ad una revisione delle tariffe doganali, ora dirette contro l’Inghilterra.

Sulle sfere d’influenza, determinate negli articoli 1-2, aggiungo alcuni altri schiarimenti a quelli contenuti nel mio rapporto del 23 corr. n. 5871.

L’Inghilterra ha fatto certo un notevole sacrificio, consentendo che nella sfera d’influenza russa sia compresa Ispahan, tanto più che la linea di navigazione sul Karun è inglese e la strada che da Ahvaz su quel fiume, ad Ispahan, attraversa i monti dei Bakhtiari, è stata costruita con danaro inglese.

Essa ha anche derogato al principio, che ha sempre sostenuto, dando alla definizione delle sfere d’ influenza, una portata, nel campo economico, alla quale si è sempre rifiutata per quelle concordate con l’Italia in Africa. Notevole pure è che il vagheggiato tronco Sadidjeh-Khanikhin, che dovrebbe connettere la ferrovia di Bagdad alla Persia, metterebbe capo poco distante dal limite sud-ovest della sfera d’influenza russa.

Sono, poi, interamente in questa sfera le località intorno a cui pende l’attuale vertenza turco-persiana (Urmiah, Suj Bulak, Eski-Lajan, Tergevar, Merguvar), delle quali la Turchia valuta tutta l’importanza strategica in previsione del giorno in cui quella parte della Persia diventerà russa. L’appoggio, che in questa questione il Governo inglese dà alla Persia ed alla Russia si ispira dunque di più a transitorie opportunità d’oggi che ad una chiara visione degli interessi permanenti della Gran Bretagna.

In compenso, l’articolo 2, che mette l’Inghilterra al coperto dal pericolo che vengano costruite nel Seistan e nel Belucistan persiano ferrovie che avrebbero girato le difese nord-occidentali dell’ India, è di somma importanza, e le permetterà di diminuire le ingenti spese militari che gravano sui contribuenti indiani, cosicché potrà forse attenuare l’agitazione e il malcontento del Bengala e di altre parti dell’ India.

Finalmente, nei rapporti con la Russia, tutta la parte del Golfo Persico, che si estende tra Bender Abbas e la foce dello Schott-el-Arab, sarebbe esclusa apparentemente dalla sfera di influenza inglese, cosicché parrebbe che la Russia abbia il diritto di insistere per una ferrovia da Iulf sull’Arasse o da qualsiasi altra località a Bender Buscir o ad altro porto sul Golfo Persico senza violare la lettera dell’accordo.

Ma così non è; ancorché, per ragioni di forma, non faccia parte del testo della convenzione, risulta dal qui unito1 dispaccio del 29 agosto di sir E. Grey a sir A. Nicolson che l’Inghilterra ha contemporaneamente concordato colla Russia il pieno riconoscimento della propria posizione speciale nel Golfo Persico, pur esprimendo il proposito di non escludere il legittimo commercio delle altre nazioni. Il dispaccio esplicitamente conferma le precedenti dichiarazioni del Governo britannico tra cui primeggiano per la loro importanza quelle fatte da lord Lansdowne alla Camera alta in maggio 1903 e così concepite: «H.M. Government would regard the establishment of a naval base or of a fortified port in the Persian Gulf by any power as a grave menace to british interests, which we should resist with all the means at our disposal».

Ciò non si applica letteralmente ad una ferrovia e ad un porto commerciale, ma, anche indipendentemente dallo spirito e dal testo delle reciproche dichiarazioni che completano l’accordo, il tentativo da parte della Russia di costruire una ferrovia dalla frontiera russa al Golfo Persico sarebbe incompatibile colla politica di amicizia coll’Inghilterra, e d’altronde, mentre questa dovrebbe combatterlo per ragioni strategiche, potrebbe alla Russia, dal punto di vista commerciale, creare piuttosto una concorrenza nella Persia del Nord che uno sbocco ed un mercato in quella del Sud.

L’art. 1 della convenzione sull’Afganistan è un successo per il Governo inglese. Dopo tanti anni di rivalità anglo-russa nell’Asia centrale è la prima volta che la Russia riconosce che l’Afganistan è fuori della sua sfera di influenza e che si obbliga di non mandarvi agenti politici e di trattare coll’Emiro per mezzo del Governo britannico. L’obbligo, che l’Inghilterra assume di non annettersi alcuna parte dell’Afganistan, e di non intervenire nei suoi affari interni finché l’Emiro osserva il trattato di Kabul del 21 marzo 1905, ha importanza per il fatto che essa ha consentito a prenderlo verso la Russia, ma non è, come ho detto più sopra, che la constatazione di una situazione di fatto indipendente dall’accordo. Anche senza esso l’Inghilterra, allo stato attuale delle cose, non ha né la volontà né il potere di fare altrimenti; anzi alcuni inglesi, competenti nelle cose indiane, credono che sia andata, da qualche tempo in qua, troppo oltre nella deferenza verso l’Emiro, nell’avergli riconosciuto il titolo di Maestà, e nelle onoranze resegli in occasione del suo viaggio in India. Di questa politica deferente verso l’Emiro è una prova di più l’art. 5 della convenzione che non trova il suo riscontro in quella relativa alla Persia.

Confesso che io nutro qualche dubbio sulla utilità dell’art. 3. Esso, come, nello scorso marzo, ha detto S. E. Cambon al conte Bosdari (rapporto del r. incaricato d’affari 12 marzo n. 160)1, è stato motivato dal desiderio di evitare le lungaggini inerenti alle trattative tra Pietroburgo, Londra e Calcutta, quando avvengono incidenti di frontiera ed altri incidenti locali di carattere non politico, ma, in compenso, è da notare che i funzionari locali, come insegna anche a noi la nostra esperienza coloniale nei nostri rapporti colle autorità sudanesi, esagerano di solito l’importanza di queste questioni e non sanno subordinarle alle esigenze della politica generale. Questo pericolo è maggiore nel caso attuale, nel quale, se non vengono quasi tutti mutati, è probabile che sopravvivano, anche inconscientemente, nell’animo loro i ricordi, le abitudini, le tradizioni ed i sentimenti e risentimenti del lungo antagonismo anglo-russo.

La nuova luce gettata sulle vere condizioni del Tibet e delle regioni adiacenti, dalle più recenti spedizioni geografiche e sopratutto dalla missione Younghusband, hanno molto diminuito il valore di quell’altipiano così per la Russia come per l’Inghilterra.

Per questo motivo, e perché la situazione era stata più che pregiudicata, decisa, dal precedente Ministero, mi pare che la convenzione sul Tibet garantisca in modo equo e soddisfacente gli interessi delle due parti.

La disposizione dell’art. 2, che ammette le relazioni dei sudditi buddisti della Russia col Dalai-Lama e cogli altri rappresentanti del Buddismo nel Tibet e si mette in relazione coll’accordo politico russo-giapponese che, in una clausola segreta, pone la Mongolia nella sfera di influenza russa, può avere non insignificanti effetti politici

nel corso ulteriore degli eventi in Cina. Il Dalai-Lama, o meglio i capi effettivi del buddismo nel Tibet, hanno influenza nella Cina settentrionale ed è bene ricordare che le relazioni del noto Dorieff con loro han rappresentato una parte non ancora bene accertata negli avvenimenti anteriori all’assedio delle legazioni. La convenzione dice che queste relazioni devono essere strettamente religiose, ma in pratica è impossibile segnare questo limite, e, se anche ciò fosse possibile, non vi sarebbe modo di constatare se viene rispettato.

Per la sua ripercussione sulla politica europea è più importante il fatto dell’accordo che le sue condizioni, ma lo sono anche queste, per il grado di probabilità che presentano, che, soddisfacendo in modo equo gli interessi maggiori delle due parti contraenti, vengano lealmente eseguite e facilitino un crescente avvicinamento politico tra i due antichi, e, a mio parere, futuri rivali.

Non è dubbio, a mio giudizio, che la Gran Bretagna eseguirà l’accordo, non soltanto con lealtà, ma con larghezza di vedute, con spirito d’amicizia verso la Russia, col vivo desiderio che l’accordo, che in sé stesso non ha che il valore negativo di eliminare attriti acquisti il valore positivo di punto di partenza d’una politica di cooperazione, come è avvenuto per l’accordo anglo-francese. Raggiungerà questo scopo? Molto dipende, come ho detto più volte, dalle influenze che gli eventi politici interni della Russia faranno prevalere a Corte e nel Governo. Intanto, si può presumere che per alcuni anni la Russia eseguirà l’accordo lealmente. Quando poi si sentirà nuovamente forte, difficilmente potrà fare a meno di ritornare a quella gravitazione verso il sud e verso il mare libero che è stata finora la legge costante della sua storia. Frattanto, per ciò che può interessarci, è probabile che il semplice fatto di saperla più libera di dedicarsi alla sua storica missione nella Penisola Balcanica accrescerà subito la sua influenza ed il suo prestigio presso quelle popolazioni.

L’opinione pubblica qui mostra finora di accogliere l’accordo anche meglio di quello che parecchi uomini competenti credevano. Molti si domandano come l’accoglierà la Germania, e ricordano le dichiarazioni rassicuranti di Bülow, ma ricordano pure che i fatti posteriori non corrisposero a quelle, non meno rassicuranti, che aveva fatto sull’accordo anglo-francese e sul Marocco.

In ogni modo, anche gli avversari del presente Ministero riconoscono che l’accordo e la dichiarazione relativa al Golfo Persico confermano la continuità della politica inglese malgrado l’avvicendarsi dei partiti, e la rendono veramente nazionale. Riconoscono pure che, nei brevi anni del regno di Edoardo VII, l’Inghilterra, dapprima isolata ed in antagonismo colla Francia e colla Russia, ha ora migliorato e rafforzato-enormemente la propria situazione internazionale, nella quale non rimane più che un solo punto nero.

E il Morning Post di stamane si rende interprete di un sentimento assai diffuso concludendo il suo articolo, favorevole all’accordo anglo-russo, col voto che i pregiudizi tedeschi contro l’Inghilterra spariscano, ma che, nel dubbio, l’Inghilterra si armi in guisa da essere sempre pronta ad affrontare una opposizione contro di cui potrebbero non bastare gli espedienti della diplomazia.

461 1 Non pubblicato.

462

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1939/140. Therapia, 27 settembre 1907, ore 12,50.

Telegramma n. 16191. Secondo risulta in modo esplicito dal processo verbale, di cui mio telegramma

n. 1372, rappresentanti potenze furono unanimi, nel riconoscere opportunità accettare riforme proposte dalla Sublime Porta, nessuna obiezione o riserva venne formulata dall’ambasciatore di Inghilterra. Essa sarebbe stata, del resto, superflua, visto che tutto il nostro lavoro aveva per unico scopo di preparare basi e scambio di idee tra i Governi, indispensabile per concretare previamente azione comune identica, senza la quale, molto difficilmente, si riuscirebbe vincere accanita resistenza cui sembrano qui fermamente decisi. Ambasciatore di Francia aveva preparato una nota che ci sarebbe stata sottomessa in una riunione che Decano preparavasi indire, quando martedì scorso [il 24] O’Conor annunziò, che prima di procedere oltre, egli doveva attendere istruzioni dal suo Governo, il quale sta ancora studiando progetto austro-russo. Tutto, quindi, è rimasto in sospeso, O’Conor mi disse iersera, che tenore [scil. nota] preparata da Constans, non gli era piaciuto. Da quanto precede si potrebbe verosimilmente dedurre che Governo britannico non deve avere approvata adesione data dal suo ambasciatore all’espediente conciliativo ritenuto opportuno da lui e da tutti noi altri. A giudicarlo dal linguaggio calmo e conciliante finora tenuto da O’Conor, sarei indotto a ritenere che egli sopraluogo si rendeva della situazione vera un conto alquanto più esatto del suo Governo, il quale, stando alle informazioni telegrafatemi col n. 16183, inclinerebbe piuttosto ad assumere di nuovo un contegno intransigente, non certo di natura a facilitare la soluzione, dato sopratutto disposizioni del Governo germanico non certo propenso a spingere le cose all’estremo.

(T. 1921 del 24 settembre) in merito all’adesione dei rappresentati delle grandi potenze alla riforma giudiziaria proposta dal Governo ottomano.

2 T. 1896/137 del 21 settembre. Il contenuto è qui riassunto. 3 Del 25 settembre, non pubblicato.

462 1 Del 25 settembre, col quale Tittoni chiedeva chiarimenti su quanto telegrafato da Vienna

463

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 1942/148. Therapia, 27 settembre 1907, ore 18.

De Giorgis mi ha scritto una lettera particolare dalla quale appare manifesta sua tenace aspirazione tornare in Italia. In pari tempo, generale accenna ad un provvedimento da sottoporre esame aggiunti militari, nella prossima riunione 1° ottobre, in base al quale, agli aggiunti medesimi, dovrebbe essere conferito diritto rispondere direttamente con autorità turche competenti civili e militari ed anche di gendarmeria, per questioni locali o di servizio. Siffatto provvedimento, parendomi poco opportuno, ho diretto generale telegramma seguente: «Ho ricevuto sua lettera particolare e vivamente la ringrazio. Non mi è possibile modificare opinione già espressa, convinto sempre come sono, che ulteriore presenza V.E. Salonicco, sarebbe, sotto ogni rispetto, utilissima e desiderabilissima. In presenza, però, recisa determinazione presa da V.E., crederei, insistendo più oltre, mancare riguardi dovuti a lei, per il quale la mia sincera ammirazione eguaglia cordiale amicizia. Invierò, quindi, copia della sua lettera particolare R. Governo, cui spetterà prendere, circa desideri da lei espressi, decisione definitiva. Per quanto concerne estensione attribuzione aggiunti militari, mediante facoltà loro concessa corrispondere direttamente con autorità competenti, e anche di gendarmeria per questioni locali o di servizio, mi permetto attirare attenzione di V.E. sulla opportunità di interrogare R. Governo, prima di sottoporre questione esame aggiunti. Riconosco vantaggi che offrirebbero provvedimento dal punto di vista tecnico, ma non mi dissimulo che, dall’aspetto politico, provvedimento stesso, potrebbe presentare inconvenienti che mi rendono molto esitante ad appoggiarlo. A parte difficoltà gravissime che non mancherebbe di opporsi [sic] Sultano, contro relazione diretta tra le autorità e ufficiali esteri che non sono al suo servizio, e di cui egli ha fino ad ora persino affettato ignorare presenza in Macedonia, a me sembra molto pericoloso conferire aggiunti militari diritti corrispondere direttamente con autorità locali: 1) perché qualche aggiunto, poco scrupoloso, potrebbe profittare facoltà concessagli, per agire, eventualmente, all’insaputa generale riorganizzatore, per intrigare, forse anche contro di lui; ed in tutti i casi, per non estendere influenza politica rispettivi Governi nel proprio settore; 2) perché, in caso non improbabile di grave contestazione con autorità aggiunti militari finirebbero sempre per invocare intervento rispettive ambasciate presso Sublime Porta; il che, oltre al diminuire in pratica, posizione generale riorganizzatore, contribuirebbero ad attenuare, sensibilmente, quel carattere internazionale della riforma; carattere che importa assolutamente conservare e magari accentuare. Stante ristrettezza tempo a cagione imminente pressione aggiunti, comunico presente telegramma al R. Ministero al quale V.E. potrà, se lo crede a proposito, telegrafare le sue eventuali osservazioni sugli argomenti che ho creduto mio dovere di sottoporre all’E.V. Voglia pure tener presente che, in vista della spinosa controversia che si prepara per la attuazione riforma giu-

diziaria, potrebbe apparire poco indicato il […]1 ancora più situazione, presentando una domanda destinata verosimilmente urtare contro resistenza Sultano. Le sarò grato di darmi, se lo crede, comunicazione suo telegramma R. Ministero». Trasmetterò domani per posta, copia lettera De Giorgis2.

464

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1945/137. Londra, 27 settembre 1907, ore 19,30.

Rispondo suo telegramma n. 16191. Hardinge ha mostrato oggi telegramma diretto a sig. E. Grey da O’Conor che

non avendo istruzioni non si associò alla deliberazione favorevole alle proposte turche prese dagli altri ambasciatori a Costantinopoli. Pare che questi dimenticarono di riferire ai rispettivi Governi astensione dell’ambasciatore di Inghilterra. Hardinge rispose a O’Conor approvando sua astensione, visto Governo britannico non aveva allora compiuto studio delle proposte austro-russe e turca. Oggi avendolo compiuto, mi comunica confidenzialmente avere deciso accettare proposta austro-russa presentata 16 agosto colla alternativa segnata al n. 1 sul modo di scegliere gli ispettori. Governo britannico ha inoltre dato istruzioni a O’Conor di sostenere che la Commissione internazionale eserciti sui funzionari giudiziari medesimi poteri che su quelli finanziari. Esso crede anche altamente desiderabile che le potenze possano nominare un eminente giureconsulto europeo per assistere commissione con voto consultivo. Crede totalmente inadeguate le proposte turche e stima inopportuno accettarle perché accrescerebbero la difficoltà di indurre la Sublime Porta a accettare qualsiasi ulteriore riforma.

2 Per il seguito vedi D. 495.

463 1 Gruppo mancante.

464 1 Vedi D. 462, nota 1.

465

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1515/605. Londra, 28 settembre 1907 (perv. il 1° ottobre).

Faccio seguito al mio rapporto del 21 corr. n. 5831. Benché i giornali dicano che sir E. Gorst sia partito per l’Egitto, oggi sir

C. Hardinge mi ha assicurato che non partirà che ai primi di ottobre. Io gli ho scritto in Iscozia, dove si trovava giorni fa, per chiedergli un appuntamento a Londra. Spero che mi riescirà di vederlo, ma, nel dubbio che, per l’estrema mobilità degli inglesi, ciò non mi riesca, ho parlato a sir C. Hardinge delle notizie, più o meno attendibili, relative a passi del sig. Armbruster e d’altre autorità sudanesi presso capi abissini per indurli a forzare caravane ad abbandonare la via dell’Asmara.

Sir Charles ha riconosciuto che, se il fatto è vero, un tale modo di agire non corrisponde agli intendimenti del Governo inglese, il quale deve frenare lo zelo eccessivo dei suoi funzionari, e mi ha promesso di parlarne egli stesso a sir E. Gorst2.

466

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1979/1141. Addis Abeba, 30 settembre 19071.

Confermo mie informazioni mio telegramma 1132 circa soluzione ferrovia Gibuti concordata tra ministro francese e Menelik e presentata approvazione Governo francese. Ministro francese, pur dichiarando essere giunto ad una conclusione, non ha creduto fare alcuna comunicazione in proposito, né a lui, né all’incaricato d’affari inglese. Mi ha invece detto essere sua intenzione comprendere nel nuovo trattato di commercio questione giurisdizione stabilendo giurisdizione consolare e mi ha chiesto mio parere in proposito. Uguale comunicazione, però, egli ha fatto incaricato d’affari tedesco, evidentemente per togliere ad essa ogni significato che potesse attribuirsi all’accordo 13 dicembre. Gli ho partecipato intenzione e desiderio codesto

2 Per la risposta vedi D. 506.

2 T. 1936/113 del 26 settembre, non pubblicato.

Governo sulla questione giurisdizione, ma egli dichiarò impossibile soluzione da noi desiderata. Mi ha assicurato, però, riservare ogni sua azione in proposito a quanto sarà stabilito d’accordo con i Governi.

Mi risulta, invece, che egli ha già stabilito con Menelik giurisdizione consolare dimostrando pericolosa e rendendo impossibile altra soluzione che fosse presentata da noi o da Inghilterra.

Incaricato d’affari tedesco è favorevole proposta francese allo scopo di contrariare intenzioni inglesi.

465 1 Vedi D. 458.

466 1 Trasmesso da Asmara il 2 ottobre.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. RISERVATO 52662/690. Roma, 30 settembre 1907.

Con mio dispaccio del 5 agosto u.s., n. 5481, io scrivevo alla E.V.: «Intanto, quello che interessa è di preparare un piano di azione per rendere utile, nel campo pratico, l’accordo del 13 dicembre 1906. Visto l’atteggiamento dell’Inghilterra e la acquiescienza della Francia, l’accordo assumerebbe un aspetto solo formale, se noi non agissimo. ... Il consiglio della E.V. mi sarà prezioso ed io la prego di studiare questo punto e di farmi conoscere le sue idee ...».

Ella rispondeva col dispaccio del 10 agosto, n. 5082, premettendo che l’Inghilterra eseguirà l’accordo lealmente, ma secondo la propria ben nota interpretazione, e affermando che conditio sine qua non per ottenere i nostri scopi sia un piano di azione da iniziarsi e attuarsi al più presto col creare interessi vivi e reali, imprese industriali, commerci, comunicazioni in Etiopia — anzitutto nelle regioni che sono più specialmente riservate alla nostra futura espansione e in quelle in cui è più temibile e più prossima la concorrenza inglese — con o senza sviamento del commercio. Ella enumera alcune delle opere più utili ed urgenti, e ritiene necessaria, quanto ai mezzi per raggiungere lo scopo, la cooperazione del Governo e della iniziativa privata nella sua triplice forma d’intelligenza direttiva, capitale e lavoro.

Nei riguardi poi dell’Inghilterra, ella ricorda la convenienza nostra di agire in modo che, pur mantenendo la forma e anche la sostanza della cordialità e della amicizia, tutte le volte che si presenta occasione di fare ad essa cosa utile e gradita, farla soltanto in cambio di un corrispettivo proporzionato.

Riservandomi di trattare in fine di questo mio dispaccio la questione puramente politica dell’accordo di Londra, dico subito che il nostro piano di azione nella situazione attuale, come è esposto dalla E.V., e come è realmente, deve essere insieme

2 Vedi D. 422.

piano di difesa per contrapporsi specialmente all’azione di una delle nostre alleate in questa nuova triplice africana, l’Inghilterra, poiché — ella lo afferma recisamente nel suo rapporto del 10 agosto — considerazioni sentimentali di amicizia e di simpatia non la rimuoveranno dal cercare di svolgere i propri interessi economici e politici, anche a danno dei nostri, in tutto ciò in cui non è obbligata dai patti ad astenersene.

Conscio di questa verità, e convinto che solo un piano di azione e di difesa ben preparato e studiato può dar vita alle nostre due Colonie territoriali, ho, nell’unito dispaccio diretto il 10 corr. al governatore della Eritrea3, tracciato, nelle sue linee generali, quello che io credo debba essere il nostro programma coloniale dopo la firma dell’accordo di Londra del 13 dicembre 1906. Io indico quale sia, secondo il mio pensiero, l’azione da spiegarsi in Eritrea e nel Benadir, e l’azione da spiegarsi in Etiopia: preparare il terreno propizio nelle due Colonie con una sagace opera colonizzatrice, avendo sempre cura precipua degli interessi degli indigeni; provvedere in Eritrea alla semplificazione, al coordinamento dei servizi, al riallacciamento, mediante ferrovie, della costa alla Etiopia e al Sudan, risolvendo così non solo il problema commerciale per riparare in parte al danno della retrocessione di Cassala, ma anche quello dei trasporti per la utilizzazione delle colture coloniali, sopratutto di quella del cotone; procedere nel Benadir all’assetto amministrativo della Colonia e alla pacifica penetrazione dalla costa alla linea del fiume Scebeli, promuovendo lo sviluppo delle colture coloniali in quella fertile regione, migliorando le condizioni di atterraggio, costruendo per ora una linea ferroviaria di penetrazione verso il Giuba, e istituendo agenzie commerciali nell’hinterland; ottenere in Etiopia concessioni ferroviarie da assicurarci i centri commerciali verso la Eritrea e verso il Benadir, trar profitto dal recente trattato di commercio con la Etiopia per la dogana unica e per la istituzione di una rete di agenzie commerciali con ispettori viaggianti lungo le frontiere; promuovere la importazione delle cotonate nazionali; ottenere concessioni da Menelik a scopo agricolo, commerciale e industriale, che possano anche darci modo di render più agevole la nostra preparazione politica tra’ capi più importanti per valercene a momento opportuno.

Circa i mezzi e gli istrumenti per attuare questo programma, parmi che essi non possano consistere che o nella creazione di una forte organizzazione finanziaria, aiutata dal Governo in modo da determinarsi, o nella istituzione del credito coloniale nella duplice forma della Banca e del credito pubblico, e nella cooperazione di un forte istituto bancario del Regno, degli istituti coloniali, di un sindacato di grandi commercianti e industriali, coadiuvato da un consiglio dei rappresentanti delle principali Camere di Commercio del Regno.

Dopo aver accennato così sommariamente a ciò che noi dobbiamo e possiamo fare da soli, resta a vedere, entrando nella parte puramente politica dell’accordo, che cosa, in virtù di esso, dobbiamo e possiamo chiedere alla cooperazione delle altre due potenze.

Sebbene i precedenti, lo spirito e la lettera dell’accordo non lascino dubbio sulla portata di esso nel senso che debba costituire una vera e propria effettiva guarentigia reciproca per una concorde azione sia delle potenze fra di esse, sia rispetto a

Menelik, e sebbene il colonnello Harrington, come V.E. sa, nel convegno di Roma del febbraio 19074, abbia proclamato, sebbene come sua idea personale, la necessità di una politica bianca e di un’azione concorde dei tre rappresentanti in Addis Abeba in tutte le questioni, aggiungendo anzi che l’art. 10 dell’accordo non era abbastanza esplicito in questo punto, pure debbo con rincrescimento certificare che, nel fatto, quando si sono presentate importanti questioni, né l’Inghilterra, né la Francia hanno mostrato di ricordarsi che non si poteva agire ciascuno per conto proprio presso Menelik.

Presentatasi la questione della Banca d’Etiopia, il Governo britannico col comodo espediente di considerarla come questione puramente economica mentre a noi dice che non può occuparsene, dovendosene occupare i gruppi finanziari interessati, ne tratta direttamente con Menelik all’infuori di qualsiasi nostro intervento.

Ci giunge notizia dal Governo britannico, di una concessione per fabbrica di armi e munizioni in Etiopia, quando essa era già stata domandata e quasi ottenuta da un sindacato inglese.

Il Governo francese manda in Etiopia un suo rappresentante, il quale, invece di conformarsi all’accordo, spiega un’azione personale e riservata; tratta la questione della ferrovia, e la tratta per conto suo, senza informare il suo collega d’Italia, neanche quando discute con Menelik della questione del 10% da percepirsi dalla Società sulle merci che transitano sulla ferrovia (annesso II: telegr. Colli 26 settembre 1907)5.

Il rappresentante francese tratta con Menelik della delicata questione della giurisdizione pei francesi in Etiopia, senza fare alcuna comunicazione al r. incaricato d’affari, sebbene si tratti di argomento di grande comune interesse per le tre potenze.

E anche nella questione del traffico delle armi, l’azione del ministro di Francia a Addis Abeba più che tendere a reprimere il traffico, è servita per dimostrare a Menelik che il Governo francese rende enormi servigi alla Etiopia, guarentendone l’armamento, e che scopo degli altri è d’impedirlo e di renderlo più difficile (annesso III telegr. Colli 6 settembre n. 1794)6.

Ella sa anche che il colonnello Harrington ha detto che i tre rappresentanti debbono agire d’accordo, ma che il rappresentante britannico ha naturalmente, per la situazione dell’Inghilterra in Etiopia, specialmente per quanto riguarda i confini, voto preponderante.

Abbiamo considerata questa come una opinione personale di Harrington, e abbiam fatte le più categoriche riserve, avvertendone il nostro rappresentante in Addis Abeba; ma essa è indice del modo con cui si vuole intendere e applicare l’accordo.

Infine, la ben nota interpretazione che l’Inghilterra dà all’accordo, lascerebbe a ciascuna delle tre potenze il diritto di spiegare la propria azione commerciale in tutta la Etiopia, purché non si creino diritti politici, comprese le zone che, in virtù dell’accordo stesso, sono destinate a cadere nelle mani della potenza a cui sono riservate. Questa teoria, che fu sostenuta da Harrington qui in Roma nel febbraio di quest’anno, è stata uffi-

5 T. 1936/113, non pubblicato. 6 Non pubblicato.

cialmente affermata da codesto Governo nelle note dirette a cotesta ambasciata il 18 febbraio scorso e 1° marzo (rapporti codesta ambasciata 20 febbraio scorso n. 116 e 6 marzo scorso n. 144)7 relativi alla azione inglese alla frontiera sud etiopica e a Noggara.

Come V.E. sa, non abbiamo risposto a quelle note per non intavolare una inutile discussione in una questione di principio in cui non è possibile la intesa. Ci siamo riservati di discuterne caso per caso.

Noi crediamo che la teoria inglese sostenibilissima per se stessa, in linea generale, non sia applicabile al caso attuale in cui una speciale convenzione stabilisce appunto un ius speciale.

Dagli annessi al dispaccio del 10 settembre diretto al Governo dell’Eritrea resulta con quali argomenti Harrington sostenga la sua teoria per giungere alla conclusione che non sia possibile parlare ora di sfere d’influenza politica in Etiopia. Gli obbiettammo che, se non verso Menelik, si poteva parlare di sfere d’influenza nei riguardi delle tre potenze fra loro che avevano, per l’accordo, guarentito lo statu quo in Etiopia sulla base appunto di protocolli che quella sfera d’influenza riconoscono.

Riconoscendo, però, che da questo punto di vista l’accordo lasciava l’adito ad incertezze, proponemmo, come mezzo di eliminare ogni causa di dissidio, di procedere, fin da ora, ad una ripartizione della Etiopia mediante uno scambio di note da tenersi segreto.

Il colonnello Harrington si addimostrò personalmente contrario in modo assoluto a questa ripartizione, poiché affretterebbe, secondo lui, la dissoluzione della Etiopia, accrescerebbe le tendenze dei rappresentanti ad intensificare la propria azione in una data azione, e, non potendosi il patto mantenere segreto, si danneggerebbe la posizione di tutti innanzi a Menelik.

Obbiettammo che non si comprendeva come la nostra proposta se accolta potesse affrettare la disgregazione della Etiopia, mentre, invece, parrebbe che la sicurezza della reciproca situazione dovrebbe limitare l’azione di ciascuna delle tre potenze a ciò che è proprio interesse.

Fu però inutile ogni insistenza, e non credemmo di portare la cosa a Londra, poiché, certo, il Governo britannico, secondo anche il parere della E.V., non avrebbe mai accolta una proposta alla quale il colonnello Harrington, uno degli strumenti più forti, più abili e più fortunati della politica inglese in Etiopia, fosse stato così recisamente contrario.

D’altra parte, pur lasciando per ora in sospeso questa soluzione che avrebbe reso praticamente più agevole, specialmente per l’Italia, il raggiungimento degli scopi che si sono avuti di mira nel firmare l’accordo, è necessario che questo sia eseguito lealmente e che la reciproca guarentigia delle tre potenze in esso stipulata per la concorde triplice azione in Etiopia abbia un contenuto reale presso Menelik, nei rapporti delle tre potenze e non sia, come è stato fin’ora, una formula teorica che ci impegni solamente senza darci l’appoggio delle altre due potenze, indebolendoci e scoprendoci presso Menelik.

Nelle nostre relazioni con l’Inghilterra che abbiamo grande interesse di mantenere nella forma e nella sostanza improntate a sentimenti di amicizia cordiale, ciò che costituisce uno dei cardini della nostra politica generale, non dimenticheremo certo che gli affari sono gli affari, e, per la questione africana, non lasceremo sfuggire e quasi cercheremo l’occasione di applicare il do ut des. Se non che, astrazione fatta da contingenze di politica generale che possono presentarsi da un momento all’altro, e dal non fondato convincimento (non taciuto alla E.V. in recente occasione a proposito del negoziato pel confine orientale cirenaico), che il Governo inglese ha di averci aiutato in Etiopia e in Macedonia, e avuto riguardo alla solidissima situazione politica odierna dell’Inghilterra, io non vedo, per ora, nel campo coloniale, e specialmente in Etiopia, dopo il riavvicinamento con la Francia diventato Entente cordiale, e dopo la retrocessione di Cassala e l’abbandono della nostra sfera d’influenza nel Gallabat, che cosa noi potremmo dare all’Inghilterra come compenso di concessioni da chiedere; vedo, invece, questioni gravi nelle quali abbiamo molto da chiedere ad essa, e nell’Jemen, se una nostra azione politico-commerciale dovesse colà da noi svolgersi, e nell’hinterland tripolino, per guarentirci l’avvenire, specialmente nell’argomento del confine orientale della Cirenaica, e in Etiopia stessa, lungo tutto il confine da Cassala al Giuba, per ottenere almeno che gli strumenti dell’azione politico-commerciale inglese nel Sudan e in Abissinia si mantengano nei limiti della fair commercial competition.

Di questione importante aperta presso il Negus l’Inghilterra non ha ora che quella della determinazione del confine sud-etiopico verso possedimenti dell’East Africa.

Noi, però, in tale vertenza ci troviamo in posizione molto delicata, poiché abbiamo interessi opposti all’Inghilterra, nella necessità di regolare la questione di Lugh; e quindi la nostra azione presso Menelik in favore delle rivendicazioni inglesi sarebbe di scarsa efficacia e potrebbe resultare a nostro danno. Si potrebbe, forse, tentare, riprendendo il negoziato condotto qui in Roma nel 1903 dal direttore dell’Ufficio Coloniale con Rennel Rodd, allora incaricato d’affari d’Inghilterra a Roma, e che aveva condotto, tra l’altro, al buon resultato di un’intesa per aiuto reciproco presso Menelik per la soluzione della questione di Lugh da una parte e della questione dei confini verso l’East Africa dall’altra, di portare innanzi a Menelik le due questioni separatamente o unite (dato che l’Inghilterra abbia bisogno del nostro aiuto), dopo che fosse intervenuto accordo tra noi e gli inglesi.

Rimane solo da vedere se nei privilegi che conserviamo ancora in Egitto possiamo, quando che sia, trovare materia di reciproci compensi.

Tutto ciò premesso, per chiarire innanzi agli occhi di V.E. la situazione quale a me apparisce, riassumo nelle seguenti istruzioni le direttive che credo necessario dare alla E.V. sull’argomento dell’applicazione dell’accordo di Londra del 13 dicembre scorso.

1) È necessario (ed è questa l’opinione recisa del colonnello Harrington, condivisa certo dal suo Governo) che, in applicazione dell’art. 2, 3 e 10 dell’accordo, i rappresentanti in Addis Abeba delle tre potenze firmatarie abbiano chiare, precise, categoriche istruzioni, non solo di trovarsi reciprocamente completamente informati, ma di agire d’accordo in tutte le questioni, facendo una politica bianca e di non far nulla,

senza prima informare i colleghi rappresentanti le potenze firmatarie. In caso di disaccordo, la decisione dovrà essere deferita ai Governi centrali, evitando, in modo assoluto, di portare innanzi al Negus il dissidio che fosse sorto tra i rappresentanti che devono essere o almeno apparire sempre concordi innanzi a Menelik.

Essendo questo il cardine su cui deve aggirarsi l’azione delle tre potenze in Etiopia, io desidero che V.E. faccia presente a sir Ed. Grey la necessità che uno schema di istruzioni identiche sia sollecitamente formulato pei rappresentanti delle tre potenze, su questo punto di ordine generale, nonché sugli altri punti sui quali fummo d’accordo con Harrington nel convegno di Roma del febbraio 1907, punti che trovansi brevemente riassunti nell’annesso III al mio dispaccio qui unito del 10 corr., al governatore della Eritrea.

Ella potrà far presente a sir Ed. Grey la nessuna efficacia pratica che finora è derivata dall’accordo delle tre potenze e come finora non vi sia stata in Addis Abeba, nelle questioni che si sono presentate, specialmente per parte del rappresentante francese che agisce per conto proprio, quella unità di intenti e di azione, quello scambio di preliminari intese che sono la base morale e materiale per una efficace azione e che dallo stesso Harrington sono stati indicati come conditio sine qua non della efficace applicazione dell’accordo.

Seguendo il sistema finora praticato credo conveniente che l’argomento importantissimo sia trattato costà tra la E.V., sir Ed. Grey ed il sig. Cambon.

Io mi limito a dare istruzione alla r. ambasciata a Parigi di dichiarare al Governo della Repubblica come l’azione del rappresentante francese a Addis Abeba invece di uniformarsi all’accordo tra le tre potenze, sia stata finora personale e riservata, come ne è prova l’atteggiamento suo nella questione della ferrovia, della giurisdizione degli europei in Etiopia, e, in una certa misura, anche nella questione delle armi, e di chiedere che siano date istruzioni al rappresentante francese in Etiopia, conformi all’art. 10 dell’accordo.

2) È conveniente che non si discuta in merito al contenuto delle due comunicazioni del Foreign Office del 18 febbraio e 1° marzo 1907 per Noggara e per Lugh, per quanto riguarda l’interpretazione dell’accordo circa l’azione inglese nelle zone riservate all’Italia; ma bisogna trovar l’occasione di confermare ufficialmente come noi ci riserviamo di esaminare caso per caso se l’applicazione dell’accordo come la intende il Governo britannico non sia o meno contraria ai nostri legittimi interessi. V.E. vedrà come e quando ciò possa farsi utilmente.

3) È necessario tener presente la nostra proposta officiosamente e segretamente fatta al colonnello Harrington per una spartizione dell’Abissinia in zone, come complemento dell’accordo del 13 dicembre per metterla nuovamente in discussione quando sia giunto il momento opportuno, quando, cioè, col trasloco del colonnello Harrington ad altra sede, si possa avere probabilità che essa possa essere accolta.

Prego la E.V. di volermi accusare ricevimento di questo dispaccio8.

467 1 Vedi D. 413.

467 3 Disp. riservato 48930/573, non pubblicato.

467 4 Su questi colloqui vedi D. 438.

467 7 Non pubblicati.

467 8 Per la risposta vedi D. 487.

468

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1859/685. Therapia, 30 settembre 1907 (perv. il 9 ottobre).

Col dispaccio del 18 corrente, Uff. Diplomatico, n. 776, pos. I/221, V.E. mi ha fatto l’onore di invitarmi ad esporre il mio pensiero circa la risposta formulata dal reggente il consolato generale in Tripoli e concernente la concessione da chiedersi al Governo imperiale da questo Ispettorato della Società di Navigazione Generale Italiana, per il trasporto di truppe, forniture militari e materiale per la Tripolitania.

Mi affretto, in replica, a dichiarare che, se l’istituzione della linea Tripoli-Costantinopoli, linea della quale la imprescindibile necessità e l’assoluta urgenza non mi sembrano contestabili, deve essere subordinata a previe concessioni da parte del Governo turco, meglio vale rinunziare fin da ora a tale progetto. Ciò per i seguenti motivi:

1) perché il Governo turco non ha alcun interesse a facilitare l’istituzione della nostra linea, destinata a segnare un passo avanti nella via dell’espansione economica italiana in Tripolitania;

2) perché, in linea generale, questo Governo non suole prendere a priori impegni di simil genere con compagnie estere. Quando la necessità di trasportar per mare truppe, materiale militare, ecc., si fa sentire, il Governo, se non può servirsi della Società nazionale «Mahsoussé», si rivolge volta per volta alle varie Compagnie estere, dando la preferenza a quella che gli offre condizioni più vantaggiose;

3) perché, nella ipotesi che a tale consuetudine si credesse di poter qui derogare, la deroga andrebbe a beneficio non della linea italiana bensì di quella tedesca, visto e considerato che il Governo imperiale sarebbe troppo felice di crearci imbarazzi, favorendo gli interessi germanici a detrimento dei nostri. Ed a concedere siffatto trattamento di favore, la Sublime Porta non avrà nemmeno bisogno di essere eccitata dall’azione di questa ambasciata germanica. Quest’ultima — come ho già avuto l’onore di scriverlo più volte — potrà tutt’al più rimanere indifferente, neutrale, ma non potrà ragionevolmente andar mai fino al punto di ostacolare il progresso della sua linea. Del resto, se il Governo germanico avesse realmente avuto l’ intenzione di non farci cosa sgradita, è ovvio il presumere che non gli sarebbe riescito, al postutto, impossibile di far intendere alla Deutsche Levante Linie, e per essa al Nord Deutscher Lloyd, che, per alte considerazioni di politica internazionale, meglio valeva rinunziare ad estendere anche in Tripolitania e Cirenaica l’attività delle linee di navigazione tedesche.

Ma queste sono recriminazioni postume che non rimediano a nulla. Al punto in cui siamo giunti, io mi permetto di formulare una domanda che, a mio modesto avviso, riassume la situazione presente: crediamo noi che l’istituzione della linea TripoliCostantinopoli abbia importanza precipua, essenziale, dal punto di vista degli interes-

si nazionali in Tripolitania e Cirenaica? Se tale importanza appare soltanto secondaria e non tale in complesso da giustificare i sagrifizii che converrà verosimilmente sostenere almeno in principio, allora meglio vale rinunziare al progetto, lasciando che i tedeschi profittino della nostra inazione. Se per contro l’importanza — come io ritengo — della linea è sotto ogni aspetto indiscutibile, allora conviene istituirla al più presto, a costo di qualsiasi sacrificio, preparandoci a sostenere vittoriosamente e trionfare magari alla lunga della poco amichevole concorrenza tedesca, senza cominciare col chiedere a questo Governo favori che verosimilmente ci negherà. Fortunatamente per noi, esso si trova nella impossibilità di impedire la realizzazione del nostro progetto. Starà quindi a noi di provvedere, mediante l’attuazione di tutte le misure indicate nel n. 4 del precitato rapporto del cav. Bernabei, a che la linea vada gradatamente prendendo piede, e che i turchi stessi trovino il loro tornaconto a servirsene a preferenza di quella tedesca.

Importa, in conclusione, che la Turchia al pari di ogni altra nazione, si persuada una volta per sempre che gli italiani, una volta iniziata una intrapresa economica in Tripolitania e Cirenaica, hanno non solo la ferma volontà ma anche i mezzi adeguati a condurla a buon termine, non indietreggiano di fronte agli ostacoli, non si spaventano della concorrenza straniera.

Questa linea di azione involve evidentemente sacrifizi finanziari non indifferenti. Essa però è la sola che, a scadenza più o meno lunga, può allontanare il grave pericolo dell’intervento economico straniero, e farci raggiungere lo scopo cui noi miriamo, per il momento, di stabilire cioè su solide basi la assoluta, dirimente preponderanza economica italiana in Tripolitania e Cirenaica.

P.S. Mi giungono ora da Tripoli la copia dei rapporti a V.E. diretti dal cav. Bernabei il 13 e il 22 settembre, sub nn. 468 e 483. È inutile rilevi all’E.V. la loro importanza. Dal primo si vede con che tenacia il sig. Banks si sia messo all’opera; dal secondo quanto la concorrenza della Deutsche Levante Linie sia gravida di pericoli.

468 1 Vedi D. 453.

469

L’INCARICATO D’AFFARI A PECHINO, BORGHESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO CONFIDENZIALE 607/190. Pechino, 30 settembre 1907 (perv. il 31 ottobre).

Mi è regolarmente pervenuto il dispaccio del 30 luglio u.s. n. 931 col quale l’E.V. mi confermava il suo telegramma del 24 giugno n. 10352, e svolgeva i concetti già in esso contenuti.

2 Vedi D. 378.

Ho l’onore di ringraziare l’E.V. per tali utili schiarimenti che mi torneranno certamente opportuni nelle trattative degli affari, e per aver fatto a S.E. Hoang-Kao le rimostranze che io richiedeva telegraficamente.

L’E.V. mi informa che le vertenze da me accennate, non hanno a suo avviso un carattere di gravità o di urgenza tale, da giustificare un apposito e stringente richiamo per la loro definizione ed io non posso discutere l’opinione dell’E.V.

Credo mio dovere però, di fare osservare che alcune di esse vertenze trascinano già da due o tre anni, e che il sistema con cui vengono trattate da questo Governo non dà alcun affidamento di una prossima soluzione, con evidente svantaggio al prestigio di questa rappresentanza: altre poi si riferiscono a questioni di principio, come quelle della missione dell’Honan occidentale, ed assumono carattere di gravità speciale, anche per il fatto che quelle missioni, da poco, sono passate sotto la protezione del R. Governo ed insistono energicamente per essere validamente protette.

Pur troppo è vero che da tutte le potenze aventi relazioni con questo Governo viene costantemente lamentato il sistema di indifferenza e di temporeggiamenti che gli è abituale, ma l’E.V. non ignora però, che nelle frequenti e ripetute insistenze che faccio presso il Wai-wu-pu per ottenere la soddisfacente soluzione delle nostre vertenze, non mi è sempre dato di seguire un linguaggio analogo a quello che fanno sentire qui le altre estere rappresentanze.

Come già ebbi ad accennare all’E.V. in un precedente rapporto, la posizione dell’Italia in Cina non è uguale a quella delle altre grandi potenze. Queste infatti (eccezion fatta dell’Austria, che è tenuta in vero in assai poco conto), si trovano ad aver tutte modo, per una ragione o per altra, con larvata minaccia di rappresaglie ed anche di violenza, ad avere sufficiente giuoco di interessi da poter ottenere, in ultimo, ragione della persistente opposizione cinese.

Non è così per noi. Il ricordo di San-Mun, che il Governo cinese ha naturalmente attribuito unica-

mente a sua vittoria, è ancora nell’opinione pubblica; e quello del ’900, che per qualche anno ci aveva acquistato una timorosa deferenza, va purtroppo oramai scomparendo nell’arroganza ed insipienza mnemonica di questi governanti, che riescono a suggestionarsi in modo da credersi realmente superiori a qualsiasi altra potenza.

Come già ho assicurato all’E.V. i rapporti personali fra questo r. incaricato d’affari e i membri del Governo cinese non potrebbero essere migliori. Lo scambio di pranzi non ufficiali, e le cortesie personali, non mancano per attestarlo. I rapporti ufficiali non sono più tesi di quello che siano fra i rappresentanti delle altre potenze ed il Wai-wu-pu. E credo mio dovere ripetere all’E.V. che, pur ritenendo di non potermi esimere dalla necessità di richiamare energicamente questo Governo all’osservanza dei trattati, ed a quella dei principii elementari di equità e di cortesia internazionale, avrò sempre cura di regolare la mia azione in guisa da evitare quella tensione di rapporti ufficiali che potrebbe sorgere da impazienze o risentimenti, assolutamente fuor di luogo e inopportuni con i cinesi, e che continuerò come per il passato a non manifestare.

469 1 Non pubblicato.

470

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. RISERVATO 1661. Roma, 1° ottobre 1907, ore 18,15.

Nell’avviare indagini che le commisi nel dispaccio n. 5091, ella può benissimo accennare, pur mantenendo la debita riserva, che il R. Governo si interessa alle aperture costì fatte da Joel e Theodoli per la partecipazione capitale italiano alla ferrovia di Bagdad. Non si comprende come quella partecipazione sia stata allora accolta così freddamente, mentre, secondo le notizie riferite nel suo telegramma n. 1052, i gruppi finanziari tedeschi ricercherebbero ora partecipazione del capitale francese.

Gradirei che ella cercasse, colle opportune cautele, di appurare le ragioni di siffatto atteggiamento.

471

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. SEGRETO 94. Addis Abeba, 1° ottobre 1907 (perv. il 2 novembre).

In seguito al telegramma di V.E. del 24 agosto1 relativo ai negoziati per la cessione al Negus del porto di Raheita, ho sollecitato da questi una risposta definitiva o per lo meno delle controproposte conciliabili colle domande di compensi da noi presentate e, come ho già telegrafato a V.E col mio telegramma n. 103 del 2 settembre2, egli mi ha confermato l’assoluta impossibilità di accogliere alcuna delle nostre domande, insistendo sulle ragioni già comunicate nel mio rapporto n. 31 del 15 aprile3.

Già da allora, e ne espressi il mio convincimento nel succitato rapporto, non nutrivo alcuna illusione sull’esito dei negoziati intrapresi, benché il Negus ancora si riservasse una definitiva risposta sulla domanda concernente la Somalia, volendo su di essa consultare fitaurari Dadi che ancora presentemente si trova in Ogaden, poiché mi sembrava difficile conciliare le nostre domande con quanto il Negus pareva disposto a concedere.

2 T. 1960/105 del 30 settembre, non pubblicato.

2 T. 1800/103, non pubblicato. 3 Vedi D. 324.

Nei miei successivi colloqui coll’Imperatore, e da quanto egli disse all’interprete della legazione da me incaricato di scrutare le sue intenzioni, mi rafforzai nella mia convinzione che venne confermata dalle ultime esplicite dichiarazioni fatte dal Negus stesso.

Oltre alle ragioni però che ho dettagliatamente esposte a V. E. nel mio rapporto del 15 aprile, altre ne sopraggiunsero, che certamente influirono sugli intendimenti del Negus, rendendo meno intensa la sua aspirazione e meno immediato il suo desiderio di ottenere uno sbocco al mare, eliminando in gran parte quelle ragioni impellenti e di attualità che lo avevano indotto a ricorrere a noi, non solo allo scopo platonico di realizzare il sogno ambizioso degli imperatori etiopici, ma per sventare la minaccia ed il pericolo di vedersi preclusa la sola via al mare completamente aperta al commercio ed alle relazioni con l’Etiopia, ossia quella di Gibuti.

È indiscutibile, e mi risulta da dichiarazioni fatte dal Negus stesso, che le difficoltà sorte col Governo francese per la sistemazione della ferrovia di Gibuti lo avevano grandemente preoccupato, ed egli sperava di rimediare al grave danno ed al pericolo che minacciava l’Etiopia colla perdita delle speciali prerogative e garanzie fino allora accordatele dal Governo francese nel porto di Gibuti, aprendo egli stesso uno sbocco al commercio etiopico che giungesse al mare.

L’arrivo del ministro di Francia sig. Klobukowski ha troncato in poco tempo queste preoccupazioni e questi timori, ostentando, come mai venne fatto anche in passato dal sig. Lagarde, i sentimenti di amicizia e di disinteressamento della Francia, solo preoccupata della difesa, del progresso e dello sviluppo della Abissinia, e sempre disposta a dare ad essa le maggiori garanzie della sua integrità e della sua difesa.

Ho già riferito a V. E. come innegabilmente la condotta del ministro di Francia sia stata abile e come in poco tempo abbia rialzato l’influenza francese in Abissinia, non peritandosi però di agire in completa opposizione all’accordo del 13 dicembre.

Io sono convinto che l’opera del ministro di Francia, benché ignara dei nostri negoziati per Raheita, ha grandemente influito sulle intenzioni del Negus su tale proposito, rendendolo ancor più riluttante a sottoporsi a qualche sacrificio pel raggiungimento di uno scopo del quale era scemata l’importanza e l’immediata necessità.

Data la presente situazione e le disposizioni del Negus ho creduto opportuno consigliare a V. E. di sospendere i negoziati lasciando al Negus stesso l’iniziativa di riprenderli, onde non ingeneri in lui il pensiero che anziché accondiscendere ad un suo desiderio sia nostro interesse e nostra premura di valercene per soddisfare le nostre aspirazioni.

In considerazione delle giuste preoccupazioni di codesto Governo relative alla minaccia di una maggiore espansione abissina nell’hinterland del Benadir, ho chiesto al Negus formale assicurazione per il mantenimento dello statu quo in quella regione e specialmente nel territorio di Lugh, ed egli mi dichiarò che nulla sarebbe stato mutato alla situazione presente.

Ora però giova notare che tra il nostro modo di considerare lo statu quo nell’hinterland del Benadir ed il modo in cui è considerato dal Negus, vi è qualche sostanziale differenza: per mantenimento dello statu quo nell’hinterland del Benadir noi intendiamo, infatti, che venga arrestata ogni espansione ed azione abissina in tutto o quasi tutto il territorio somalo a sud del confine anglo-etiopico e che comprende il talweg dell’Uebi Scebeli a valle di Imi e la sponda sinistra del Giuba fine a monte di Lugh; mentre per il Negus il mantenimento dello statu quo consiste nel limitare l’azio-

ne abissina a quella parte del territorio somalo che giunge a centocinquanta chilometri dalla costa, nell’astenersi da ogni diretta ingerenza su Lugh e sul suo territorio e lungo la sponda sinistra del Giuba a valle di Lugh, e nel mantenere il suo consenso per la stazione commerciale di Lugh, senza però con questo rinunciare ai suoi diritti di sovranità sopra Lugh stesso e su tutto il territorio a sinistra del Giuba fino a monte di Bardera.

Date le ripetute e formali assicurazioni del Negus, noi possiamo fare affidamento che nessuna sorpresa potrà avvenire per quanto riguarda Lugh e nemmeno potrà rinnovarsi il lamentato incidente dell’escursione del degiacc Lul Saghet lungo l’Uebi Scebeli fino a pochi chilometri dalla costa del Benadir, incidente dovuto più che altro alla mancanza di cognizioni geografiche del degiacc ed alla sua ignoranza dei limiti del territorio del Negus.

Ma per quanto riguarda l’hinterland del Benadir come è da noi compreso, specialmente nel talweg dell’Uebi Scebeli, sarà difficile arrestare lo spirito espansionista abissino, e le condizioni stesse di quel paese agitato da discordie intestine e disposto alla ribellione dal carattere bellicoso delle popolazioni e dagli incitamenti del Mad Mullah, danno facile appiglio e giustificazione alle spedizioni abissine.

Nello stabilire un programma da attuarsi in Somalia basato sullo statu quo, per preservarci dai pericoli immediati e dalle sorprese derivanti dall’Etiopia, e non pregiudicare le nostre aspirazioni per l’avvenire, è d’uopo anzitutto determinare gli scopi principali che vogliamo raggiungere e proporzionarli ai mezzi di cui disponiamo, ed evitare ogni atto che possa precludere gli scopi ulteriori cui successivamente miriamo.

Scopo principale ed immediato della nostra azione nella Somalia Meridionale è di rendere stabile e definitiva la nostra occupazione di Lugh e di assicurare le vie di accesso dalla costa del Benadir fino a quella stazione.

È inutile che io mi soffermi a dimostrare l’importanza morale e materiale che ha per la Colonia del Benadir il mantenimento dell’effettivo possesso di Lugh; a me spetta anzitutto studiare e riferire a V.E. quali siano i mezzi più opportuni per assicurarcelo.

Finora, per quanto a me consta, la quistione del possesso di Lugh non venne mai nettamente presentata e discussa col Negus, cercando invece di stabilire colla nostra occupazione di fatto un precedente sul quale basare i nostri diritti.

Ma tale occupazione effettiva, mascherata colla veste di stazione commerciale, venne fatta e mantenuta col consenso del Negus, che ha però sempre salvaguardato e proclamato i suoi diritti di sovranità su di Lugh e sul territorio del Giuba fino a Bardera.

Nei negoziati per lo sbocco al mare il Negus si mostrò disposto a concedere quale compenso per la cessione di Raheita, il territorio di Lugh e la sponda sinistra del Giuba; ma ora che tali negoziati si possono considerare falliti rimangono più che mai confermate le pretese del Negus su quel territorio, ed aperta la quistione del possesso di Lugh.

Io credo non convenga neppure ora provocare una discussione ed una soluzione in proposito, che rischierebbe di compromettere i vantaggi di fatto finora ricavati; ma sia miglior partito continuare nella condotta fin qui tenuta, fingendo per quanto è possibile di ignorare e dimenticare le pretese del Negus, ed evitare di risvegliare la sua suscettibilità con ostentate dimostrazioni dei nostri diritti e della nostra autorità

su quei territori; affermando invece il nostro possesso col rendere sicure le comunicazioni tra la costa e Lugh incorporandola così alla Colonia del Benadir dalla quale oggi di fatto si può considerare separata; e fare effettivamente di Lugh una stazione commerciale che rifornendosi ai posti [scil. porti] del Benadir spanda la sua merce nelle provincie meridionali etiopiche, facendo risentire ad esse il vantaggio che ritraggono dalla nostra occupazione.

Una discussione col Negus sul definitivo possesso di Lugh presenterebbe oggi una sola soluzione possibile, e sarebbe quella sulle basi di un compenso in denaro; ma a tale soluzione ritengo codesto Governo sia assolutamente contrario, mentre invece sono convinto che si possa senza danno e senza pericoli protrarre l’attuale stato di cose.

La presenza di un nostro agente commerciale negli Arussi ci garantisce da ogni possibile sorpresa dovuta all’iniziativa ed all’ignoranza di quel capo, e la sua azione commerciale può grandemente contribuire a rendere palpabili quei vantaggi che la nostra occupazione di Lugh può procurare all’Abissinia stessa.

Ma per ottenere tale risultato è prima di tutto necessario rendere sicure le comunicazioni tra Lugh e la costa e porre fine all’attuale stato di cose nel territorio non contestato, che non solo nuoce al nostro prestigio ma rende inutile ogni sforzo inteso a stabilire la nostra influenza commerciale a Lugh e nelle province meridionali d’Etiopia.

I mezzi necessari per esplicare in modo efficace la nostra azione politica e commerciale lungo il Giuba ed a Lugh e per mezzo di Lugh nelle province d’Etiopia non sono troppo ingenti, e non dovrebbero essere considerati gravosi per il bilancio dello Stato se si considerano i sicuri vantaggi che ne dovrebbe ritrarre la colonia del Benadir.

Una nostra azione immediata più vasta che comprendesse tutto il bacino dell’Uebi Scebeli richiederebbe invece dei mezzi enormi e sarebbe prematura e pericolosa. Date le attuali condizioni del Benadir e della Somalia Settentrionale Italiana, nessun pregiudizio o danno deriva dall’ipotetico confine a centocinquanta chilometri dalla costa; nessun interesse immediato quindi ci spinge a provocare in proposito una discussione col Governo etiopico; la stessa natura e le condizioni del paese ci danno affidamento che l’autorità abissina non potrà giungere a stabilirsi ai nostri confini, e le imposizioni e riscossioni di tributi fatte sotto forma di razzie non costituiscono precedenti tali da stabilire e confermare definitivamente i diritti dell’Etiopia in quelle regioni.

In considerazione di quanto ho avuto l’onore di esporre a V. E., e senza avere la pretesa di tracciare un programma da attuare nell’hinterland del Benadir, ma nello intento di prevenire le sorprese derivanti dai mancati negoziati per lo sbocco al mare e nello stesso tempo indirizzare e rendere più efficace la nostra influenza politica e la nostra azione commerciale in quei territori, senza pregiudizio delle nostre aspirazioni ulteriori, ritengo opportuno:

1) Sospendere ogni negoziato per Raheita lasciando la iniziativa di riprenderli al Negus stesso.

2) Astenersi dal provocare qualsiasi discussione sul confine somalo e sul definitivo possesso di Lugh, ed evitare ogni ostentazione di diritto e di effettivo possesso di questa stazione.

3) Limitare essenzialmente al territorio di Lugh ed alla valle del Giuba il mantenimento di fatto dello statu quo, e non dimostrare soverchia preoccupazione per l’estendersi dell’azione abissina nell’interno della Somalia e lungo il talweg dell’Uebi Scebeli.

4) Intensificare la nostra azione commerciale nella valle del Giuba, assicurando le comunicazioni fra Lugh e la costa e facendo di Lugh un importante mercato ed il centro di rifornimento di tutta quella vasta regione, collegando la nostra azione commerciale nel Benadir con quella che sarà iniziata dal nostro agente negli Arussi.

Poiché nei negoziati per lo sbocco al mare era stata altresì compresa la quistione della sistemazione del confine dancalo, credo opportuno aggiungere alla presente relazione alcune considerazioni sull’attuale stato di cose in quella regione ed alcune proposte sull’opportunità ed il modo di risolvere tale quistione all’infuori dei negoziati suddetti.

Se la posizione geografica e le condizioni politiche della Somalia rendono possibile, anzi consigliano il mantenimento oltreché di diritto altresì di fatto dello statu quo, altrettanto non può dirsi per la Dancalia, ove il ripetersi di incidenti dovuti all’incertezza dei confini, alle condizioni ed all’indole delle popolazioni, e più ancora alla turbolenza dei capi tigrini, preoccupano gravemente e giustamente il Governo della Colonia Eritrea, turbano i nostri rapporti col Governo etiopico e rendono necessario addivenire ad una sistemazione di quei territori.

Ho ricevuto a suo tempo dal governatore d’Asmara copia della dotta ed interessante relazione del cav. Odorizzi in merito alle condizioni politiche attuali della Dancalia ed alla linea di frontiera da stabilire tra i possedimenti italiani e l’Etiopia in quella provincia; ma dovendo ora discutere tale linea di frontiera all’infuori dei negoziati per la cessione di Raheita, ai quali la suddetta relazione del cav. Odorizzi si riferisce, sarà necessario limitare le nostre pretese e basare i nostri diritti sui precedenti accordi stipulati con l’Abissinia.

Credo inutile discutere e meno ancora impugnare gli apprezzamenti e le affermazioni contenute nel rapporto del cav. Odorizzi in merito alla legittimità dei diritti accampati dal Negus sul territorio dancalo fino a sessanta chilometri dalla costa, sull’entità dei doveri che ci impone l’obbligo, sia pure assunto verbalmente, di mantenere il nostro dominio entro i sessanta chilometri dalla costa, e che tale virtù impegnativa per l’Italia non unisce né può unire una facoltà acquisitiva per l’Etiopia su quelle regioni.

Tale discussione sarebbe sterile ed inopportuna e per me specialmente penosa, poiché i miei sentimenti e le mie aspirazioni tenderebbero non certo a combattere ma a sostenere praticamente gli argomenti addotti dal cav. Odorizzi.

Credo invece sia necessario portare la discussione sopra un terreno più oggettivo e più pratico e basare e mantenere i nostri diritti sopra dati di fatto irrefutabili, e cercare una soluzione pratica che, salvaguardando i nostri interessi speciali in quella regione, non ne comprometta altri maggiori d’indole generale.

Base quindi delle trattative per la sistemazione del confine dancalo deve necessariamente essere la linea dei sessanta chilometri dalla costa precedentemente stabilita tra il Negus ed il comm. Nerazzini.

A V. E. è noto come l’importanza politica ed economica della frontiera dancala è data dal suo contatto coll’Aussa e col Piano del Sale; le difficoltà maggiori quindi che si dovrebbero incontrare nella sua sistemazione dipendono dai reciproci interessi politici ed economici nelle suaccennate regioni.

Sull’Aussa abbiamo da tempo formalmente rinunciato ad ogni nostra pretesa ed ingerenza politica a favore dell’Abissinia, e gl’interessi economici che esso rappresenta per noi sono indipendenti dalla linea di confine poiché unicamente basati sopra rapporti commerciali; non parmi quindi che il tracciamento di una linea di confine che segua le maggiori accidentalità del terreno mantenendosi a circa sessanta chilometri dalla costa, debba presentare gravi difficoltà: dato poi il carattere necessariamente nomade di quelle scarse popolazioni si potranno stabilire speciali e reciproci diritti di pascolo e di residenza.

Ma dove il problema si presenta più arduo, e la discussione più tenace ed accanita è per quanto riguarda la parte settentrionale della Dancalia ove sono in giuoco interessi e cupidigie rappresentate dal Piano del Sale.

È bene subito premettere che, contrariamente a quanto afferma il cav. Odorizzi, che attribuisce ai soli capi tigrini e specialmente al capo di Macallè l’ostinata affermazione dei diritti etiopici sul Piano del Sale, il Negus ha ripetutamente e recisamente proclamato i diritti propri su di esso e la ferma risoluzione di non rinunciarvi.

Una linea di confine che corresse parallela alla costa a circa sessanta chilometri da essa non seguirebbe in quel tratto alcuna accidentalità del suolo che potesse segnare un naturale confine, non solo, ma dividerebbe il territorio ed offenderebbe gl’interessi vitali delle popolazioni dancale che risiedono alla costa lasciando in territorio abissino la parte maggiore e più produttiva del Piano del Sale.

Il cav. Odorizzi nella sua relazione ha ampiamente descritto le condizioni di diritto e di fatto di quelle popolazioni ed il pregiudizio che ad esse ne verrebbe.

Io non sono in grado di giudicare se la somma di interessi che il Piano del Sale rappresenta per noi sia maggiore di quella che esso rappresenta per l’Abissinia; propendo però per quest’ ultima poiché è al Piano del Sale che si rifornisce quasi tutta l’Etiopia di questo prezioso elemento che ancora oggi costituisce la moneta divisionale del paese.

Certo che di fronte ai diritti accampati dal Negus in base all’impegno da noi assunto di limitare il nostro dominio a sessanta chilometri dalla costa ed a certe prerogative spettanti al capo di Macallè, stanno i diritti secolari delle tribù dancale da noi dipendenti, e fra esse non è facile giudicare: io sono perciò convinto che sola soluzione possibile sia quella che rispettando i rispettivi diritti concigli [sic.] gli opposti interessi, e a ottenere praticamente tale risultato io credo sia necessario addivenire:

1) Ad una sistemazione territoriale della frontiera sulle basi della linea a sessanta chilometri dalla costa adattandola per quanto è possibile alla configurazione del terreno.

2) Ad una definizione della dipendenza delle singole tribù in base alle loro residenze ordinarie e tradizionali.

3) Alla compilazione di un speciale accordo che riconosca, regoli e garantisca gli antichi diritti e le prerogative delle singole tribù indipendentemente dalla frontiera e specialmente per quanto riguarda la lavorazione del Piano del Sale, e determini i diritti e gli obblighi dei rispettivi governi in merito ad esse.

Non credo con queste mie proposte di avere interamente risolto la difficile quistione della sistemazione della frontiera dancala ma ho solo cercate di portare la discussione sopra un terreno pratico e su di una via di soluzione che mi sembra basata sulla logica e serena osservazione dei fatti.

Certo tale soluzione non potrà pienamente soddisfare il Governo della Colonia al quale costerà non lieve sacrificio di amor proprio la rinuncia ai trattati colle tribù di Birù e Terù che forse vennero stipulati cedendo piuttosto ad un alto sentimento umanitario che con scopo politico; ma essa porrà fine ad uno stato di cose assolutamente intollerabile dal Governo della Colonia, e ciò senza pregiudicare gl’interessi delle popolazioni dancale da noi dipendenti alle quali verranno conservati di fatto i loro antichi diritti.

Copia della presente relazione venne inviata al Governo della Colonia Eritrea4.

470 1 Non pubblicato.

471 1 Non rinvenuto.

472

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1976/146. Vienna, 2 ottobre 1907, ore 20,50.

Barone Aehrenthal mi ha detto oggi che nei colloqui avuti col sig. Izvolskij, si era constatato come esistessero tra i due Governi piena e perfetta concordanza di vedute questione di politica generale e specialmente circa quella riguardante i Balcani. Pertanto, egli aveva riconosciuto insieme al sig. Izvolskij essere necessario nell’interesse dell’opera riformatrice che la penisola fosse liberata dalle bande di cui era infestata, e ciò li aveva indotti fare ai Governi balcanici comunicazione della nota relativa alla interpretazione dell’art. 3 del programma Mürzsteg. Finora Germania soltanto aveva fatto conoscere essere disposta appoggiare tale passo, al quale sperava che V.E. si sarebbe del pari associata. Credeva che, se gli Stati balcanici si convincessero seguire consigli delle potenze, e bande armate fossero del tutto scomparse dalla Macedonia, e se, d’altra parte, Commissione finanziaria avesse riuscito nel frattempo a dare assetto definitivo alle finanze vilayet regolando pagamenti, ciò avrebbe avuto per effetto pacificare popolazione agevolare, in pari tempo, l’applicazione della riforma giudiziaria. Però egli aveva potuto rilevare insieme al sig. Izvolskij come le potenze avrebbero dovuto armarsi di molta pazienza e come vario tempo sarebbe trascorso prima di ottenere adesione della Sublime Porta al progetto austro-russo contro il quale sembrava voler fare recisa opposizione. Sperava, tuttavia, che, se tutte le potenze avessero appoggiato sinceramente progetto, e se Governo ottomano non avesse potuto fare assegnamento sulla loro divisione, esso avrebbe finito per darvi il di V.E. consenso.

proposte, al Benadir e in Dancalia. Tener segreto. Fatto presente al ministro pericolo che Menelik forzi la mano per delimitazione verso Lugh».

471 4 Allegata al presente rapporto è la seguente annotazione: «Fatto vedere al ministro che concorda nella proposta Colli di sospendere trattative per Raheita, [parola illeggibile] nostra azione, secondo

473

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1977/136. Londra, 2 ottobre 1907, ore 19,50.

Rispondo suo telegramma n. 16541. Hardinge mi ha detto testé che pur non avendone parlato con Grey, ancora

assente, tuttavia, crede di conoscerne gli intendimenti. Governo britannico risponderà alla nota austro-russa aderendo al passo da farsi presso i Governi di Atene, Belgrado e Sofia, tanto più origine di tale proposta è inglese conformemente all’incarico dato da Grey a Hardinge, quando questi accompagnò re Edoardo in Germania e Austria, come risulta anche dal mio telegramma 6 agosto n. 1252. Governo britannico, molto probabilmente, non risponderà circa interpretazione da darsi all’articolo 3 del programma di Mürzsteg, che però Hardinge crede causa principale della accresciuta attività delle bande. Ho cercato rafforzarlo nel proposito di non rispondere per questa parte e non pregiudicare questa questione che può in avvenire essere di molta importanza anche perché Sangiaccato Elbassan, che non avrebbe ragione di essere compreso nella Macedonia, si estende fino a dieci chilometri dall’Adriatico. Hardinge dice non avere avuto impressione che nota austro-russa aumenti la speciale posizione delle due potenze. Gli sembra che carattere europeo della questione Macedonia sia sufficientemente garantito dai poteri della Commissione finanziaria e che aderendo alla proposta di fare rimostranze ai tre Governi balcanici, anche questo pare avrà carattere europeo e non austro-russo. Avendogli io detto che ritengo indubitato che politica inglese nei Balcani rimane immutata secondo indirizzo adottato da marchese Lansdowne e continuato da Grey, il quale indirizzo è anche quello dell’Italia, Hardinge ha risposto affermativamente.

474

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATISSIMO 1543/6181. Londra, 3 ottobre 1907.

Nel mio telegramma di ieri n. 1362, riferii a V.E. che sir C. Hardinge mi disse non essere mutata la politica inglese nei Balcani. Identica dichiarazione di sir E. Grey comunicai a V.E. con mio telegramma del giorno 6 agosto n. 121 bis3.

2 T. 1595/125, non pubblicato.

2 Vedi D. 473. 3 Non pubblicato.

Mancherei però ad un alto dovere verso il nostro paese se non comunicassi a V.E. confidenzialmente il mio dubbio che qualche cosa di mutato vi sia. Non è che un dubbio, e non potrei citare alcun fatto concreto e determinato, ma da un complesso di elementi imponderabili ed indefinibili, ho, ripeto, il dubbio che qualche mutamento sia avvenuto o si prepari.

Non già un mutamento radicale, bensì una nuance, una gradazione, la cui misura potrà essere maggiore o minore, ma la cui tendenza potrebbe essere meno contraria, che non sia stata in passato, alla accentuazione della posizione speciale dell’Austria e della Russia. Il motivo di questa modificazione, ripeto non ancora accertata, ma non del tutto esclusa, è sopratutto il desiderio di far cosa gradita alla Russia, ed in seconda linea all’Austria, ed il fine principale è sempre quella preoccupazione della Germania, che, anche coll’attuale riavvicinamento, si trova pur sempre in fondo agli atti principali della politica inglese. È molto probabile che vi influiscano anche relazioni dinastiche.

In ogni modo è necessario che V.E. sia informata, per sua norma, di questo dubbio, e della mia persuasione che, firmato l’accordo anglo-russo, oramai l’Inghilterra cercherà di farlo fruttare, cioè di far sì che non resti, quale è formalmente, una semplice eliminazione o proroga di cause d’attrito, ma diventi la base di una amicizia operosa, di una politica concorde, diventi insomma quello che è divenuto l’accordo anglo-francese dell’8 aprile 1904. Se, per raggiungere questo scopo, sarà necessario far concessioni all’egemonia austro-russa nei Balcani l’Inghilterra, in una certa misura, le farà. Se ciò non avverrà, tanto meglio per noi, ma dobbiamo prepararci alla possibilità, se non vogliamo dire alla probabilità, che avvenga.

Nel suo telegramma del 1° corrente n. 16543 V.E. mi dice di avere avuto l’impressione che la nota austro-russa accentui la posizione speciale che le due potenze si attribuiscono. Tale è pure la mia impressione. Concordo pienamente con V.E., benché sir C. Hardinge dica di non avere avuto questa impressione.

La ha avuta però il corrispondente viennese del Times (vedi mio comunicato del 1° corr. n. 15373) e se ne rallegra perché crede più efficace l’opera di due potenze che quella, a suo avviso più lenta, del concerto europeo.

Come ho già telegrafato a V.E., sir Charles mi ha detto che sull’interpretazione dell’articolo 3 del programma di Mürzsteg molto probabilmente il Governo britannico non crederà di essere oggi chiamato ad esprimere il suo avviso. Se lo esprimesse, non credo che lo esprimerebbe tale da far cosa poco gradita alla Russia, e quindi mi sono studiato di esporgli tutte le ragioni di politica generale e locale per le quali è meglio non pregiudicare la questione. È infatti necessario per noi che, anche non sollevando oggi una questione prematura, sia il meno possibile diminuita la probabilità che un giorno o l’altro (come propose nel 1880 la Commissione europea, la cui relazione fu scritta da lord Fitzmaurice) si distacchi dalla zona sottoposta alla egemonia austro-russa il Sangiaccato di Elbassan, che, mentre non ha motivo di stare unito alla Macedonia, si estende fino a dieci chilometri dall’Adriatico.

473 1 Del 1° ottobre, non pubblicato.

474 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale e privo dell’indicazione della data di arrivo.

474 3 Non pubblicato.

475

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 2039/946. Vienna, 3 ottobre 1907 (perv. il 10).

Credo di dover completare, con altri particolari, quanto ebbi l’onore di riferire all’E.V. col mio telegramma n. 146 in data di jeri1, circa le cose dettemi dal barone d’Aehrenthal in ordine ai colloqui da esso avuti col sig. Izvolskij durante la sua dimora a Vienna.

La nota relativa all’interpretazione dell’art. 3 del programma di Mürzsteg, oltre all’essere stata rimessa ai Governi balcanici, fu portata altresì a notizia degli agenti civili per loro norma e coll’incarico di darne comunicazione ad Hilmi Pascià.

Il barone d’Aehrenthal ed il sig. Izvolskij erano stati dapprima di parere di notificare il significato dell’art. 3 del programma di Mürzsteg ai Governi suddetti e di fare, in pari tempo, uffici separati presso quello di Atene circa l’attività delle bande macedoni, non sembrando loro equo di tenere, intorno a tale argomento, un identico linguaggio a Sofia ed a Belgrado, i cui Gabinetti avevano già modificato in parte il loro contegno al riguardo. Avendo, però, riconosciuto che tale differenza di trattamento avrebbe potuto indisporre il Governo ellenico, e siccome non potevasi negare, d’altra parte, l’esistenza in Macedonia anche di bande serbe e bulgare, essi convennero di fare una sola ed uguale comunicazione ad Atene, a Sofia ed a Belgrado per far conoscere l’interpretazione dell’art. 3 del programma di Mürzsteg, accennando altresì in modo generico alle bande macedoni. Tuttavia, essi stabilirono d’incaricare i loro rappresentanti in Atene di chiamare verbalmente la speciale attenzione del Gabinetto d’Atene sulla parte della nota relativa all’attività delle bande, impegnandolo a prendere provvedimenti energici per impedirne l’organizzazione e di prevenirlo delle gravi conseguenze cui potrebbe esporsi se non avesse dato seguito ai consigli delle potenze.

Lo scopo al quale i Governi austro-ungarico e russo mirano cogli uffici da essi fatti, ed ai quali hanno invitato le altre potenze di associarsi, si è quello di liberare intieramente la penisola dalle bande da cui è infestata, perché riconoscono che la loro permanenza intralcia non solo le riforme già avviate, coll’impedire che abbiano un effetto pratico, ma anche le altre riforme progettate e specialmente quella giudiziaria, all’introduzione della quale vorrebbero preparare ora propizio il terreno col pacificare le popolazioni, ponendo termine alle lotte nazionali esistenti tuttora tra di esse.

Il barone d’Aehrenthal non crede che il progetto austro-russo di riforma giudiziaria, circa il quale non tutte le potenze fecero ancora conoscere il loro pensiero, possa essere in breve attuato.

L’atteggiamento assunto dalla Sublime Porta gli fa prevedere serie difficoltà e si attende ad una recisa opposizione per parte sua contro il progetto stesso. Onde, egli

mi diceva che le potenze avrebbero dovuto armarsi di molta pazienza perché non poco tempo sarebbe trascorso prima di potere addivenire alla sua introduzione.

Avendogli chiesto se avesse considerato col sig. Izvolskij l’eventualità in cui, di fronte al persistente rifiuto della Sublime Porta di accettare il progetto austrorusso di riforma giudiziaria, le potenze si trovassero nell’impossibilità di attuarlo e fossero costrette di esaminare a quali mezzi dovrebbero appigliarsi per vincere la sua resistenza, egli mi rispose che, ove tale eventualità fosse per avverarsi, spettava alle potenze di adottare di comune accordo quei provvedimenti che credessero più opportuni all’uopo. Sperava, però, che esse si sarebbero decise ad appoggiare sinceramente il progetto, giacché la loro unione soltanto poteva convincere la Sublime Porta dell’inutilità d’opporsi ai loro voleri. Il progetto, del resto, aveva già ricevuto l’approvazione dell’E.V. e la Germania avevagli fatto conoscere che l’avrebbe dal suo lato appoggiato. Gli risultava inoltre che il principe di Bülow aveva assicurato personalmente il sig. Izvolskij a Swinemünde che si sarebbe associato alle proposte delle potenze dell’intesa. Non poteva quindi dubitare dell’atteggiamento che la Germania sarebbe per assumere al riguardo. Era bensì vero ch’essa aveva da tutelare nell’Impero ottomano interessi speciali che non le conveniva di pregiudicare con un contegno atto ad indisporre contro di essa la Sublime Porta.

Nel corso del colloquio il discorso essendo caduto sul rinnovamento dei poteri dell’ispettore generale, del generale De Giorgis e degli agenti civili, il barone d’Aehrenthal mi disse che tale questione, che non era stata ventilata col sig. Izvolskij, avrebbe dovuto essere esaminta a suo tempo dagli ambasciatori a Costantinopoli per stabilire il modo di procedere al riguardo. Ma che, ad ogni modo, l’Austria-Ungheria e la Russia si sarebbero messe d’accordo colle altre potenze quando sarebbe giunto il momento di addivenire a quel rinnovamento.

Dal modo col quale il barone d’Aehrenthal si espresse meco nell’accennare all’opposizione che sarebbe per fare la Sublime Porta contro il progetto austro-russo di riforma giudiziaria, mi è sembrato arguire come egli sarebbe poco disposto ad adottare mezzi coercitivi qualora fosse necessario di ricorrere ad essi per vincere la sua resistenza. E tale disposizione sarebbe confermata dal contegno da lui tenuto fin dal primo momento che si pose mano al progetto stesso. Infatti egli si adoperò perché nella sua elaborazione si procedesse colle maggiori cautele possibili facendo eliminare dalla medesima qualsiasi cosa che potesse urtare la suscettibilità della Sublime Porta ed intaccare i diritti sovrani del Sultano, ciò ch’è dimostrato anche dalla alternativa n. 2 da esso proposta ed inserita nel progetto, secondo la quale la scelta degli ispettori giudiziari musulmani e cristiani è da attribuirsi al Ministero ottomano della giustizia.

Siccome feci conoscere all’E.V. col mio telegramma suddetto, il convegno avuto dal barone d’Aehrenthal col sig. Izvolskij ha fatto costatare la piena ed intera conformità di vedute dei due Governi circa tutte le questioni di politica generale nonché circa quelle balcaniche. Ma essa ha avuto specialmente per iscopo di confermare gli accordi già presi a Mürzsteg, i quali, non mi risulta però abbiano avuto, almeno per ora, un’estensione qualsiasi o che accordi speciali siano intervenuti al riguardo.

Questo convegno, inoltre, come l’accoglienza simpatica di cui è stato oggetto il sig. Izvolskij per parte di S.M. l’Imperatore, dell’intera famiglia imperiale e dell’opinione pubblica in generale, hanno fatto risaltare l’importanza che qui si annette al

mantenimento dei più cordiali rapporti colla Russia e la premura che si ha a consolidarli vieppiù, non solo dal punto di vista politico, per gli interessi comuni che hanno i due Imperi, ma anche dal punto di vista monarchico e dinastico.

Di questa intimità di rapporti colla Russia sono fautori convinti l’erede al trono ed il barone d’Aehrenthal, al quale, com’e noto, venne attribuita anche l’intenzione, durante la sua missione a Pietroburgo, di stringere legami di alleanza con quell’Impero.

475 1 Vedi D. 472.

476

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. GAB. RISERVATISSIMO PERSONALE 22541. Roma, 4 ottobre 1907, ore 15,50.

Del proposito di fare, presso i Governi degli Stati balcanici, il passo collettivo colla Russia che ora è stato compiuto, il barone di Aehrenthal già mi aveva tenuto parola in uno dei nostri convegni al Semmering. Prego V.E. di volergli ora chiedere personalmente e riservatamente, se egli non vedrebbe difficoltà a che io potessi eventualmente ciò dichiarare dinnanzi al Parlamento. Sembra che l’accertare così l’adesione anticipata dell’Italia — e anche dell’Inghilterra, ove, come v’è ragione di supporre, un identico linguaggio sia stato tenuto da Aehrenthal a Hardinge a Ischl — non potrebbe che dare maggiore efficacia al passo collettivo austro-russo, e documentare una volta di più accordo delle grandi potenze sulla base del programma di Mürzsteg. Ciò sarebbe, del resto, in armonia colle recenti dichiarazioni della Politische Korrespondanz.

477

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. RISERVATO 16861. Roma, 4 ottobre 1907, ore 17.

Ricevuti telegrammi fino al n. 1142 circa azione ministro di Francia in aperta violazione clausole accordo 13 dicembre nelle questioni commercio armi, ferrovia e giurisdizione. Ho telegrafato Londra e Parigi3 per ottenere che siano formulate

477 1 Trasmesso via Asmara.

2 Vedi D. 466. 3 Vedi DD. 478 e 479.

inviate ai tre rappresentanti identiche categoriche istruzioni in conformità convenzione di Londra affinché sia riservato presente e salvaguardato avvenire. Come le ho scritto fin dal 26 luglio scorso4 e telegrafato fin dal 30 agosto scorso5, noi riserviamo nostra libertà d’azione nelle questioni in cui modus procedendi indicato dall’accordo non è stato seguito. Prego avvertire di ciò suo collega di Francia, dichiarando che ella ha istruzione di attenersi scrupolosamente all’art. 10 dell’accordo e di chiederne la osservanza ai rappresentanti delle potenze firmatarie col munirsi di opportune istruzioni se queste non fossero state date, onde evitare una azione slegata dannosissima. Avverto che Governo inglese condivide ufficialmente nostro modo di vedere circa giurisdizione. Segue dispaccio6.

476 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

478

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO PER POSTA 6391. Roma, 4 ottobre 1907.

Con telegrammi 10 giugno scorso2 e del 30 agosto scorso3 le feci presente come in gravi questioni comune interesse, ministro francese in Addis Abeba agisse per proprio conto, contrariamente alle clausole della convenzione di Londra del 13 dicembre scorso, e la pregavo di adoperarsi presso sir E. Grey affinché rappresentanti tre potenze avessero concordi istruzioni in conformità alla detta convenzione. Con dispaccio 30 settembre scorso n. 6904, di fronte alla persistente condotta del rappresentante francese in aperta opposizione alle clausole dell’accordo nella questione del commercio delle armi, della ferrovia e della giurisdizione, ho rappresentato alla E.V. assoluta necessità che tre Governi si mettano d’accordo per impartire identiche chiare categoriche istruzioni ai propri agenti non solo di tenersi reciprocamente completamente informati, ma di agire d’accordo in tutte le questioni, e, se l’accordo mancasse, di riferirne ai Governi centrali.

Un telegramma del 30 settembre scorso del capitano Colli5 reca che, contrariamente impegno preso da collega di Francia nel giugno scorso di azioni d’accordo con i suoi colleghi, tra ministro francese e Menelik è stata concordata e presentata al Governo francese soluzione per ferrovia Gibuti con diretto intervento Governo

5 Vedi D. 437, nota 1. 6 Vedi D. 491. Per la risposta vedi D. 496.

2 Vedi D. 366. 3 Vedi D. 437. 4 Vedi D. 467. 5 Vedi D. 466.

francese e con garanzia di esso sui capitali impiegati. Capitano Colli aggiunge: «riprodurre telegramma Colli n. 1979 dalle parole “ministro francese pur dichiarando” ... fino alla fine».

Contegno passivo incaricato affari Inghilterra a Addis Abeba lascerebbe supporre che Governo britannico ha lasciato libero campo influenza francese, ciò che resulterebbe indirettamente anche da nota verbale annessa a rapporto 27 settembre scorso n. 601 nella quale Foreign Office pur essendo al par di noi contrario giurisdizione consolare in Etiopia, non muove obiezione all’azione isolata e contraria agli intendimenti anglo-italiani del rappresentante francese.

Di fronte a questa situazione che toglie ogni efficacia all’accordo del 13 dicembre e la scredita innanzi a Menelik essendo il modus procedendi del sig. Klobukowski in aperta ostentata violazione dell’art. 10 dell’accordo di Londra e tale da compromettere ogni ulteriore azione delle tre potenze, mentre riservo libertà d’azione nelle singole questioni suaccennate, prego la S.V. di volere di ciò informare codesto Governo e, secondo mio dispaccio 30 settembre scorso e con le informazioni contenute in questo telegramma, agire presso sir E. Grey affinché siano formulate e impartite categoriche istruzioni identiche ai tre rappresentanti in conformità alla convenzione di Londra per l’azione concorde delle tre potenze in Addis Abeba affinché sia riservato il presente e salvaguardato l’avvenire. Intanto ho chiesto al Governo francese che suo ministro sia richiamato all’osservanza dell’accordo e gli sia data istruzione di sospendere sua azione fino a che non sia intervenuto accordo fra tre Governi. Confido che Gabinetto di Londra darà istruzioni appoggiare nostra azione6.

477 4 Non rinvenuto.

478 1 Dall’Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana.

479

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A PARIGI, ALIOTTI

T. RISERVATO PER POSTA 6401. Roma, 4 ottobre 1907.

Articolo dieci accordo italo-franco-britannico 13 dicembre 1906 per Etiopia prescrive che rappresentanti tre potenze si tengano reciprocamente completamente informati e cooperino per la protezione dei rispettivi interessi e che in caso di disaccordo ne riferiscano ai propri Governi e intanto sospendano ogni azione.

Ci resulta in modo sicuro che azione rappresentante francese Addis Abeba si è finora svolta in aperta ostentata opposizione a detta clausola come ne è prova suo contegno nella questione del commercio delle armi, della ferrovia e della giurisdizione sugli europei in Etiopia. Egli ha agito per conto suo, senza mettersi d’accordo coi colleghi di Italia e Inghilterra, trattando e conchiudendo direttamente con Menelik.

479 1 Dall’Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana.

Recentissime informazioni da Addis Abeba recano che ministro di Francia contrariamente impegno preso fin dal giugno di agire d’accordo coi colleghi italiano e inglese nelle questioni di comune interesse ha già concordato con Menelik e presentato codesto Governo soluzione per ferrovia Gibuti; ha dichiarato esser giunto ad una conclusione ma non ha fatto alcuna comunicazione in proposito ai suoi colleghi di Italia e Inghilterra. Egli ha invece detto essere sua intenzione stabilire nel trattato commercio che sta stipulando giurisdizione consolare in Etiopia, ha chiesto parere rappresentante Italia facendo, però, eguale comunicazione collega di Germania per togliere ad essa ogni significato che potesse attribuirsi all’accordo del 13 dicembre. Essendogli stato partecipato essere preferibile che gli europei avessero in Etiopia un magistrato europeo designato e pagato da Menelik, egli dichiarò impossibile soluzione e mentre assicurò riservare ogni sua azione a quanto sarà in proposito stabilito d’accordo coi Governi centrali, stabilì con Menelik giurisdizione consolare dimostrando pericolosa e rendendo impossibile altra soluzione che fosse presentata da noi e da Inghilterra che condivide nostro modo di vedere su giurisdizione.

Di fronte a codesta situazione che toglie ogni efficacia all’accordo e lo scredita innanzi a Menelik, mentre deploro modus procedendi ministro di Francia in aperta ostentata violazione dell’accordo stesso, prego S.V. far conoscere a codesto ministro affari esteri che siamo sicuri azione Klobukowski non può esser dovuta ad istruzioni codesto Governo, che riserviamo libertà d’azione per singole questioni isolatamente trattate, e che preghiamo vivamente siano formulate e inviate identiche categoriche istruzioni ai tre rappresentanti in armonia con le stipulazioni di Londra affinché sia riservato il presente e salvaguardato l’avvenire.

Intanto Governo francese dovrebbe subito richiamare suo ministro Etiopia all’osservanza dell’accordo dandogli istruzione di sospendere sua azione in attesa che sia intervenuto accordo tra tre Governi centrali.

Telegrafo analogamente Londra2. Segue dispaccio3.

478 6 Per la risposta vedi D. 487.

480

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. 16971. Roma, 5 ottobre 1907, ore 17,30.

Mesciascià ha portato qui, in nome di Menelik, la espressione di sentimenti amichevoli del Negus e del suo vivo desiderio di pace. Ha confermato propositi Menelik reprimere traffico armi e munizioni in Etiopia, specialmente per impedire armamenti somali. Gli è stato risposto confermando eguali sentimenti e aggiungendo

3 Vedi D. 490. Per la risposta vedi D. 494.

che mutamenti avvenuti nel Governo della Eritrea e nella legazione Addis Abeba non avevano e non potevano avere alcuna influenza nell’indirizzo politico e nelle buone relazioni tra Italia e Etiopia che permanevano quali erano, essendo quei mutamenti dovuti a semplici contingenze di persone.

479 2 Vedi D. 478.

480 1 Trasmesso via Asmara.

481

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. 17001. Roma, 5 ottobre 1907, ore 18.

Circa suo telegramma n. 192 attendevo conoscere risultato suo colloquio col Negus per spedizione partita da Harrar. Io non posso che rinnovarle istruzioni ripetutamente date circa mantenimento statu quo e proibizione razzie nella zona che è oggetto di negoziato con Menelik per scongiurare danni hinterland Benadir. Scopo presente spedizione che prima era stato indicato nella riscossione tributo Ogaden, sarebbe ora di punire tribù Baggheri. Convengo che non sarebbe grave danno punizione razziatori, ma è necessario che azione sia limitata a tale scopo. Desidero pertanto avere dati precisi circa itinerario e circa regione a cui sarebbe diretta spedizione non essendo nelle carte chiaramente indicata. Ella potrà rivolgersi anche suo collega Inghilterra.

482

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI

T. RISERVATISSIMO1. Roma, 5 ottobre 1907, ore 20,45.

Il passaggio su territorio italiano dei Reali di Spagna i quali, recandosi a visitare un altro Sovrano mostrerebbero d’ignorare il Re d’Italia, darebbe probabilmente luogo nella nostra stampa a commenti punto favorevoli pei Reali stessi e punto giovevoli alle buone relazioni dei due paesi. Né, d’altronde, il Re di Spagna potrebbe, senza provocare gli stessi commenti, mandare dal nostro territorio un saluto al nostro Re, che si astiene dal visitare. Voglia far ciò presente a codesto ministro degli esteri, lasciandolo giudice delle opportunità di tenere fermo o di mutare l’itinerario annunciato2.

2 T. 462/19 del 25 febbraio, trasmesso da Asmara il 26, non pubblicato.

2 Per la risposta vedi D. 485.

481 1 Trasmesso via Asmara.

482 1 Minuta autografa. Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

483

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO [2040/947]1. Vienna, 5 ottobre 1907.

L’indomani del suo arrivo a Vienna, il sig. Izvolskij venne a vedermi al Palazzo dell’ambasciata e, non avendomi trovato, lasciò la sua carta di visita.

Dal mio lato mi feci premura di restituirgli la visita il giorno dopo, ma non ebbi la fortuna d’incontrarlo, essendo egli uscito quando mi recai alla ambasciata di Russia, ove aveva preso alloggio.

Prima di lasciare Vienna, cioè jeri, egli ebbe però la cortesia di annunziarmi in anticipazione che sarebbe venuto a vedermi.

Nel lungo colloquio che ebbi con esso, il discorso cadde naturalmente sulle varie questioni che avevano formato oggetto delle sue conversazioni col barone d’Aehrenthal.

Per ciò che riguarda la nota collettiva russa austro-ungarica, relativa all’interpretazione dell’art. 3 del programma di Mürzsteg, egli si espresse meco nel senso stesso che il barone d’Aehrenthal, siccome riferii all’E.V. coll’altro mio rapporto n. 946 del 3 corrente2.

Accennò a questo proposito alle ragioni che avevano indotto le due potenze dell’intesa a precisare il significato di quell’articolo e manifestò la speranza che tale passo avrebbe avuto per conseguenza di porre termine alle lotte di nazionalità e liberare la penisola dalle bande, la cui presenza, mentre ne turbava la tranquillità, intralciava l’opera riformatrice delle potenze.

Mi confermò, quindi, le cose dettemi dal barone d’Aehrenthal circa la riforma giudiziaria e la convenienza che le potenze fossero concordi nell’appoggiare sinceramente il progetto russo austro-ungarico, ciò che avrebbe spinto la Sublime Porta a non persistere nel suo rifiuto d’accettarlo, come negò che nei suoi colloqui col ministro imperiale e reale fosse stata considerata l’eventualità di adottare mezzi coercitivi, qualora se ne riconoscesse la necessità per vincere la resistenza della Sublime Porta.

Quanto alla questione del rinnovamento dei poteri dell’ispettore generale, generale De Giorgis, e degli agenti civili, egli mi disse che si riservava di esaminarla, le date della loro scadenza non coincidendo tra loro. Non credeva del resto che la Sublime Porta avrebbe sollevato difficoltà contro quel rinnovamento.

Nel dimostrarmi, quindi, la sua soddisfazione per l’approvazione data dall’Italia al progetto russo austro-ungarico di riforma giudiziaria, aggiunse che la Russia considerava l’Italia quale elemento importante in Europa, sulla cui cooperazione efficace egli ed il barone d’Aehrenthal facevano assegnamento per il buon esito della riforme.

Risposi che la politica seguita dal R. Governo e dall’E.V. aveva avuto sempre per scopo di cooperare colle altre potenze all’opera riformatrice ed alla pacificazione

2 Vedi D. 475.

della penisola e che era nostro precipuo interesse di provvedere al mantenimento dello status quo e conseguentemente dell’integrità dell’Impero ottomano, ciò che corrispondeva ai fini cui miravano le due potenze dell’intesa e sui quali si basava l’accordo di Mürzsteg. Del resto, la piena e perfetta concordanza di vedute, che era stata constatata tra V.E. ed il barone d’Aehrenthal nei convegni di Desio e del Semmering, per ciò che riguardava specialmente le questioni balcaniche, era una prova manifesta della linea di condotta adottata dall’E.V. a questo riguardo.

Nel rallegrarsi poi meco degli eccellenti rapporti che esistevano ora tra la Italia e l’Austria-Ungheria, il sig. Izvolskij rilevò come ciò fosse da attribuirsi in gran parte alla politica ferma e leale seguita dall’E.V. che aveva saputo acquistarsi la fiducia generale e la cui opera nell’interesse della pace era altamente apprezzata in Europa.

Passando poi a parlare dei nostri reciproci rapporti, mi dichiarò essere sincero desiderio della Russia di renderli migliori ed esser stato perciò lieto della conclusione del trattato di commercio, a1 quale erasi potuto addivenire non ostante le difficoltà esistenti che aveva cercato di rimuovere nell’interesse comune e sperava che esso sarebbe stato approvato nella prossima sessione del Parlamento.

Ricordò quindi le precedenti e ripetute dimore da lui fatte a Roma sia come addetto all’ambasciata imperiale presso la Corte di Sua Maestà, sia come rappresentante dello Czar presso il Vaticano, di cui serbava gratissima memoria e rilevò che non aveva avuto allora l’occasione d’incontrarsi coll’E.V., ma che sarebbe stato lieto di fare la personale sua conoscenza, ciò che si augurava sarebbe avvenuto un giorno per intrattenersi con lei delle cose interessanti i due paesi, e mi pregò di trasmetterle i suoi migliori complimenti.

Ringraziai il sig. Izvolskij di quanto avevami detto circa i nostri reciproci rapporti, assicurandolo che il R. Governo come l’E.V. erano animati da un egual desiderio di renderli più intimi e gli feci conoscere che non avrei mancato di trasmetterle i suoi complimenti, riferendole le cortesi espressioni da lui usate a suo riguardo.

Nel corso del colloquio, durante il quale il sig. Izvolskij s’intrattenne meco nel modo più amichevole, egli accennò anche ad altri particolari riguardanti i convegni di Desio e del Semmering, circa i quali mi riservo riferire all’E.V. con lettera particolare3.

483 1 Dall’archivio dell’ambasciata a Vienna.

484

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

DISP. 54040/552. Roma, 6 ottobre 1907.

Nel colloquio che ebbi in Roma con lei il 7 dello scorso settembre, la pregai di volere, tornando a Berlino, intrattenere esplicitamente codesto Governo intorno ai

rapporti italo-germanici in quanto concernono i nostri interessi in Tripolitania. Intendevo che ella facesse sentire come noi ci attendessimo di avere a questo proposito della amicizia del nostro alleato prove maggiori e migliori di quelle che ne avevamo avuto sin qui; cosicché noi potessimo formarci un’idea ben chiara degli intendimenti di codesto Governo, di fronte alla posizione speciale dell’Italia in quella regione ed alla azione che intendiamo spiegarvi.

Da quel giorno, nuovi fatti sono intervenuti a dimostrare l’urgenza di una spiegazione, la quale non solo renda impossibile ogni equivoco, generatore di eventuali complicazioni, che potrebbero turbare profondamente le relazioni dei due Stati alleati, ma ci metta sin d’ora nella condizione di sapere, esattamente, se possiamo vedere ancora nella Germania un’amica disposta a secondarci, sia pure tenuamente, o se dobbiamo invece considerarla almeno come una concorrente, contro la quale metterci addirittura sulle difese.

Come risulta dall’importante rapporto del r. ambasciatore a Costantinopoli che qui le unisco1, una linea di navigazione tedesca Tripoli-Bengasi-Alessandria è già istituita dalla Deutsche Levante Linie, ed altra se ne minaccia come imminente, TripoliBengasi-Costantinopoli. Con questo in più ed in peggio: che in tal caso la Deutsche Levante Linie significa la persona di quel sig. Banks del quale codesta Cancelleria aveva con V.E. declinato qualsiasi responsabilità qualificandolo come un avventuriero ad essa sconosciuto, o almeno non legato ad essa da rapporto di sorta: mentre è troppo naturale il pensare che una impresa come questa di carattere politico non meno che economico non si effettui senza preventivo accordo col rispettivo Governo.

Non basta. Da un lato il sig. Banks ha fatto dichiarazioni di ostilità accentuata contro ogni

concorrenza italiana che potrebbe venire alla sua linea; e che non si tratti di minacce puramente verbali lo dimostra il fatto che, per danneggiare anche gli attuali servizi della Navigazione Generale Italiana, il sig. Banks fa sui noli riduzioni incompatibili con ogni suo interesse materiale.

D’altro lato, lo stesso governatore di Tripoli parlando negli scorsi giorni con persona di nostra fiducia, ebbe a dirle:

«Metta in guardia chi meglio crede perché, in seguito alla istituzione della linea tedesca di navigazione, i tedeschi suoneranno la tromba per il porto».

Infine, non si fa un mistero in Tripoli di aspirazioni tedesche per la concessione di un tronco ferroviario che dall’interno verrebbe a far capo ad un punto da determinarsi della costa mediterranea.

Come vede l’E.V. vi è in tutto ciò più che non occorra per giustificare, sia i maggiori allarmi da parte nostra, sia il linguaggio che la prego di tenere, senza ambagi e senza ritardo, con codesto Governo.

So bene e comprendo che principio direttivo della politica germanica è la tutela degli interessi economici e di tutte le iniziative tedesche, che essa o promuove o sostiene con tutta la sua forza materiale e morale; né noi pretendiamo che a tale principio essa venga meno a favor nostro. Ma in questo caso speciale altre considerazioni di carattere altamente politico hanno pure ragione di farsi sentire.

Noi abbiamo di fronte all’Europa in genere ed ai nostri alleati più specialmente un diritto acquisito sulla Tripolitania, diritto consacrato anche da patti convenzionali, ai quali codesto Governo non è estraneo. Ed è proprio quando le iniziative, l’attività economica italiana si vanno esplicando in Tripoli felicemente con coraggio ed avvedutezza, e si affermano malgrado gli ostacoli loro frapposti dalle autorità locali, che noi vediamo disegnarsi sull’orizzonte tripolino contro di noi l’ombra di un’azione germanica, che apparirebbe politica non meno che economica anche se carattere prevalentemente economico non avesse la politica diplomatica della Germania nello Impero ottomano.

Noi dovremmo dunque senz’altro concludere per un preconcetto a noi ostile di codesto Governo, se troppo ciò non contrastasse coi vincoli di alleanza e di amicizia che ad esso ci uniscono e con le ripetute dichiarazioni sue.

Comunque in questa contraddizione, a noi dannosa e per noi minacciosa, che esiste fra la situazione politica e le dichiarazioni verbali da un lato ed i fatti dall’altro, urge, ripeto, una spiegazione.

E poiché le condizioni di codesta Cancelleria rendono vano ogni discorso che non si tenga col Cancelliere, personalmente col Cancelliere, la prego di volere prontamente ottenere un colloquio dal principe di Bülow per esporgli le impressioni e le preoccupazioni del Governo, e metterci in grado di renderci conto esatto e pratico delle disposizioni germaniche a nostro riguardo.

V.E. potrà ricordare al Cancelliere le conversazioni da me avute con lui a Baden - Baden nel settembre del 19052. Allora egli mi dichiarava apertamente che la Germania è sempre pronta a dare tutto il suo appoggio agli interessi ed alla politica italiana in Tripoli.

Regolate — ed egli confidava durevolmente — le cose d’Oriente con l’Austria, all’Italia non restava altra preoccupazione che quella di Tripoli. Riconosceva che Tripoli deve assolutamente essere italiana. La Germania, dicevami, desidera che lo sia. Se l’Italia desiderasse occupare subito Tripoli la Germania non farebbe alcuna difficoltà, ed anzi darebbe all’Italia il suo appoggio morale. Però, egli come amico dell’Italia non consiglierebbe mai di lanciarsi in una simile avventura. Quanto ad ottenere dal Sultano concessioni per l’Italia queste possono essere duplici. Alla concessione dell’amministrazione all’Italia dietro un annuo corrispettivo e mantenendo la sua sovranità nominale, il Sultano non acconsentirebbe mai se non vi fosse obbligato. Occorrerebbe perciò che l’Italia presentasse la sua domanda in forma comminatoria, e che questa avesse l’appoggio di tutte le potenze, come l’ebbe la domanda dell’Austria e della Russia per le riforme in Macedonia. Meno difficile ma sempre difficile, sarà per l’Italia ottenere concessioni di ordine meramente economico, come porti, industrie, bonifiche, etc. Tuttavia la Germania è pronta ad appoggiare seriamente qualunque domanda fosse fatta dall’Italia, ed anzi l’ambasciatore a Costantinopoli, Marschall, ha da lui l’ordine di mettersi l’accordo col nostro ambasciatore Imperiali ed appoggiarlo in tutto e per tutto come se si trattasse di interessi germanici.

Egli poi — concludeva — riceverà con premura qualunque comunicazione noi in seguito crederemo di fargli al riguardo.

Come V.E. vede, queste dichiarazioni basterebbero da sole a darle la autorizzazione di tenere al Cancelliere il linguaggio che qui le ho indicato.

Intrattenendosi giorni or sono un autorevole italiano che gode della di lui amicizia, il principe di Bülow lo assicurò nuovamente che il Governo germanico era disposto a favorire la penetrazione economica dell’Italia in Tripolitania. A V.E. lo ottenere che quelle dichiarazioni amichevoli assumano carattere ufficiale e lo scorgere se possa sperarsi che abbiano finalmente anche carattere pratico3.

483 3 Vedi D. 486. Per la risposta vedi D. 500.

484 1 Presumibilmente si fa riferimento al R. riservato 1810/664 del 23 settembre, non pubblicato.

484 2 Vedi serie terza, vol. IX, D. 296.

485

L’INCARICATO D’AFFARI A MADRID, RUSPOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1010/547. Madrid, 7 ottobre 1907 (perv. l’11).

A conferma del mio telegramma di iersera1, ho l’onore di informare V.E. che in conformità delle istruzioni dall’E.V. telegrafatemi li 5 corr.2, feci ieri presente a questo sig. ministro di Stato come nelle circostanze speciali il viaggio dei Reali di Spagna attraverso il territorio italiano in occasione della prossima visita delle Loro Maestà a Vienna, non avrebbe mancato di produrre in Italia cattiva impressione e avrebbe probabilmente dato luogo nella nostra stampa a commenti poco favorevoli ai Reali stessi e poco favorevoli alle buone relazioni fra i due paesi.

Il sig. Allendesalazar si mostrò sorpreso e mi disse non vedere come mai il passaggio dei suoi Sovrani per l’Italia potrebbe dar luogo a spiacevoli commenti. Feci osservare a S.E. che bisognava pur tener conto delle circostanze speciali in cui si effettuava il viaggio reale, e che il fatto di una coppia sovrana la quale recandosi a visitare altro Sovrano nell’attraversare il territorio del Regno mostrerebbe d’ignorare il Re d’Italia non poteva non risvegliare giuste suscettibilità. S.E. replicò subito che Re Alfonso non avrebbe ignorato il Re d’Italia e che S.M. Cattolica si proponeva entrando in Italia d’inviare un saluto a S.M. il Re. Risposi che mi permetteva osservargli che in una questione così delicata l’opinione pubblica, come l’E.V. nella sua alta conoscenza delle cose doveva riconoscere, non poteva essere distratta con un ripiego e che un messaggio reale per quanto cortese non sarebbe riuscito nell’intento, poiché fermo rimaneva il fatto che il Sovrano spagnuolo dal territorio italiano inviava un saluto al Re d’Italia che si asteneva dal visitare.

S.E. si mostrò alquanto imbarazzata; mi disse che era difficile allo stato delle cose trovare altra soluzione, non essendosi pensato ad una visita dei Reali di Spagna

485 1 Non pubblicato.

2 Vedi D. 482.

alla Corte italiana ed il tempo mancando per includerla ora nel programma del viaggio reale, tanto più che dagli ultimi telegrammi gli risultava che S.M. il Re si sarebbe trovato alle manovre navali all’epoca del passaggio delle Loro Maestà spagnuole.

Il sig. Allendesalazar nel far allusione alla visita ai nostri Sovrani come cosa che avrebbe potuto far parte del programma del viaggio reale, mi sembrò sincero, ma non mi parve si rendesse esatto conto nel momento della delicatezza della questione. Nessun accenno egli fece al luogo dove la visita avrebbe potuto effettuarsi.

S.E. mi chiese pure se io avessi una soluzione da proporre da parte dell’E.V.; risposi che le istruzioni ricevute si limitavano a fargli presente quanto avevogli esposto.

Il ministro soggiunse infine che l’itinerario reale non era ancor fissato in tutti i suoi particolari e che egli riservavasi di comunicare col suo Sovrano all’arrivo di S.M. questa sera in Madrid e che mi avrebbe fatto conoscere il risultato del suo colloquio.

Re Alfonso ha rinunciato alla progettata visita a Dresda e da Vienna andrà direttamente in Inghilterra via Monaco di Baviera.

484 3 Per la risposta vedi D. 515.

486

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. PERSONALE. Vienna, 7 ottobre 1907.

Nella visita fattami dal sig. Izvolskij, prima di lasciare definitivamente Vienna, egli m’intrattenne, oltre alle varie questioni intorno alle quali riferii all’E.V. col mio rapporto del 5 corrente n. 9471, anche dei convegni di Desio e del Semmering.

Rallegrandosi meco dell’effetto benefico da essi prodotto nei nostri rapporti coll’Austria-Ungheria, egli mi disse, nel prevenirmi che mi parlava in via strettamente personale, che dalle informazioni pervenutegli da Roma sembrava risultare come in quei convegni fossero stati presi relativamente alla Macedonia ed all’Albania accordi speciali o che l’E.V. avesse considerato, in tale occasione, col barone d’Aehrenthal le eventualità che fossero per prodursi in avvenire in quelle regioni. Era bensì vero che queste informazioni non corrispondevano a quanto il barone d’Aehrenthal avevagli comunicato al riguardo. Supponeva, quindi, che per parte della persona da cui erangli state trasmesse fosse occorso un qualche equivoco, che non aveva potuto chiarire per mezzo del proprio ambasciatore che era allora assente da Roma e dove era tornato da alcuni giorni. Doveva, però, constatare che il linguaggio tenuto circa i convegni suddetti da importanti giornali italiani non avrebbe potuto che confermare l’esattezza di quelle informazioni.

Risposi che, a quanto mi risultava, alcun accordo speciale circa la situazione presente della Macedonia e dell’Albania o circa le eventualità future che avrebbero potuto ivi prodursi non era intervenuto, tra l’E.V. ed il barone d’Aehrenthal sia a Desio che al Semmering.

La politica seguita dal R. Governo e dall’E.V. rispetto alla Macedonia aveva per scopo di cooperare colla Russia e l’Austria-Ungheria all’opera riformatrice ed a provvedere al mantenimento dello statu quo, coll’eliminare qualsiasi cosa che potesse intaccare l’integrità dell’Impero ottomano. La nostra linea di condotta, quindi, non aveva altri fini che quelli stessi cui mirava il programma di Mürzsteg concordato colla Russia, ciò che era stato, del resto, confermato nei convegni suddetti, che avevano fatto constatare come esistesse tra l’E.V. ed il barone d’Aehrenthal piena e perfetta concordanza di vedute intorno alle questioni balcaniche, cui riferivasi quel programma.

Per ciò che riguardava, poi, l’Albania, l’Italia e l’Austria-Ungheria, quali potenze più interessate, avevano già posto la loro situazione al sicuro col stipulare la nota intesa, la quale garentiva per entrambi i paesi lo statu quo e la tutela degli interessi reciproci nella misura della perfetta uguaglianza, né io aveva avuto sentore che il suo contenuto, il quale credeva gli fosse già noto, avesse subito qualche modificazione o si fosse cercato a dare all’intesa una maggiore estensione.

Le informazioni, quindi, trasmessegli da Roma non potevano essere che il risultato di un equivoco, di cui egli stesso aveva potuto convincersi in seguito ai suoi colloqui col barone d’Aehrenthal. Non mi sembrava, d’altra parte, che si dovesse prestar fede alle pubblicazioni dei giornali qualora esse non fossero state confermate da fonte autorevole e competente, alla quale dubitava le avesse attinte la persona che gliele aveva fornite.

Il sig. Izvolskij mi disse che conosceva il testo della intesa, del quale il Governo russo aveva avuto comunicazione per addietro dal Governo austro-ungarico, e, nel ringraziarmi delle spiegazioni dategli, aggiunse che la Russia era altresì interessata all’Albania, facendo essa parte della Penisola Balcanica.

Nel parlarmi, poi, delle disposizioni amichevoli, di cui il Governo russo era animato verso il R. Governo e del suo proposito di consolidare vieppiù i nostri reciproci rapporti, egli accennò incidentalmente alla mancata restituzione della visita a S.M. il Re per parte dello Czar, osservando che le condizioni interne in cui si trovava la Russia non permettevano di pensare per il momento a tale questione, ma sperava che col migliorarsi di quelle condizioni si avrebbe potuto considerarla in seguito e mi fece intendere come fosse suo sincero desiderio che la restituzione della visita potesse effettuarsi in tempo debito.

Credo dovere aggiungere che, due giorni prima che il sig. Izvolskij mi annunziasse la sua visita, il principe Ourousow avendomi parlato in una conversazione avuta con lui, in via del tutto personale, dei pretesi accordi che sarebbero stati presi nei convegni di Desio e del Semmering, io mi era espresso con esso nel senso stesso che col sig. Izvolskij, siccome ho qui sopra riferito.

Mi risulta, inoltre, che il sig. Izvolskij avrebbe pure accennato alla cosa in una intervista accordata al sig. Steed, facendogli conoscere che i dubbi che aveva avuto circa i risultati di quei convegni eransi ora intieramente dissipati.

486 1 Vedi D. 483.

487

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1568/630. Londra, 8 ottobre 1907 (perv. il 12).

Ho attentamente letto e studiato l’importante dispaccio di V.E. del 30 settembre u.s. (Uff. Col. ris.) n. 6901. Esso è certamente quello al quale, senza indicazione di data e di numero, allude l’altro dispaccio di V.E. in data del 2 corr. n. 6992. Rispondo in questo rapporto ad entrambi i dispacci, nonché al telegramma di V.E. del 4 corr.3, ricevuto ieri per posta.

Per ben determinare il linguaggio, che, in iscritto o a voce, io debba tenere con sir E. Grey, bisogna chiarire alcune circostanze di fatto.

Io credo che presentemente sarebbe vano, e per ciò stesso nocivo ai reciproci rapporti, qualunque nostro tentativo di fare abbandonare dall’Inghilterra il principio da essa formulato intorno alle sfere d’influenza, ma credo pure, in compenso, che l’art. 2 dell’ accordo 13 dicembre 1906, limiti la reciproca concorrenza non soltanto nelle rispettive zone, ma in tutta l’Etiopia, mirando a contemperare, conciliare ed armonizzare i rispettivi interessi. Senonché, anziché una discussione teorica sulla portata di questa limitazione, mi pare preferibile, come dice saggiamente anche V.E., insistere, caso per caso, per la retta interpretazione e la leale ed amichevole applicazione degli artt. 2 e 10 del citato accordo. Ma, come ho detto più volte, ciò può farsi in modo concreto, pratico e fruttuoso, se vi saranno iniziative industriali, agricole e commerciali italiane da sostenere in confronto ad iniziative analoghe francesi ed inglesi.

Per la Banca d’Abissinia, mi pare che convenga cercare di fare agire S.E. Cambon, sebbene io sia persuaso che nulla otterrà. Mi pare anche che dalla lettura del memorandum del 26 marzo, diretto da sir E. Grey al conte de Bosdari, si possa inferire che non convenga, nel parlare con sir E. Grey, addurre questo affare come esempio che l’Inghilterra non abbia applicato gli artt. 2 e 10 dell’accordo 13 dicembre 1906. L’Inghilterra non ha bisogno di contravvenire all’accordo stesso e di agire da sola nella questione della Banca, poiché, anche senza agire, è sicura della prevalenza dell’elemento inglese in quell’istituto di credito.

Ancora più evidente mi pare che l’Inghilterra non abbia agito contro lo spirito dei citati artt. 2 e 10 per la fabbrica d’armi e munizioni in Etiopia; ciò risulta chiaramente dal dispaccio di V.E. del 3 settembre u.s. n. 6252 e dalla nota ufficiale del Foreign Office, a me diretta in data di ieri, di cui con altro rapporto mando copia2.

Credo pure che, anche quando sir J. Harrington sarà traslocato, sia vano, nella presente situazione internazionale, parlare a sir E. Grey della nostra proposta per la spartizione dell’Abissinia in zone. Ci esporremmo ad un sicuro rifiuto.

2 Non pubblicato. 3 Vedi D. 478.

Lo stesso accadrebbe se, sempre nella presente situazione internazionale, parlassimo dell’Yemen. Fortunatamente, pare che si possa, per questa parte, aspettare senza inconvenienti, poiché, da un canto l’Inghilterra non inclina ad una politica di espansione, tanto che ha ritirato le sue truppe dallo hinterland di Aden, e, dall’altro canto, si hanno buone notizie delle trattative di componimento tra il Sultano e l’Imam Iahia. I lavori, poi, della ferrovia dello Hedjaz procedono con relativa rapidità; questa ferrovia rafforzerà l’autorità della Turchia anche nell’Yemen.

Finora nessuna allusione mi è stata fatta né da sir E. Grey, né da sir C. Hardinge né da altri al desiderio del nostro aiuto per regolare la questione dei confini tra l’Inghilterra e Menelik. Quanto al negoziato di Roma del 1903, è bene ricordare, per non farsi troppe illusioni sulla portata di esso, che sir Rennel Rodd è stato sconfessato dal suo Governo, che non pare che egli goda qui di molta autorità e che la sua destinazione a Stoccolma è considerata come una prova che egli non è tenuto in grandissimo conto dal suo Governo. Credo che non mi sarà impossibile ottenere da sir E. Grey il consenso all’invio di istruzioni identiche ai rappresentanti delle tre potenze in Addis Abeba affinché si tengano reciprocamente informati ed agiscano concordi in conformità dell’accordo 13 dicembe 1906, ma, data l’indole di lui, sarebbe preferibile non chiedergli ciò in temini generali, ma sottoporgli uno schema di istruzioni redatto in tutti i suoi particolari. Siccome l’Ufficio Coloniale possiede dati maggiori che quelli di cui io posso disporre qui, sarebbe bene che siffatto schema venisse redatto costì. Il lieve ritardo non ha inconvenienti, perché sir E. Grey è assente e non tornerà, a quanto pare, molto presto, se non forse per qualche giorno o per qualche ora, per gli affari più urgenti. Credo poi, per ragioni troppo lunghe a spiegare, più utile parlarne con lui che non con sir C. Hardinge.

Per quanto poi riguarda l’azione del rappresentante della Francia in Addis Abeba, i punti, sui quali V.E. chiama la mia attenzione, sono tre, cioè giurisdizione sugli europei, traffico delle armi e ferrovia. Quest’ultimo si divide in due questioni principali, cioè il 10% ed il carattere governativo che, secondo il nostro incaricato d’affari in Abissinia, si vorrebbe far prendere alla ferrovia Gibuti-Addis Abeba.

Nello scopo di intrattenerlo di tutti questi argomenti, mi sono ieri recato dal sig. Cambon, col quale ho avuto un lungo e cordiale colloquio.

Il sig. Cambon mi ha detto (e non si può negare che egli abbia in questo ragione) che tra i pochi europei che abitano Addis Abeba, è facile che sorgano malintesi e potins, ai quali non si deve dare esagerata importanza. Egli non crede possibile che il sig. Klobukowski abbia tenuto, rispetto al traffico delle armi, il linguaggio che gli viene attribuito, ma cercherà di venire in chiaro di questo, e dell’altro malinteso, che, a suo avviso, deve essersi prodotto rispetto alla giurisdizione consolare. Gli pare impossibile che Klobukowski l’abbia chiesta a Menelik e ancora più inverosimile che questi la accordi: se l’accordasse, sarebbe pur sempre un errore perché offenderebbe l’amor proprio della nazione abissina. La soluzione, preferita da noi e dall’Inghilterra, cioè di magistrati europei nominati e pagati da Menelik, pare al sig. Cambon l’unica ragionevole, e in questo senso scriverà al suo Governo, ragguagliandolo del nostro colloquio.

In quanto alla ferrovia, il sig. Cambon nega assolutamente che si tratti di toglierle il carattere di impresa privata. Si tratta solo di sostituire una nuova compagnia all’attuale, il che, a suo avviso, non riguarda le altre due potenze firmatarie

dell’accordo del 13 dicembre 1906, ma solo la Francia e Menelik. In quanto al 10%, se si tratta di dazio o sopratassa doganale, pel sig. Cambon è fuori dubbio che occorre il consenso dell’Inghilterra e dell’Italia e tale è anche l’avviso del sig. Klobukowski, che glielo disse esplicitamente prima di partire per l’Abissinia, anzi non avrebbe voluto partire se prima non si fossero iniziate le relative pratiche presso i Governi britannico ed italiano.

Se, in quella vece, si tratta di aumento di tariffa ferroviaria, il sig. Cambon crede che ciò non riguardi le altre due potenze, ma solo la Francia, o meglio la società esercente, e Menelik. Non ho mancato di esporgli le ragioni per le quali questa sua opinione non mi pare fondata. Ciononostante, egli crede che, se il Klobukowski non ne ha parlato agli incaricati d’affari d’Italia e di Inghiltera, ciò sia avvenuto, non già per alcuna arrière-pensée politica, ma solo perché egli, uomo di età avanzata, non avrà creduto opportuno di aprirsi con due giovani, in un ambiente di potins e di intrighi come Addis Abeba, dovendosi le trattative condurre con molto riserbo in mezzo ad interessati, ad affaristi e ad individui di ogni sorta, agglomerati nel ristretto ambiente europeo d’una itta [sic] abissina.

Egli scriverà senza indugio al suo Governo, ma non crede utile telegrafare al sig. Klobukowski, perché la necessaria concisione di un telegramma e la maggiore importanza che a questo si attribuisce, potrebbero produrre effetto opposto al comune desiderio che i rapporti tra i tre rappresentanti delle potenze firmatarie dell’accordo di Londra siano interamente cordiali.

Avendogli io parlato dell’opportunità di istruzioni identiche, di cui qui, tra lui, sir E. Grey e me, si potrebbe concordare la forma, il sig. Cambon, senza essere contrario, si è mostrato alquanto scettico sugli effetti pratici d’istruzioni inevitabilmente generali e vaghe4.

487 1 Vedi D. 467.

488

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 1916/700. Therapia, 8 ottobre 1907 (perv. il 15).

Nel colloquio che io ebbi ieri col gran vizir, dissi a Sua Altezza, a mente delle istruzioni impartitemi col telegramma n. 16741, che i rr. rappresentanti in Atene, Belgrado e Sofia, erano stati autorizzati ad appoggiare la recente comunicazione austrorussa, concernente l’interpretazione dell’articolo 3 del programma di Mürzsteg. Espressi la fiducia che, nella decisione presa dalle due potenze dell’Entente, in piena

488 1 Del 3 ottobre: istruzioni di svolgere un passo analogo a quello austro-russo presso il Governo

ottomano, esprimendo fiducia in energici provvedimenti contro le bande macedoni.

conformità di vedute con le altre, la Sublime Porta avrebbe ravvisato una nuova testimonianza dello spirito di assoluta imparzialità dal quale sono animate le potenze stesse nella questione macedone e ne avrebbe tratto valevole argomento per secondare cordialmente ed alacremente l’azione riformatrice.

In base ai recenti rapporti dei rr. consoli in Salonicco, Uscub e Monastir, osservai che, in questi ultimi tempi, la lodevole attività dimostrata dal Governo imperiale nel perseguitare e distruggere le bande rivoluzionarie bulgare, serbe e greche, sembra sia andata alquanto rilasciandosi. Il Governo imperiale, dissi, agirebbe contro il suo interesse non procedendo nella retta via in cui si era incamminato, nello intento di ristabilire sul serio l’ordine pubblico nei tre vilayet. Il reprimere i disordini, il combattere l’azione crudele delle bande costituisce per il Governo un diritto ed un dovere che non gli è mai stato contestato dalle potenze, le quali, per contro, non hanno mai cessato e non cessano di esortarlo a provvedervi con la massima energia. L’azione del Governo imperiale, però, — e su questo punto insistei in modo speciale — deve essere ispirata da un criterio di imparzialità, di giustizia e di umanità. Si puniscano pure nel modo più severo i colpevoli, ma si prendano in pari tempo le più rigide misure per impedire quegli atti di crudeltà che hanno, in passato, sollevato l’indignazione del mondo civile, con discapito e pregiudizio incontestabile del prestigio del Governo ottomano.

Replicò il gran vizir che la repressione dei moti rivoluzionari in Macedonia sta sempre a cuore al Governo, e che esso vi attende con la massima alacrità. Per quanto concerne le bande greche, rilevò Sua Altezza che in questi ultimi tempi l’attività loro è andata diminuendo, mentre egli ha, d’altro canto, buoni motivi di paventare un risveglio ed una maggiore intensificazione dell’azione rivoluzionaria bulgara, incoraggiata dal Governo principesco.

Risposi che di questa ripresa di agitazione bulgara, finora non avevo avuto alcun sentore. Ciò non impedisce che, quando essa si verificasse sul serio, nessuno farebbe un addebito al Governo imperiale, se prendesse tutte le misure necessarie per annientarla. Le potenze in generale, e l’Italia in particolare, non hanno né simpatie, né antipatie preconcette. Tutto quello che si desidera si è di vedere ristabilito l’ordine e la tranquillità nei tre vilayet. Ed a tale criterio s’ispira appunto il monito che l’Austria-Ungheria e la Russia, consenzienti le altre potenze, hanno testé diretto ai tre Stati balcanici.

Pur riconoscendo ed apprezzando le buone intenzioni dei Gabinetti, Ferid pascià non mi dissimulò che nei risultati pratici della comunicazione anzidetta egli ripone una fiducia assai scarsa. La nota austro-russa è sembrata a lui un documento lungo, prolisso, avente carattere di amichevole consiglio anziché di imperioso avvertimento. Comunque, conchiuse Sua Altezza, l’avvenire dimostrerà se il suo scetticismo è o pur no giustificato.

L’impressione ricevuta dal gran vizir dalla nota austro-russa è, fino ad un certo punto, conforme a quella dello stesso ambasciatore di Russia.

A titolo di confidenza amichevole e strettamente personale, il sig. Zinovieff mi diceva, avanti ieri, che il documento e per la forma e per la sostanza, gli è piaciuto poco. Egli trova sopratutto che sarebbe stato preferibile di non fare alcuna menzione del famoso articolo 3 del programma di Mürzsteg, articolo inserito a sua insaputa, da lui, a suo tempo, vivamente deplorato e che sarebbe di fatto caduto nell’oblìo, senza

bisogno di nuovi commenti, illustrazioni, e spiegazioni. Aggiunse il mio collega che, consultato dal suo Governo, egli aveva espresso un parere recisamente contrario ad ogni ulteriore menzione di quella improvvida disposizione. Il parere suo era, in massima, diviso anche dal sig. Izvolskij, che ha creduto però dovere cedere dinanzi all’insistenza del ministro degli affari esteri austro-ungarico, del quale, aggiunse Sua Eccellenza, «non possiamo poi stare a combattere sistematicamente ogni proposta, per quanto, in questi ultimi tempi, il barone Aehrenthal abbia mostrato, in varie occasioni, di non avere sempre vedute chiare e pratiche». In definitiva la recente nota austro-russa appare agli occhi del sig. Zinovieff destinata a lasciare più o meno il tempo che trova.

Non è il caso per me di stare qui ad esaminare e discutere se gli apprezzamenti manifestatimi dall’ambasciatore di Russia, ripeto, in via eccessivamente confidenziale, e per mia esclusiva informazione, sieno o pur no giustificati. Mi limito quindi a riferirli senza commenti. Credo solo di dover sottoporre all’E.V. una osservazione suggeritami dalla lettura della nota e sopratutto dei comunicati ufficiosi pubblicati dopo il recente convegno di Vienna. Potrò ingannarmi, ma a me sembra che nello insistere tanto, spintovi anche verosimilmente dalle insistenze inglesi, sulla necessità del solenne monito agli Stati balcanici, il Governo imperiale e reale se si è fino ad un certo punto preoccupato dell’ordine e della tranquillità in Macedonia, ha, sopratutto, mirato a cogliere il destro per affermare novellamente che, al postutto, sono sempre le due potenze dell’Entente quelle che, nella questione macedone, hanno avuto ab initio, ed intendono conservare una posizione preminente, dirigente e preponderante.

E, sotto questo aspetto, il convegno Aehrenthal-Izvolskij parmi abbia un significato di cui l’importanza non può sfuggire.

487 4 Per la risposta vedi D. 507.

489

I DELEGATI ALLA CONFERENZA DELL’AJA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 135/110. L’Aja, 9 ottobre 1907 (perv. il 12).

Nella sua seduta del 7 corrente, la prima commissione della Conferenza ha compiuto la revisione dell’ultimo titolo della Convenzione del 1899 relativa al regolamento pacifico dei conflitti internazionali.

Gli articoli 59 e 60 di quell’atto internazionale riguardavano la questione dell’adesione al medesimo. Si era tenuto conto in essi di due situazioni fra di loro distinte: quella degli Stati rappresentati alla Conferenza i quali non avessero firmato prima della scadenza del termine prefisso la Convenzione, e quella degli Stati che, pur non essendo stati rappresentati alla Conferenza, volessero fare adesione alla Convenzione medesima. L’art. 59 regolava il primo caso. L’adesione era di diritto per gli Stati che erano stati rappresentati alla Conferenza. A tal fine essi doveano fare una comunicazione scritta al ministro degli affari esteri dei Paesi Bassi e questi avea incarico di

darne comunicazione a tutti gli Stati contraenti. Per gli Stati invece che non erano stati rappresentati alla Conferenza, l’art. 60 della Convenzione statuiva che le condizioni alle quali essi potrebbero aderire, formerebbero l’oggetto di un’intesa ulteriore fra le potenze contraenti.

In questa questione delle adesioni si inchiudeva, come ognuno sa, quella della eventuale adesione della Santa Sede. Fra le varie proposte che erano state presentate nel Comitato di redazione e che sono riferite nel rapporto alla Conferenza annesso al processo verbale del 25 luglio 1899 n. 7, una sola avea ottenuto l’unanimità dei suffragi: quella cioè di rinviare la questione all’intesa ulteriore dei Governi.

Stavano così le cose, quando, nell’aprile di quest’anno, con uno scambio di note fatto a Roma fra l’E.V. ed il ministro dei Paesi Bassi, fu convenuto che gli Stati non rappresentati alla prima conferenza, ma convocati per prendere parte alla seconda, se avessero notificata la loro adesione alla Convenzione del 1899, sarebbero subito considerati come aderenti alla medesima. Un protocollo firmato da noi all’Aja il 14 giugno ultimo, ha dato esecuzione all’intesa per tal guisa stabilita. Non si prese in questa occasione un provvedimento di massima applicabile in ogni altra futura circostanza. La questione dell’adesione degli Stati che non erano stati rappresentati nella Conferenza del 1899 rimase insoluta, come prima anche dopo la firma del protocollo del 14 giugno di quest’anno perché con esso si era provveduto per un solo caso specificato.

Nella questione delle adesioni non si era affacciata soltanto l’ipotesi dell’entrata della Santa Sede nella Conferenza per questa porta se essa non fosse stata ben chiusa. Da parte di alcune Delegazioni si era impegnata la discussione se, atteso il carattere ed i fini speciali della Convenzione di cui trattavasi, questa non dovesse rimanere aperta a tutti i paesi del mondo. Sovra questo terreno la questione avrebbe potuto riaprirsi anche quest’anno ed, a parare a tale pericolo, ci siamo in tempo opportuno adoperati con il mezzo di private, amichevoli comunicazioni con coloro dai quali poteva maggiormente dipendere che nella revisione della Convenzione del 1899 non si alterasse il testo degli art. 59 e 60 della medesima.

Questo intento è conseguito. I due articoli passano nella Convenzione riveduta ed accresciuta di quest’anno con una diversa numerazione ma senza subire alcuna variazione.

La prima commissione li adottò nel loro testo antico sotto i numeri 92 e 93 e continuarono a far parte delle disposizioni finali. La numerazione è ancora provvisoria.

Durante i lunghi mesi dacché la Conferenza è riunita, non ci risultò che qui si facessero pratiche da parte o nell’interesse della Santa Sede per entrare nella Conferenza. Il rappresentante della nunziatura pontificia, mons. Giovannini, era presente all’Aja quando nelle feste di Corte la Regina ricevette simultaneamente i delegati alla Conferenza ed il Corpo diplomatico accreditato presso la Maestà Sua. Egli è intervenuto a quelle feste. Nessun incidente è venuto a mettere in rilievo il fatto che, mentre tutti gli altri rappresentanti esteri formanti il Corpo diplomatico qui accreditato, appartenevano a paesi rappresentati nella Conferenza, il solo rappresentante della Santa Sede non si trovava in tale condizione.

Ormai, dopo questa seconda Conferenza, la consuetudine si è stabilita nel senso da noi voluto e sarebbe veramente desiderabile che la questione della Santa Sede nella Conferenza non fosse più agitata in Italia acciocché più rapidamente e per effetto naturale delle cose la consuetudine si tramuti in prescrizione.

490

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A PARIGI, ALIOTTI

DISP. CONFIDENZIALE 54695/1213. Roma, 10 ottobre 1907.

In via del tutto confidenziale comunico alla S.V. copia di un dispaccio da me diretto il 30 settembre scorso n. 690 al r. ambasciatore a Londra sull’azione coloniale dell’Italia dopo l’accordo italo-franco-britannico del 13 dicembre 19061. A quel dispaccio ne va annesso un altro del 10 settembre scorso n. 5732 diretto al governatore dell’Eritrea e nel quale è tracciato nelle sue grandi linee il programma che il Governo del Re intenderebbe attuare per rendere praticamente utile l’accordo di Londra.

Lo scopo di questa mia comunicazione è chiaramente indicato nel dispaccio a Londra del 30 settembre scorso e riguarda l’azione dei rappresentanti delle tre potenze e specialmente di quello della Repubblica a Addis Abeba. Le informazioni, le considerazioni e le proposte che ad altri punti si riferiscono, sopratutto per quanto si riferisce alla nostra proposta di una ripartizione di zone in Etiopia, sono comunicate alla S.V. per sua esclusiva notizia e debbono rimanere segrete.

Scopo precipuo dell’accordo del 13 dicembre è stato quello di sostituire all’azione isolata di ciascuna delle tre potenze che potesse sembrare a danno dell’una o dell’altra o di tutte e due le altre, una reciproca guarentigia tra di esse pel presente e pel l’avvenire, mediante azione concorde che salvaguardasse gli interessi di ciascuna in Etiopia nei riguardi dei possedimenti contigui all’Abissinia e gli interessi comuni di fronte a Menelik. Uno dei pericoli dell’accordo era appunto quello di scoprirsi di fronte a Menelik destando il sospetto che si volesse procedere quandochessia ad una spartizione di territori tra le tre potenze; e a questo pericolo appunto si cercò di ovviare costituendo con l’accordo una triplice africana delle potenze suddette per mantenere la integrità dell’Etiopia e da opporre costantemente, in tutte le questioni grandi e piccole, a Menelik. Gli articoli 1, 2, 3, 4 e 10 dell’accordo contengono chiare, esplicite, recise disposizioni al riguardo che acquistano efficacia con l’obbligo di un’azione concorde.

Finora, debbo dirlo senza esitazioni, l’accordo ha, da questo punto di vista, mancato completamente al suo scopo, poiché né il rappresentante britannico e sopratutto il rappresentante francese si sono conformati alle chiare stipulazioni dell’accordo, forse, perché non hanno avuto le istruzioni necessarie dai rispettivi Governi. Secondo le informazioni che abbiamo da Addis Abeba confermate dai fatti, il ministro di Francia colà, pur mantenendosi col nostro rappresentante nelle migliori relazioni personali ha iniziato e continuato un’azione personale riservata presso Menelik contrariamente a quanto prescrive l’accordo del 13 dicembre.

2 Non pubblicato, ma vedi D. 467, nota 3.

Come risulta dai due telegrammi del capitano Colli n. 1794 e 19363 che le comunico in via riservata, nella questione generale della ferrovia Gibuti-HarrarAddis Abeba, in quella speciale della imposizione del 10% sulle merci transitanti sulla ferrovia stessa, nella questione della giurisdizione sugli europei residenti in Etiopia, e, in parte anche nella questione della cessazione del traffico delle armi e delle munizioni, il ministro di Francia in Etiopia ha agito per conto suo, isolatamente presso Menelik non solo senza il concorso dei suoi colleghi, ma anche senza consultarli, almeno per quanto riguarda il nostro rappresentante.

Questo procedimento è dannosissimo e pericoloso, poiché mentre toglie ogni valore e ogni efficacia all’accordo delle tre potenze sia tra di loro, sia innanzi a Menelik, che finirà per convincersi che avrà sempre innanzi a sé o l’una o l’altra delle tre potenze isolatamente, può produrre conseguenze disastrose, se una di esse, in un caso speciale, per difendere i suoi interessi lesi per quanto fosse stato concordato isolatamente con Menelik da un’altra delle potenze stesse, dovesse opporsi all’attuazione di un provvedimento ottenuto in opposizione alle solenni stipulazioni di Londra del 13 dicembre scorso.

Per evitare questi pericoli è necessario conformarsi a quelle stipulazioni dando chiare, precise, categoriche istruzioni ai tre rappresentanti in Etiopia non solo di tenersi reciprocamente completamente informati, ma di agire d’accordo su tutte le questioni facendo una politica bianca e di non far nulla, senza prima informare i colleghi rappresentanti le potenze firmatarie. In caso di disaccordo, la decisione dovrà essere deferita ai Governi centrali, sospendendo ogni azione e evitando, in modo assoluto, di portare innanzi al Negus il dissidio che fosse sorto fra i rappresentanti che devono essere o almeno apparire sempre concordi innanzi a Menelik.

Uno schema di istruzioni identiche in questo senso dovrebbe essere sollecitamente formulato pei rappresentanti delle tre potenze.

Quanto al preciso tenore di dette istruzioni, è opportuno che secondo il modus procedendi finora seguito, esse siano formulate a Londra d’accordo tra sir E. Grey, il r. ambasciatore e il sig. Cambon, al quale dovrebbero essere impartite opportune istruzioni da codesto Governo.

Io, qui, mi affretto a dare istruzione alla S.V. di dichiarare costà che l’azione del rappresentante francese a Addis Abeba essendo stata finora personale e riservata, in aperta violazione dell’accordo del 13 dicembre, come ne è prova l’atteggiamento suo sulle questioni di reciproco interesse della ferrovia, della giurisdizione degli europei in Etiopia, e, in una certa misura, anche nella questione delle armi, noi dobbiamo riservarci libertà di azione per le questioni suaccennate e in attesa che dette istruzioni identiche siano formulate per conservare il presente e salvaguardare l’avvenire e chiedere che il sig. Klobukowski sia richiamato all’osservanza dell’accordo e gli sia data istruzione di sospendere la sua azione fino a che non sia intervenuto l’accordo tra i tre Governi centrali. Le confermo qui il mio telegramma del 4 corrente4.

La prego di accusarmi ricevimento del presente dispaccio5.

4 Vedi D. 479. 5 Per la risposta vedi D. 498.

490 1 Vedi D. 467.

490 3 Rispettivamente del 6 e del 27 settembre, non pubblicati.

491

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’ AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

DISP. RISERVATO 54696/123. Roma, 10 ottobre 1907.

Con riferimento ai suoi telegrammi del 6, 21 (n. 111) e 26 (n. 113)1 e 30 (114)2 settembre scorso relativi alla situazione politica in Etiopia e all’azione del suo collega di Francia dopo l’accordo del 13 dicembre, credo opportuno inviare in copia alla S.V. un dispaccio che in data del 10 settembre scorso n. 5733, ho inviato al governatore della Eritrea, e in estratto un altro dispaccio che in data del 30 settembre ho inviato al r. ambasciatore a Londra4 sull’azione coloniale da svolgersi dall’Italia dopo il detto accordo, e sulle istruzioni da me impartite alle rr. ambasciate a Londra e a Parigi per ottenere l’azione concorde dei tre rappresentanti in Addis Abeba.

Prego la S.V. di voler attentamente esaminare le cose dette nel dispaccio del 10 settembre scorso al marchese Salvago e di farmi conoscere liberamente le sue idee al riguardo, e comunicarmi concrete proposte.

La prego inoltre di conformare la sua azione costà alle direttive di massima contenute nel mio dispaccio al r. ambasciatore a Londra del 30 settembre scorso, facendo presente ai suoi colleghi di Francia e Inghilterra la convenienza e la necessità di chiedere al proprio Governo, se ancora non le hanno, istruzioni chiare e precise che mettano in armonia con le stipulazioni dell’accordo del 13 dicembre l’azione dei tre rappresentanti costà, dando intanto la S.V. il buon esempio di uniformarsi alle clausole dell’accordo stesso nei casi che si presentassero. Senza l’azione concorde dei rappresentanti italiano, francese ed inglese costà, si rende non solo inefficace ma dannoso l’accordo, che diventa cagione di dissidio fra le potenze, e suscita l’azione di esse presso Menelik scoprendo l’una a danno dell’altra, e mancando allo scopo precipuo che si è voluto raggiungere con l’accordo di presentare e d’osservare sempre una triplice concorde azione nelle grandi e nelle piccole questioni che interessano l’Etiopia.

Finora nonostante l’accordo del 13 dicembre, l’azione dei tre rappresentanti, tranne, e solo in una certa misura, nelle questioni delle armi, è stata slegata e naturalmente poco efficace.

L’Inghilterra e sopratutto la Francia hanno agito per conto proprio: la prima nella questione della Banca di Etiopia, la seconda nelle questioni relative alla ferrovia e alla giurisdizione degli europei.

Essendo necessario porre un termine a questo stato di cose pieno di pericoli e di sorprese, ho appunto iniziato a Londra e a Parigi un’azione che proseguirà alacremente per ottenere che, in conformità alle stipulazioni di Londra, siano date istruzioni identiche ai tre rappresentanti in Etiopia per un’azione profondamente concorde.

2 Vedi D. 466. 3 Non pubblicato, ma vedi D. 467, nota 3. 4 Vedi D. 467.

Le confermo intanto il mio telegramma del 4 corrente5. Prima di chiudere questo dispaccio, fermo l’attenzione di lei sul rapporto da Londra del 24 gennaio 1907 n. 526 annesso V al mio dispaccio del 10 settembre scorso al governatore della Eritrea, relativo alle tre concessioni Mylius, Rubber, Rainproof, e la prego di farmi conoscere con tutti i possibili particolari che cosa i concessionari abbiano finora fatto, se siano in regola con le condizioni imposte da Menelik, se ella condivida la opinione di Harrington che nulla di serio possano fare i concessionari; e se ella crede che la Società coloniale possa sostituirsi a qualcuno di questi concessionari per quanto riguarda il caucciù7.

491 1 TT. 1794, 1905/111, 1936/113, non pubblicati.

492

L’INCARICATO D’AFFARI AD ATENE, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 980/329. Atene, 10 ottobre 1907 (perv. il 16).

Come ebbi l’onore di telegrafare a V.E. il 7 corrente1, ho, conformemente alle istruzioni datemi coi telegrammi 1677 e 1693 dei 3 e 5 corrente2, appoggiato presso questo ministro degli affari esteri il passo collettivo eseguito il 30 settembre u.s. da questi rappresentanti d’Austria-Ungheria e di Russia, circa l’interpretazione da darsi all’art. 3 del programma di Mürzsteg. Alla notifica dell’appoggio ho fatto, senza interrompermi, seguire la dichiarazione che, riferendomi al linguaggio precedentemente tenuto, ai consigli amichevoli tante volte dati al Governo ellenico ed alle promesse da questi ripetutamente fatte, esprimeva la fiducia che il Governo d’Atene saprà rendersi esattamente conto dei suoi doveri e della sua responsabilità di fronte alla presente situazione della Macedonia. Il ministro degli affari esteri ha preso nota per iscritto dei precisi termini della mia dichiarazione e mi ha replicato che, se il Governo ellenico crederà opportuno di rispondere alle comunicazioni delle potenze, mi parteciperà il tenore della risposta.

Alle comunicazioni ufficiali seguì, quindi, una conversazione privata durante la quale il sig. Skouzes rilevò che dalla fine di luglio in poi nessuna banda aveva più oltrepassato il confine greco-turco, provando così l’efficacità delle misure di frontiera prese dal Governo d’Atene: rilevò pure che l’attività della propaganda greco-macedone era da allora molto diminuita e che, al contrario, quella bulgara, approfittando dell’inazione greco-macedone aveva violentemente aumentato, come lo dimostravano i recenti misfatti da quelle bande commessi nei vilayet di Monastir e di Salonicco.

6 Non pubblicato. 7 Per il seguito vedi D. 496.

2 Non pubblicati.

Questa maggiore attività — egli dicevami — era, del resto, comprovata dalla circostanza che il Governo britannico aveva creduto opportuno di fare, poco tempo fa, rimostranze a proposito al Governo di Sofia; e non era negata da alcuni rappresentanti esteri in Atene. Ne concluse che, data la situazione che esiste dalla fine dello scorso luglio, sarebbe una vera iniquità da parte delle potenze l’avere anche questa volta aggravata l’azione loro sul Gabinetto d’Atene che più volte aveva dato assicurazioni di voler cooperare colle potenze alla pacificazione della Macedonia e che negli ultimi mesi aveva dato nuove manifeste prove di queste sue intenzioni.

La dichiarazione verbale che questi incaricati d’affari di Austria-Ungheria e di Russia fecero seguire alla comunicazione della nota dei loro Governi, il cui testo ebbi confidenzialmente da quest’incaricato d’affari d’Austria-Ungheria ed inviai col telegramma n. 433, ma qui, ad ogni buon fine, ripeto: «Le Gouvernement hellénique s’exposerait à des conséquences très graves s’il ne s’appliquait pas à suivre les conseils désintéressés et à seconder les efforts continus des deux Cabinets pour l’oeuvre de la paix en Macédoine», era stata tenuta segreta. Era solo trasparito il timore di questo Governo che non fossevi stata identità nei passi compiuti dai rappresentanti delle due potenze in Atene, Sofia e Belgrado, ma che si fosse agito più severamente qui che nelle altre due capitali. Questo timore, dalla conversazione avuta stamane con S.E. il sig. Skouzes, risulta già divenuto certezza per quanto riguarda Sofia, e tuttora sussiste per Belgrado.

Questa diversità di azione — l’appoggio dato, per ordine dei loro Governi, al passo austro-ungarico, dalla r. legazione, da quella d’Inghilterra, ed ultimamente da quella di Francia, quella britannica ripetendo la dichiarazione verbale austro-russa; la r. legazione esprimendosi in termini più generali, è vero, ma pur sempre energici — hanno qui assai impressionato ed assai contrariato. Ciò che contrariò è il vedere che, a malgrado della migliorata situazione che dal luglio ad oggi v’è nell’azione delle bande e dei comitati greco-macedoni, la Grecia è trattata oggi dalle potenze con maggior rigore che altri Stati balcanici e specialmente della sua rivale, la Bulgaria. Non può dunque meravigliare il fatto che, mentre a Sofia ed a Belgrado, circoli ufficiali e stampa si esprimono in senso favorevole per la recente azione delle potenze, qui nelle sfere ufficiali si fanno vive lagnanze; nella stampa si grida alla parzialità e si minaccia la ripresa dell’azione delle bande se l’Europa non saprà far cessare i misfatti delle bande bulgare: da tutti apertamente si dice che la pace in Macedonia non potrà aversi che il giorno in cui, con un’azione imparziale, tutte le bande di qualsiasi nazionalità saran disciolte o soppresse.

491 5 Vedi D. 477.

492 1 T. 2014/46, non pubblicato.

492 3 T. 1996/43 del 4 ottobre, non pubblicato.

493

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE1. Vienna, 11 ottobre 1907, ore 12,30 (perv. ore 14).

Il giorno in cui mi pervenne telegramma riservato V.E. 4 corrente2 intrattenni del suo contenuto via personale e confidenziale barone d’Aehrenthal che mi pregò rimettergli notizie al riguardo che mi affrettai fargli pervenire aggiungendomi che desiderava riflettere sulla cosa e mi avrebbe quindi fatto conoscere per lettera sua decisione. Barone d’Aehrenthal mi ha scritto oggi non aver obiezioni a che V.E. dichiari Parlamento italiano che nel convegno Semmering egli la informò confidenzialmente della recente intenzione fare d’accordo con Gabinetto di Pietroburgo passi che Austria-Ungheria e Russia hanno compiuto presso gli Stati balcanici circa interpretazione articolo terzo del programma di Mürzsteg. Una nostra dichiarazione simile sarebbe del resto conforme ai fatti. Ma barone di Aehrenthal non potrebbe acconsentire a che V.E. affermi aver dato sua adesione anticipata a quel passo perché ciò potrebbe far supporre che egli avesse voluto conferire, entrer en pourparlers coll’Italia, prima effettuare passi e prima averne informato altri Gabinetti: ciò non sarebbe esatto. Barone d’Aehrenthal aggiunse che d’altra parte Gabinetti di Vienna e Pietroburgo hanno avuto sempre in vista associare Italia e altre potenze anche a questo passo, domandando loro di appoggiare l’azione.

494

L’INCARICATO D’AFFARI A PARIGI, ALIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 2701/1102. Parigi, 11 ottobre 1907 (perv. il 16).

Ho l’onore di rispondere al telegramma riservato in data del 4 ottobre1, il cui testo mi è pervenuto colla posta il 7 corrente.

Oggi soltanto ho potuto vedere S.E. il sig. Pichon, ritornato ieri da un viaggio politico nel Giura.

2 Vedi D. 476.

Prima ancora di avvicinare il ministro degli affari esteri, mi ero informato intorno agli affari d’Abissinia ed al sig. Klobukowski, presso la Direzione degli affari politici, dal sotto-direttore sig. Solange-Bodin. Questi mi dichiarò non risultargli in nessun modo che il sig. Klobukowski avesse concluso o deciso le questioni della ferrovia, della giurisdizione consolare o del commercio delle armi, o che si fosse messo in opposizione coi colleghi. Gli feci notare che al Governo italiano importa sia data una retta interpretazione ed una leale applicazione all’art. 10 della Convenzione di Londra e che gli preme impedire malintesi fra i tre rappresentanti di Addis Abeba ed intrighi di Menelik, tendenti a togliere l’efficacia della Convenzione, a lui non certamente molto gradita. Accennai alla mia impressione che il sig. Klobukowski aveva probabilmente assunto un atteggiamento non forse corretto, sia per troppo zelo, sia per inesperienza, sia tratto in errore da intrighi di Menelik. Il sig. Solange-Bodin prese nota delle mie osservazioni e dietro mia preghiera mi promise di avvisare il sig. Pichon della mia intenzione di intrattenerlo sull’argomento, non appena questi fosse ritornato a Parigi.

Al sig. Pichon consegnai il qui unito aide-mémoire (allegato 1) nel quale sono esposti il punto di vista, le riserve ed i desideri del R. Governo. Non vi ho fatto menzione dei fatti specifici allegati nel telegramma di V.E., poiché essi possono dar luogo a contestazioni e discussioni delicate e superflue. I fatti che costituiscono la dimostrazione di quanto asserisce il R. Governo intorno all’atteggiamento del sig. Klobukowski, sono invece contenuti nel foglio pure unito (allegato 2)2, di cui diedi lettura al ministro, senza rilasciarne copia.

Il sig. Pichon si mostrò molto sorpreso delle asserzioni categoriche prodotte intorno al modo con cui il ministro di Francia in Addis Abeba tratterebbe e concluderebbe affari di comune interesse, senza consultare i suoi colleghi, ostentando un isolamento ed una libertà d’azione contrari all’art. 10 della Convenzione. Quando gli lessi la parte che concerne la ferrovia, egli mi interruppe dicendo che non si era giunti a nessuna conclusione, che il sig. Klobukowski aveva sottoposto all’esame ed all’approvazione del Governo varie soluzioni, ma che il Ministero delle colonie, nonostante ripetuti solleciti, non aveva ancora dato il suo parere: quando, egli dichiarò chiaramente, si adotterà una soluzione, il ministro di Francia in Addis Abeba, non mancherà di discorrerne con i suoi colleghi e di consultarli. In quanto alla giurisdizione consolare, notò che nulla è stato tuttora deciso. Non insistetti sull’esattezza e la natura degli appunti che si vogliono fare sull’atteggiamento del sig. Klobukowski, feci però rilevare l’interesse per le tre potenze d’impedire disaccordi ed intrighi che tolgono ogni pratica utilità all’art. 10 dell’accordo. Il sig. Pichon recisamente dichiarò che non solo non erano state date al sig. Klobukowski istruzioni le quali possano avere ispirato una sua eventuale condotta manifestamente contraria alla Convenzione, ma che occorre assolutamente mantenere e difendere l’armonia che deve esistere tra i rappresentanti di Francia, d’Italia e d’Inghilterra. Egli infine osservò che l’incidente deve provenire da equivoco o dagli intrighi di Corte, inspirati forse dall’imperatrice Taitù, avversa agli stranieri, in una parola, da un malinteso locale, e concluse che si occuperebbe della questione secondo il nostro desiderio.

ALLEGATO

AIDE-MÉMOIRE L’article 10 de l’accord entre l’Italie, la France et la Grande-Bretagne en date du

13 Décembre 1906 prescrit que les représentants des trois Puissances se trouvent réciproquement et complètement informés et coopèrent pour la protection de leurs intérêts respectifs et qu’en cas de désaccord, ils réfèrent à leurs Gouvernements et suspendent, en attendant, toute action.

Or il résulterait d’une façon positive que l’action du représentant français à Addis Abeba s’est jusqu’à présent montrée en opposition ouverte avec cette clause et non sans ostentation. La preuve en serait fournie par son attitude dans les questions du commerce des armes, du chemin de fer et de la jurisdiction consulaire dans lesquelles il a agi sans se mettre d’accord avec ses collègues d’Italie et d’Angleterre en négociant et décidant directement avec Ménélik.

S.E. le Comte Tornielli a déjà eu l’occasion, à propos de la taxe supplémentaire du chemin de fer, de rappeler la nécessité d’observer avec scrupule l’article 10 de l’accord et au mois de juin des promesses ont été faites à ce sujet par M. Klobukowski. Or le Ministre de France agit sans tenir compte de l’accord ni de ses promesses.

Cet état des choses enlève toute efficacité à l’accord du 13 Décembre qui s’en trouve discrédité aux yeux de Ménélik. Le Gouvernement Royal ne peut s’empêcher de déplorer le modus procedendi du Ministre de France. Le Gouvernement italien est bien certain que le représentant français n’agit pas en vertu des instructions venues de Paris mais il désire faire savoir au Gouvernement de la République, à la suite de l’attitude de M. Klobukowski, sa détermination de réserver sa liberté d’action dans chacune des questions traitées isolément.

Le Gouvernement Royal serait d’avis que des intructions catégoriques et identiques soient formulées et envoyées aux trois représentant à Addis Abeba en harmonie avec la Convention de Londres afin de réserver le présente et de sauvegarder l’avenir.

Il serait désirable, sur ces entrefaites, que le Gouvernement français donne sans délai à son représentant l’ordre de suspendre ses démarches en attendant que les Gouvernements centraux soient tombés d’accord sur les instructions à formuler.

493 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

494 1 Vedi D. 479.

494 2 Non rinvenuto.

495

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2040/149. Costantinopoli, 12 ottobre 1907, ore 13,35.

Dal momento che i Gabinetti di Vienna e Pietroburgo sono stati già presentiti circa questione della eventuale successione del generale De Giorgis, rappresento a V.E. opportunità di informarne, senza indugio, anche gli altri Governi, autorizzandomi a tenerne parola ai miei colleghi, che tutti indistintamente, prendono speciale interesse riforma gendarmeria e validamente mi aiutarono in passato, specialmente quello d’Inghilterra, a rafforzare posizione nostra, sia di fronte Sublime Porta, sia di fronte alle due ambasciate. Ricordo, pure, ad ogni buon fine, che dal dicembre 1904 in poi, tutte le comunicazioni relative alla gendarmeria, furono sempre collettive.

Inoltre, nel dicembre 1905, quando si dovette notificare rinnovamento poteri agenti civili, generale ed ufficiali organizzatori gendarmeria, O’Conor ed io, rinforzati dal barone Marschall, insistemmo energicamente perché si dirigesse una sola comunicazione collettiva, mentre barone Calice pretendeva di notificare in una nota a parte, austro-russa, rinnovamento poteri agenti civili (v. rapporto n. 788 del 14 novembre 1905)1.

Con tale modus procedendi ottenemmo risultato di accentuare il carattere internazionale riforma. In vista di tali precedenti, e considerato mutamento indiscutibile avvenuto nella situazione dal 1903 ad oggi, per rispetto posizione Austria e Russia, nell’azione riformatrice, credo che sarebbe nostro interesse fare il possibile perché comunicazione alla Sublime Porta successore De Giorgis sia fatta dalle sei ambasciate, e non già dalle due sole.

A mio remissivo parere, comunicazione esclusiva austro-russa, verrebbe, in pratica, a ribadire in modo solenne tangibile, e per opera nostra, quella posizione preponderante delle due potenze, che, per tre anni, ci siamo con alacrità e con incontestabile successo, adoperati, in ogni occasione, ad attenuare. Non posso e non devo, inoltre, dissimulare a V.E. che il prestigio e l’autorità dell’ambasciatore di S.M. sia di fronte al Sultano, sia di fronte al rappresentante delle altre grandi potenze, riceverebbe danno, qualora nella nomina, appunto, di un generale italiano, destinato a succedere ad altro generale italiano, la comunicazione alla Sublime Porta venisse fatta dalle sole ambasciate austro-russa. Stante, d’altra parte, la cordialità delle relazioni fra il Re ed il Sultano, ritengo sotto ogni rispetto consigliabile che noi per i primi lo si avvertisse, in via privata e confidenziale, del ritiro De Giorgis, indicandogli, in pari tempo, come successore [scil. fosse] scelto, eventualmente, da S.M. il Re. Ciò, sia per un atto di rigoroso riguardo verso un Sovrano al cui servizio trovasi il generale De Giorgis e dovrà entrare successore, sia per accrescere agli occhi di S.M. Imperiale prestigio generale designato dal nostro Re; sia, finalmente, per conferire maggior peso all’intervento ambasciatori, nei casi pure prevedibili in cui sarà necessario agire energicamente per persuadere il Sultano a non opporsi più oltre a qualche provvedimento reclamato dal generale riorganizzatore. Ritiro del generale De Giorgis, è lecito prevedere, dispiacerà al Sultano che è convinto che la sperimentata lealtà del nostro generale, lo pone al riparo da qualsiasi pericolo di intrighi politici. Tutto ben considerato, soluzione migliore, più conforme ai nostri interessi, mi parrebbe, in conclusione, sempre quella di fare nuovo e più caldo appello al patriottismo del nostro generale, esortandolo di rimanere al suo posto e trovare espediente atto a soddisfare le sue legittime aspirazioni. Rimane inteso che senza istruzioni di V.E. mi asterrò, per ora, da qualunque comunicazione in proposito, sia colleghi, sia questo Governo2.

2 Per il seguito vedi D. 497.

495 1 Non pubblicato.

496

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 991. Addis Abeba, 13 ottobre 1907 (perv. l’8 novembre).

Sono riuscito ad avere in questi ultimi giorni un colloquio, unitamente al mio collega d’Inghilterra, col ministro di Francia allo scopo di venire ad uno scambio di idee sulla questione della giurisdizione dei sudditi europei in Etiopia.

Avevo già riferito telegraficamente a V.E.2 la comunicazione fattami verbalmente ed occasionalmente dal ministro di Francia della sua intenzione di comprendere nel nuovo trattato di commercio tra Francia ed Etiopia la questione della giurisdizione dei sudditi francesi, attribuendola all’autorità consolare; uguale comunicazione, giova notare, egli aveva in precedenza già fatta all’incaricato d’affari di Germania, e ciò evidentemente per togliere ad essa ogni carattere e significato che potesse attribuirsi all’obbligo fattogliene dall’articolo 10 dell’accordo fra le tre potenze.

Nel recente colloquio il sig. Klobukowski confermò la comunicazione già fatta relativa alla giurisdizione, ossia aver egli di sua propria iniziativa intrattenuto il Negus sull’opportunità di regolare e comprendere nel nuovo trattato di commercio ed in compenso di altri vantaggi riconosciuti all’Abissinia la questione della giurisdizione.

Il ministro di Francia sostenne e dimostrò la necessità di adottare la giurisdizione consolare, la sola, secondo lui, compatibile colle condizioni del paese e cogli interessi dei sudditi francesi, dichiarando che egli non avrebbe accettato per il suo Governo alcun altra soluzione, e che le altre potenze sarebbero state naturalmente libere di accettare o no per loro conto quanto sarebbe stato stabilito a tale proposito nel trattato di commercio franco-etiopico.

Il mio collega di Inghilterra comunicò al ministro di Francia le istruzioni ricevute dal proprio Governo, che concordano pienamente con gli ordini di V.E. sulla preferenza da darsi ad una soluzione consistente nella nomina di un giudice europeo al servizio dell’Etiopia, ed io parimenti gli partecipai formalmente le intenzioni e le riserve del Governo su tale proposito, esprimendogli altresì la mia convinzione che, conformemente a quanto è stabilito dall’articolo 10 dell’accordo, non trovandosi i tre rappresentanti d’accordo su di una questione di interesse comune, avrebbero dovuto sospendere ogni loro azione e trattativa in proposito col Negus e attendere le decisioni dei rispettivi Governi e nello stesso tempo gli chiesi se egli già avesse (come effettivamente mi risulta) discusso e stabilito col Negus la soluzione da lui propugnata.

Il ministro di Francia non volle dare un’esplicita risposta a questa mia ultima domanda, e sull’entità ed il carattere degli impegni assunti col Negus, e portando la discussione in un campo generale egli dichiarò che non poteva ammettere l’interpretazione da noi data all’articolo 10 dell’accordo, e che conformemente alle istruzioni

2 Vedi D. 466.

ricevute dal proprio Governo egli non si riteneva per nulla obbligato di comunicare ai rappresentanti di Inghilterra e d’Italia alcuna informazione sulle sue intenzioni e sui negoziati in corso col Negus, sia sulla ferrovia di Gibuti, sia sul trattato di commercio, sia su qualunque altra cosa; dichiarò che un’interpretazione simile a quella da noi data all’accordo toglierebbe ogni libertà alla sua azione e la legherebbe a quella degli altri rappresentanti, e ne pregiudicherebbe il risultato; e che egli si riteneva sicuro di interpretare ed applicare correttamente lo spirito dell’accordo colla condotta da lui adottata.

Né io né il mio collega di Inghilterra abbiamo nascosto al ministro di Francia la nostra meraviglia per le suddette dichiarazioni, riservandoci di riferirne ai nostri Governi.

Per la questione intanto riguardante la ferrovia di Gibuti confermo quelle informazioni che ho comunicato telegraficamente a V.E., e che sono riuscito a conoscere benché il segreto su tali negoziati sia impenetrabile, ed io stesso mi sono peritato a non interpellare in proposito il Negus, per non dare a questi una nuova prova dell’inanità dell’accordo fra le tre potenze.

Tale questione del resto riguarda in questo momento specialmente l’Inghilterra, della quale sarebbero danneggiati gli interessi immediati rappresentati dai capitali inglesi impegnati nella vecchia compagnia concessionaria, che verrebbe completamente sacrificata.

Per la questione della giurisdizione, mi risulta in modo positivo, che essa venne compresa nel nuovo trattato di commercio già concretato con Menelik e presentato all’approvazione del Governo francese, e sotto la forma della giurisdizione consolare, e con pregiudizio sicuro d’ogni altra soluzione che fosse invocata da noi e dall’Inghilterra, che il Klobukowski ha dimostrato al Negus contraria ad ogni interesse e pericolosa per l’Abissinia sulla quale è sospesa la stessa minaccia che ha condotto l’Egitto nelle mani dell’Inghilterra.

Per il trattato di commercio, essendosi il sig. Klobukowski rifiutato di fare qualsiasi comunicazione, nulla mi fu dato conoscere all’infuori di quanto riguarda la giurisdizione e di un leggero aumento sui dazi di importazione.

Sulla questione delle armi il ministro di Francia non fece più alcun accenno, ed io espressamente ne tacqui, per evitare che egli si attribuisse il merito delle ultime misure prese dal Negus e intralciasse nuovamente la mia azione.

In una conversazione che ebbi precedentemente ed occasionalmente con lui durante il ghebir imperiale per la festa del Mascal e nella quale venne fatto cenno all’opportunità di un preventivo accordo per una eventuale difesa delle legazioni, nel caso che la morte del Negus e la successione al trono fosse motivo di disordini, egli approvò il mio concetto sulla opportunità di agire fin d’ora presso il Governo etiopico onde ottenere da lui direttamente quelle garanzie di sicurezza e difesa che sarebbe imprudente richiedere a qualche capo colla promessa di un compenso.

Egli espresse altresì l’opinione che nella suaccennata evenienza della morte del Negus non si avranno a deplorare incidenti gravi e minacciosi per gli europei.

Intanto il ministro di Francia, contrariamente a quanto era nel desiderio del nostro Governo e del Governo inglese, di riunire in una specie di settlement o quartiere privilegiato tutte le legazioni, per facilitarne anche l’eventuale difesa, ha scelto ed iniziato i lavori per la nuova legazione in un terreno oltre il torrente Kabanà, dichiarandosi contrario alla formazione di un quartiere privilegiato per le legazioni.

Io invero non riesco a spiegarmi la condotta del sig. Klobukowski ed i motivi che lo hanno indotto a seguirla, e per quanto mi sforzi a giudicarla serenamente ed all’infuori di ogni sentimento di antipatia personale e preconcetta, non posso tacere la mia meraviglia ed il mio risentimento, e mi permetto esprimere il parere che qualora essa veramente rispondesse alle intenzioni del Governo francese, meglio varrebbe ritornare all’antico isolamente ed all’antica lotta di influenze in Etiopia, che persistere in un accordo del quale noi soli riconosciamo gli obblighi, lasciando alla Francia i vantaggi.

496 1 Risponde al D. 477.

497

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 2048/150. Therapia, 14 ottobre 1907, ore 12,15.

O’Conor mi mostrò chiaramente jeri sua contrarietà per non essere stato da me previamente informato dei passi eseguiti Vienna, Pietroburgo relativamente eventuale sostituzione generale De Giorgis. Mi disse che, in vista intimità nostre relazioni ed appoggi validissimi da lui sempre prestatimi per conseguire scopi comuni di sostituire nella opera riformatrice azione internazionale ad egemonia austro-russa, egli non poteva dissimularmi sua viva sorpresa per aver saputo notizia non da me, ma da Zinovieff avvertito, anche lui, dal suo Governo senza alcun mio preavviso. Osservò ritiro De Giorgis, e conseguente crisi direzione riforma gendarmeria, sembrargli, al momento presente, assolutamente deplorevole e di natura ad accrescere complicazioni. Concluse con una frase alquanto sibillina, che potrebbe pure, a rigore, interpretarsi come indizio delle sue disposizioni personali poco favorevoli alla eventuale sostituzione del generale De Giorgis con un altro generale italiano. Non annetto speciale importanza alla velata minaccia pronunciata forse in un momento di stizza. La riferisco quindi, per semplice esattezza d’informazione. A calmare risentimento del collega ed evitare raffreddamento nostre relazioni così intime, credetti dovergli confessare che, fino alla vigilia, io stesso ignoravo i passi eseguiti Vienna e Pietroburgo. Osservai, per altro, che il ritiro del De Giorgis non essere ancora deciso in modo definitivo. Linguaggio di O’Conor, riserva assoluta tenuta fino ad ora verso di me dai rappresentanti d’Austria-Ungheria e di Russia, confermano sempre più opinione da me, fin dal principio, manifestata circa la assoluta inopportunità del ritiro di De Giorgis. Credo, quindi, mio stretto dovere di insistere perché si trovi modo di convincere il nostro generale a non abbandonare un posto nel quale la sua permanenza risponde sopratutto ad un alto interesse nazionale. Generale è oggi stanco per quattro anni di lavoro opprimente, di lotta incessante, irritato per attriti in questi ultimi tempi accentuatisi con ispettore generale e giustamente preoccupato per suo avvenire. Una autorevolissima esortazione del Sovrano e del Governo, una meritatissima testimonianza di speciale benevolenza di S.M. il Re lusingante il suo amor proprio, una promessa di pros-

simo congedo, un provvedimento eccezionale, infine, assicurantegli la permanenza nell’esercito, fino agli estremi limiti, parrebbero, dovrebbero anzi, a mio avviso, indurlo a rimanere. Sarebbe con ciò facilmente trovata soluzione più pratica, più confacente nostri interessi politici, di una questione della quale la piega presa comincia a ispirarmi preoccupazioni. Se considerazioni che ho creduto dover rispettosamente sottoporre saranno da lei trovate giuste, non dubito che, mediante alto intervento di S.M. il Re e di V.E. presso il ministro della guerra si riescirà presto e facilmente a rimuovere difficoltà trovando provvedimento soddisfacente amor proprio, interesse nostro generale. Importa non perdere tempo occorrendo porre termine al più presto a questa situazione delicata, incerta, imbarazzante per tutti1.

498

L’INCARICATO D’AFFARI A PARIGI, ALIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 2724/1107. Parigi, 14 ottobre 1907 (perv. il 26).

Ho l’onore di accusare ricevimento del dispaccio confidenziale 10 ottobre u.s.1 in margine indicato, che tratta largamente e chiaramente del programma che, in massima, il Governo del Re intenderebbe attuare per rendere praticamente utile l’accordo del 13 dicembre 1906 e dell’azione coloniale dell’Italia, dopo l’accordo stesso. Ho esaminato attentamente i due dispacci diretti in proposito al r. ambasciatore in Londra ed al governatore dell’Eritrea.

Nel dispaccio in margine segnato, V.E. ripete le istruzioni contenute nel telegramma del 4 ottobre u.s.2, istruzioni alle quali ho obbedito, siccome ebbi l’onore di riferire con rapporto 11 corrente3.

In data del 12 corrente ricevetti da questo Ministero degli affari esteri la qui unita risposta che accludo in copia. Il Governo francese, esaminando brevemente i tre punti sui quali il Governo del Re fa delle osservazioni in quanto concerne l’atteggiamento del sig. Klobukowski, conclude con l’affermare che questo atteggiamento è assolutamente corretto e conforme all’art. 10 dell’accordo 13 dicembre 1906. Dai colloqui tenuti sull’argomento col sig. Solange-Bodin, sottocapo alla Direzione degli affari politici e col sig. Pichon, prevedevo la risposta quale sarebbe data, per cui ho cercato, nel mio linguaggio, di attutire la portata e la gravità di un reclamo tanto spiccato sulla condotta di un rappresentante estero ed ho invece insistito sulla necessità di chiarire un eventuale malinteso e d’impedire che in avvenire sorgano dei dubbi o

498 1 Vedi D. 490.

2 Vedi D. 479. 3 Vedi D. 494.

delle contestazioni sul significato e la portata dell’art. 10. Nella sua risposta, questo Ministero degli affari esteri, accenna al prossimo ritorno a Roma del sig. Barrère il quale intratterrà V.E. delle varie questioni poste in esame. Il sig. Pichon non ha creduto di dare subito istruzioni al suo rappresentante in Addis Abeba di sospendere la sua azione, in attesa che sia avvenuto un accordo fra i tre Governi centrali, poiché, secondo lui, i lamenti formulati contro il sig. Klobukowski sono infondati od almeno sorti da malintesi che saranno facili a dissipare senza dar luogo ad incidenti spiacevoli. Non stimo quindi utile d’insistere sull’invio di tali istruzioni sino a che V.E. non avrà deciso l’ulteriore linea di condotta da osservare in proposito.

ALLEGATO

IL MINISTERO DEGLI ESTERI DI FRANCIA ALL’AMBASCIATA D’ITALIA A PARIGI

PROMEMORIA. Parigi, 12 ottobre 1907.

En réponse à l’aide-mémoire remis le 11 octobre courant par M. le Chargé d’Affaires d’Italie concernant l’attitude du représentant de la République française à Addis-Abeba, le Ministre des Affaires Étrangères a l’honneur d’exposer ce qui suit.

L’art. 6 de l’arrangement du 13 décembre 1906 constate l’accord formel des trois signataires sur ce point: le chemin de fer sera prolongé jusqu’à Addis-Abeba par une compagnie française agréée par le Gouvernement français sous la condition que les nationaux des trois pays jouiront pour les questions de commerce et de transit d’un traitement absolument égal sur le chemin de fer et dans le port de Djibouti, et que les marchandises ne seront passibles d’aucun droit fiscal au profit du Trésor français ou de la colonie.

Les pourparlers engagés à Addis-Abeba ont pour but de rendre possible l’achèvement par une Société française du chemin de fer jusqu’à Addis-Abeba: le négociateur français ne saurait évidemment tenir au jour le jour ses collègues au courant des mêmes incidents de la négociation: aucun point n’est d’ailleurs actuellement réglé, d’une façon definitive. Mais les conditions prévues par l’article 6 de la Convention du 13 décembre seront scrupuleusement observées et le Gouvernement de la République ne manquera pas d’informer le Gouvernement italien, de même que le Gouvernement britannique, dès qu’il sera en mesure de faire quelque communication précise: de ce qui précède, M. le Chargé d’Affaires d’Italie à Paris et les représentants italien et anglais à Addis-Abeba ont déjà été informés, soit par le Département des Affaires Étrangères, soit par le représentant de la République en Éthiopie.

Suivant l’exemple donné par d’autres pays, et notamment par l’Italie, le Gouvernement français à chargé son représentant en Éthiopie d’ouvrir avec le Négus des pourparlers préliminaires relatifs à la conclusion éventuelle d’un traité de commerce.

A cette occasion, M. Klobukowski a pensé qu’il pourrait y avoir intérêt à soumettre les nationaux français résidant en Éthiopie à une juridiction consulaire analogue à celle qui fonctionne dans certains pays d’Orient: il a en conséquence pressenti le Négus pour se rendre compte de ses dispositions éventuelles à ce sujets et il a soumis son idée au Gouvernement de la République qui étudie la question et n’a même pas encore pris de décision sur le principe de la proposition.

Ce renseignement a été également fourni récemment par le Département des Affaires Étrangères à M. le Chargé d’Affaires d’Italie.

Quant à la question du commerce des armes en Éthiopie, elle a été examinée de concert par les représentants français, italien et anglais à Addis-Abeba. M. le Chargé d’Affaires d’Italie en Éthiopie a déclaré au représentant de la République qu’il se ralliait entièrement à sa manière de voir: M. le Chargé d’Affaires d’Angleterre a fait à M. Klobukowski la même déclaration. Enfin le 16 septembre dernier, le secrétaire général du Ministère Royal des Affaires Étrangères exprimait au Chargé d’Affaires de la République à Rome qui l’entretenait de la question des armes «sa vive satisfaction de l’état des choses existant qui lui était confirmé par les dépêches du représentant italien à Addis-Abeba». M. Bollati se félicitait à cette occasion «des excellentes relations qu’entretenait le capitaine Colli avec l’envoyé français en mission spéciale en Ethiopie».

L’attitude de M. Klobukowski à Addis-Abeba est donc absolument correcte et conforme à l’article 10 de l’accord du 13 décembre 1906. Au surplus l’Ambassadeur de la République à Rome, devant rejoindre prochainement son poste, ne manquera pas d’entretenir de ces diverses questions le Gouvernement Royal.

497 1 Per la risposta vedi D. 502.

499

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. PERSONALE1. Therapia, 16 ottobre 1907, ore 14,10 (perv. ore 16,20).

Sultano trattenne ieri Selim Pascià e gli diede istruzioni che a quanto mi viene riferito si possono riassumere come appresso: «Selim Pascià che conosce bene la situazione europea, la politica del Sultano i bisogni e le aspirazioni della Turchia deve fare il possibile per consolidare ancora più intimità relazioni italo-turche alle quali importa assai di dare un carattere di perfetta fiducia reciproca a tutela degli interessi dei due paesi». Su questo punto Sultano ha specialmente insistito per tre volte. Sultano ha dato ordini poi a Selim trovare il modo di conferire oltre che con V.E. anche col presidente del Consiglio con altri ministri nonché con qualche alto influente personaggio del nostro mondo politico.

Giudicherà in base a quanto precede l’E.V. se e quali dichiarazioni converrà fare a Selim circa contegno che, di fronte a nostre legittime aspirazioni economiche in Tripolitania ed altri punti Impero, deve decidersi a prendere il Sultano se vuole sul serio assicurarsi intimità relazioni con Italia. Comunque credo che a noi convenga sempre trattare molto bene Selim il quale potrebbe in certe determinate circostanze esserci utile e sembra animato dalle migliori intenzioni di renderci servizio e di cattivarsi benevolenza del Re e del R. Governo2.

2 Per la risposta vedi D. 503.

499 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

500

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

DISP. 55502/765. Roma, 16 ottobre 1907.

Mi pregio di segnare ricevuta del rapporto n. 2040/947, in data del 5 ottobre corrente1, su un colloquio avuto dall’E.V. con il sig. Izvolskij, alla vigilia della partenza di questo da Vienna, e la ringrazio di tale comunicazione.

Approvo il linguaggio tenuto dall’E.V. in tale occasione intorno al fine, di riforma e di pacificazione, cui mira la nostra politica nella Penisola Balcanica.

Mi compiaccio che il sig. Izvolskij abbia dimostrato di esser pienamente convinto di quanto l’E.V. gli andava esponendo ed abbia manifestato il desiderio di rendere sempre migliori le relazioni fra l’Italia e la Russia, esprimendo sentimenti di simpatia verso il nostro paese.

Per tali amichevoli disposizioni e per le cortesi espressioni a me dirette, ho interessato il r. incaricato di affari in Pietroburgo a far giungere al sig. Izvolskij in mio nome particolari ringraziamenti e dichiarazioni di viva soddisfazione.

501

I DELEGATI ALLA CONFERENZA DELL’AJA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 145/120. L’Aja, 16 ottobre 1907 (perv. il 25).

Alla vigilia della chiusura di questa lunga Conferenza, ci rimane ancora da comunicare all’E.V. talune nostre osservazioni di carattere strettamente confidenziale le quali ci sono suggerite dal modo con cui le principali Delegazioni hanno qui rappresentato i loro Governi.

La posizione avuta da S.E. il barone di Marschall di Bieberstein nella Conferenza corrispose all’importanza del suo Governo. Egli portò in questa grande riunione mondiale le molte sue qualità di giurista esperto e di diplomatico autoritario. Abile nell’esegesi dei testi, egli si compiacque in questo lavoro forse più come conveniva ad un antico procuratore generale, che ad un ambasciatore dell’Impero. Il lungo soggiorno in Turchia non modificò in lui la tradizione bismarckiana sicché non dissimulò spesso la volontà di predominare, anzi l’affermò talvolta in forme che parvero eccessive. Probabilmente egli ubbidì strettamente alle sue istruzioni con la rigidità burocratica inflessibile qui rappresentata nella Delegazione tedesca dal barone

Kriege, giurista di gran valore e di una operosità straordinaria, al quale peraltro non sembrano abituali le transazioni della diplomazia; sicché se per la sua dottrina egli si acquistò una notorietà prima d’ora da lui non posseduta, per certo non concorsero a formargliela le generali simpatie.

Una delle singolarità della Delegazione germanica fu di mantenersi ostentatamente in relazioni continue con la stampa periodica.

Le prime manifestazioni della attività della Germania nella Conferenza fecero credere essere nelle sue intenzioni di usare speciale deferenza agli Stati Uniti dell’America settentrionale. Si sapeva che la Delegazione di quel paese recava qui una serie di proposte, probabilmente le stesse che il presidente Roosevelt avea in vista quando volle pigliare l’iniziativa della convocazione della seconda Conferenza. Appena una di quelle proposte veniva messa innanzi da un delegato d’America, il barone di Marschall sorgeva per aderirvi e sostenerle. Ma più tardi e principalmente nella fase finale dei lavori, le impressioni da principio prodottesi svanirono. Il dissenso dichiaratosi fra le due Delegazioni nella questione del trattato mondiale per l’immediata applicazione dell’arbitrato obbligatorio, non soltanto distrusse d’un tratto la supposizione che fra Berlino e Washington preesistessero speciali intelligenze, ma rischiò di creare una tensione che avrebbe potuto ripercuotersi sovra le relazioni politiche di quei Governi. Cedette evidentemente al desiderio di occupare una situazione preminente, il diplomatico imperiale ogni volta che, esagerando gli effetti dei suoi atti, rese manifesta la poca coerenza della sua azione. Così la teatralità con cui egli annunciò, fra la sorpresa ed il plauso generale, la conversione del suo Governo al principio dell’arbitrato obbligatorio, a null’altro servì che a far nascere non durature illusioni. Né più felice fu la condotta sua nella questione delle mine subacquee quando, senza riguardo alcuno per l’interesse militare dell’Italia, alleata del suo paese, egli si fece a proporre il totale divieto, durante cinque anni, delle mine non ormeggiate, ordigni de’ quali ognuno sapeva essere finora sprovveduta la Marina tedesca. Tale vana mostra di filantropia che si produsse quando appunto la Delegazione tedesca ricusava qualunque limitazione de’ luoghi ove le mine ormeggiate possono essere adoperate, non indusse alcuno in errore: valse soltanto a mettere in evidenza uno screzio fra la Delegazione imperiale e quella della Gran Bretagna. Fino dall’apertura della Conferenza vi era chi attribuiva alla Cancelleria germanica il proposito di distruggere l’opera di giustizia internazionale e di pace iniziata all’Aja nel 1899 e di rovinarne il concetto rendendo sterili e ridicoli gli sforzi della seconda Conferenza. Ancorché fra le proposte recate dalla Germania davanti il consesso mondiale si trovassero i progetti di creare la Corte d’appello delle prede ed il Tribunale internazionale costantemente aperto per i litigi fra gli Stati, — due arditissime applicazioni immediate del concetto della superiorità della giustizia internazionale — la linea di condotta seguita dal barone di Marschall non soltanto non valse a fare svanire quella prevenzione; ma anzi la ribadì nell’opinione di molti. Sarebbe difficile il dire se nell’intendimento del diplomatico tedesco vi sia stato quello di simpatizzare con le idee americane mediante quelle proposte; ma non vi è dubbio che gli effetti in ultimo conseguiti furono affatto opposti. Non ci fu dato di scorgere altre linee direttive nell’azione sempre vivace, talvolta quasi agitata, della diplomazia germanica durante la Conferenza. Si potrebbe essere indotti a credere che, a causa dello scarso interesse politico attribuito a quest’ultima, il Gabinetto di Berlino abbia trascurato di dare ai suoi rappresentanti all’Aja un sicuro impulso direttivo.

Non si tenne vincolata a seguire costantemente la Germania nella sua azione all’Aja, la Delegazione austro-ungarese. Assai bene costituita, questa si palesò quasi sempre e specialmente nella prima fase dei lavori, guidata da criterio proprio oggettivo e saviamente liberale. S.E. Mérey di Kapos-Mére sostenne fino all’ultimo la parte non facile dell’amico fedele, ma indipendente, della Delegazione germanica. A parecchie riprese, anche in questioni di una certa importanza, il voto della Delegazione austro-ungarica si separò da quello dei delegati germanici. Colto, perspicace ed abile, il primo delegato di Austria-Ungheria fu egregiamente coadjuvato nei lavori giuridici dal ben noto professore viennese Enrico Lammasch. Entrambi avendo preso parte ai lavori della Conferenza del 1899, portarono in questa uno spirito pratico speciale ed una autorità che loro permise di esercitare un’influenza sensibile sovra il generale andamento dei lavori. Tutta la Delegazione austro-ungarese si dimostrò assai riguardosa verso la nostra. Favorì in varie circostanze la nostra azione nelle cose che specialmente si connettevano con gl’interessi italiani. Non fu feconda di progetti propri come la germanica; ma con emendamenti opportuni collaborò con efficacia alle proposizioni delle altre Delegazioni. Nella questione dell’arbitrato obbligatorio, la condotta di S.E. Mérey fu assai più coerente di quella adottata dal primo delegato di Germania. Egli si illuse però quando si figurò di potere riunire l’unanimità dei suffragi sovra la risoluzione da lui proposta. Quando s’accorse del contrario, parve risentire qualche invidia verso di noi perché il credito che il mondo liberale accorda all’Italia ci consentiva di offrire con successo proposizioni analoghe alle sue anzi sensibilmente più ristrette. Da provetto diplomatico quale egli è, il sig. de Mérey si astenne da ogni enfatica manifestazione delle sue idee benché il più sovente queste portassero l’impronta di un sano liberalismo, ma di tale sua opera sagace, attenta e tranquilla, non raccolse certamente tutti i frutti ch’essa avrebbe potuto produrre. Essa parve sempre coerente e ben diretta, ma costantemente opaca.

In un istrumento ben accordato riesce sensibile la mancanza di una nota. Di questa mancanza può essere imputato il Gabinetto di Londra. Le competenze tecniche erano largamente rappresentate nella Delegazione britannica da sir Edward Fry giurista eminente, da sir Ernest Satow e dal comandante Ottley distintissimi specialisti nelle questioni di diritto marittimo. Ma il posto che all’Inghilterra assegnano le grandi tradizioni della sua diplomazia rimase più di una volta vuoto. Le grandi linee direttive dell’azione britannica nelle questioni di interesse generale parvero a più riprese perdute di vista. Meglio sarebbe stato per l’Inghilterra il dichiarare preliminarmente che le questioni di diritto marittimo internazionale non possono far parte del programma di una Conferenza mondiale, che lo avvedersene troppo tardivamente. Ne derivò che la sua Delegazione si è dibattuta qui fra inestricabili difficoltà or proponendo sorprendenti innovazioni, spesso indugiando, molte volte ricusandosi alle più moderate transazioni. In questo sterile lavorìo che ha assorto gran parte dell’opera della Delegazione britannica, si manifestò fino all’evidenza l’antagonismo irreduttibile degli interessi marittimi di due gruppi di potenze, l’Inghilterra ed il Giappone insieme alla Spagna ed al Portogallo da una parte, la Germania e la Russia strettamente coalizzate dall’altra. La Francia incerta tra i due, sembrò quasi totalmente distaccarsi anche in queste questioni dalla Russia. Con l’Inghilterra collaborarono le Delegazioni degli Stati Uniti e della Germania alla creazione delle due Corti, l’una di appello per le prede, l’altra permanentemente aperta all’Aja per certi litigi fra gli Stati. Ma, per effetto di quello

stesso processo di disaggregazione che fu sopra notato, all’ultimo le Delegazioni della Gran Bretagna e della Germania si trovarono divise e discordi nella questione dell’arbitrato obbligatorio, nella quale, dopo singolari tergiversazioni, l’Inghilterra e gli Stati Uniti si unirono insieme sovra la base fornita dal Portogallo e da altri Stati minori. Pare che, in seguito a pressioni esercitate a Londra, quel Gabinetto si decidesse a dare istruzioni speciali in questo senso alla sua Delegazione. Ma al buon senso dei componenti di essa è dovuto che il dissidio acuto sviluppatosi in quest’ultimi giorni fra la Delegazione germanica e quella degli Stati Uniti non prendesse maggiori proporzioni. Sir Edward Fry ed i suoi colleghi compresero in tempo il pericolo che quella situazione, protraendosi, poteva contenere. All’opera personale del primo delegato britannico è dovuto che S.E. J.H. Choate, pure protestando vivacemente per l’isolamento in cui veniva posto, finisse per arrendersi a ciò che il buon senso imperiosamente richiedeva.

Si sarebbe potuto con ragione aspettare assai dippiù dall’azione della Francia e della Russia. Non si ebbe indizio di accordi preesistenti fra le due potenze. La loro partecipazione all’opera della Conferenza si svolse separatamente. Quella di S.E. Nelidov non eccedette mai la parte che gli assegnavano le sue funzioni di presidente della Conferenza. L’influenza direttiva dell’on. L. Bourgeois, come presidente della prima commissione nella quale furono dibattute tutte le questioni relative ai mezzi pacifici di risolvere i conflitti internazionali, fu notevolmente più considerevole. Ma la Francia non avea preso essa stessa l’iniziativa della maggiore di tali questioni, quella dell’arbitrato obbligatorio, e da questa circostanza forse derivò che il presidente della prima commissione non parve sempre pari alla fama acquisitagli dalle eminenti sue doti di statista e di personaggio parlamentare.

Il malumore creato dalla deficienza del lavoro preparatorio della Conferenza che molti stimavano fosse stato eseguito a cura del Governo di Pietroburgo, è ricaduto in modo speciale sulla persona di S.E. de Martens togliendogli, fin dall’esordio dei lavori, l’autorità ed il credito che la precedente Conferenza gli avea accordato. Questa circostanza fu non ultima delle cause che fecero fallire una larga parte del programma di diritto marittimo internazionale in tempo di guerra che era stata assegnata alla quarta Commissione presieduta dal giurista russo. Acquistò invece una posizione distinta fra i secondi delegati S.E. Tcharikov, ministro di Russia accreditato all’Aja il quale fece prova di cognizioni tecniche, d’ingegnosità e di arrendevolezza rimarchevoli nella preparazione di buon numero delle stipulazioni che la Conferenza riuscì ad elaborare.

L’azione personale dell’on. d’Estournelles de Constant, il ben noto pacifista, collaboratore dell’on. Bourgeois in questa seconda Conferenza, come lo era stato nella prima, fu presso che nulla nelle riunioni ufficiali. Essa si svolse invece intensamente nei colloqui e negli adoperamenti coi delegati e principalmente con quelli dei paesi intervenuti per la prima volta alla Conferenza dell’Aja. Non ebbimo occasione di avvederci di alcunché di irregolare e di eccessivo in quella azione di cui però altri parvero, in certi momenti, aver avuto motivo di dolersi. Non sapremmo dire se all’influenza esercitata per mezzo delle larghe relazioni che il sig. d’Estournelles ha stabilite personalmente agli Stati Uniti, sia dovuto, almeno in parte, che per iniziativa del Governo di Washington siano stati invitati alla Conferenza tutti gli Stati costituiti di America. Forse quel Governo erroneamente ritenne di essere in grado di guidare in un consesso europeo la numerosa coorte dei delegati di quei paesi. Il sig. Choate, avvocato distinto di Nuova York, il quale occupò per qualche anno la carica di ambasciatore a

Londra, personaggio noto per il carattere vivace fino alla prepotenza ed il desiderio smodato di primeggiare dovunque egli si trovi, poté essere ritenuto persona atta ad esercitare tale ufficio direttivo. Ma l’esito non corrispose all’attesa. L’influenza degli Stati Uniti fu presso che nulla sovra gli altri Stati americani. Le rivalità e gli antagonismi esistenti fra quest’ultimi apparvero spesse volte in piena luce. L’opera dei congressi pansamericani degli ultimi anni, risultò ancora incompleta. Con simili elementi il tentativo di soverchiare l’Europa, attribuito al Governo di Washington, non sembra prossimo a riuscire. Alla chiusura della Conferenza il bilancio dei successi conseguiti dalla Delegazione degli Stati Uniti può parere piuttosto scarso. Certamente è scomparso il prestigio che generalmente si riteneva poter il Governo di Washington esercitare sovra gli altri Stati americani. La resistenza coalizzata delle Delegazioni di questi Stati non poté essere sventata quando clamorosamente protestò contro il sistema di costituire le alte corti di giustizia internazionale senza tenere conto della assoluta uguaglianza giuridica di tutti gli Stati sovrani. Bisognò rinunciare al sistema per la Corte permanente di giustizia quando ancora la Delegazione degli Stati Uniti non sembrava disposta ad abbandonarlo. Il sig. James Brown Scott, delegato giurista appartenente al Dipartimento di Stato a Washington, ne era stato il principale autore. Dell’eccesso di individualismo predominante nei paesi dell’America latina, si ebbe in questo incidente la prova manifesta e ne risultò dimostrato fino all’evidenza l’errore commesso nel convocarli tanto prematuramente a partecipare ad una Conferenza di cui le aspirazioni impazienti sono rivolte alla formazione della grande società internazionale degli Stati costituiti. Una sola volta, durante quattro mesi, si poté credere che il blocco degli Stati americani seguirebbe il capo di fila dell’America settentrionale. Il loro voto unanime fu assicurato alla proposizione anglo-americana relativa all’arbitrato obbligatorio.

Ma il dì seguente, quando le Delegazioni di Francia e d’Inghilterra saggiamente rinunciarono ad impegnare una lotta nella quale il primo delegato degli Stati Uniti dichiarava di voler persistere, questi si trovò isolato, insieme al rappresentante di Haiti, per protestar mediante l’astensione contro il voto unanime raccolto sovra la dichiarazione promossa dalla Delegazione italiana.

Non è bene che la Delegazione degli Stati Uniti dell’America del Nord esca dalla Conferenza così depressa. Difficilmente quel gran paese si rassegnerà pacatamente agli smacchi subiti. Né gioverà perdere di visita il naturale desiderio suo di una rivincita. Per altra parte chi non perderà tempo potrà ancora trarre profitto della attuale situazione degli altri Stati americani la quale non è per certo d’impedimento assoluto alla buona riuscita dell’azione di una potenza europea purché questa azione sia oculata e tranquilla, riguardosa dell’indipendenza sovrana di quei paesi e diretta verso l’obiettivo costante di stabilire sovra una solida base un’influenza legittima e feconda.

Se l’intervento delle Delegazioni degli Stati dell’America Latina alla seconda Conferenza dell’Aja ci offre l’occasione di utili osservazioni, non converrà dimenticare che la vanità di molti fra i componenti di quelle Delegazioni rimase insoddisfatta e l’opinione che essi portarono nei loro paesi di non essere considerati a pari degli Stati di Europa, influirà nefastamente sovra le relazioni future se al miglioramento di esse non si darà opera sollecita. Da parte nostra abbiano procurato di avere con i delegati dell’America Latina i migliori personali rapporti e la stipulazione delle convenzioni di arbitrato conchiuse con la Repubblica Argentina ed il Messico durante la Conferenza produssero in quest’ordine di idee un ottimo effetto.

500 1 Vedi D. 483.

502

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. 1772. Roma, 17 ottobre 1907, ore 22,30.

Risposta telegrammi nn. 1491, 1502, 1513. Comunicazione fatta a Vienna e Pietroburgo aveva carattere solo preliminare e

strettamente confidenziale, in vista dell’eventualità di un possibile ritiro del generale De Giorgis, ritiro che anche l’E.V. riteneva difficilmente evitabile. Di fronte alle considerazioni da lei esposte, sono io pure dell’avviso che la soluzione più conforme ai nostri interessi sarebbe data da una ulteriore permanenza del generale al suo posto. Si sta ora cercando un temperamento che permetta di porre in armonia le aspirazioni di lui circa la sua situazione nell’esercito attivo colle leggi che regolano la materia. In ogni caso, ove nella prossima riunione degli ambasciatori qualcuno avesse da accennare alla questione De Giorgis, V.E. potrà semplicemente dichiarare che la successione non è aperta.

503

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 23671. Roma, 18 ottobre 1907, ore 9.

Oggi parte nota per V.E. in data 15 corrente2 circa rapporti fra Italia e Turchia e più specialmente negli effetti della espansione economica italiana in Tripolitania. Contemporaneamente mi perviene telegramma di V.E. che m’informa dei discorsi che Selim Pascià deve tenere a nome del Sultano con S.M. il Re, col presidente del Consiglio e con me3.

2 Vedi D. 497. 3 T. 2055/151 del 15 ottobre, non pubblicato.

2 Non rinvenuta. Presumibilmente riconducibile a questi colloqui è un minuta, conservata nello

stesso fascicolo e non datata, il cui testo è il seguente: «Condizioni eventuali. – I) Impegno scritto, formale, di non sollevare mai più ostacoli alla libera e legale compera di terreni in Tripolitania e Cirenaica, di qualunque estensione e in qualunque misura da parte di italiani. – II) Concessione di tutte le facilitazioni già consentite ad altre potenze per impianto di uffici postali in qualunque città dell’Impero e trasporto delle relative valigie sulle reti ferroviarie ottomane. – III) Nomina di una commissione incaricata di esaminare, regolare e liquidare equamente, d’accordo coll’ambasciata, i reclami pendenti». Nota del documento al primo punto: «A tale impegno potrebbe utilmente sostituirsi un certo numero di concessioni da indicarsi in Tripolitania e Cirenaica, ove vi fossero i gruppi e le persone pronti a chiederle e sfruttarle immediatamente».

3 Vedi D. 499.

Il linguaggio di Sua Maestà sarà conforme a quello della nota che le invio, ed appunto perciò ritengo dovrebbe giungere al Sultano prima di qualsiasi comunicazione di V.E. Pertanto, se V.E. crede che si possa senza pericolo attendere ancora qualche giorno, sarà meglio che ella si astenga da qualunque passo sino a dopo l’udienza che Selim avrà ottenuto da Sua Maestà e della quale la informerò telegraficamente4.

502 1 Vedi D. 495.

503 1 Minuta autografa. Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

504

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL GOVERNATORE DELL’ERITREA, SALVAGO RAGGI

DISP. 56154/704. Roma, 18 ottobre 1907.

Mi riferisco ai rapporti di V.E. del 4 giugno a.c. n. 704/3805 e del 20 luglio scorso, n. 946/49271.

Col 12 giugno di quest’anno è andato in vigore il trattato di commercio con la Etiopia: delle clausole di esso è necessario approfittare con sollecitudine per sviluppare i traffici della Colonia e per opporre un’azione per quanto possibile efficace a quella degli anglo-sudanesi.

Per ciò ottenere credo che per il momento si debba avvalerci largamente dell’art. 5 del trattato, inviare, cioè nei centri più adatti agenti commerciali, e adoperarsi per raggiungere lo scopo di ottenere gradatamente la dogana unica (art. 3).

Comprendo che praticamente la cosa non sarà facile, poiché si urtano interessi di capi avidi e antiche consuetudini, e sarà quindi necessario che gli agenti nostri tengano conto della situazione per migliorarla gradatamente senza urtare i capi.

Al conseguimento di questi due resultati essenziali deve mirare pel momento la nostra azione.

I nostri agenti dovranno spiegare la loro azione al duplice intento di attirare i traffici alla Eritrea e di renderci favorevoli i capi locali.

Non si può dire a priori se ai soli funzionari debba affidarsi il delicato compito, o se in alcuni casi, e per alcune località, si possa giovarsi dell’opera di fidati commercianti.

Solamente è necessario, nel nostro interesse, che essi siano persone di molto tatto e siano gradite a Menelik e siano quindi, come prescrive il trattato, designate d’accordo con lui.

Rimane la questione della dipendenza degli agenti. Nel dispaccio riservato del 30 dicembre 1905 n. 64423/8562 diretto all’on. Mar-

tini era detto che la questione dovevasi risolvere facendo dipendere gli agenti dalla

504 1 Non pubblicati.

2 Vedi serie terza, vol. IX, D. 397.

legazione, gerarchicamente e disciplinarmente, per quanto cioè riguarda la persona degli agenti, la loro posizione, le relazioni coi capi indigeni e coi telegrafisti; e per quanto riguarda lo speciale servizio commerciale dal Governo di Asmara, al quale devono mandare relazioni notizie e studi d’indole commerciale e politica, avendo però scrupolosa cura di mandare copia d’ogni cosa alla legazione in Addis Abeba.

Nelle istruzioni pertanto impartite dalla S.V. agli agenti commerciali oltre confìne (vedi rapporto 4 giugno s. n. 3895), istruzioni che ho approvato, sarà bene regolare chiaramente anche la questione della dipendenza nel modo suindicato.

Lo zelo, il buon volere e l’alto sentimento del proprio dovere dei funzionari sapranno sormontare le difficoltà che potessero sorgere.

Intanto, bisogna profittare delle buone disposizioni del Negus in questo momento per istituire subito le altre agenzie che V.E. crederà opportuno, e prima di tutte quella di Gondar.

Per la sorveglianza delle frontiere, e per guarentirci che il commercio non venga sviato crederei fosse utile la istituzione di ispettori di frontiera viaggianti: uno nel territorio che interessa il Benadir, l’altro sulla frontiera dancala-eritrea.

Come le dissi nel mio telegramma n. 1140 dell’11 luglio a.c.3, lascio piena facoltà alla E.V. di prendere al riguardo delle agenzie commerciali i provvedimenti che crederà migliori trattando direttamente colla r. legazione di Addis Abeba ed informandone prima e poi questo Ministero.

503 4 Vedi D. 509.

505

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL GOVERNATORE DELL’ERITREA, SALVAGO RAGGI

DISP. 56157/707. Roma, 18 ottobre 1907.

Facendo seguito al dispaccio 10 settembre p.p. n. 48982/5771 circa l’azione inglese in Abissinia, con speciale riguardo alla forzata deviazione verso il Sudan di carovane dirette all’Eritrea, stimo opportuno d’allegare al presente copia del mio dispaccio del 18 corrente n. 56184/763 alla r. ambasciata in Londra2, dal quale si desumono il nostro giudizio circa l’azione inglese in Etiopia in generale ed i passi da noi fatti nel caso speciale del traffico carovaniero presso il Governo britannico per contenere almeno l’azione degli agenti sudanesi entro limiti rispondenti alle relazioni di buon vicinato.

Ho impartito istruzioni alla r. legazione in Addis Abeba per ottenere che Menelik vieti ai capi etiopici di imporre al commercio direzioni diverse da quelle naturali.

505 1 Vedi D. 446.

2 Vedi D. 506.

Sarà però opportuno che anche codesto Governo si ponga in comunicazione con quello del Sudan e, richiamando i fatti concreti segnalati dal cav. Talamonti, affinché agenti troppo zelanti si astengano da ingerenze dirette ad ostacolare la libertà dei traffici ed a turbare i rapporti di buon vicinato. Mi riferisco al mio dispaccio del 10 settembre n. 5733 al quale attendo risposta.

È necessario, però, cercare di creare per conto nostro interessi economici italiani vivi e reali in Etiopia; ed è questo il momento opportuno poiché, date le attuali condizioni del mercato finanziario inglese, non è probabile che si trovino capitali in Inghilterra per imprese commerciali in Abissinia e ne abbiamo un sintomo in una recente domanda per la cooperazione del capitale italiano in una impresa inglese nel monopolio dei tabacchi in Abissinia, domanda raccomandata all’Istituto coloniale italiano dal principe Sciarra a nome di quel tale [...]4 che è l’anima delle concessioni ottenute in Etiopia per il caucciù, per il cotone e per il caffè.

504 3 Non pubblicato.

506

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. RISERVATO 56184/763. Roma, 18 ottobre 1907.

Mi pregio d’accusare ricevuta dei rapporti 13 settembre n. 1351/5681, 21 settembre n. 1472/5832, 28 settembre n. 1515/6053, e 2 ottobre n. 1540/6171, circa l’azione inglese in Etiopia.

La distinzione che l’E.V. fa tra atti costituenti azione legittima delle autorità sudanesi da quelli che varcano tal limite è senza dubbio ben fondata: noi dobbiamo tuttavia con rincrescimento notare che l’azione britannica in Etiopia, giudicata nel suo complesso, non si esplica in modo da dimostrare tendenza amichevole verso di noi: e così gli atti che palesemente violano i rapporti di buon vicinato e danno luogo a precise rimostranze, non costituiscono che l’espressione imprudente ed eccessiva dell’identico proposito che colora tutta intera l’azione della Gran Bretagna in Etiopia, azione che mira ad assorbire ogni utilità a suo profitto, non lasciando a noi che un riconoscimento formale di diritti e di interessi. Purtroppo la nostra inazione, per mancanza di private iniziative, rende ancora più dannoso il provvedimento della Inghilterra che essa chiama fair competition ma che ai nostri occhi non appare per fair dealing.

Così, ad esempio, la reintegrazione di Alì Imam a Noggare sarebbe valsa certamente ai nostri interessi ed al nostro prestigio, se la Gran Bretagna avesse mantenuto

4 Parola illegibile.

2 Vedi D. 458. 3 Vedi D. 465.

l’impegno di disinteressarsi della questione; ciò che non sembra sia avvenuto, poiché le nostre informazioni ci inducono a ritenere che all’ultimo momento gli agenti sudanesi si son fatti a sostenere la posizione di Alì Iman, dando a credere che la sua reintegrazione fosse dovuta a loro richiesta, togliendoci così il frutto dell’opera nostra. Certamente, per la natura stessa delle cose, consimili manovre non possono essere provate nel senso stretto della parola e perciò non possono formare oggetto di ufficiale rimostranza: ed ancora noi possiamo adoperarci a persuadere Alì Iman che a noi, non agli agenti del Sudan, egli va debitore della sua reintegrazione. Ma, nel mentre quest’ultimo passo non sortirebbe probabilmente alcun effetto utile, rimane pur sempre l’impressione dannosa, nei capi etiopici, che fra autorità inglesi ed italiane, tra Italia e Inghilterra in Etiopia vi è non accordo, ma antagonismo, indebolendo così la situazione delle due potenze innanzi a Menelik.

Noi riteniamo che dai documenti annessi al dispaccio 10 settembre, n. 49025/6414, si possa dedurre in modo evidente l’indebita ingerenza delle autorità sudanesi per stornare il commercio etiopico dall’Eritrea a profitto del Sudan: né pensiamo che sia essenziale alla prova dei fatti il dimostrare che le predette autorità abbiano direttamente commessi gli atti dei quali noi ci dogliamo, nel mentre ci sembra base di reclamo il comprovare che i capi abissini, pur non avendovi alcun confessabile interesse, sieno intervenuti con mezzi illeciti a favorire l’una parte a totale danno dell’altra.

E poiché l’E.V. stima opportuno di fare oggetto di comunicazione a sir Ed. Grey dei fatti ora rammentati, io non ho difficoltà d’autorizzarla ad addivenire a simile passo, nella fiducia che egli non limiterà le sue istruzioni agli agenti del Sudan nel senso di vietar loro l’uso diretto o indiretto di mezzi coercitivi o minacciosi per deviare il commercio dalla Eritrea, ma, con misura più comprensiva, impedirà che essi si valgano, per deviare la corrente dei traffici dall’Eritrea, di procedimenti incompatibili coi sentimenti di buon vicinato e d’amicizia con l’Italia e col rispetto alla libertà dei traffici.

Debbo, per ultimo, notare che, nel mentre il colonnello Harrington ci dichiarò, nei colloqui avuti in Roma, di esprimere circa la politica etiopica idee sue personali, sta di fatto che in successive occasioni quando si presentò l’una o l’altra delle questioni che furono oggetto di quei colloqui, il Governo britannico espresse ufficialmente identiche vedute (sfere d’influenza, Banca d’Etiopia, commercio delle armi, ferrovia Gibuti-Harrar-Lugh, difesa delle legazioni, giurisdizione sugli europei in Etiopia); possiamo dunque ormai ritenere esistere in argomento una sola politica britannica in Etiopia, che è quella del colonnello Harrington, se non nelle recise dichiarazioni, certo nelle pratiche manifestazioni.

Per questa ragione, io le ho già manifestato il pensier mio sulla necessità di opporre azione ad azione, cercando di evitare le discussioni di principio, ma di ottenere che all’accordo del 13 dicembre sia dato un contenuto reale con l’azione concorde dei tre rappresentanti.

505 3 Non pubblicato, ma vedi D. 467, nota 3.

506 1 Non pubblicato.

506 4 Vedi D. 447.

507

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. RISERVATO 56185/764. Roma, 18 ottobre 1907.

Rispondo al suo rapporto dell’8 corr., n. 6301, nel quale V.E. tratta con molta diligenza la questione da me sottopostale circa l’azione delle tre potenze in Etiopia.

Lascio, per ora, la discussione sui punti toccati nel suo rapporto, essendo nel momento attuale necessario di ottenere che il rappresentante francese ad Addis Abeba muti linea di condotta, che il Governo britannico appoggi la nostra azione e che istruzioni identiche siano impartite ai rappresentanti delle tre potenze in Abissinia in conformità dell’accordo del 13 dicembre scorso.

Formulerò lo schema di istruzioni e lo invierò fra qualche giorno alla E.V., secondo ella desidera; risponderò allora ai singoli punti del suo rapporto.

Mi preme, però, di mettere subito sotto gli occhi della E.V. un rapporto del 17 settembre s., n. 902, che mi giunge ora dal conte Colli, e nel quale è illustrata la condotta del ministro di Francia in Addis Abeba nella questione specifica del commercio delle armi, e in quella generale dell’applicazione dell’accordo del 13 dicembre.

Resulta da quel rapporto che si deve esclusivamente all’azione del sig. Klobukowski se le buonissime disposizioni del Negus e gli sforzi uniti dei rappresentanti d’Italia e d’Inghilterra non hanno ottenuto, nei provvedimenti per la soppressione del commercio delle armi, quei resultati che si potevano dir quasi raggiunti, e che avrebbero dato un gran colpo all’illecito traffico; e che la nostra azione è stata messa, per l’insieme della condotta del sig. Klobukowski, in mala vista presso il Negus, come ne è riprova la domanda di introduzione di armi per il Tigré a noi direttamente rivolta da Menelik.

Resulta inoltre da quel rapporto che il sig. Klobukowski ha avuto finora in mira di aumentare la influenza francese a scapito del prestigio e del valore dell’accordo fra le tre potenze.

Per dare un’idea del modo con cui il ministro di Francia interpreta l’art. 10 dell’accordo, basta leggere il brano seguente del rapporto del conte Colli:

«… non solo il ministro di Francia al suo primo giungere in Etiopia si è rifiutato d’informare i suoi colleghi delle sue istruzioni ed ha circondato l’opera sua di mistero e di sospetto, ma nella questione del traffico delle armi, per la quale erano stati presi ancora più formali e precisi impegni fra le tre potenze, egli, dopo essersi personalmente impegnato a sostenere presso il Negus le proposte di provvedimenti concertate per l’Etiopia, ha eluso l’impegno assunto, e si è valso delle condizioni a lui specialmente favorevoli create dagli opposti interessi della Colonia di Gibuti e dei

2 Non rinvenuto.

commercianti francesi colle misure proposte, per confermare ancora la posizione privilegiata della Francia di fronte alla Etiopia, e la garanzia che essa sola realmente rappresenta per quest’ultima, provvedendo al suo armamento ed alla sua difesa».

Quest’azione del ministro di Francia è dannosissima agli interessi generali d’Italia e Inghilterra in Etiopia, e, dopo la firma dell’accordo di Londra, si può dire anticivile, di fronte ad un Sovrano nero. Essa, però, non può essere efficace per quanto riguarda la questione delle armi, poiché Menelik finirà per comprendere come tutte le restrizioni sono dirette a non armare le popolazioni che contornano la Etiopia, mentre non impediscono affatto che le armi possano andare a lui e ai capi autorizzati.

E infatti qualche buon risultato è stato ottenuto con la sospensione dell’importazione delle armi a Gibuti dirette alla Etiopia, tranne per quelle domandate da Menelik ed a lui dirette. E un recente telegramma del conte Colli3 ci annuncia che Menelik ha emanato un bando sulle armi da fuoco, che segna un buon passo sulla via della repressione del traffico.

Ma ciò non diminuisce la responsabilità del rappresentante di un Governo che, avendo la maggiore responsabilità del contrabbando che ha procurato l’armamento di dancali e somali, deve sentire maggiormente l’obbligo di adempiere le clausole dell’accordo per le armi che ha esso stesso firmato.

Evidentemente il sig. Cambon non è bene informato; e poiché la E.V. ha opportunamente con lui avuto un utile colloquio, credo necessario che, senza indugio, conforti le sue prime informazioni con i dati che resultano dal rapporto qui unito del conte Colli, affinché le istruzioni da noi desiderate siano inviate al sig. Klobukowski in conformità del mio telegramma del 4 corr.4.

È inutile che io le dica come sia opportuno, per non far nascere attriti fra i due rappresentanti in Addis Abeba, che le notizie contenute nel detto rapporto siano date con cauta discrezione; come è inutile che io le raccomandi di interessare molto il sig. Cambon nella questione, dimostrandogli il grande interesse per tutti di un’azione concorde, e il gran pericolo di un dissidio tra rappresentanti di potenze che hanno firmato un accordo solenne e hannno l’obbligo di mantenerlo nella sostanza e nella forma innanzi a Menelik. Il Governo francese sosterrebbe molto male la sua causa nelle questioni che vuol portare innanzi al Negus, se avesse lasciato al suo rappresentante libertà di agire all’infuori dell’accordo non solo, ma contro di esso, dando alle altre due potenze ragione di intervenire per impedire che si compia opera dannosa ai proprii interessi materiali e politici in Etiopia.

Quando sir E. Grey sarà a Londra, ella vorrà a lui direttamente esporre le cose, secondo le mie precedenti istruzioni 5.

4 Vedi D. 478. 5 Per la risposta vedi DD. 513 e 517.

507 1 Vedi D. 487.

507 3 T. 2032/121 del 10 ottobre, non pubblicato.

508

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A PIETROBURGO, TOMASI DELLA TORRETTA

T. 1783. Roma, 19 ottobre 1907, ore 17,20.

Ricevo il suo telegramma n. 831. Ho appreso con soddisfazione accordo intervenuto fra i Gabinetti di Vienna e di

Pietroburgo per la eventuale nomina di un altro generale italiano in sostituzione di De Giorgis. La decisione del ritiro di quest’ultimo non è però ancora definitiva: stiamo anzi facendo attive pratiche per indurlo a rimanere al suo posto. La S.V. dovrà quindi, pur esprimendo al sig. Gubastov il compiacimento nostro per la comunicazione statale fatta, pregarlo di volere, dopo avere ottenuto l’approvazione di S.M. l’Imperatore, sospendere per il momento ogni ulteriore passo in proposito. Telegrafo nello stesso senso alla r. ambasciata in Vienna2.

509

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. 1799. Roma, 20 ottobre 1907, ore 20.

Selim è stato oggi ricevuto in udienza solenne da Sua Maestà. Voglia manifestare alla Sublime Porta quanto il Governo italiano sia stato lieto di questa missione che dimostra i sentimenti di amicizia di S.M. Imperiale il Sultano verso di noi, e del modo come Selim l’ha adempiuta.

510

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2093/156. Vienna, 21 ottobre 1907, ore 20,45.

Barone Aehrenthal, che ho veduto or ora, mi ha detto che non aveva potuto informarmi prima di oggi della risposta favorevole data dal Governo russo alla proposta da lui fattagli circa la scelta di un generale italiano come eventuale successore del generale De Giorgis, giacché il sig. Goubastow non gli aveva trasmesso quella

2 T. 1782, pari data, non pubblicato.

risposta che sabato [il 19], ed egli si era trovato nella impossibilità di ricevermi ieri, essendo rimasto a Schönbrunn. Ha soggiunto che era lieto di avere potuto dare in tal modo al R. Governo una prova dei suoi sentimenti di sincera amicizia verso l’Italia. Nel confermarmi quindi cose riferite a V.E. da incaricato d’affari a Pietroburgo, di cui telegramma n. 17821, mi ha detto di non avere dal suo lato obiezioni perché nomina successore generale De Giorgis avvenga, eventualmente, nello stesso tempo che rinnovamento mandato agenti civili. Essendomi espresso con esso nel senso istruzioni contenute ultima parte telegramma suddetto, barone Aehrenthal mi ha detto che avrebbe visto con piacere che generale De Giorgis, che aveva reso così segnalati servizi, si inducesse, in seguito a pratiche di V.E., rimanere al suo posto. Ma che, intanto, si sarebbe astenuto dal fare qualsiasi passo circa suo eventuale successore e avrebbe aspettato una comunicazione ufficiosa di V.E. a tale riguardo.

508 1 T. 2076/83 del 18 ottobre, non pubblicato.

511

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2130/130. Addis Abeba, 26 ottobre 19071.

Menelik ha partecipato ufficialmente oggi ai rappresentanti esteri la formazione di un Ministero etiopico composto di sette ministri principali, dei quali sono: Afa negus e Fitaurari Apte Ghiorghis. Nella suddetta comunicazione del Negus è detto che già da molto tempo era suo intendimento organizzare Abissinia con sistemi europei, e che per aderire alle insistenze dei Governi ha deciso iniziare organizzazione, che spera aver vita sufficiente per condurre a termine. Non è ancora stabilito nulla sulle attribuzioni e responsabilità dei ministri e, ritengo, scopo sia quello di garantire la continuità del Governo nel caso morte Menelik, e ho motivo di credere che sarà presto proclamato il suo successore al trono. Menelik aveva ripetutamente manifestata suddetta intenzione, ma generalmente si riteneva che attuazione non fosse immediata.

Ho motivo di credere che il ministro di Francia abbia molto insistito su questa necessità a tutela e garanzia integrità dell’Etiopia.

511 1 Trasmesso da Asmara il 27 ottobre.

510 1 Del 19 ottobre, non pubblicato, ma vedi D. 508.

512

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO [2272]1. Roma, 28 ottobre 1907, ore 13.

Telegrammi di V.E. nn. 1462 e 1473, circa risposta Governo britannico per il caso di un eventuale ritiro del generale De Giorgis, mi hanno causato penosa impressione. Mentre Vienna, Pietroburgo e Berlino si sono pronunciati in senso interamente favorevole alla candidatura di un generale italiano, a Londra si limitano alla dichiarazione fattale da Hardinge, e che suona come un velato rifiuto. Mi risulta che l’ambasciatore d’Inghilterra a Costantinopoli aveva mostrato ad Imperiali la sua viva contrarietà per non essere stato da lui previamente informato dei passi, di natura strettamente confidenziale e preliminare, da noi fatti precedentemente a Vienna e Pietroburgo in previsione dell’eventualità di quel ritiro4. Potrebbe darsi che le comunicazioni di O’Conor siano state la causa dell’attitudine così poco amichevole verso di noi del Governo britannico in questa circostanza. Ma potrebbe anche darsi che quell’attitudine sia determinata da motivi d’ordine più generale. V.E. mi scriveva recentemente di aver dovuto osservare che Hardinge non si mostrava animato da sentimenti molto favorevoli per l’Italia. Per parte mia, rammento che in occasione del convegno di Gaeta5 — combinato, come ella sa, senza alcuna preparazione — allorquando re Edoardo espresse il desiderio che S.M. il Re si incontrasse col Re di Spagna fuori di Roma e la domanda fu dovuta declinare per ovvie ragioni, questa negativa pur lasciando inalterata la reciproca cordialità di rapporti, sembrò aver prodotto non gradita impressione sull’animo del Sovrano britannico e di chi lo accompagnava i quali non parvero rendersi conto delle esigenze della opinione pubblica italiana.

Mercé il tatto e l’abilità sua, e la posizione costì acquistatasi, V.E. potrà senza dubbio cautamente indagare se tali od altre siano le ragioni dell’attuale contegno dell’Inghilterra, e cercare in ogni caso, di dissipare le prevenzioni eventualmente esistenti contro di noi. Ciò che più preme, intanto, è di ottenere che la dichiarazione di neutralità non benevola nella questione del successore di De Giorgis venga trasformata in una promessa di appoggio cordiale6.

2 T. 2110/146 del 24 ottobre, non pubblicato. 3 T. 2112/147 del 25 ottobre, non pubblicato. 4 Vedi D. 497. 5 Vedi DD. 330 e 333. 6 Per la risposta vedi D. 514.

512 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

513

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO URGENTE 1685/679. Londra, 28 ottobre 1907 (perv. il 31).

Appena ricevuto, il giorno 26 corr., il suo dispaccio del 18 n. 764 riservato1, scrissi a sir E. Grey e telefonai all’ambasciatore di Francia per chiedere all’uno ed all’altro separati colloqui. Sir E. Grey, assente, non mi ha ancora risposto; il sig. Cambon, gentilmente, è venuto ieri da me, e la nostra conversazione, che può considerarsi come seguito e complemento di quella del 7 corr., riassunta nel mio rapporto del giorno successivo n. 6302, fu, come al solito, oltremodo cordiale e franca.

Il sig. Cambon mi disse confidenzialmente che il r. incaricato d’affari a Parigi aveva presentato al Quai d’Orsay una nota3 redatta in termini così aspri che aveva fatta assai cattiva impressione al Governo francese, e che egli, al posto del sig. Pichon, non avrebbe accettato. Avrebbe detto al barone Aliotti che credeva di rendergli un servigio restituendogli la nota, considerandola come non presentata e consigliandogli di sottoporne il testo al proprio Governo prima di presentarlo ufficialmente, poiché certo il Governo italiano l’avrebbe redatta in termini ben diversi. Di questa nota e della risposta del Governo francese, cortese, ma secca, e che conchiude che la conversazione sarà ripresa a Roma dal sig. Barrère4, il mio collega mi ha promesso di darmi presto visione confidenzialmente, avendo dimenticato di portarle con sé.

Prima ancora di conoscere questo incidente, io avevo già deciso, non soltanto di attenermi al saggio suggerimento di V.E. di far uso assai cauto delle notizie comunicatemi, ma ancora di limitarmi ai punti, che esporrò in questo rapporto, per ragioni di cui, trovandomi qui, posso valutare tutta la gravità.

Anzitutto, ho trattato col mio collega di Francia l’argomento nel quale il nostro diritto mi pare più evidente ed incontestabile, quello, cioè, relativo al dazio doganale. Il sig. Cambon ha riconosciuto subito e senza difficoltà che, per effetto della clausola della nazione più favorita, se le merci francesi pagheranno l’8%, le nostre non debbono pagare di più. Egli esclude la possibilità che il Governo francese ed il sig. Klobukowski siano di diverso avviso e sollevino la menoma difficoltà.

Sulla questione della giurisdizione consolare, il sig. Cambon mi ha detto di aver letto un lungo rapporto del sig. Klobukowski, che espone le ragioni per le quali Menelik e gli abissini la preferiscono alla nomina di giudici europei pagati da Menelik. Sono in parte ragioni finanziarie, ed in parte di amor proprio. Siccome lo scopo comune delle tre potenze è di assicurare ai propri sudditi una buona giustizia senza offendere le suscettibilità abissine, pare a me ed al mio collega di Francia, che i mini-

2 Vedi D. 487. 3 Vedi D. 494, Allegato. 4 Vedi DD. 498 e 532.

stri delle tre potenze ad Addis Abeba possano discutere fra di loro la questione, visto che, essendo sul luogo, sono meglio di noi in grado di giudicare quale soluzione riesca più gradita o meno ostica agli abissini. Il sig. Cambon, il Governo inglese ed io credevamo che dovesse incontrare presso di loro maggiore difficoltà la giurisdizione consolare che non i giudici europei al servizio di Menelik, ma, se il contrario è vero, il che non è ancora dimostrato, è chiaro che si deve adottare la soluzione la quale crea minori suscettibilità tra gli indigeni. Si tratta dunque di far risolvere dai nostri tre rappresentanti in Addis Abeba un problema di psicologia etiopica. Tecnicamente, non è dubbio che la giurisdizione consolare offra maggiori garanzie agli europei.

Sulla questione del traffico delle armi il sig. Cambon non reputa strano che il sig. Klobukowski, dopo avere approvato il progetto Colli, vi abbia, studiandolo meglio, trovato difetti, che, a prima vista, gli erano sfuggiti. Io gliene ho dato copia, ed ho cercato di dimostrargli che, lungi dall’essere troppo draconiano, come pare al sig. Klobukowski, è la logica conseguenza e la pratica applicazione dell’accordo del 13 dicembre 1906, anzi è contenuto virtualmente, e in parte testualmente, negli articoli di quell’accordo. Quanto al miglior modo di raccomandare all’approvazione di Menelik i provvedimenti che in proposito si concorderanno, il mio collega di Francia divide l’opinione del Klobukowski che sia da evitare un passo collettivo presso il Negus, il quale potrebbe interpretarlo come una pressione, e stima preferibile una azione concorde, ma separata, dei rappresentanti delle tre potenze firmatarie.

Pare che al sig. Klobukowski abbiano fatto molta impressione i sentimenti nazionalisti ed antieuropei espressi a lui dall’imperatrice Taitù, e che voglia procedere con molta circospezione per non offendere l’amor proprio abissino. Egli riferisce inoltre che Taitù sta tentando di portare via Menelik da Addis Abeba perché, prevedendone la morte non lontana, vuole che avvenga o presso Ras Oliè o in altro luogo, dove essa si senta più sicura che nella capitale.

Siamo poi venuti a trattare delle istruzioni identiche da inviare ai tre ministri in conformità all’articolo 10 dell’accordo di Londra. Avendogli accennato ai criteri generali, espressi da Harrington, nel colloquio avuto con noi a Roma nel febbraio u.s., il sig. Cambon reputa saggissima cosa il non lasciar trapelare al Negus gli eventuali dissensi tra i tre ministri ed i tre Governi, ma gli pare che vi possano essere questioni di interesse esclusivo di ciascuna delle tre potenze, delle quali non è necessario che i tre agenti si informino reciprocamente, dovendo quest’obbligo essere, a suo avviso, limitato alle questioni che riguardano interessi comuni, o interessi di un’altra delle tre potenze.

Gli ho poi detto che, pur non avendone incarico dal mio Governo, tuttavia, per amicizia verso di lui e verso il suo paese, credevo utile di fargli sapere che corre in Etiopia la dicerìa, forse fondata, forse no, che l’interprete indigeno della legazione di Francia e taluni agenti consolari di Francia in quelle regioni, probabilmente non francesi di nascita, ma o greci o levantini, siano interessati nel commercio delle armi e delle munizioni, e possano avere influito e influire sulla condotta del Klobukowski, non foss’altro per mezzo di informazioni inesatte o di traduzioni alterate. Il sig. Cambon mi ha ringraziato vivamente, aggiungendo che è possibile che l’accusa sia fondata, che in ogni modo è bene saperla, ma che, in qualunque ipotesi, questi individui non possono esercitare influenza sul Klobukowski, il quale è un provetto funzionario e conosce bene l’oriente e gli orientali.

Conchiudendo, visto che sarebbe, non soltanto vano, ma pericoloso il fare cachotteries col sig. Cambon, che ne sarebbe d’altronde informato subito dal Foreign Office, gli ho detto francamente che avrei presto parlato a sir E. Grey dell’8%, del traffico delle armi, delle istruzioni identiche e della giurisdizione sugli europei, e che avrei sostenuto sul primo punto che le nostre merci non devono pagare un dazio maggiore di quelle francesi, sul secondo punto il progetto Colli, sul terzo punto lo schema che mi manderà V.E. in base alle linee generali che gli avevo esposto. Quanto alla giurisdizione consolare, avrei informato sir E. Grey delle obbiezioni del Klobukowski e avrei riferito a V.E. le impressioni di sir Edward.

Infatti, mi pare prudente, anzi necessario, che io, per quanto si riferisce agli affari etiopici, parli al Grey soltanto di questi quattro punti, e della revoca del divieto tedesco di importare armi in Abissinia, di cui tratta il dispaccio di V.E. del 2 corr. n. 7035, e che io eviti di dare alle mie parole la più lontana parvenza di lagnanza o recriminazione verso la Francia. Un’intonazione siffatta sarebbe inutile e pericolosa, tanto rispetto alla nostra politica generale, quanto rispetto a queste speciali questioni. Se, su queste, il Governo britannico concorderà con noi in merito, ciò sarà sufficiente ai nostri fini, e tanto più facilmente concorderà quanto meno temerà di far cosa spiacevole al Governo francese, al quale, per fini di politica europea, anzi mondiale, che gli stanno molto più a cuore e gli sembrano molto più importanti, delle questioni etiopiche, tiene a dimostrare amicizia in grado maggiore di quanto tiene a dimostrarla a noi.

D’altronde, le reciproche recriminazioni dei rappresentanti europei ad Addis Abeba si devono accettare con beneficio di inventario. Ricordo purtroppo che Ciccodicola dovette riconoscere che una delle sue accuse contro Harrington non era vera. Ricordo come, viaggiando ripetutamente in Africa ed in Asia, io abbia visto svolgersi, il più delle volte senza colpa speciale di alcuno, le relazioni fra europei, isolati e come racchiusi, senza sufficienti distrazioni ed occupazioni, in un ambiente indigeno refrattario e, se così può dirsi, impermeabile per loro. Difatti, è notevole che, nel suo stesso rapporto del 17 settembre n. 906, il cap. Colli ammetta che nella questione dell’8% il Klobukowski ha riconosciuto il nostro diritto, e che, per opera di lui, è stata sospesa 1’introduzione in Etiopia delle armi e delle munizioni non destinate al Negus, delle quali, a quella data, giacevano a Gibuti importanti spedizioni dirette ai negozianti di Harrar e di Addis Abeba.

Tanto io quanto, come risulta dal mio rapporto n. 630, il sig. Cambon, abbiamo cercato di evitare che queste trattative inaspriscano gli attriti, già esistenti, tra il Colli ed il Klobukowski ma non mi faccio illusioni in proposito. In seguito alle nostre lagnanze, ed in seguito sopratutto alla nota Aliotti, il Governo francese chiederà, anzi ha certo già chiesto, spiegazioni al sig. Klobukowski, il quale molto facilmente capirà che muovono dal Colli, ed è umano che ne provi risentimento contro di lui. Fortunatamente, come mi ha confermato il sig. Cambon, il Klobukowski è ad Addis Abeba in missione temporanea che ha per principale oggetto la questione ferroviaria, e tornerà poi al Cairo, che è il suo posto.

6 Non rinvenuto.

Tenendo conto, perciò, delle relazioni anglo-francesi, della impressione prodotta dalla nota Aliotti, dell’influenza non favorevole sulla soluzione delle questioni concernenti i nostri interessi, che potrebbe esercitare il naturale desiderio del Governo francese di sostenere il proprio agente, quando venisse da noi censurata la sua condotta, a me pare necessario che io dia alle mie trattative con sir E. Grey e con il sig. Cambon un carattere, non soltanto molto amichevole, ma anche obbiettivo, cercando insieme la soluzione più equa e più utile a noi delle questioni pendenti, cioè: 8%, traffico armi, giurisdizione sugli europei, istruzioni identiche in base all’articolo decimo.

Non posso parlare a sir E. Grey della sopratassa ferroviaria se prima non ricevo la risposta, che, nel citato dispaccio n. 764, V.E. mi preannunzia, al mio rapporto n. 630.

Non posso neanche parlargli dell’azione illegittima attribuita alle autorità sudanesi per sviare i commerci dall’Eritrea, se non quando o si conosceranno nuovi fatti, o si avranno nuove prove, veramente convincenti, di quelli che hanno formato oggetto del colloquio e della corrispondenza tra me e sir E. Gorst. Infatti, se dopo la lettera particolare che egli mi ha scritto, e che forma oggetto del mio telegramma del 21 corr. n. 1425, e del mio rapporto dello stesso giorno n. 6595, sir E. Grey gli riferisse nuovi reclami sprovvisti di prove, per quei fatti stessi, potremmo nell’animo suo ingenerare verso di noi sentimenti certo non giovevoli agli interessi italiani. Forse potrebbe, in quella vece, riuscire utile che il nostro agente diplomatico al Cairo tentasse di indurlo a diramare alle autorità sudanesi istruzioni conformi allo spirito, in cui è redatta la sua lettera privata a me.

Nel dispaccio n. 7637 è detto che è base sufficiente di reclamo contro le autorità sudanesi il fatto che i capi abissini abbiano favorito con mezzi illeciti il commercio con il Sudan a danno di quello dell’Eritrea. Pare, però, a me che il fatto che i capi abissini, in conformità alla loro indole e ai loro costumi, usino mezzi illeciti, non sia punto sufficiente a provare che siffatti mezzi siano stati ad essi suggeriti dagli inglesi, ed è altresì molto difficile che tale ragionamento possa sembrare convincente ed amichevole al Governo britannico. Ed è a credere, fino a prova contraria, che gli abissini siano stati spinti ad adottare tali mezzi dall’interesse, che forse hanno o credono di avere, a sviare il commercio verso il Sudan, sia per avere avuto dagli inglesi doni o promesse di doni, probabilmente più generosi dei nostri, visto che gli inglesi dispongono di maggior danaro, sia per aver avuto altre promesse, forse illecite, ma forse anche lecite, come lecita mi pare la promessa del reddito doganale di Metemmeh, di cui nel rapporto 7 luglio n. 14 del nostro agente commercale in Deberech5 trasmessomi da V.E. con dispaccio del 10 settembre n. 6418.

8 Vedi D. 447. Per il seguito vedi D. 517.

513 1 Vedi D. 507.

513 5 Non pubblicato.

513 7 Vedi D. 506.

514

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATISSIMO 1690/6811. Londra, 28 ottobre 1907.

Rispondo al suo telegramma 22722. Esaminiamo dapprima i fatti particolari, accennati in quel telegramma, per passare poi ai rapporti generali anglo-italiani ed ai sentimenti del Governo inglese verso l’Italia.

Può darsi che nei miei telegrammi 1463 e 1473 sia stato trasmesso erroneamente qualche gruppo di cifre; ma in ogni modo a quest’ora V.E. avrà ricevuto il mio rapporto 25 corrente n. 6733 con il testo della lettera di Hardinge.

Non mi pare che la risposta del Governo inglese relativa alla successione del generale De Giorgis possa interpretarsi come un rifiuto larvato e come neutralità non benevola. È neutralità tout court, piuttosto benevola in fondo che malevola, poiché la Gran Bretagna s’impegna a non accettare un candidato che l’Italia non accetta, visto che appoggerà soltanto chi sia accettato da tutte le altre potenze, delle quasi tutte fa parte anche l’Italia.

La risposta avrebbe potuto, è vero, essere più amichevole, e tale sarebbe forse stata in altri tempi. Uno dei motivi, infatti, per cui essa è stata concepita nei suoi presenti termini, io credo sia da cercare nello spirito e nel fine dell’accordo anglorusso, quali io li ho esposti in vari rapporti, massime in quelli del 23 e del 26 settembre u.s. nn. 5873 e 5994. Nel mio telegramma n. 146 io dissi che credevo il Governo inglese avrebbe consultato la Russia prima di rispondermi. In quella vece, esso rispose poche ore dopo, senza aver avuto il tempo di consultarla. Apparentemente io avrei dunque formulato una conclusione erronea; ma l’errore è appunto apparente, non reale, poiché, avendomi risposto prima di consultare la Russia, il Governo inglese mi ha risposto in modo da esser sicuro di non dover poi contrastare la Russia, nel caso che questa non avesse gradito un generale italiano. Ora che, come V.E. mi telegrafa, la Russia ha aderito, è probabile che l’Inghilterra si mostrerà in questa questione più apertamente favorevole. Ne parlerò a Grey prestissimo. Se poi, come V.E. anche mi telegrafa, l’Austria-Ungheria e la Germania hanno pure aderito, la questione è risoluta: l’Inghilterra si è già obbligata ad aderire, ed è inutile pregarla di darci un appoggio presso le altre potenze europee, che è diventato superfluo, e che, una volta accordato, ci forzerebbe a mostrarci grati per un servizio senza valore. Manca, è vero, sinora, l’adesione della Francia, ma tale adesione mi pare una conseguenza necessaria di quella della Russia.

2 Vedi D. 512. 3 Non pubblicato. 4 Vedi D. 461.

Riassumendo, mi pare che in questa speciale contingenza il movente della condotta dell’Inghilterra sia il desiderio di non esporsi al pericolo di far cosa poco gradita alla Russia. Ho già detto a V.E. in parecchi rapporti che, a mio parere, l’accordo anglo-russo può nuocere ai nostri interessi nelle questioni balcaniche, quanto l’accordo anglo-francese ci nuoce nel Mediterraneo e in Africa. Dobbiamo fingere di rallegrarci di questi accordi, che si è convenuto di chiamare pacifici, ma la verità è che ci danneggiano. Da anni molti italiani si sono illusi (e le lettere, ora pubblicate, della regina Vittoria provano quanto a torto) credendo ad una speciale intimità affettuosa anglo-italiana. Essa è un sogno. Non cadiamo tuttavia nell’eccesso opposto, figurandoci un’Inghilterra quasi ostile, e, pur inneggiando nei discorsi alla tradizionale amicizia anglo-italiana e ai reciproci sentimenti, regoliamoci nel campo del fatti in a business-like way. Io non credo che la Gran Bretagna abbia cessato di tenere alla nostra amicizia, ma credo che ci tenga molto meno che all’amicizia della Francia e della Russia, le quali sono due grossi atouts nella sua politica, tutta sostanzialmente ispirata dalla convinzione di un antagonismo fondamentale d’interessi con la Germania e dal sospetto che un giorno o l’altro questo antagonismo si esplichi in un conflitto armato.

Tenendo presente questa circostanza, tutti gli atti, a prima vista i più inesplicabili, della politica inglese vengono immediatamente lumeggiati e spiegati. Benché l’Inghilterra non possa sperare di staccare l’Austria-Ungheria dalla Germania e sappia benissimo che, in caso di guerra, l’Italia non sarà, malgrado la Triplice Alleanza, contro di lei, io dubito, pur senza esserne sicuro, che preferisca tuttavia financo l’Austria-Ungheria all’Italia, sia perché l’Austria-Ungheria è più forte, sia per relazioni dinastiche, sia perché capisce che l’Austria-Ungheria non può fare a meno di essere l’alleata della Germania e quindi glielo perdona, mentre non tutti qui si rendono conto della nostra necessità di stare nella Triplice. Anzi mi si assicura da chi, senza essere sempre attendibile, può però essere bene informato, che il re Edoardo abbia più volte espresso a lui confidenzialmente il dispiacere che egli prova nel vedere l’Italia nella Triplice e gli abbia detto che non riesce a capirne la ragione.

Il mio timore che l’Inghilterra vada modificando, per tutti gli anzidetti motivi, la sua politica nei Balcani è stato da me espresso in vari rapporti e particolarmente in quello riservatissimo del 3 corrente n. 6185. Riguardo ai sentimenti personali di sir Charles Hardinge verso l’Italia, io riferii a V.E., col mio rapporto n. 6473, di non aver mai avuto occasione di constatare che non siano molto favorevoli, ma essermi ciò stato detto da persona che può saperlo. In quanto al rifiuto del Governo italiano di consentire ad un incontro fuori di Roma dei Sovrani d’Italia e di Spagna, ed ai probabili effetti di tale rifiuto, prego V.E. di rileggere il rapporto riservatissimo da Monsummano in data 27 aprile u.s. n. 2536. Esso conchiude testualmente così: «Uno dei pesi da porre in una delle coppe della bilancia è certo il possibile effetto di un definitivo rifiuto sui rapporti anglo-italiani, e sarebbe per lo meno desiderabile che,

6 Vedi D. 347.

se tale sarà la soluzione, sia nota al Governo britannico dopo lo scambio di note sui confini fra l’Egitto e la Cirenaica». Che tale rifiuto abbia fatto molto dispiacere al re Edoardo è indubitato, ed è anche indubitato che le nostre ragioni non parvero convincenti né a lui, né a Hardinge. Credo che, se si potesse combinare un incontro, apparentemente casuale, del nostro Re con il Re di Spagna presso una Corte amica, per sempio quella inglese, che Alfonso XIII frequenta spesso e dove rimarrà ora per l’intero mese di novembre, durante il quale vedrà l’Imperatore di Germania e il Re di Norvegia, ciò gioverebbe molto ai rapporti anglo-italiani. Vano poi sarebbe qualsiasi tentativo di far andare re Alfonso a Roma. Giusto ieri sera, parlando della situazione interna della Spagna, l’ambasciatore inglese a Madrid, sir Maurice de Bunsen, mi diceva che il Re personalmente non è clericale, ma è obbligato ad esserlo, perché un cenno del Vaticano gli farebbe perdere il trono.

Credo pure che gioverebbero molto più frequenti contatti personali tra il nostro Re e re Edoardo, che, al pari del Principe di Galles, ha giustamente in altissimo concetto le rare doti dell’Augusto Nostro Sovrano. Dacché sono a Londra, mi son convinto che i rapporti personali tra Sovrani e Dinastie, le parentele, i matrimoni, pur senza aver la potenza di modificare il corso della storia, possono però, nella politica pratica e quotidiana, anche in affari di qualche importanza, esercitare maggior influenza di quanto generalmente si crede.

Tutte le suesposte cause sono tuttavia pur sempre delle cause secondarie. La causa vera, per cui il Governo inglese non è costantemente e interamente con noi quale lo vorremmo, è, a parer mio, puramente e semplicemente il fatto che la nostra amicizia, nella presente situazione internazionale, ha per esso minor utilità che in passato. Cerco da un poco di tempo di studiare se ve ne sia qualche altra, se vi sia qualche malinteso da chiarire, qualche prevenzione da prevenire. Conoscendo l’indole inglese, credo che non faccia qui buona impressione la situazione, certo non bella, ma per noi inevitabile, in cui ci troviamo, di alleati dell’avversaria della Gran Bretagna e al tempo stesso amici suoi, chiedendole troppo spesso or piccoli or grandi favori, pur restando sempre legati alla Germania. Tutto ciò che pare doppiezza ripugna agli inglesi, i quali preferiscono il divorzio aperto all’adulterio mendace, anche quando lo praticano. Se vi sia, ripeto, qualche altra prevenzione, qualche altro malinteso speciale, continuerò ad indagare, sebbene ciò sia difficilissimo, e certo più difficile che altrove in un paese, come questo, dove la gente non si vede mai per un certo tempo di seguito, e si hanno così rare occasioni di raccogliere qua e là in società mezze parole, allusioni, piccoli indizi e svariate sfumature. Sir Edward Grey, per esempio, a differenza del suo predecessore, non va mai in società, né a pranzo fuori, e fu una eccezione che sia venuto a pranzo da me il 16 luglio, così che non capita mai di conversare con lui del più e del meno, ma lo si vede solo al Foreign Office per parlargli di affari, mentre altri colleghi aspettano.

514 1 Dall’archivio dell’ambasciata a Londra.

514 5 Vedi D. 474.

515

L’AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1201. Berlino, 30 ottobre 1907, ore 13,15 (perv. ore 17,35).

Bülow essendo ora ritornato a Berlino, ebbi con lui iersera una conversazione sui nostri affari di Tripoli nel senso delle istruzioni verbali di V.E. e del suo dispaccio del 6 ottobre2.

Mi confermò nel modo il più esplicito le dichiarazioni a lei già fatte circa il suo proposito non solo di evitarci qualsiasi concorrenza germanica sul terreno della Tripolitania ma di prestar ogni possibile appoggio alle eventuali imprese economiche dell’Italia. Egli mi disse non avere conoscenza di veruna domanda di sudditi tedeschi per avere colà concessioni di porti, ferrovie o simili, osservando non dovevamo attribuire soverchia importanza ai tentativi di privati individui, cui nessuno poteva impedire di aggirarsi in quei paesi ove la loro presenza dava occasione a voci false ed esagerate. Quanto alla Deutsche Levante Linie, Sua Altezza pur riservandosi di esaminare la cosa più da vicino mi disse che quella compagnia di navigazione privata affatto indipendente dal Governo non ne riceve alcuna sovvenzione nemmeno per il servizio postale; che secondo ogni apparenza si tratta di uno dei soliti casi di concorrenza commerciale quali esistono ovunque fra tutte le compagnie di navigazione e che riuscirebbe difficile al Governo imperiale di inibire a quella società gli scali della sola Tripolitania senza provocare reclami pericolosi. Bülow rinnovandomi le assicurazioni del suo buon volere mi promise in conclusione di confermare all’ambasciatore di Germania in Costantinopoli l’istruzione già data al barone Marschall di appoggiare all’occorrenza l’azione del suo collega d’Italia nei casi di eventuali sue domande in favore di serie e positive imprese di indole economica in Tripolitania ricordando però come lo stesso Marschall gli avesse a tale proposito rappresentato che quell’appoggio doveva circondarsi da molta prudenza e cautela per non provocare le sempre facili diffidenze del Sultano3.

2 Vedi D. 484. 3 Per il seguito vedi D. 522.

515 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale.

516

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 1697/683. Londra, 30 ottobre 1907 (perv. il 5 novembre).

Come ho fatto conoscere a V.E. con il mio telegramma n. 1531, ho ieri parlato con sir Edward Grey della successione del generale De Giorgis.

V.E. avrà notato che lo spirito delle dichiarazioni verbali di lui conferma quanto io avevo detto nel mio telegramma n. 1462, e nei miei rapporti dei giorni 25 e 28 corrente nn. 6722 e 6813, cioè che il tenore della risposta datami in suo nome da sir Charles Hardinge era motivato dal desiderio di non porsi eventualmente in contrasto con la Russia e con l’Austria-Ungheria, ma, a mio parere, principalmente con la Russia. Siccome però, benché in grado minore, il Governo britannico tiene anche a non fare cosa sgradita all’Italia, così la risposta fu concepita in modo da tentare di conciliare questi due intenti, il maggiore e il minore.

Sir Edward definì la propria risposta come cautious, but friendly, e, avendogli io francamente detto che in Italia aveva prodotto penosa impressione, se ne meravigliò molto e con accento di sincerità. Egli non sapeva — mi disse — come sarebbe stata accolta dalle altre potenze la proposta di sostituire al De Giorgis un altro generale italiano, e perciò non poteva commit himself prima di saperlo, sebbene sin dal primo momento fosse convinto che questa fosse la soluzione più desiderabile. Avendogli io detto che da Pietroburgo, Berlino e Vienna eran venute risposte favorevoli, mi è parso che ne fosse contento.

Da questo il discorso cadde naturalmente sui rapporti anglo-italiani. Io, parlando, non più da ambasciatore a ministro, ma da San Giuliano a Grey, gli confidai che il fatto dell’averci dato il Governo inglese, a breve distanza l’una dall’altra, sulle questioni di Tripolitania e di Macedonia, risposte poco favorevoli, aveva fatto nascere nel Governo italiano il dubbio che vi sia qualche malinteso, il quale possa aver reso meno amichevoli le disposizioni del Governo britannico verso l’Italia. «Se così è — soggiunsi — meglio è chiarirlo con franche spiegazioni, poiché non può trattarsi appunto che di un malinteso». Sir Edward escluse assolutamente che vi sia alcun malinteso, alcuna prevenzione, alcuna nube nel cielo dell’amicizia anglo-italiana. Io lo credo sincero, ma ciò nulla toglie alle considerazioni esposte nel mio rapporto n. 681 e in parecchi altri. Ed è anche da tener presente che egli non è il solo arbitro della politica estera del suo paese, giacché su questa influiscono il Re, la burocrazia

pensato ad un successore italiano del generale De Giorgis. La riserva britannica non era dettata da un atteggiamento poco amichevole, ma dal fatto di ignorare eventuali difficoltà frapposte da altri Governi.

2 Non pubblicato. 3 Vedi D. 514.

del Foreign Office e del Colonial Office, i rappresentanti della Gran Bretagna all’estero, etc. Per calcolare la giusta misura, nella quale possiamo contare sull’amicizia inglese, evitiamo le opposte esagerazioni, tanto quelle ottimiste quanto quelle pessimiste.

In ogni modo, per l’atteggiamento da aspettarsi dall’Inghilterra nelle questioni balcaniche, richiamo in modo specialissimo l’attenzione di V.E. non soltanto sul predetto mio rapporto riservato n. 681, ma anche sugli altri miei rapporti, pure riservati, del 3 corrente n. 6184 e 10 corrente n. 6352. È necessario tener presente quanto in essi è detto, per evitare eventuali e dannose delusioni.

516 1 Del 29 ottobre, con il quale di San Giuliano riferiva che Grey, fin dal primo momento, aveva

517

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1698/684. Londra, 30 ottobre 1907 (perv. il 3 novembre).

Come ho fatto conoscere a V.E. col mio telegramma n. 1541, ieri ho parlato con sir E. Grey degli argomenti preannunziati nel mio rapporto del 28 corr. n. 6792.

Sir E. Grey si rende conto della facilità con cui, in un ambiente come quello di Addis Abeba, possono sorgere dissensi e malintesi tra i ministri delle tre potenze firmatarie degli accordi di Londra e divide l’opinione di S.E. Cambon e mia, che ufficio di noi, che viviamo in piu spirabil aere, è di ridurli alla loro giusta importanza e portare in tutte queste questioni più alti e sereni criteri. Per decidere se convenga inviare ai tre ministri istruzioni concordi, in applicazione all’articolo 10, e in conformità alle linee generali, che io gli ricordai essere state tracciate da Harrington, si riserva di esaminare la bozza di istruzioni, che V.E. mi manderà.

Egli crede indubitato, come indubitato lo crede il sig. Cambon, il diritto dell’Italia e dell’Inghilterra, per effetto della clausola della nazione piu favorita, ad avere applicato anche alle loro merci il dazio dell’8%, come a quelle francesi. Avendogli io chiesto se non credeva di fare qualche passo per tutelare questo nostro diritto, che abbiamo in comune, mi ha risposto che si riserva di esaminare la cosa e mi comunicherà i risultati del suo esame.

Si è pure riservato di scrivermi o parlarmi, dopo ulteriore studio, intorno alla giurisdizione consolare, sulla quale il sig. Cambon gli aveva già esposto le ragioni del Klobukowski, e intorno al traffico delle armi. Gli ho, in ogni modo, consegnato

517 1 T. 2149/154 del 29 ottobre, non pubblicato.

2 Vedi D. 513.

una copia delle proposte del capitano Colli su quest’ultimo argomento, approvate dall’incaricato d’affari britannico, sebbene io gliele avessi già comunicate in sunto con nota del 13 agosto.

Intorno alla revoca del decreto tedesco d’importare armi in Abissinia, che forma oggetto del dispaccio di V.E. del 2 corr. n. 7633, egli nulla sapeva, benché io gliene avessi scritto ufficialmente sin dal 9 corr. e mi ha promesso di studiare la cosa e rispondermi.

516 4 Vedi D. 474.

518

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 104. Addis Abeba, 30 ottobre 1907 (perv. il 22 novembre).

Ho comunicato telegraficamente a V.E. la notizia sensazionale ed impreveduta della costituzione di un Ministero etiopico1 ed ora mi onoro trasmetterle la lettera ufficiale colla quale il Negus ha partecipato ai rappresentanti delle potenze tale sua decisione2.

Il Ministero testé costituito si compone di sette ministri ossia: Afe Negus Nesibu – Giustizia; Fitaurari Apte Ghiorghis – Guerra; Negadras Ailè Ghiorghis – Esteri; Aleka Gabre Sellassié – Istruzione; Bigirund Mulughetà – Finanze; Lique Muquas Chetamà – Interni; Cantiba Uolde Sadik – Lavori pubblici.

Nei miei telegrammi ho già accennato al significato, all’importanza, alle conseguenze possibili ed all’atteggiamento più opportuno da prendere di fronte alla nuova iniziativa del Negus, ma ritengo necessario riferirne con maggiore dettaglio.

A mio giudizio la formazione del Ministero etiopico non modifica per nulla le condizioni del paese sia per se stesso che nei suoi rapporti colle altre potenze; la mancanza assoluta di ogni organizzazione interna concordante colla nuova istituzione e la deficienza completa nei ministri di qualsiasi educazione e preparazione e di qualsiasi idea sulle loro attribuzioni e funzioni, danno al provvedimento pomposo del Negus un carattere di parodìa e gli tolgono ogni importanza e serietà.

Esso venne evidentemente attuato col solo scopo di dimostrare alle potenze europee che l’Abissinia può camminare da sola sulla via della civiltà ed è propensa ad adottare quei sistemi che sono propri alle nazioni civili.

E che tale unico scopo abbia avuto il Negus nel costituire un Ministero lo dimostra anche il fatto di essersi limitato a darne partecipazione ai rappresentanti delle

518 1 Vedi D. 511.

2 Non si pubblicano gli allegati.

potenze, astenendosi di emanare in proposito alcun editto al suo popolo, come è costume per ogni fatto che lo riguardi.

Già da molto tempo, ed in diverse circostanze e da diverse persone era stato consigliato al Negus di circondarsi da una specie di consiglio o governo che avesse carattere ufficiale, e sul quale riversare parte delle attribuzioni e delle responsabilità da lui personalmente finora sostenute; ma la formazione di un Ministero con criteri e concetti europei era certamente prematura e non rispondente alle condizioni del paese.

Mi risulta in modo sicuro che fu l’attuale ministro di Francia, bramoso di lasciare in Etiopia un’impronta duratura della sua opera politica, che consigliò al Negus sifatto provvedimento, e per indurvelo si valse specialmente del pericolo che minaccia l’integrità dell’Etiopia e della necessità in cui essa si trova di prevenire ogni eventuale intervento europeo al momento della successione al trono, dovuto alla mancanza di un Governo costituito.

Colla costituzione di un Ministero il Negus ha creduto di salvaguardare l’integrità dell’Etiopia dal minacciato intervento delle potenze, ed ho ragione di credere che quanto prima sarà ufficialmente proclamato il successore al trono d’Etiopia nella persona di uno dei due nipoti del Negus, Dedgiac Lulsensaghet o Ligg Jasu.

Ora, indipendentemente dall’opportunità e dall’importanza che può avere per le potenze firmatarie dell’accordo del 13 dicembre la costituzione di un Ministero etiopico, io domando a V.E. se la parte presa in essa dal ministro di Francia all’insaputa dei suoi colleghi sia conforme allo spirito ed alle disposizioni dell’accordo stesso.

Io non posso evidentemente fornire prove materiali ed irrefutabili della partecipazione del sig. Klobukowski a questo atto del Negus che tocca interessi comuni, ma ne ho la certezza ricavata da prove di fatti, e la condotta del ministro francese che si è allontanato da Addis Abeba il giorno stesso in cui l’Imperatore comunicò ai rappresentanti delle potenze l’innovazione portata all’organizzazione del suo Stato, per evitare in proposito coi suoi colleghi ogni discussione, ne è prova sufficiente.

Nel comunicare ai rappresentanti delle potenze la formazione del Ministero il Negus non fece alcun accenno alle facoltà, alle responsabilità ed alle attribuzioni che incombono ai singoli ministri, ai quali però vennero designati i rispettivi dicasteri.

All’infuori di Afa Negus Nasibù e di Fitaurari Apte Ghiorghis, che per la loro precedente posizione godevano di una grande autorità ed influenza, i componenti il Ministero sono persone di non grande importanza; quello che maggiormente a noi interessa è il ministro per gli affari esteri; a tale carica venne designato il Negadras di Addis Abeba Ailè Ghiorghis.

Certamente il Negus avrebbe potuto e dovuto fare una scelta migliore, ma anche a questa non credo sia estraneo il ministro di Francia che è intimamente legato al Negadras e ne abita la casa.

Negadras Ailè Ghiorghis è persona intrigante, corrotta, e personalmente implicato in tutti gli affari più loschi d’Abissinia, dove gode la generale disistima.

Sarà possibile ai rappresentanti delle potenze europee accordare la loro fiducia ed avere continui ed immediati rapporti con un individuo notoriamente legato con tutti gli avventurieri europei che affluiscono in Etiopia?

Se i rappresentanti delle tre potenze, conformemente all’accordo del 13 dicembre, avessero potuto concertarsi ed accordarsi sull’atteggiamento da prendere di fron-

te all’iniziativa del Negus sarebbe stato facile ad essi dimostrare al Negus l’inconveniente di una simile scelta ed ottenere la sostituzione del Negadras con persona più degna ed idonea; tale è l’opinione del mio collega d’Inghilterra, ma tale azione avrebbe dovuto essere collettiva o per lo meno concorde; ma come poter fare assegnamento sul concorso del sig. Klobukowski, che anziché prendere egli stesso, come era suo dovere, l’iniziativa di riunire i suoi colleghi si è assentato proprio in quei giorni da Addis Abeba?

Come poter contare sulla sua cooperazione mentre è noto che egli stesso consigliò la formazione del Ministero e la scelta dei ministri?

Come credere alla sua lealtà, anche quando egli avesse assicurato di agire concordemente a noi, mentre l’esperienza ci ha chiaramente dimostrato che egli agì contro gli impegni formalmente assunti tanto nella questione delle armi come in tutte le altre circostanze?

Non abbiamo per questo creduto né io né il mio collega di Inghilterra di dover attendere o provocare il parere del sig. Klobukowski, che come il solito avrebbe finto di accogliere le nostre obbiezioni ed avrebbe agito in modo contrario, e di comune accordo abbiamo stabilito di esporre ai rispettivi Governi la situazione attuale e l’opportunità di accogliere con soddisfazione l’iniziativa del Negus e di esprimergliene il compiacimento, facendogli però osservare la responsabilità ed i doveri maggiori che gli incombono con l’adozione di provvedimenti che attestano del suo maggior grado di civiltà; di astenersi per ora dal sollevare alcuna obbiezione sulla persona scelta come ministro per gli affari esteri, aspettando di giudicarlo alla prova; ma di riservarci il diritto di trattare personalmente col Negus per quelle questioni politiche per le quali lo riteniamo necessario.

In attesa delle istruzioni che V.E. vorrà impartirmi, mi atterrò scrupolosamente alla linea di condotta sopra esposta.

Io non vorrei che V.E. da quanto ho esposto nel presente rapporto e in altri precedenti si preoccupasse soverchiamente dell’influenza e dei successi ottenuti dal ministro di Francia; essi sono più apparenti che reali, e dovuti alla facile politica adottata dal sig. Klobukowski, quella cioè di considerare come successi tutte quelle innovazioni o concessioni che anziché segnare un progresso dell’influenza e degli interessi francesi, segnano invece un passo avanti nell’indipendenza o nelle prerogative o negli abusi del Governo etiopico; di questa facile politica si vale il ministro francese a pregiudizio degli interessi delle altre potenze, ma più di tutti se ne avvantaggia il Negus, che coll’accordo del 13 dicembre aveva fortemente temuto di non poter continuare quella politica di equilibrio basata sulle gelosie e gli intrighi delle potenze europee, alla quale l’Abissinia deve la sua indipendenza3.

N.B. Del presente rapporto e dei precedenti ho inviato copia al Governo dell’Eritrea.

517 3 Il Disp. 763 è del 18 ottobre (vedi D. 506), ma tratta di altro argomento.

518 3 Per la risposta vedi D. 560.

519

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. RISERVATO 1870. Roma, 4 novembre 1907, ore 14,55.

Spediscole per corriere resoconto1 miei colloqui con Selim Pascià, dal quale stralcio ora qui parte riferentesi alla riforma giudiziaria in Macedonia.

Il Sultano si dichiara pronto a fare quanto è in suo potere per mostrare le sue disposizioni amichevoli verso l’Italia, e chiede che ora l’Italia lo aiuti nella grave questione della riforma giudiziaria in Macedonia.

Egli ha presentato agli ambasciatori un progetto che salvo lievi differenze è conforme a quello austro-russo, e domanda gli si lasci attuare tale progetto senza il controllo della Commissione finanziaria. Se, passato un tempo ragionevole, ne risultasse non soddisfacente l’attuazione, allora soltanto le potenze potrebbero risollevare la questione del controllo. Ora il Sultano è deciso a respingerlo nel modo più assoluto, non arretrando dinanzi a qualsiasi conseguenza.

Ho risposto a Selim che, se egli fosse giunto cinque mesi prima, molto probabilmente avrei potuto indurre a Desio e al Semmering il barone d’Aehrenthal ad accettare il punto di vista turco, poiché non si trattava di rinunciare al controllo collettivo delle potenze, ma soltanto di riservarne l’attuazione per sperimentare intanto l’azione autonoma della Turchia. Credevo ora fosse troppo tardi, poiché la questione era già stata deferita al consesso degli ambasciatori a Costantinopoli. Ho fatto comprendere a Selim come l’Italia, pure mantenendosi animata dai miglior sentimenti verso la Turchia, non potrebbe in nessun caso distaccarsi dalle altre potenze per fare da sé, poiché con tale atteggiamento farebbe il proprio danno senza alcun vantaggio per la Turchia. Specialmente con l’Austria poi, noi dobbiamo cercare di andare d’accordo.

Selim replicò rendersi conto di ciò; ma mi pregò di esporre e appoggiare la sua proposta presso il barone d’Aehrenthal.

Dissi lo avrei fatto, non però in via ufficiale, ma in via amichevole confidenzialissima.

Ho fatto effettivamente al barone d’Aehrenthal la comunicazione promessa a Selim. D’Aehrenthal ha risposto che la questione era nelle mani degli ambasciatori.

Ho riferito tale risposta a Selim, il quale mi ha detto che il Sultano avrebbe fatto fare nuovi passi dai suoi ambasciatori a Pietroburgo ed a Vienna, confermando la sua decisione irremovibile di resistere al controllo a qualunque costo.

Vista la delicatezza della nostra posizione, V.E. dovrà usare grande riservatezza di linguaggio, dovendo noi mostrare il nostro accordo con le altre potenze e nello stesso tempo evitare qualunque atto o parole che possa dispiacere al Sultano. Se capiterà circostanza in cui V.E crederà di poter senza compromettersi, esercitare azione conciliatrice, V.E. vorrà riferirmene, chiedendo istruzioni telegraficamente.

519 1 Non rinvenuto.

520

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. 59102/810. Roma, 5 novembre 1907.

Ho preso in esame il memorandum annesso al rapporto 24 settembre p.p. n. 1492/5931, contenente le proposte del Governo britannico per la difesa delle legazioni in Addis Abeba.

Nulla abbiamo da eccepire a tali proposte nelle loro linee generali: i particolari debbono però essere deferiti all’esame ed alla decisione dei ministri in Addis Abeba. Comunico pertanto il memorandum del Foreign Office al conte Colli, al quale fin dal 31 agosto u.s. ho dato le unite istruzioni d’ordine generale2. Il conte Colli è stato anche autorizzato a prendere gli impegni che fossero necessari per la costruzione della sede della nuova legazione; egli da parte sua conferma, con recente telegramma1, che la legazione inglese ha già costruito le scuderie e ricevuto numeroso materiale per copertura e costruzione della nuova sede inglese.

Desidero conoscere se il memorandum inglese venne parimenti comunicato al Governo francese e se questo ha manifestato il suo pensiero al riguardo.

Il conte Colli nel suo rapporto unito in copia del 4 settembre u.s. n. 821, circa la difesa delle legazioni, non dissente sostanzialmente dalle idee cui s’informa il memorandum inglese, nel senso che i provvedimenti da adottare non possono contemplare che il caso di moti isolati ed improvvisi, mentre in caso di attacco organizzato essi a nulla varrebbero.

E appunto perciò il r. incaricato d’affari insiste sulla necessità di impartire ai rappresentanti delle tre potenze istruzioni analoghe, affinché essi sollecitino ed ottengano dal Governo stesso d’Etiopia le garanzie e le misure preventive che reputano necessarie alla sicurezza delle legazioni e degli europei, anche in caso di disordini, onde poter fare sul Governo etiopico pieno affidamento, e limitare appunto le iniziative dei tre rappresentanti a quelle necessarie a premunirsi nella eventualità di una minaccia improvvisa ed isolata.

Il telegramma del conte Colli in data 26 ottobre n. 1303, qui allegato in copia, che annuncia un importantissimo provvedimento di Governo preso da Menelik, ci dà maggior fiducia che l’azione delle tre potenze abbia efficaci resultati.

Le misure precauzionali devono essere attuate in previsione di avvenimenti che possano prodursi quando si aprirà la successione di Menelik. Il nostro pensiero si volge perciò naturalmente anche ad altre questioni che a tale eventualità più direttamente si connettono, e cioè la scelta del successore di Menelik e le misure da prendersi in conseguenza ai confini.

2 Vedi D. 438. 3 Vedi D. 511.

Il Governo britannico ha già in altra occasione espresso il parere che non convenga fare in proposito alcuna apertura a Menelik, che avrebbe potuto adombrarsene, e tanto meno accordarsi con lui per la designazione del suo successore, poiché non esisteva alcuna certezza che il designato sarebbe stato il più forte. Queste considerazioni che, di per se stesse, non mancano di valore, non ci appaiono però del tutto esaurienti, poiché guardano un lato solo del problema.

Conviene partire dal dato di fatto che, nel momento attuale, tolti di mezzo per morte o per malattia o per incapacità manifesta i concorrenti più terribili, ras Micael si trova ad essere il più forte ed intelligente dei ras etiopi, nel mentre suo figlio Ligg Eiasù (Jasù) sembra ormai raccogliere sopra di sé, oltre quelle del padre, le simpatie del Negus e della imperatrice Taitù.

Egli conta circa undici anni d’età e, succedendo al trono, verrebbe sottoposto ad una reggenza, che darebbe modo al padre di esercitare di fatto la sovranità. Se, in conseguenza, sorgessero tra lui e l’Imperatrice previdibili competizioni, non si deve dimenticare che quest’ultima è d’età più avanzata dello stesso Negus e che d’altronde anche eventuali scissure potrebbero creare una condizione di cose non del tutto sfavorevole ai nostri interessi, frenando la prevalenza della Taitù, della quale son noti i sentimenti antieuropei. Ras Micael non ha interessi diretti nel Tigrè, è un opportunista ed è forse anche probabile che egli continui, rispetto alle regioni poste sui nostri confini, la stessa politica passiva di Menelik. Ci sembra pertanto che non manchino le condizioni essenziali per appoggiare la candidatura al trono del piccolo Eiasù.

D’altra parte poi, assicurando al Negus, sotto certe condizioni, il riconoscimento dell’erede da lui stesso designato, si toglierebbe forse dalla sua mente quelle diffidenze che varie circostanze, e specialmente l’accordo a tre sull’Etiopia, hanno potuto generare. Finalmente l’appoggio delle potenze costituirebbe un elemento morale della più grande importanza per assicurare la regolarità della successione e prevenire uno stato di disordine e di lotte, che è comune interesse di scongiurare.

Tutte queste considerazioni ci sembrano tali da controbilanciare le ragioni in contrario.

Che se il Governo britannico, come purtroppo temo, conoscendo le idee di Harrington al riguardo, non volesse entrare in questo ordine d’idee, sorgerebbe naturale il dubbio che da parte sua si voglia agire indipendentemente anche in tale questione, dando colore di verità alle voci circolanti in Addis Abeba, secondo le quali l’Inghilterra va già da tempo preparandosi alleati fra i ras prossimi al Sudan, per profittare dei moti e delle lotte conseguenti alla successione al trono, se questa sarà lasciata interamente alla mercé delle concorrenti ambizioni locali.

Se poi codesto Governo entrasse nelle nostre vedute, in linea generale, rimarrebbero a stabilirsi le condizioni ed il modo dell’appoggio da darsi.

Né credo che questo provvedimento precauzionale e preparatorio possa essere considerato come contrario all’art. 3 dell’accordo 13 dicembre, poiché, anzi, nella eventualità della morte di Menelik, renderà più agevole alle tre potenze di ottemperare a quella clausola dell’accordo stesso.

E l’Italia è evidentemente la potenza, che più di ogni altra, deve occuparsi e preoccuparsi delle eventualità di torbidi in Etiopia, per le conseguenze politiche e geografiche della Eritrea rispetto al Tigrè, e deve provvedere alla sicurezza del suo confine. Date le nostre forze attuali in Eritrea, insufficienti a provvedere il necessario

contingente ai confini senza sguarnire il resto della Colonia, stiamo appunto ora studiando d’accordo col governatore della Eritrea e col ministro della guerra il miglior modo di provvedere. È evidente, però, che, se senza l’accordo, noi avremmo dovuto curare da soli e per nostro conto ad ogni evento, ora, dopo l’accordo, a prescindere dalle misure d’indole militare che noi potremo prendere, crediamo fermamente di fare assegnamento sulla situazione creata dall’accordo stesso, che ha per scopo finale la cooperazione e l’ausilio delle tre potenze per mantenere l’integrità dell’Etiopia e, se ciò non fosse possibile, per salvaguardare i reciproci interessi. Riteniamo quindi che spetti parimenti, a termini dell’accordo, all’Inghilterra ed alla Francia di cooperare con misure idonee, soprattutto ai loro confini, affinché non ricadano sopra di noi per intero l’onere ed i pericoli delle accennate contingenze, e per dimostrare col fatto, in Etiopia, che le tre potenze sono concordi nel prevenire e nel reprimere, e non permettono che una sola delle potenze sia esposta ai conflitti, ai pericoli ed alla necessità di reprimere.

Deriva da quanto precede l’opportunità d’addivenire ad una chiara e precisa intesa colle altre due potenze per determinare l’azione combinata da spiegarsi specialmente ai confini per la eventualità della morte di Menelik.

Ho voluto esporre all’E.V. tutte le considerazioni che il grave argomento mi ha suggerito per avere con lei un preliminare scambio di idee che, data la speciale competenza dell’E.V. nella questione etiopica, potrà condurre alla determinazione di punti concreti sui quali fondare la nostra azione nei tre argomenti che formano oggetto di questo dispaccio e cioè: a) successione di Menelik; b) provvedimento da prendersi a Addis Abeba dai tre rappresentanti per parare a contingenze immediate e mediate cagionate dalla morte del Negus; c) provvedimenti da prendersi dalle tre potenze ai confini, avuto riguardo alla specialissima situazione dell’Italia4.

520 1 Non pubblicato.

521

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 2113/772. Therapia, 5 novembre 1907 (perv. il 20).

Nel colloquio che ebbi ieri col gran visir credei di dover attirare l’attenzione di lui sulle condizioni incontestabilmente peggiorate dell’ordine pubblico in Macedonia, sul risveglio delle bande, e sulla diminuita energia delle autorità nell’opera di repressione.

Sua Altezza che era di umore cattivo, anzi pessimo, mi rispose che della situazione da me dipintagli, e da lui riconosciuta esatta, la colpa non va attribuita al Governo ottomano, sibbene alle potenze che, mentre si preparano ad infliggere a questo disgraziato paese una nuova umiliazione, non hanno né la forza, né il coraggio di agire con la dovuta efficacia sugli Stati balcanici, i quali non cessano, malgrado ogni dichiarazione in contrario, di fomentare ed incoraggiare, a mezzo dei rispettivi Comitati, l’agitazione rivoluzionaria. Sua Altezza si scagliò con l’usata veemenza contro la Grecia e soprattutto contro la Bulgaria dichiarando «inqualificabile ed impertinente» il tenore delle note con le quali i due Governi hanno risposto al monito loro rivolto dai Gabinetti di Vienna e di Pietroburgo: i bulgari, diceva Ferid Pascià, hanno di nuovo rialzato la testa dal sacco. Ciò era naturale e facilmente prevedibile dopo i recenti festeggiamenti di Sofia, la presenza dei Granduchi di Russia, il loro benevolente e simpatico contegno verso la deputazione macedone, ed il linguaggio di alcuni generali russi, i quali sono persino giunti a dire ai bulgari che a loro era riservato, in un futuro più o meno prossimo, l’onore di piantare di nuovo la Croce sulla Cupola di Santa Sofia. D’altra parte l’Esarca, che finora erasi mostrato prudente e riservato, sembra che abbia anche lui perduto la testa, essendosi lasciato sfuggire, in una recente occasione, che la sola soluzione possibile della questione macedone è l’autonomia di quella regione. E voi, signori ambasciatori, concludeva Sua Altezza, mentre non perdete mai occasione di tempestarci con osservazioni, e talvolta anche minacce, riservate le vostre tenerezze e le vostre blandizie per i rappresentanti balcanici, all’uno od all’altro dei quali voi fate, chi più chi meno, gli occhi dolci.

Risposi che, per quanto mi concerneva, non potevo assolutamente accettare il rimprovero di Sua Altezza, visto che dal giorno in cui sono qui non ho cessato un momento solo di far intendere, e talora anche in termini molto tassativi, ai vari rappresentanti balcanici, che le direttive della politica del mio Governo, in pieno accordo con le altre potenze, miravano irremovibilmente alla conservazione della pace nella Penisola Balcanica, ed al mantenimento dello statu quo e dell’integrità dell’Impero ottomano. Il mio linguaggio è stato talora anche severo al punto di provocare lagnanze da parte di qualche Governo balcanico. Con eguale tenacia, e con sentimento di vero amico, non ho, d’altra parte, cessato un momento solo di far presente alla Sublime Porta l’importanza, a suo esclusivo vantaggio, di cooperare con lealtà ed efficacia all’opera riformatrice delle potenze, e di provvedere con spirito di stretta giustizia ed assoluta imparzialità alla repressione del movimento rivoluzionario, evitando quegli eccessi e quelle crudeltà contro le quali, bene a ragione, si è, in passato, dall’opinione pubblica del mondo civile protestato con veemenza. Il Governo imperiale invece, per motivi che non sta a me di esaminare, di tutti questi consigli ha tenuto un conto molto relativo, ed invece di caldeggiare l’opera riformatrice, l’ha fin dal principio, e purtroppo continua ancora, intralciata ed osteggiata con deplorevole tenacia. E di tali disposizioni ostili la miglior prova è fornita, proprio al momento, dalle lagnanze insistenti del generale De Giorgis e degli ufficiali addetti alla riorganizzazione della gendarmeria, riorganizzazione che sarebbe vitale interesse per il Governo imperiale di favorire in tutti i modi.

Qui mi interruppe con particolare vivacità il gran visir, dichiarando infondate o per lo meno accentuatamente esagerate le lagnanze del generale De Giorgis, il quale si direbbe che è ora animato da uno spirito di preconcetta ostilità contro la

Turchia, a giudicarlo dalla tensione dei suoi rapporti con Hilmi Pascià. Osservai, a mia volta, che dovevo respingere con la massima energia l’addebito fatto al generale De Giorgis, il quale, lungi dall’obbedire a vedute preconcette, attende unicamente con rigidità e lealtà somma all’adempimento della missione affidatagli dal Sultano e dalle potenze, missione che egli sarebbe certo in grado di esaurire col massimo successo, e con vantaggio incontestabile dell’Impero, se gli sforzi suoi e la sua buona volontà non si urtassero contro la sistematica opposizione delle autorità, le quali tutte, a cominciare da Hilmi Pascià, stanno mettendo a dura prova la pazienza di quel prode e retto soldato.

Il gran visir cominciò allora a prendersela col colonnello Albera, con i nostri ufficiali, dicendo che essi sono sempre à chercher la petite bête, ad ingrandire ogni benché minimo incidente, ad ingerirsi anche negli affari che eccedono la loro competenza, come, ad esempio, il fatto di Kozani, e ad eccitare l’ambasciatore d’Italia, il quale è il solo fra tutti i colleghi che non cessa di venire a muovere rimproveri contro le autorità, basandosi su informazioni il più delle volte inesatte inviategli dall’aggiunto militare e dagli ufficiali italiani.

Replicai che le critiche di Sua Altezza producevano in me un senso di penoso stupore, in quanto io avrei avuto ogni motivo, ogni diritto di udire un apprezzamento ben diverso dell’opera compiuta dal colonnello Albera e dai nostri ufficiali. L’uno e gli altri compiono il loro dovere con una coscienza, con una abnegazione, con una prudenza, un tatto, una intelligenza che sono stati constatati ed ammirati da tutti indistintamente coloro che si sono recati a visitare il loro settore di azione. A due riprese gli agenti civili hanno manifestato al colonnello Albera il loro encomio per 1’opera degli ufficiali italiani. A me personalmente parlava di loro, 1’anno scorso, in termini di non equivoca simpatia lo stesso ispettore generale. «In presenza di questi fatti innegabili», conclusi, «io non posso in alcun modo permettere che si mettano, un momento solo, in questione i meriti e le qualità, davvero eccezionali, dei miei ufficiali. Vostra Altezza ha accennato all’affare di Kozani, dichiarando che 1’ingerenza del capitano Castoldi non era giustificata in un affare di indole amministrativa. Io non posso essere del suo avviso: il prendere possesso della proprietà altrui, in condizioni diverse da quelle prescritte dalla legge, abbattere gli alberi, distruggere le costruzioni esistenti, elevarne nuove, costituisce agli occhi miei, e di qualunque persona imparziale, non un caso amministrativo, ma un caso essenzialmente giudiziario, non certo in contraddizione con le attribuzioni della gendarmeria. E del resto l’intervento del capitano Castoldi, richiesto dalla parte lesa, ebbe luogo in forma moderatissima e correttissima. Quell’ufficiale merita anzi encomio per la pazienza dimostrata nel sopportare, in omaggio alla disciplina militare, il contegno più che scorretto osservato verso di lui dal generale Moukliss Pascià, il quale trovavasi per giunta in stato di manifesto eccitamento, provocato da troppo copiose libazioni. Vostra Altezza ha rilevato essere io il solo fra gli ambasciatori a segnalare con frequenza inconvenienti, ingiustizie, abusi commessi dalle autorità, e segnalati dagli ufficiali italiani. Io non so, né voglio sapere, quello che fanno, o non fanno, gli altri miei colleghi, per quanto assai sovente ho sentito dall’uno e dall’altro deplorare inconvenienti analoghi. Ad ogni modo, avendo piena, illimitata fiducia nell’ esattezza e scrupolosità delle notizie riferitemi dal colonnello Albera, io reputo mio stretto dovere di attirare sugli inconvenienti deplorati l’attenzione della Sublime Porta. Se

Vostra Altezza non crede di dover tener conto di questi avvertimenti datile, con sentimento di sincera amicizia, faccia come crede, ma non venga poi a dolersi meco per gli imbarazzi e le difficoltà in cui la Sublime Porta si troverà fatalmente impigliata il giorno in cui le osservazioni e le raccomandazioni incessanti da me rivoltele, a tempo debito, a guisa di cordiale ed amichevole avvertimento, si saranno trasformate in moniti imperiosi, sotto forma di note ufficiali collettivamente presentate da tutti gli ambasciatori, compresi quelli di cui Vostra Altezza ha rilevato con tanta compiacenza il silenzio e la mancanza di proteste e di lagnanze contro il cattivo funzionamento delle riforme della gendarmeria».

Non avendo argomenti ad hominem per replicare, il gran visir ricominciò a battere la campagna ritornando ad inveire contro i bulgari, i greci, il Patriarcato, le potenze, ecc., ecc. Ritornando poi alla questione della gendarmeria, mi disse che al reclamo del maggiore Luzi, per la mancata consegna del giornale rumeno, dovuta del resto ad un semplice errore dell’ impiegato postale, era già stata data completa soddisfazione. L’affare di Kozani finirà, anch’esso, per accomodarsi. Moukliss Pascià ha forse il torto di bere un poco troppo, ma non era, d’altra parte, possibile di tollerare che il generale comandante la Divisione rimanesse senza una casa. Del resto egli ha già preso i provvedimenti necessari, ecc., ecc.

Avendo manifestato chiaramente e per una seconda volta il mio pensiero, giudicai opportuno di porre termine al colloquio che aveva preso una intonazione alquanto acre.

Come V.E. bene intende, io non potevo assolutamente lasciar passare senza protesta i rilievi, gli addebiti, le critiche mosse dal gran visir contro il generale De Giorgis, il colonnello Albera e gli ufficiali italiani. E non lo potevo, sia perché quegli addebiti e quelle critiche mi parevano infondate ed ingiuste in sommo grado, sia perché, in regola generale, io sopporto difficilmente osservazioni di stranieri contro persone e cose italiane.

Il linguaggio del gran visir, del resto, non mi sorprende. Sua Altezza non potrebbe parlare diversamente, visto e considerato che le direttive di questo insensato contegno di Hilmi Pascià e delle autorità imperiali nei tre vilaiet non partono dalla Sublime Porta, ma dal Palazzo, dove — malgrado tutte le promesse, gli affidamenti e le dichiarazioni in contrario — l’ingerenza degli ufficiali stranieri nella riorganizzazione della gendarmeria è vista, nel fondo, di mal occhio. E di questo, che a me appare un fatto difficilmente contestabile, conviene che le potenze si rendano ben conto, e provvedano in modo più efficace e più radicale di quanto si è fatto sino ad oggi.

Malgrado gli sforzi davvero eroici del nostro generale per evitare un dualismo tra l’esercito e la gendarmeria, il dualismo esiste e se ne vedono quotidianamente le perniciose conseguenze. A conferma di questa mia asserzione non ho che a segnalare all’E.V. quanto scrive il generale De Giorgis nel rapporto di cui unisco copia1.

Questo male si sarebbe potuto e si potrebbe ancora facilmente evitare se dall’alto partisse quella parola magica che in Turchia opera miracoli. Ma … ahimé! Al momento non è davvero il caso di lasciarsi andare a speranze rosee in tale ordine di

idee. Lo spettro della imminente riforma giudiziaria ha dimostrato al Sultano che con le concessioni sinora fatte alle domande delle potenze non gli è risultato di allontanare l’amarissimo calice. Questa considerazione mi fa, all’ora presente, meno che mai riporre fiducia in una leale e sincera cooperazione della Turchia all’opera riformatrice. Temo, al contrario, che questo Governo reputi forse tornargli miglior conto di accrescere la confusione ed il disordine con 1’attenuare sensibilmente l’azione repressiva delle bande e con l’accentuare alquanto maggiormente la continuata e latente ostruzione contro 1’opera delle potenze, allo scopo di poter dimostrare che, in realtà, malgrado le riforme, la situazione in Macedonia, lungi dal migliorare, è peggiorata esclusivamente a causa della propaganda rivoluzionaria fomentata ed incoraggiata dagli Stati balcanici, sui quali, e non già sul Governo ottomano, deve ricadere la responsabilità delle condizioni deplorevoli dei tre vilaiet.

Esaminando la situazione con criterio puramente obbiettivo è forse il caso di domandarsi se non sarebbe stato da parte delle potenze migliore e più pratico consiglio di rinviare ad epoca più lontana e più propizia 1’introduzione della riforma giudiziaria, provvedendo intanto a perfezionare il funzionamento di quelle già introdotte, segnatamente della gendarmeria, ed adoperandosi ad imporre con la massima energia le nuove misure ritenute dal generale, dagli aggiunti militari e dai consiglieri finanziarii indispensabili per superare, bene inteso sempre nei limiti del possibile, gli ostacoli sollevati dal Governo imperiale2.

520 4 Per la risposta vedi D. 523.

521 1 Non pubblicato.

522

L’AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. PERSONALE1. Berlino, 6 novembre 1907.

Avrei voluto prima d’ora confermarle il telegramma del 30 ottobre2 con il quale le resi conto della conversazione avuta col principe Bülow sulle cose di Tripoli, per il che aspettavo il passaggio di un corriere cui affidare la mia lettera; ma giacché questo ritarda, non voglio più oltre indugiare a scrivere qualcosa al riguardo.

Il Cancelliere che fu sinora assente, mi ricevette assai gentilmente l’indomani stesso del suo ritorno a Berlino, ed io senz’altro gli esposi la cosa da lei dettami a Roma, aggiungendovi le osservazioni contenute nel dispaccio posteriore del 6 ottobre3 circa i supposti progetti di speculatori tedeschi e la concorrenza in ispecie della Deutsche Levante Linie alla nostra navigazione.

522 1 Autografo.

2 Vedi D. 515. 3 Vedi D. 484.

Su questo secondo punto, per così dire negativo, credo che difficilmente avrei potuto ottenere dichiarazioni più esplicite di quelle riprodotte nel mio telegramma a V.E. Il principe Bülow mi significò che la Germania non considerava possedere a Tripoli verun proprio interesse speciale, né politico né economico; egli anzi ricordò aver fatto in tal senso dichiarazioni anche al Reichstag, ove gli si era offerta occasione di segnalare la poca entità del commercio germanico in quelle regioni; soggiunse quindi che noi potevamo stare perfettamente tranquilli a proposito di qualsiasi azione del Governo imperiale tendente a crearci colà alcuna concorrenza. Certo, egli disse, era impossibile escludere che viaggiatori o scienziati o commercianti tedeschi si aggirassero in Tripolitania come in qualsiasi altro paese ed anche vi tentassero più o meno serie speculazioni a loro rischio e pericolo; né sarebbe ragionevole l’esigere che il Governo imperiale intervenisse per farneli desistere e rifiutasse loro quella ordinaria protezione cui hanno diritto tutti i sudditi di uno Stato in paese estero. Ciò che può attendersi, date le nostre relazioni, è che le autorità imperiali si astengano, come fanno, dall’incoraggiare quei progetti e sussidiarli con mezzi governativi. Circa l’importanza di tali progetti, il Cancelliere osservava, del resto, che non bisognava prendere troppo alla lettera – come fanno talvolta i consoli, – le voci che corrono così facilmente in quei paesi, ingrossate dalla fantasia locale e dai sospetti delle autorità turche.

Avendo io rilevato a mia volta che, se ciò poteva applicarsi al caso di privati, era abbastanza spiegabile la supposizione di un appoggio governativo quando si trattava di un’azione del genere di quella iniziata dalla Deutsche Levante Linie, il principe Bülow mi assicurò che nemmeno di questa egli non aveva veruna contezza. Egli prese nota di quanto gli esposi in proposito riservandosi di assumere più esatte informazioni, ma aggiunse ch’egli credeva poter senz’altro affermare che la Deutsche Levante Linie non riceve alcun sussidio dal Governo, nemmeno (avendogli io ciò domandato) a titolo di corrispettivo pel trasporto delle corrispondenze postali. Quella Compagnia, egli sapeva, si era lanciata in simili imprese in molti porti del Mediterraneo; ne seguiva ciò che sempre segue anche tra Società di una stessa nazione, cioè una concorrenza in fatto di tariffe; ma poteva il Governo imperiale significarle – sia pure officiosamente – che essa doveva astenersi dal far scalo a Tripoli od a Bengasi? Una tale intimazione, in qualunque forma venisse fatta ad una Società come quella di carattere assolutamente privato e indipendente, non mancherebbe di provocare reclami e proteste, col pericolo di obbligare il Governo a dare spiegazioni imbarazzanti per tutti. Nel corso della conversazione, feci pure fra l’altro allusione all’attitudine personale del sig. Banks; ma veramente non credetti poter troppo insistere su questo punto col Cancelliere il quale mi ripeteva non conoscere affatto quell’individuo, del quale, del resto, ben si può supporre che egli sia riuscito ad ottenere il posto di agente locale di una Compagnia di navigazione della propria nazionalità, senza che in ciò abbia avuto ad intervenire il Governo.

Sin qui ciò che riguarda la concorrenza. Parlando poi dell’aiuto positivo che speravamo ottenere dalla Germania per le imprese italiane, accennai al Cancelliere la sua conversazione di due anni or sono con V.E.4, non senza alludere a quanto egli le aveva detto delle sue disposizioni favorevoli anche nel caso di una eventuale

nostra azione per estendere l’influenza politica dell’Italia in quel paese. Osservai che su questo ultimo punto il principe Bülow trasvolò in silenzio, né io ritenni opportuno di mettere i punti sugl’i ma anzi gli confermai come ella fosse ben lontana dal volersi impegnare in alcuna avventura. Quanto però alla penetrazione economica, il Cancelliere senz’altro mi ripeté che il suo Governo vedrebbe con piacere ogni sforzo dell’Italia tendente allo sviluppo della sua azione economica ed industriale in quelle regioni. Egli mi assicurò che in seguito alla conversazione con lei avuta, non aveva mancato di raccomandare al barone Marschall di appoggiare le nostre eventuali domande di concessioni presso la Sublime Porta, specie quando si trattasse di affari effettivi i quali trovassero una naturale spiegazione nella propria qualità rimuneratrice, per modo da escludere il sospetto ch’essi coprissero scopi di indole politica. Il barone Marschall gli aveva infatti osservato che era estremamente difficile il dissipare simili sospetti nell’animo del Sultano e che perciò egli era obbligato a procedere con somma cautela per non esporre la propria azione in simili casi ad interpretazioni dannose per l’azione stessa e, indirettamente, per gli interessi della Germania. Nonostante, conchiuse S.A., egli rinnoverebbe all’ambasciatore le stesse raccomandazioni, affinché presentandosi l’opportunità di una di quelle nostre domande, egli cercasse di sostenerle nei limiti del possibile.

Queste furono le dichiarazioni del principe Bülow, alle quali egli aggiunse nei termini i più gentili, l’espressione del suo desiderio di far cosa gradita al Governo italiano e a lei. Che se ella ora mi domanda quale pratico effetto abbiamo ad attenderne, non potrei francamente esimermi da qualche riserva, non già che vi sia a dubitare della loro sincerità, ma per riguardo alle difficoltà intrinseche della cosa. Lascio da parte ciò di cui abbiamo altre volte discorso quanto ad una certa facilità per non dire esuberanza colla quale il principe Bülow inclina talora a mostrarsi compiacente coi suoi interlocutori ed anzi confido che egli si conformerà in generale alle sue dichiarazioni ed anche darà al barone Marschall le promesse istruzioni. Ma in realtà, è difficile attendersi a che il giorno in cui un suddito germanico abbia iniziato un affare a Tripoli o a Bengasi, questo Governo possa e voglia effettivamente intralciarlo o scoraggiarlo, per riguardo ai diritti che l’Italia potrà in un incognito avvenire far valere in quei paesi. E così quanto alle nostre domande di concessioni, l’ambasciatore tedesco a Costantinopoli non le ostacolerà e anzi ammette ch’egli spenderà qualche parola in loro favore. Ma si può sperare che egli vi arrechi tutto il peso della sua influenza, quale sarebbe necessario per vincere l’ostinata resistenza del Sultano? E ciò mentre egli è già costretto ad adoperarla e spesso senza frutto, a pro delle imprese germaniche che, sebbene non esposte ai medesimi sospetti, però incontrano colà gravi difficoltà? Mi risulta per esempio che malgrado ogni più viva insistenza, quell’ambasciata imperiale non è ancora riuscita a ottenere l’iradè del Sultano relativo all’irrigazione di Konia pur tanto interessante per la Turchia: ed al suo prossimo ritorno a Costantinopoli, il barone Marschall avrà tosto ad aprire una campagna per la concessione dei due nuovi tronchi della ferrovia di Bagdad. Gli rimarrà influenza per le imprese italiane a Tripoli? E di che natura sono codeste nostre imprese? Quando il principe Bülow mi promise assistenza a loro favore, avrei desiderato potergli specificare un po’ più esattamente di che si trattava e ciò allo scopo di rendere possibilmente concreta la promessa stessa applicandola ad una determinata concessione che presentasse i carat-

teri di effettività da lui accennati. Ma dovetti lasciare ch’egli si tenesse e tenermi io stesso sulle generali. Giacché le sto scrivendo in questa forma confidenziale, V.E. mi permetterà di rammentarle che, quando ella mi parlò in Roma delle concessioni da raccomandare, alle mie richieste circa la loro natura ella rispose autorizzandomi a esaminare negli uffici il relativo incartamento. Ora, a dir vero io non vi trovai le desiderate indicazioni specifiche; ma confesso che fui colpito da una lettera dell’agente del Banco di Roma a Tripoli, nella quale, alludendo vagamente ad una concessione di lavori per quel porto, egli diceva che poco vi era a sperare dai suoi profitti, ma che quando un’azione energica del R. Governo avesse ottenuto quella concessione dalla Sublime Porta, ne nascerebbero certo difficoltà, che egli di concerto col console (?) troverebbe allora modo di ingrossarle, e da ciò uscirebbe infine per l’Italia l’occasione di mandare in quelle acque le sue corazzate etc. A qualche mia osservazione circa questo bel progetto, fu risposto che quella lettera non aveva importanza, contenendo essa soltanto un apprezzamento personale del suo autore. Ma non potei a meno di considerare fra me le probabili conseguenze del fatto che questo autore si trovava essere appunto la persona incaricata della condotta dell’affare. Avrei voluto tornare da lei per esporle queste cose, ma ella aveva dovuto lasciare Roma nel giorno stesso e così dovetti riservarmi di parlarlene un’altra volta. Come giustamente è detto in un rapporto del mio collega di Costantinopoli che mi fu qui comunicato, se l’Italia vuol prevenire imprese di estranei in Tripolitania, unica via è quella di eseguirle essa stessa con mezzi e capitali superiori. Ma ciò non può evidentemente applicarsi che ad imprese autentiche e tali da promettere un onesto guadagno agli assuntori. Per la concessione di simili imprese si avrebbe il diritto, almeno morale, di esercitare una pressione sulla Sublime Porta ed anche sarebbe più facile ottenervi l’appoggio dei Governi amici. Ma laddove si tratti di un affare da intraprendersi a perdita per un secondo fine, è vano il supporre che altri ne sia ingannato e di fronte all’insuperabile ed abbastanza naturale resistenza del Sultano, non rimarrebbe che l’impiego della forza, – e quando si giungesse a questo, io sono convinto che, malgrado tutte le dichiarazioni del principe Bülow, si finirebbe coll’avere contro di noi anche la Germania. Se, come certamente ne è il caso, ella è fermamente contraria a sollevare un tale vespaio, io quindi ritengo che fin dal principio sia necessario di escludere ogni e qualunque equivoco verso le persone che hanno mano in questi affari.

Nei documenti comunicatimi ho osservato essere in corso colla Sublime Porta una questione per l’esercizio di una miniera di carbone presso Eraclea. Sebbene si tratti di cosa estranea all’oggetto della presente lettera le dirò – per il caso ch’ella non fosse già informata – essermi risultato che la nostra Società ha opportunamente interessato nell’affare questa Deutsche Bank. A quanto mi fu detto, sarebbe un affare promettente e per quanto piccola sia la parte ceduta alla Banca tedesca, credo che ciò basterà all’occasione ad acquistarvi l’appoggio dell’ambasciata germanica.

Voglia scusare la lunghezza di questa mia lettera. Mi proponevo di esporle a voce queste considerazioni nell’occasione di una breve corsa che vorrei fare a Roma verso la fine del mese; ma non essendo sicuro di potermi allora assentare, mi sono permesso di così sottometterle fin d’ora alla sua attenzione5.

521 2 Per la risposta vedi D. 545.

522 4 Vedi serie terza, vol. IX, D. 296.

522 5 Per la risposta vedi D. 535.

523

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1746/703. Londra, 9 novembre 1907 (perv. il 14).

Per potere esprimere a V.E., con sicura coscienza, l’opinione mia, che mi domanda nel suo dispaccio del 5 corr. n. 8101, avrei bisogno di possedere dati maggiori di quelli, che sono qui a mia disposizione.

Tanto la difesa delle legazioni, quanto la successione di Menelik formeranno parte della conversazione, che, come risulta dal mio odierno rapporto n. 7042, avrò a giorni con sir J. Harrington3, dal cui parere, come ho riferito più volte, è molto difficile che il Governo britannico si discosti.

Sulla difesa delle legazioni la mia opinione è sostanzialmente identica a quella espressa dal capitano Colli nel suo rapporto del 4 settembre n. 822. Non posso giudicare se il forte, che Menelik vuol costruire, sia tatticamente utile o pericoloso per le legazioni, ma non credo che queste corrano serio pericolo, per le ragioni appunto che il Colli espone. Tuttavia, siccome non possiamo esserne certi, io sono d’avviso che non si debba tardare a metterle in istato di sufficiente difesa. Colli, che è sul luogo, può giudicare se, oltre a ciò, convengano accordi preventivi con qualche capo locale e vicino: se si giudica che convengano, è necessario prenderli subito, perché Menelik può vivere ancora qualche anno, ma può anche morire improvvisamente da un momento all’altro.

La creazione di un Ministero di tipo europeo non mi pare un provvedimento molto serio ed efficace. Un ente collettivo quale è un Ministero, riesce per solito a mantenere l’ordine in Europa, ma in Etiopia ci vuole un uomo, e non un corpo collegiale. Ci vuole o l’aureola del lignaggio, o, come ras Alula, dell’alto valore personale; la sola carica non basta a conferire autorità effettiva a chi non si sappia sostenuto da un capo potente.

Per decidere se convenga fino da ora pronunciarsi per la successione di Ligg Iasu e cercare di indurre Menelik a designarlo, bisogna essere sicuri che egli sia il più forte. A me pare probabile che oggi egli tale sia, ma soltanto chi è sul luogo può forse giudicarlo; dico forse perché gli abissini sono così facili a mutare propositi, che tale giudizio parmi assai difficile. Inoltre, se ras Micael, che è vecchio, morisse prima di Menelik, o durante la contesa, tutta, o quasi, la forza di suo figlio svanirebbe. Mi pare quindi che prima di insistere presso i Governi di Inghilterra e di Francia perché si dichiarino per Ligg Iasu, bisognerebbe, nei limiti del possibile, accertarsi della vera forza rispettiva dei diversi candidati. Credo, in ogni modo, desiderabile che Taitù abbia quanto meno influenza è possibile, e mi pare che in questo dovremmo trovare

2 Non pubblicato. 3 Vedi D. 537.

concordi la Francia e l’Inghilterra. So che il sig. Klobukowski ha informato il suo Governo dei sentimenti anti-europei dell’Imperatrice.

Per provvedere alla sicurezza dell’Eritrea, occorrono due ordini di provvedimenti, politici e militari. Questi è bene che siano oggi quanto meno visibili sia possibile; la distanza da Napoli a Massaua non è grande e bisogna evidentemente tenersi pronti a rapida spedizione di truppa, che però io sia inclino a credere non avremo bisogno di mandare. Ancora più necessario parmi tenere pronti per immediata partenza gli ufficiali, già esperti d’Africa, destinati a inquadrare le riserve indigene.

I provvedimenti politici debbono evidentemente consistere nel creare coi capi del Tigrè rapporti e condizioni di cose, che, senza far loro credere che li temiamo, li cointeressino a non molestarci e restarci amici. I buoni rapporti coi capi del Tigrè, sulla base del loro interesse tenendo sempre alto il nostro prestigio, sono il mezzo migliore per garantire la sicurezza dell’Eritrea, con questo, però, che i buoni rapporti valgono come dieci, l’interesse come cinquanta ed il prestigio come cento.

I provvedimenti che le altre due potenze possono prendere ai confini, se di carattere militare, mi pare che, attese le distanze e le deficienti comunicazioni, non possano influire sulla sicurezza dell’Eritrea; se di carattere politico, si connettono a tutto il piano d’azione combinato che si dovrebbe concordare tra le tre potenze firmatarie dell’accordo del 13 dicembre 1906. Per iniziare trattative di tal genere presso il Governo inglese, è desiderabile di essere in grado di presentargli proposte concrete.

In ogni modo, senza mai venir meno alla lealtà verso la Francia e l’Inghilterra, è prudente di non porre così illimitata fiducia nella loro cooperazione, nella loro amicizia e nella loro preveggenza da indurci a trascurare o differire i provvedimenti militari e politici necessari a garantire la sicurezza della nostra colonia, nello stesso modo come li prepareremmo e li prenderemmo se non avessimo firmato l’accordo, visto che nessuno di questi è in urto collo spirito e colla lettera di esso, e che tanto più saremo dalle due potenze amiche stimati e rispettati, nella nostra dignità e nei nostri interessi, quanto più la sicurezza dei nostri possedimenti apparirà dovuta a noi stessi, anziché all’aiuto loro.

523 1 Vedi D. 520.

524

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. RISERVATO 1935. Roma, 13 novembre 1907, ore 14.

Nell’udienza che V.E. avrà venerdì [il 15] dal Sultano ella può esprimersi nel senso del mio dispaccio 15 ottobre1 circa alla praticità dei buoni rapporti italo-turchi e alle questioni speciali trattate in quel dispaccio, aggiungendo che cordialità sempre

maggiore derivante dalla missione di Selim attende appunto conferma effettiva dagli ordini che S.M. Imperiale vorrà dare in proposito ai suoi funzionari. Di queste mie istruzione avverto Selim2 onde da lui giungano al Sultano parole conformi a quelle di V.E. circa nostri intendimenti e nostra aspettazione3.

524 1 Vedi D. 503, nota 2.

525

L’INCARICATO D’AFFARI A VIENNA, FASCIOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2249/167. Vienna, 13 novembre 1907, ore 7,35.

Faccio seguito al mio telegramma 1631. Barone Aehrenthal mi ha detto ritenere il controllo assolutamente indispensabile, malgrado la resistenza che oppone ad esso Sublime Porta. Egli non mi ha parlato di un nuovo progetto turco. Questo mio collega di Francia reputa che le Potenze dell’intesa non potranno rinunziare al controllo, e finora neppure egli non sa nulla di un nuovo progetto turco.

526

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

DISP. RISERVATO 60378/1342. Roma, 13 novembre 1907.

Mi sono giunti, a un tempo, i rapporti del barone Aliotti dell’11 e del 14 ottobre scorso, n. 11021 e 11072 circa i passi da lui fatti presso codesto ministro degli affari esteri per l’atteggiamento del sig. Klobukowski nella sua missione ad Addis Abeba.

Il barone Aliotti ha creduto, dopo le istruzioni ricevute col mio telegramma del 4 ottobre scorso3, di fare, sia pure nella forma di aide-mémoire4, una comunicazione scritta al sig. Pichon. Secondo confidenziali comunicazioni del sig. Cambon al marchese di San Giuliano5, i termini nei quali è redatto l’aide-mémoire avrebbero fatto assai cattiva impressione al Governo francese. Ma si tratta di una questione di reda-

3 Per la risposta vedi D. 529.

russo e germanico sulla necessità di un controllo sulla riforma giudiziaria in Macedonia.

2 Vedi D. 498. 3 Vedi D. 479. 4 Vedi D. 494, Allegato. 5 Vedi D. 513.

zione che, riconosco, avrebbe potuto essere meno dura, e, forse, più opportuna sarebbe stata una comunicazione verbale. Rimane però la questione di sostanza che è quella di cui dobbiamo preoccuparci e, nella sostanza, l’aide-mémoire del barone Aliotti non fa che esporre esatte circostanze e giuste considerazioni.

La nota del sig. Pichon del 12 ottobre scorso6 invece, sebbene concepita in termini cortesi, non risponde ai nostri argomenti, elude il mio punto della questione, ed è in contradizione con le precedenti verbali dichiarazioni del ministro francese degli affari esteri che «occorre assolutamente mantenere e difendere l’armonia che deve esistere tra rappresentanti di Francia, Inghilterra e Italia». Io attendo che il sig. Barrère mi faccia le annunciate comunicazioni. Ma intanto, siccome, nonostante i fatti da noi enunciati, il sig. Pichon afferma che «l’attitude de M. Klobukowski est absolument correcte et conforme à l’article 10 de l’accord du 13 décembre 1906», dell’atteggiamento dell’inviato francese non dobbiamo occuparci se non in relazione alla questione generale di interpretazione dell’accordo di Londra quale sembra sia adottata da codesto Governo, interpretazione alla quale non possiamo in alcun modo associarci.

L’art. 10 di quell’accordo prescrive tassativamente il reciproco completo scambio di informazioni sulle questioni da trattarsi con Menelik, informazioni che devono evidentemente precedere la trattazione presso il Negus, poiché sarebbe contro lo spirito e la lettera dell’accordo stesso e contro la logica della situazione delle tre potenze firmatarie, che si corra il rischio di portare o isvelare il dissidio tra di esse innanzi a Menelik, ciò che avverrebbe certamente se prima si discutessero le questioni col Negus e poi se ne informassero i rappresentanti quando esse fossero state discusse o decise in massima.

Ora, nel negoziare con Menelik la questione della ferrovia e della convenzione commerciale, il sig. Klobukowski sapeva che avrebbe dovuto trattare argomenti di comune interesse delle tre potenze, come quello della sovratassa del 10% sulle merci transitanti sulla ferrovia e della giurisdizione sugli europei in Etiopia. A termini dell’accordo, era dunque dovere del rappresentante francese, prima di iniziare il negoziato con Menelik, di informare i colleghi delle sue trattative generali e poi cercare di mettersi d’accordo con loro su quelle due questioni specifiche e se ciò non fosse stato possibile, la cosa avrebbe dovuto esser portata innanzi ai Governi centrali.

L’esempio citato dal Pichon dei negoziati dell’Italia per il trattato di commercio con l’Etiopia, non fa il caso poiché quei negoziati sono stati anteriormente iniziati e conchiusi (21 luglio 1906) molto prima che fosse firmato l’accordo del 13 dicembre 1906.

Della questione della sovratassa del 10% il Klobukowski stava per trattare con Menelik senza informarne il capitano Colli, e, giunta a quest’ultimo per altra via la notizia, se ne astenne dopo le nostre rimostranze costà.

Della questione della giurisdizione il sig. Klobukowski, senza informarne il collega d’Italia, tratta con Menelik e si intende in massima su una soluzione che comunica al suo Governo: ne parla col capitano Colli, quando la questione stessa è compromessa quanto alla sua soluzione nel cui merito non è ora il caso di entrare.

Sul contegno del sig. Klobukowski specialmente per la questione delle armi comunico un rapporto del 17 settembre 1907 n. 90 del capitano Colli7, rapporto del quale prego V.E. fare uso molto discreto, traendone solamente elementi di fatto e di giudizio per la sua ulteriore azione – e ciò per evitare attriti personali tra rappresentanti a Addis Abeba.

Si trattava, come V.E. sa, di dare pratica applicazione all’accordo per le armi del 13 dicembre 1906, e alle posteriori intese tra le tre potenze dopo la comunicazione inglese del 1° maggio scorso per rendere tale applicazione il più possibile rigorosa.

Prima che il Klobukowski arrivasse in Addis Abeba, Menelik stesso invocava l’intervento delle tre potenze, e si mostrava animato dalle migliori disposizioni. Arrivato il Klobukowski, la situazione muta. Egli prima accetta le proposte Colli e promette di appoggiarle con l’azione collettiva. Poi si ritira dall’azione collettiva, adducendo che sarebbe stata considerata da Menelik come una pressione e non accoglie più tutte le proposte Colli, e promette solo l’azione isolata. Si sa che l’agente consolare francese in Harrar e l’interprete della legazione di Francia trafficano attivamente in armi e munizioni di che il marchese San Giuliano ha fatto confidenziale comunicazione al sig. Cambon che non ha escluso il fondamento di questa accusa. I risultati finora ottenuti per la repressione del traffico delle armi, sono stati quindi scarsi e ciò si deve al contegno del rappresentante francese. Nonostante le affermazioni di lui sulla sospensione della importazione a Gibuti delle armi per la Etiopia non destinate a Menelik, risulta da recenti telegrammi del Colli che da Gibuti continuano ad arrivare a Dire Daua armi e munizioni per i commercianti, e da Gibuti continua la vendita con gli arabi e dancali che servono da intermediari ai somali.

L’affermazione pertanto del sig. Pichon che il capitano Colli avrebbe dichiarato al sig. Klobukowski che si associava interamente al suo modo di vedere sulla questione delle armi, non può riferirsi che al primo stadio dell’azione del rappresentante francese quando questi promise di appoggiare tutte le proposte Colli con azione collettiva presso Menelik.

Il segretario generale di questo Ministero nel parlare il 16 settembre con l’incaricato d’affari di Francia si compiaceva delle ottime relazioni personali esistenti tra il capitano Colli e il Klobukowski, ciò che non è mai stato messo in dubbio, e del parziale risultato che a quella data sembrava almeno effettivo della sospensione della importazione a Gibuti delle armi per l’Etiopia, non destinate a Menelik. Ma tutto questo non muta la sostanza delle cose. Recentissimi telegrammi del capitano Colli recano infine che il sig. Klobukowski ad insaputa dei suoi colleghi di Italia e Inghilterra, ha consigliato Menelik alla formazione di un ministero (che è stato effettivamente costituito) allo scopo di premunire l’Etiopia contro l’eventuale intervento delle potenze nel caso di morte di Menelik.

Su un argomento come questo in cui sono interessate le tre potenze, e più di ogni altra l’Italia, l’azione isolata del rappresentante della potenza che più ha desiderato di accedere all’accordo, non è senza gravità sia nei riguardi di Menelik, sia nei riguardi d’Italia e Inghilterra.

Da questo insieme di fatti e di considerazioni, e dalla situazione generale quale risulta da tutta la corrispondenza della r. legazione in Addis Abeba, si trae che il rappresentante francese, mandato in Etiopia in missione temporanea per regolare la questione della ferrovia e le altre questioni pendenti, ha spiegato un’azione personale, isolata, come se l’accordo a tre non esistesse, ricordandosi solo di esso per dimostrare a Menelik che la Francia lo avea firmato per guarentire la integrità dell’Etiopia. Se questa azione è stata abile per avere rialzato la influenza francese a danno dell’Italia e dell’Inghilterra, non ha certo contribuito a dar valore all’accordo, ma sibbene a screditarlo.

Credo necessario che l’E.V., con gli elementi contenuti nel presente dispaccio, risponda in modo cortese ma fermo alla nota francese del 12 ottobre scorso per affermare, senza entrare nel merito delle singole questioni trattate dal sig. Klobukowski, la questione di principio sulla vera portata dell’accordo circa il modus procedendi da seguirsi dai tre rappresentanti, dimostrando come in nessuna delle negoziazioni l’accordo sia stato rispettato.

A voce l’E.V. potrà aggiungere che, come ho già annunciato in altro dispaccio8, io mi riservo di proporre uno schema di istruzioni identiche per l’applicazione dell’accordo, schema che invierò al r. ambasciatore a Londra affinché ne faccia oggetto di esame con sir E. Grey e col sig. Cambon ma che, intanto, sarebbe sempre molto utile anzi necessario, siccome lo stesso sig. Pichon, pur coprendo l’azione del sig. Klobukowski, ammette che equivoci e malintesi siano intervenuti, inviargli istruzioni generiche informate a quel desiderio di armonia tra i tre rappresentanti al quale si è mostrato ispirato il sig. Pichon nel suo colloquio col barone Aliotti, ed intese ad impedire che nelle singole questioni di comune interesse trattate dal sig. Klobukowski vengano presi impegni prima che sia intervenuto l’accordo delle tre potenze9.

524 2 Vedi D. 527.

525 1 T. 2225/163 dell’11 novembre, col quale Fasciotti riferiva un giro di colloqui con i colleghi

526 1 Vedi D. 494.

526 6 Vedi D. 498, Allegato.

526 7 Non rinvenuto.

527

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. RISERVATO 1951. Roma, 14 novembre 1907, ore 17.

Ho riveduto prima della sua partenza Selim Pascià, il quale mi ha detto: che il Sultano era rimasto altamente soddisfatto di quanto egli gli aveva riferito circa ai colloqui avuti con Sua Maestà e con me. Ha rinnovato assicurazioni circa Tripolitania ed ha confermato che appena tornerà a Costantinopoli s’intenderà con V.E. circa Eraclea. Ha soggiunto desiderare essere considerato come me amico sincero dell’Italia e che V.E. sia informata di poter fare in qualunque circostanza assegnamento sulla sua cooperazione. Egli si reca ora a Vienna e mi ha chiesto di scrivere al barone d’Aehrenthal per prevenirlo in suo favore, cosa che io ho fatto. Gli ho detto

9 Per il seguito vedi D. 532.

che io intendevo ora risolvere la questione degli uffici postali trascinatasi troppo a lungo, istituendoli a Costantinopoli, Valona, Salonicco, Smirne, Gerusalemme. Ho detto che gli comunicavo ciò a titolo di cortese informazione, poiché l’istituzione era un nostro incontestabile diritto per la clausola della nazione più favorita. L’ho anche informato che l’Austria, alla quale soltanto i nostri uffici postali faranno concorrenza, non solo aveva riconosciuto l’evidenza del nostro diritto, ma si era anche pronunciata favorevolmente alla istituzione. Selim Pascià ha ringraziato per questa comunicazione. Dopo ciò sono sicuro che V.E. apprenderà con piacere queste notizie che le rendono più facile il compito in ordine alle istruzioni da me inviatele1.

526 8 Vedi D. 490.

528

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2282/141. Addis Abeba, 14 novembre 19071.

Ho ricevuto nuova assicurazione dal Negus riguardo spedizione Ogaden che non cambierebbe in nessun caso statu quo da lui riconosciuto. Attuale condizione Somalia, e gravi difficoltà incontrate spedizione hanno costretto Menelik inviare numerosi rinforzi dagli Arussi per cui ritengo che attualmente vi sono in Ogaden circa seimila abissini. In seguito ultimi eventi, scopo principale spedizione è oggi punire tribù Ogaden che avrebbero opposto resistenza agli Amahara, ma incertezza situazione, mancanza notizie precise, non mi permette assicurare in quali limiti sarà mantenuta azione abissina. Però non conviene essa debba in alcun modo preoccupare Governo Benadir, né compromettere statu quo Giuba e Lugh.

529

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO1. [Therapia], 15 novembre 1907.

Sultano mi ha espresso oggi suo vivo compiacimento per accoglienza cordialissima fatta a Selim Pacha e per risultato colloquio confidenziale da lui avuto con Sua Maestà il Re, col presidente del Consiglio e con V. E. Ha dichiarato amicizia Italia stargli più che mai a cuore.

528 1 Trasmesso da Asmara il 15 novembre. 529 1 Dalle carte della Serie P. Risponde al D. 524.

Ho risposto esprimendo fíducia delle intenzioni sovrane non tarderemo a vedere risultati pratici mediante pronti soddisfacenti soluzioni varii affari che ci riguardano e mutamento contegno autorità le quali non sembrano tutte egualmente edotte del desiderio di S.M. di rinsaldare intimità relazioni turco-italiane.

Ha replicato Sultano che egli si riserva di esaminare direttamente questioni che ci interessano dopo di avere conferito con Sélim cui ha dato ordine di tornare presto. Ha soggiunto che non mancherà di fare bene intendere Sublime Porta sue disposizioni a noi pienamente favorevoli.

Ho dovuto per oggi contentarmi di queste dichiarazioni generali. Sultano era stanco, aveva prima di me ricevuto ambasciatore di Russia, ambasciatore d’Inghilterra, e doveva ricevere dopo rappresentante Austria-Ungheria, Germania. Non era in tali condizioni possibile né consigliabile entrare in particolari. Accortomi quindi che Sua Maestà non gradiva prolungare troppo udienza ho manifestato intenzione sollecitarne presto altra per intrattenerlo con maggiore agio di alcuni affari che stanno assai a cuore al mio Governo. Prima di ritirarmi ho accennato però all’affare Eraclea facendo risaltare importanza che noi annettiamo rispetto diritti quivi acquisiti dai nostri connazionali. Sultano mi ha pregato di fargli pervenire breve pro-memoria turco […]2 dovendosene per rendersi conto questione e poterne poi discorrere meco. Promemoria sarà redatto dall’avvocato di Nogara e consegnato al più presto3.

527 1 Vedi D. 524.

530

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. 1959. Roma, 16 novembre 1907, ore 9,15.

1) Incaricato d’affari di Turchia è venuto lamentarsi recrudescenza bande Macedonia, domandare si facciano rimostanze Stati balcanici. Ho risposto che si son fatte e si faranno; me che occorre che le truppe turche imprendano seriamente la repressione delle bande, ciò che ora non fanno.

2) Inoltre mi son lamentato per la sistematica opposizione delle autorità ottomane alla azione della gendarmeria.

3) Incaricato d’affari mi ha parlato anche di Creta, muovendo lamento per organizzazione milizia e per manifestazioni che sembrano preludere cambiamento statu quo, tra cui francobolli con effigie Zaimis. Ho preso in burletta quest’ultima affermazione. Ho risposto che organizzazione milizia è conseguenza delle proposte fatte dalla Commissione internazionale d’inchiesta del 1905; che ora con Zaimis non si hanno più le manifestazioni annessioniste che si lamentavano col principe Giorgio; che l’opera di Zaimis è altamente commendevole e merita di essere appoggiata.

3 Per il seguito vedi D. 536.

529 2 Gruppo indecifrato.

531

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 1965. Roma, 16 novembre 1907, ore 18,30.

Ho presenti i rapporti 6791, 6842, 7033 e 7044 e mi riferisco al mio dispaccio n. 8105.

Approvo V. E. tratti con Harrington argomenti di cui rapporto 704, e che mantenga su di essi punti di vista risultanti da corrispondenza e riassunti rapporto n. 679 e dispaccio n. 810. Circa sovratassa 10% mi riferisco mio telegramma 10 giugno n. 9556.

Desidero però che ella tratti sopratutto con Harrington la questione pregiudiziale ed essenziale del modus procedendi prescritta dall’art. 10 dell’accordo 13 dicembre, poiché mi risulta che Klobuchowsky ha formalmente dichiarato ai rappresentanti di Italia e di Inghilterra ad Addis Abeba che non poteva ammettere [interpretazione] da loro data a detto articolo. V. E. sa che nostra interpretazione è quella sostenuta da Harrington. Mi interesserebbe moltissimo che su questo punto il colloquio di V.E. avesse risultati positivi7.

532

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

DISP. RISERVATO 61182/1355. Roma, 16 novembre 1907.

Faccio seguito al mio dispaccio del 13 novembre corr. n. 13421. Come era detto nella nota del 12 ottobre del Ministero francese degli affari este-

ri a codesta ambasciata, comunicatami da rapporto del 14 ottobre n. 11072, il sig. Barrère è venuto a parlarmi delle cose di Etiopia.

2 Vedi D. 517. 3 Vedi D. 523. 4 Non pubblicato. Di San Giuliano chiedeva se ci fosse qualche altro argomento da trattare

oltre a quelli di cui alle note precedenti e al dispaccio di cui alla nota 5. 5 Vedi D. 520. 6 Vedi D. 366. 7 Vedi D. 537.

2 Vedi D. 498.

Quanto alla questione di forma per i termini in cui era concepita la nota del barone Aliotti, ho detto al sig. Barrère che ero dolente che il tenore di quella nota abbia potuto urtare le suscettibilità del Governo francese. Ella può dire altrettanto costà. Quanto però alla sostanza, ho voluto precisare i fatti che, sia nella questione di principio sull’interpretazione dell’art. 10 dell’accordo del 13 dicembre 1906, sia nei singoli argomenti trattati dal sig. Klobukowski, avevano dato ragione alle nostre formali rimostranze per la linea di condotta seguita dal rappresentante francese in Addis Abeba.

Ho detto al sig. Barrère le cose che per esattezza e ricordo trascrivo nell’unita memoria.

La invio all’E.V. insieme con il rapporto del conte Colli del 13 ottobre di n. 993, affinché ella si mostri conscio con il sig. Pichon di quanto io ho detto al sig. Barrère e di quanto avviene in Addis Abeba.

Le sarò grato di un cenno di ricevuta del presente dispaccio4.

ALLEGATO

PROMEMORIA. Roma, 16 novembre 1907.

L’articolo 10 dell’accordo del 13 dicembre 1906 stabiliva che i tre rappresentanti si tengano reciprocamente completamente informati e cooperino per la protezione dei loro interessi rispettivi, e che, in caso di disaccordo, essi ne riferiscano ai propri Governi, sospendendo intanto ogni azione.

Conseguenza di questa disposizione è che i tre rappresentanti nulla debbano fare senza prima intendersi vicendevolmente e, se dissidio sia per nascere, esso non debba esser portato innanzi a Menelik, ma sibbene innanzi ai Governi centrali per trovare una soluzione.

Ora mi risulta in modo non dubbio che l’azione del rappresentante francese in Etiopia, sig. Klobukowski, si è svolta isolatamente, all’infuori dell’accordo del 13 dicembre.

Ciò è dipeso dall’interpretazione che il rappresentante francese dà all’art. 10 dell’accordo, ben diversa da quella che è nella lettera e nello spirito di esso.

Avendo il conte Colli dichiarato al sig. Klobukowski che conformemente a quanto è stabilito nell’art. 10 suddetto, non trovandosi i tre rappresentanti d’accordo su di una questione di interesse comune, avrebbero essi dovuto sospendere ogni loro azione e trattativa in proposito col Negus e attendere la decisione dei rispettivi Governi, il rappresentante francese rispose non poter ammettere questa interpretazione e, conformemente alle istruzioni ricevute dal proprio Governo, non ritenersi per nulla obbligato di comunicare ai rappresentanti d’Inghilterra e d’Italia alcuna informazione sulle sue intenzioni e sui negoziati in corso col Negus ma ritenersi sicuro di interpretare ed applicare correttamente lo spirito dell’accordo nella condotta da lui adottata.

4 Per la risposta vedi D. 539.

Il rappresentante d’Italia, e il rappresentante d’Inghilterra, presente al colloquio, non hanno nascosto la loro meraviglia per le suddette dichiarazioni riservandosi di riferirne ai rispettivi Governi.

Nel negoziare con Menelik la questione della ferrovia e della convenzione commerciale, era sicuramente preveduto dal sig. Klobukowski che si dovessero trattare argomenti di interesse comune delle tre potenze come quelli della sovratassa del 10% sulle merci transitanti sulla ferrovia e sulla giurisdizione sugli europei in Etiopia.

Della questione della sovratassa del 10%, il sig. Klobukowski stava per trattare con Menelik e, giunta la notizia per via indiretta al nostro rappresentante, ristette, in seguito alle nostre rimostranze a Parigi.

Della questione della giurisdizione, il sig. Klobukowski trattò e discusse con Menelik comprendendo nel progetto di trattato di commercio la soluzione della giurisdizione consolare. Ne parla coi rappresentanti delle altre potenze, quando la questione è compromessa.

Pel traffico delle armi, si trattava di dare pratica applicazione all’accordo a tre del 13 dicembre 1906, e alle posteriori intese delle tre potenze per renderne più rigorosa l’applicazione.

Prima che il sig. Klobukowski arrivasse in Addis Abeba, Menelik stesso invocava l’intervento delle tre potenze e si mostrava animato dalle migliori disposizioni.

Arrivato il sig. Klobukowski la situazione muta. Egli prima accetta esplicitamente tutte le proposte Colli e promette unirsi ad un’azione

collettiva dei tre rappresentanti. Poi si ritira dall’azione collettiva, adducendo che sarebbe stata considerata da Menelik come una pressione, e non accetta più tutte le proposte Colli.

L’interprete della legazione di Francia si espresse pubblicamente nel Ghebi imperiale in termini assolutamente contrari al progetto Colli, dicendolo inaccettabile e dannoso alla Etiopia.

È notorio che l’agente consolare francese a Harrar e l’interprete della legazione francese hanno finora esercitato il commercio delle armi. I fucili Gras presi in grossi lotti sono pagati circa L. 5 l’uno, e poi rivenduti in Etiopia per L. 50 e in Somalia e Ogaden per L. 120 e finanche per L. 240, l’uno.

I risultati finora ottenuti per la repressione del commercio delle armi sono stati scarsi nonostante l’azione dei rappresentanti d’Italia e d’Inghilterra.

Sebbene sia stata sospesa l’importazione a Gibuti delle armi per l’Etiopia non destinate a Menelik o ai capi autorizzati, mi resulta che da Gibuti continuano ad inviare a Dire Daua armi e munizioni per i commercianti; e da Gibuti continua la vendita con gli arabi e dancali che servono da intermediari ai somali.

Nella questione della difesa delle legazioni in cui sembrava già acquisita l’intesa dei tre Governi, secondo le stesse dichiarazioni del sig. Lagarde prima che lasciasse Addis Abeba, per la riunione di esse in un sol quartiere, il sig. Klobukowski agisce isolatamente, dichiarandosi contrario alla formazione di un quartiere speciale, e scegliendo ed iniziando i lavori per la nuova legazione francese in un terreno oltre il torrente Kabanà.

Il Klobukowski ad insaputa dei suoi colleghi d’Italia e di Inghilterra consiglia Menelik alla formazione di un Ministero allo scopo di premunire l’Etiopia contro l’eventuale intervento delle potenze nel caso di morte di Menelik; e agisce presso Menelik per far entrare nel Ministero etiopico un suddito francese, turbando così l’equilibrio fra le tre potenze interessate. Il rappresentante italiano è costretto ad intervenire presso Menelik, e dichiararsi apertamente contrario alla proposta del sig. Klobukowski, con effetto disastroso per il dissidio rivelato a Menelik fra le tre potenze.

Su tutti questi argomenti in cui sono egualmente interessate le tre potenze firmatarie dell’accordo del 13 dicembre, l’azione isolata del rappresentante di una di esse non è senza gravità sia nei riguardi di Menelik sia nei riguardi delle altre due, ed essendo in aperta opposizione

all’accordo stesso, è tale da richiamare seriamente alla necessità di dare ad esso la efficacia che deve avere affinché obblighi e vantaggi siano egualmente distribuiti.

L’esempio addotto dal Ministero francese degli affari esteri nella nota del 12 ottobre 1907 alla r. ambasciata d’Italia a Parigi5 sulle trattative commerciali da noi iniziate e conchiuse a Addis Abeba con Menelik senza informarne le altre due potenze non fa al caso poiché è noto che quelle trattative e la firma dell’accordo commerciale tra Italia e Etiopia (21 luglio 1906) risalgono ad epoca anteriore alla conchiusione dell’accordo del 13 dicembre 1906.

531 1 Vedi D. 513.

532 1 Vedi D. 526.

532 3 Vedi D. 496.

533

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1792/724. Londra, 16 novembre 1907 (perv. il 23).

Ho attentamente esaminato la memoria sull’ azione inglese in rapporto alla Cirenaica, allegata al dispaccio di V.E. del 9 corrente n. 813. (Ufficio Diplomatico)1.

È necessario che costì vengano messi a raffronto i dati, da me in varie occasioni comunicati a V.E., con quelli che le sono pervenuti e le pervengono da altre fonti, per bene assodare i fatti indicati in quella memoria, determinare il carattere ed il fine di ognuno di essi e discernere quali possano formare oggetto di conversazioni o di trattative tra i due Governi e quali debbano soltanto servirci come elemento di giudizio e di previsione intorno ai motivi ed agli intenti della politica britannica e come incentivo e guida alla nostra multiforme azione, diretta a tutelare i nostri interessi attuali e futuri. Questo esame diligente è necessario per non esporci o a qualche risposta del Governo inglese o a produrre nell’ animo di esso qualche’ impressione, da cui, senza raggiungere alcuno dei nostri fini pratici nell’Africa settentrionale, derivino effetti non desiderabili sui rapporti anglo-italiani. Io non ripeterò mai abbastanza che in questa, come in ogni altra questione, dobbiamo evitare i due eccessi opposti, egualmente lontani dal vero, di credere o ad un’ Inghilterra innamorata di noi, o ad un’Inghilterra poco men che ostile.

E dobbiamo anche evitare, o di addormentarci in una cieca ed illimitata fiducia, come ne avremmo corso il pericolo se le trattative sul confine cirenaico non ci avessero aperto gli occhi, o di mostrarci troppo, e troppo sovente, diffidenti e sospettosi. Già sir Edward Grey mi ha detto più di una volta per quanto in tono amichevolissimo, che siamo too suspicious ed è certo una spiacevole coincidenza che si trattino contemporaneamente tre questioni (Tripolitania, Abissinia, Balcani), in cui ci troviamo più o meno costretti a questo atteggiamento, che io cerco attenuare e dissimulare nella forma, ma che resta sempre pur tale nella sostanza, e che, se dovesse durare o

533 1 Disp. 59721/813, non pubblicato.

accentuarsi, non potrebbe, sebbene in parte giustificato ed inevitabile, avere benefica influenza sui reciproci rapporti.

Ciò premesso, passo ai singoli fatti: 1) Già nel mio rapporto nel 17 dicembre 1906 n. 5592, io ho accennato alle

legittime preoccupazione che la ferrovia Alessandria-Sollum deve destare nell’animo nostro. Mi colpì molto, nel 1905, trovandomi in Egitto, il fatto che, tanto alla r. agenzia diplomatica al Cairo, quanto al r. consolato generale in Alessandria, si avessero ben poche, incomplete e contradittorie notizie su questa ferrovia. Alcuni maggiorenti della colonia italiana, che pure poco o nulla ne sapevano, mi promisero di raccogliere notizie, ma non me le hanno mai mandate. Il Khedivè, se la memoria non m’inganna, avrebbe parlato al marchese Salvago Raggi di un grandioso progetto; la sua ferrovia sarebbe arrivata sino al confine, e di la il Governo italiano l’avrebbe continuata, toccando Tripoli, sino alla congiunzione con le ferrovie tunisine. Non pare dubbio che la ferrovia sia stata iniziata dal Khedivè a scopo di lucro, in connessione con le sue aziende agrarie. Le più vaste idee son venute in seguito. È probabile che ora l’ Inghilterra voglia farsene uno strumento ad importanti disegni politici ed economici, che la r. agenzia diplomatica al Cairo potrebbe indagare. Probabilmente, questa ferrovia, in un punto da accertare, dovrà piegare a sud-ovest per spingersi dapprima sino a Siwa e poi sino ad un punto più a sud del confine che 1’Inghilterra riconosce alla Cirenaica, sulla via carovaniera Kufra-Bengasi, nello scopo di stornare da questo ultimo porto in favore di Alessandria il commercio del Wadai.

Questo disegno pare preferibile al tentativo di attirarlo a Kargeh, dove tende la ferrovia delle oasi, che si congiunge alla rete dello Stato tra Abu-Tisht e Farshut, perché il prolungamento della ferrovia più a sud-ovest di Kargeh implica una spesa sproporzionata all’entità del commercio del Wadai, e le comunicazioni per carovana attraverso il deserto diffícilmente sarebbero possibili all’infuori delle vie battute da secoli, appunto perché provviste di acque e di pascoli. L’ipotesi ingegnosa dell’Ostini (memoria annessa al dispaccio di V.E. del 1° maggio n. 302, Ufficio Coloniale2) che le due ferrovie del Mariut e di Kargeh debbano congiungersi a Siwa, non tiene forse abbastanza conto della sproporzione tra la spesa e 1’utilità economica e politica. In ogni modo è da escludere che la ferrovia Alessandria-Sollum, o qualsiasi altra, miri ad ambizioni di possesso territoriale oltre i limiti segnati nel promemoria del 19 novembre 1904, presentato dal Governo britannico a quello ottomano. Infatti nel memorandum del 20 agosto u.s., consegnatomi il 26 dello stesso mese da sir Edward Grey, e da me trasmesso a V.E., insieme al predetto documento, col rapporto dello stesso giorno n. 5382, è detto esplicitamente che il Governo egiziano (e perciò britannico) «non ha desiderio né intenzione di sorpassare i confini descritti in quel promemoria». Questa dichiarazione costituisce un impegno verso l’Italia; essa non ci garantisce per il confine più a sud di Giarabub; fissa, tra Giarabub, inclusivamente, e il mare un confine diverso da quello da noi desiderato; ma, in ogni modo, per quest’ultimo tratto ci rassicura intorno a tutta quella parte del paese che sta ad occidente di esso. Bisogna tener bene e sempre in

mente questa circostanza per non esagerare un dissenso, che è già abbastanza grave, e non tormentarsi con sospetti immaginari, quando abbiamo un pericolo reale (Giarabub e soprattutto Kufra). In ogni modo, non vedo come la costruzione di una ferrovia in territorio egiziano possa offrirci titolo e materia per un reclamo o per una richiesta di spiegazioni al Governo britannico. Risulta poi (e sarebbe stato facile immaginarlo d’altronde) dal rapporto del 5 marzo u.s. n. 167 del r. incaricato d’affari a Costantinopoli2, comunicatomi da V.E. con dispaccio del 23 del detto mese (Ufficio Diplomatico) n. 2402, che il Governo turco non è disposto a permettere la continuazione di quella ferrovia sul territorio ottomano.

2) Da parecchio tempo il Khedivè cerca di acquistarsi popolarità nel mondo arabo, e particolarmente tra gli arabi delle oasi, comprese quelle che sono in territorio ottomano. Non soltanto lo tenta nei suoi viaggi, ma anche ricevendo con molta gentilezza quelli che vengono al Cairo e che rimanda colmati di ricchi doni, i quali fanno contrasto colle estorsioni dei funzionari ottomani. Fin dal dicembre scorso, nel mio citato rapporto n. 559, io dicevo che gioverebbe indagare fino a che punto il Khedivè agisca per fini propri, e fino a che punto sia d’ accordo, sincero o mendace, con l’Inghilterra. E quali presumibilmente i disegni dell’uno e dell’altra, che fors’anche si connettono alla questione del Califfato? Sarebbe necessario avere dal Cairo maggiori informazioni prima di decidere se convenga che io ne parli a sir Edward Grey.

3) Nel mio rapporto dell’ 11 dicembre 1906 n. 5482 ho notato i pericoli che ai nostri interessi ed intenti possono derivare dalla attività inglese nelle oasi occidentali egiziane; nei successivi rapporti del 17 dicembre 1906 n. 559 e 9 gennaio 1907 n. 212 sono ritornato su questo argomento, fornendo a V.E. i dati, che avevo qui potuto raccogliere. Lo sviluppo di questi interessi inglesi nelle oasi è, a parer mio, una delle cause e delle influenze, che hanno mutato i propositi, dapprima favorevoli, di sir Edward Grey nella questione dei confini. Bisogna quindi vigilare, per mezzo della r. agenzia diplomatica al Cairo, su tutto quello che accade nelle oasi, ma, finché 1’attività inglese si limita a quelle, che sono indubbiamente egiziane, non vedo che cosa io possa dire a sir Edward Grey.

4) e 5) Parmi da escludere affatto il pericolo che l’Inghilterra, dopo l’impegno assunto col citato promemoria del 20 agosto u.s., voglia eccedere i limiti tracciati in quello del 19 novembre 1904.

6) Su questo fatto bisognerebbe che protestasse anzitutto il Governo ottomano. 7) L’ inopportunità di riparlare di questo fatto al Governo britannico risulta evi-

dente dal telegramma di V.E. del 26 febbraio u.s. n. 3872, dal rapporto del r. incaricato d’affari a Costantinopoli del 5 marzo n. 1672, dal memorandum del Governo inglese del 6 aprile u.s. trasmesso a V.E. dal r. incaricato d’affari in Londra con rapporto del 9 dello stesso mese n. 2042 e sopratutto dal dispaccio di V.E. del 7 giugno n. 3902, che, molto giustamente, conchiudeva così «colla presente comunicazione nutro fiducia sia ormai conclusa questa vertenza».

8) Questo fatto è assorbito da quello molto più importante che l’Inghilterra pretende che l’oasi di Giarabub sia egiziana (vedi il citato pro-memoria inglese 19 novembre 1904).

9) Sul progetto di ferrovia attribuito al Vischer mi rimetto al mio rapporto del 12 luglio n. 4362.

10) Sulla colonizzazione maltese in Tripolitania, in attesa della risposta che mi ha promesso sir E. Grey in seguito ai miei colloqui con lui del 29 ottobre e del 14 corr., non posso per ora che confermare i miei rapp. nn. 6422, 6472 e 6822 e il mio telegramma n. 1522.

11) Sul fatto che alcune carte inglesi mettono, non solo Giarabub, ma anche Kufra, nella sfera di influenza britannica, ha già riferito a V. E. il r. incaricato d’affari in Londra con suo rapporto del 2 giugno 1906 n. 19062. Io poi nel mio rapporto del 20 luglio n. 4582, ha aggiunto che tale è pure il caso per la carta di Keith Johnston che si trova nello studio di sir. C. Hardinge. Io non ho alcun dubbio che l’Inghilterra aspiri, presto o tardi, piuttosto tardi che presto, al possesso di Kufra, e che non vi rinunzierà a favor nostro se non vi sarà spinta da un proporzionato interesse politico ed economico. L’averci illuminato in proposito è stato indubbiamente un risultato molto utile delle trattative sul confine.

Escludo però assolutamente che l’Inghilterra voglia deliberatamente osteggiarci in Tripolitania ed in Cirenaica; essa dissente da noi, purtroppo, intorno al tracciato dei confini di quella provincia ed all’opportunità di concordarlo fin d’ora, ma, entro l’ambito di quelli che riconosce, non solamente non ha l’intenzione di osteggiare, ma possiamo sperare che in una certa misura ci appoggi. Dopo la nota del 28 ottobre di sir E. Grey a me, che trasmisi a V.E. con mio rapporto del 30 detto n. 682 e dopo il mio colloquio del 29 con sir Edward stesso, di cui ho informato V.E. nel predetto rapporto e nel telegramma n. 152, io gliene ho riparlato il 14 corr., e mi auguro che non tarderà una risposta definitiva. Prima di darla, però, egli desidera conoscere la natura degli ostacoli frapposti dalle autorità ottomane alle nostre iniziative economiche in Tripolitania e quella delle rimostranze che vogliamo fare.

Quanto alle intese politiche esistenti tra noi e l’Inghilterra, V.E. già sa, a proposito dell’Abissinia che l’Inghilterra sostiene che la determinazione delle sfere di influenze politiche che non esclude l’attività economica dei propri sudditi, appoggiati dal rispettivo Governo, nella sfera altrui. Ha derogato a questo principio nel recente accordo anglo-russo, per gravissime ragioni di politica asiatica e di politica generale, che mancano oggi nel caso nostro ma che potranno forse presentarsi in avvenire. Ripeto però che tale attività britannica può rispondere ad un programma politico determinato nei territori, che, secondo noi, appartengono alla Tripolitania ed alla Cirenaica ma, secondo l’Inghilterra, non vi appartengono; ma non ha certo alcun fine di tal natura in quelli, che anch’essa riconosce essere compresi nel villayet di Tripoli e nel muterassariflik di Bengasi. È poi poco probabile che, nelle condizioni attuali del mercato dei capitali in Inghilterra, l’attività privata inglese prenda notevoli proporzioni in paesi, dove la maggior parte delle imprese non può sperare lauti e pronti guadagni. Se poi il sig. Alvarez, console inglese a Tripoli, ha per programma la Cirenaica all’Inghilterra «tale programma», come io dissi nel mio rapporto del 10 giugno n. 3482, «sarà del sig. Alvarez, ma non certo del Governo inglese» che ha in proposito impegni espliciti verso di noi, riconfermati nel citato memorandum del 20 agosto e certamente ignoti al sig. Alvarez.

Quanto alle trattative che il Governo inglese conduce a Costantinopli per conto dell’Egitto rispetto al confine della Cirenaica, esse non sono che l’applicazione pratica del suddetto memorandum, il quale definisce in modo assai chiaro la natura, la portata e i limiti del dissenso e dell’opposizione di interessi tra l’Inghilterra e l’Italia.

Per riparlarne a sir E. Grey aspetto il memorandum che V.E. mi ha preannunziato anche nel suo telegramma 17743.

Parmi poi opportuno che di questo mio rapporto abbiano visione tanto l’Ufficio Diplomatico quanto quello Coloniale.

532 5 Vedi D. 498, Allegato.

533 2 Non pubblicato.

534

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2299. Londra, 18 novembre 1907, ore 11,56.

Rispondo suo telegramma n. 18781. Governo britannico non crede dover esprimere rallegramenti a Menelik per isti-

tuzione Ministeri. Concorda col Governo italiano nel credere non doversi sollevare obiezioni nomina ministro affari esteri, conservando diritto ai rispettivi ministri di avere udienze da Menelik quando è necessario2.

535

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

DISP. 61628/651. Roma, 18 novembre 1907.

Ho la lettera personale direttami il 6 corr.1 da V.E. e convengo con lei che non sia possibile né logico attendersi da codesto Governo, circa ai nostri rapporti col Sultano, più di quanto le è risultato dal linguaggio tenutole dal principe di Bülow.

novembre, non pubblicato. Per il seguito vedi D. 551.

2 Per la risposta vedi D. 558.

Né noi ci attendevamo di più. A noi basta che dal contegno dell’ambasciatore germanico a Costantinopoli il Sultano e la Sublime Porta traggano la persuasione che codesto Governo, non solo non osteggia, ma vede con simpatia le nostre iniziative economiche in Tripolitania, poiché anche quella persuasione può influire a far cadere la resistenza sin qui opposta, e a rendere vieppiù evidente la convenienza per la Turchia di non alienarsi la benevolenza dell’Italia.

Credo utile a tale proposito unirle il resoconto dei miei recenti colloqui con Sélim Pascia, il ritorno del quale a Costantinopoli è atteso dal Sultano per prendere deliberazioni sugli argomenti che più c’interessano, come risulta dalle assicurazioni date dal Sultano al marchese Imperiali nell’udienza accordatagli il 15 corrente2.

Riserbandomi poi di tenerla al corrente delle concessioni che in Tripolitania verranno chieste successivamente da cittadini italiani, perché V.E. opportunamente ne informi codesto Governo, credo utile accennarle qui alle iniziative già prese, le quali sono di una notevole entità economica.

Cito le principali. A Tripoli: succursale del Banco di Roma; sezione commerciale e industriale del

Banco di Roma; pressa idraulica per lo sparto (impiego di L. 250.000); mulino a vapore; mulino a cilindri in costruzione (L. 200.000); fabbrica di ghiaccio (L. 30.000); ad Homs, Slieten, Tabia, Misurata, Zuara, Derna: agenzie commerciali.

A Bengasi: agenzia del Banco di Roma e sezione industriale e commerciale. Ad Homs e Misurata: impianto in costruzione per esperimento di un oleifício e

Società già pronta a Roma per un grande impianto nella primavera ventura. Il Banco di Roma ha già presentato domanda per lo studio e l’impianto di una

cartiera con relativa concessione delle acque potabili e irrigazione. È in corso l’impianto di una conceria di pellami proposta dal Banco di Roma in

sociale con la Scuola di arti e mestieri turca. E lo stesso Banco ha tutto approntato a Bengasi per un esperimento di coltiva-

zione intensiva sopra 500 ettari di terreno; mentre per conto del Banco il cav. Parsi sta trattando col municipio di Tripoli la concessione pei laterizi, ed ha offerto al Pascià, che l’ha accettato, un esperimento di luce ad acetilene per trattare poi l’illuminazione della città.

Il cav. Raffaele Nahum possiede un grande stabilimento per la lavorazione dello sparto, è uno dei principali commercianti della Tripolitania e tiene agenti fino al Ciad; così il sig. M.Y. Hassan tiene una grande lavorazione di sparto e commercia con l’interno.

Tenuto conto del brevissimo tempo corso dacché le iniziative economiche sono partite dall’Italia verso la Tripolitania, quelle che qui le ho accennate bastano a dimostrare che si è entrati in un periodo di azione pratica, di cui i Governi amici non possono non tenere conto.

D’altronde, come sa benissimo l’E.V. per noi la Tripolitania rappresenta un interesse essenzialmente politico; e non ci par troppo chiedere ai nostri alleati – anche astraendo dagli impegni da essi assunti – che di questo interesse politico tengano

conto, seppure può apparire che ancora la nostra attività economica sia scarsa. A nulla varrebbero, sia i patti scritti, sia gli impegni morali che questi patti sottintendono, se reciprocamente da Governi amici ed alleati, non si avesse riguardo ad aspirazioni legittime, che attendono dal tempo e dalle circostanze l’opportunità e la possibilità di esplicarsi praticamente.

È questa anzi la base di tutti i buoni e corretti rapporti internazionali. Tanto più abbiamo dunque il diritto di attenderci, che abbia tale base l’atteggiamento di codesto Governo verso di noi.

E V.E. ne è certo convinta al pari di me.

533 3 Del 18 ottobre, non pubblicato. Il memorandum fu trasmesso con Disp. 59721/813 del 9

534 1 Del 5 novembre, non pubblicato.

535 1 Vedi D. 522.

535 2 Vedi D. 529.

536

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 2177/783. Pera, 18 novembre 1907 (perv. il 28).

Mi riferisco al telegramma delli 15 corrente1. Venerdì scorso, dopo la cerimonia del Selamlik, fui ricevuto in udienza dal Sul-

tano. Furono introdotti prima di me, gli ambasciatori di Russia e d’Inghilterra, e dopo, l’ambasciatore d’Austria-Ungheria ed il ministro di Germania.

Il Sultano era di ottimo umore. Cominciò per esprimermi i suoi più cordiali rallegramenti per il recente evento che ha allietato la nostra Famiglia Reale e m’incaricò di far pervenire a S.M. il Re le sue più affettuose congratulazioni ed i suoi migliori auguri.

S.M. Imperiale mi disse poi che i rapporti nei quali Selim Pascià gli ha narrato l’accoglienza festosa e cordialissima fattagli dal Nostro Augusto Sovrano e dal Suo Governo, lo hanno colmato di gioia e gli hanno cagionato profonda soddisfazione. Il Sultano si mostrava assai compiaciuto per i colloqui intimi che il suo inviato ha avuto col Sovrano nonché col presidente del Consiglio e con V.E., ed aggiungeva testualmente: «Feci tesoro dei consigli e dei messaggi inviatimi dal mio amico il Re d’Italia e tali consigli terrò gelosamente segreti». Sua Maestà Imperiale con particolare enfasi insistette poscia sulla ferma intenzione di stringere sempre più ed in tutti i modi l’intimità delle relazioni italo-turche.

A mia volta manifestai tutto il piacere che provavo nell’udire le dichiarazioni del Sultano. Aggiunsi tuttavia che in omaggio al principio cui mi sono irremovibilmente attenuto di parlargli sempre con la massima franchezza, io non potevo e non dovevo nascondergli che la gioia e la soddisfazione da me provate sia per l’accoglienza altamente benevola che S.M. Imperiale si degna di farmi tutte le volte che ho

l’onore di essere ricevuto in udienza, sia per le costanti dichiarazioni di amicizia per il mio Sovrano ed il mio paese, sono assai sovente sensibilmente attenuate dalle disposizioni che trovo alla Sublime Porta nella trattazione dei vari affari che costituiscono in pratica la base delle relazioni tra i due paesi. Gli ostacoli, le difficoltà che incontro ad ogni piè sospinto rendono per me assai malagevole l’adempimento del principale, del più sacro tra i miei doveri, quello cioè della protezione delle persone e degli interessi dei miei connazionali. Queste difficoltà paralizzano inoltre tutti i miei sforzi, tutta la buona volontà da cui sono animato di promuovere tra i due paesi l’incremento e lo sviluppo sempre maggiore delle relazioni economiche che oggi giorno tanto potentemente contribuiscono a consolidare quelle politiche.

Il contegno di alcune autorità delle provincie, quasi sistematicamente ostile contro tutto quello che sa d’italiano, mi preoccupa non poco e mi induce a ritenere che quelle autorità non debbono essere al corrente delle intenzioni e dei voleri del Sovrano, perché, se lo fossero, non agirebbero certo come fanno contro i suoi ordini.

A riprova della mia asserzione narrai al Sultano il recente caso di Durazzo. «Quel caso» – osservai – «è sintomatico, ed io lo menziono a V.M. Imperiale non tanto per denunziare la flagrante violazione dei diritti acquisiti agli italiani in base ai trattati, quanto e sopratutto per protestare con la massima energia contro l’inqualificabile leggerezza, per non dire di più, con la quale l’autorità del vilayet, per giustificare il suo operato, ha creduto di lanciare contro i nostri pacifici commercianti sospetti assurdi, ridicoli, tendenti a dare ad intendere che la loro andata in Albania potesse avere uno scopo diverso da quello confessato. Di questi sospetti, di queste accuse, di queste malevole insinuazioni che troppo sovente si rinnovano in varii punti dell’Impero, e che cagionano dissapori e frizioni, io mi dolgo in modo speciale. E tanto più me ne dolgo e me ne addoloro, in quanto con questo sistema si mira a far sorgere nell’animo di V.M. Imperiale diffidenze e dubbi sulla sincerità delle ripetute dichiarazioni fattele sia direttamente dal mio Augusto Sovrano, sia per il mio tramite, sul fermo intendimento dell’Italia di volere dovunque lo statu quo e l’integrità dell’Impero ottomano.

Di siffatte dichiarazioni così gravi e così importanti non sono evidentemente edotti i funzionari di provincia. Essi, per acquistare il favore di V.M. Imperiale, inventano di sana pianta intrighi, mene, complotti, dandosi l’aria di aver salvato l’Impero da pericoli esistenti soltanto nella loro fantasia. Il contegno di tali funzionari mi fa pensare a quei medici i quali cominciano per dare per spacciato l’ammalato, anche se affetto da insignificante indisposizione, per menar poi vanto di averlo strappato dalle braccia della morte. Il sistema però è nocivo e pericoloso. Nel fatto, invece di rendere servizio a V.M. Imperiale, quei funzionari agiscono contro i suoi interessi in quanto provocano assai sovente penosi e rincrescevoli incidenti, i quali a lungo andare non sono certo di natura a corroborare l’intimità e cordialità delle relazioni con l’Italia».

A questa mia intemerata, per quanto pronunciata in modo rispettosissimo e con intonazione dolce e cordiale, il Sultano si rabbujò alquanto, benché non avesse punto l’aria di volermene per la franchezza del mio linguaggio. Mi disse che assai spesso gli pervengono doglianze contro i suoi funzionari. Osservò che il trovarne dei buoni, intelligenti e fedeli diventa un affare molto serio non solo in Turchia, ma anche in altri paesi. Comunque, soggiunse, non avrebbe mancato di impartire ordini categorici

perché tutti i funzionari si uniformino alle direttive della sua politica di amicizia per l’Italia, nella cui assoluta lealtà egli ripone ampia, piena fiducia. Chiese poscia chi era il valì di Scutari: ed io mi affrettai a fargli il nome di Hilmi pascià, non senza rilevare che quel governatore ha già dato prove manifeste della sua malevolenza contro l’Italia e gli italiani, durante tutto il tempo in cui fu alla testa del mutessariflik di Bengasi, provocando a varie riprese noiosi e sgradevolissimi incidenti, che si poterono esaurire unicamente in grazia alla longanimità e allo spirito conciliante del Governo del Re.

Avevo in animo di entrare in qualche maggior particolare, ma mi accorsi che quanto avevo detto era sufficiente per una volta. Il Sultano d’altronde, che aveva già discorso per due ore con due ambasciatori e che doveva riceverne, dopo di me, altri due, cominciava a tossire e dare segni di stanchezza, mentre riprendeva in mano la sciabola, siccome non manca mai di fare al momento in cui vuole porre termine all’udienza. Continuare il colloquio in tali condizioni sarebbe stato inutile ed anche pericoloso. S.M. Imperiale non avrebbe prestato più attenzione alle mie parole e si sarebbe per giunta irritato della mia insistenza. Prima pertanto che il Sultano si fosse levato per accomiatarmi, gli dissi che avrei dovuto intrattenerlo un poco più a lungo di alcuni affari che interessano direttamente i due paesi, ma che non volevo abusare del suo tempo prezioso e della sua bontà per me. Avrei quindi sollecitato fra non molto un’altra udienza, nella fiducia che essa mi sarebbe stata concessa. Mi permettevo solo di menzionare l’affare di Eraclea che sta in modo particolare a cuore al mio Governo. Per quanto mi concerne, osservai, io dovevo limitarmi ad insistere con la massima premura perché vengano rispettati tutti i diritti dei miei connazionali e perché l’organizzazione completa e lo sviluppo progressivo della loro intrapresa, sotto ogni aspetto proficua e benefica per i due paesi, possa aver luogo senza ulteriori ostacoli e difficoltà da parte delle autorità. Spettava poi esclusivamente a S.M. Imperiale l’esaminare nell’alta sua saggezza se sia conveniente e confacente ai suoi interessi generali permettere ad una sola Società di stabilire un così importante monopolio in tutto il bacino di Eraclea. Su questo punto io non avevo qualità né mi permettevo certo di esprimere apprezzamenti o dare consigli.

Rispose testualmente il Sultano: «È quello che ho sempre detto io». Aggiunse poscia che della presente questione al pari che di altre interessanti le relazioni fra i nostri due paesi, egli avrebbe con piacere discorso meco, quando avrà avuto il rapporto verbale di Selim pascià, cui venne dato l’ordine di tornare qui al più presto, il suo ulteriore soggiorno in Europa potendo dar luogo a cancans et potins. Queste due parole furono da S.M. Imperiale pronunciate in francese. Il Sultano mi pregò da ultimo di fargli pervenire pel tramite del primo segretario un pro-memoria in turco, per permettergli di rendersi un conto più esatto della questione, che – siccome ebbe a dire – egli conosce soltanto in modo superficiale.

Di tale desiderio resi immediatamente edotto l’ingegnere Nogara. Egli sta facendo preparare il pro-memoria. Non appena me lo avrà consegnato, mi affretterò a farlo pervenire a Tahsim pascià.

536 1 Vedi D. 529.

537

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1802/7311. Londra, 19 novembre 1907 (perv. il 26).

Ho avuto ieri il preannunziato colloquio con sir J. Harrington2, e mi affretto a riassumere quanto egli mi ha detto su tutti gli argomenti che abbiamo discusso.

1) Sovratassa ferroviaria. In conformità alla mia opinione e contrariamente a quella del sig. Cambon (vedi mio rapporto n. 6303), sir J. Harrington crede che anche la sopratassa sulle sole merci trasportate dalla ferrovia Gibuti-Dire-Daua sia materia da concordare tra le tre potenze, e non possa essere considerata come di interesse esclusivamente francese ed abissino. In merito, però, crede che vi si possa consentire, mentre, a suo avviso, non si può consentire all’aumento del 10% sui dazi doganali a tutte le frontiere abissine, se non qualora il provento si destini a fini di comune interesse, come il miglioramento della giustizia, della sicurezza, della viabilità, delle dogane, etc. etc. In questo senso ha riferito al suo Governo. Gli ho fatto osservare che il 10% si chiede per la ferrovia, e quindi non potrebbe destinarsi per questi fini, perciò è meglio opporvisi addirittura ed egli lo ha riconosciuto, e si può essere sicuri che, all’occorrenza, darà tale parere a sir E. Grey. Ha aggiunto che del resto ha ragione di credere che il Governo britannico non aderirà a siffatto inasprimento del dazio doganale. Crede pure che, atteso il testo chiarissimo dell’accordo del 13 dicembre, se il Governo francese vuol dare alla ferrovia un carattere più governativo di quello che ha oggi, può farlo unicamente in modo segreto.

2) Interpretazione dell’articolo 10. Sir. J. Harrington crede la condotta del Klobukowski contraria allo spirito dell’accordo del 13 dicembre 1906, ed agli impegni dallo stesso Klobukowski presi verso di lui quando si videro a Parigi. Sa che Klobukowski lavora ed intriga contro di lui, per farlo richiamare da Addis Abeba, dove d’altronde non intende rimanere che pochi mesi: sa che è un favorito del sig. Pichon, il quale certo non lo sconfesserà. Mi ha assicurato che sir E. Grey ha fatto rimostranze al Governo francese sulla condotta del Klobukowski, e non vede che cosa altro si possa fare fino a quando non ci troviamo di fronte ad un risultato concreto, che sia in contraddizione collo spirito dell’accordo e che il Klobukowski abbia ottenuto. Si potrà allora far annullare e render vano questo risultato, che, a suo avviso, il Klobukowski non ha finora ottenuto, né probabilmente otterrà in avvenire. Egli crede che il Klobukowski, più che all’interesse della Francia, miri al proprio, cioè, sapendo di avere una missione temporanea, miri al proprio «successo di carta» (paper success), a ottenere da Menelik qualche cosa di scritto e di firmato, lasciando

2 Vedi D. 523. 3 Vedi D. 487.

poi al suo successore tutte le difficoltà per tradurlo in atto. Harrington mi ha pure detto di avere riferito tutto ciò a sir E. Grey, e di aver dato parere favorevole all’invio di istruzioni identiche ai tre ministri in Addis Abeba in applicazione ed interpretazione dell’articolo 10, e in conformità ai desideri nostri ed alle linee generali da lui formulate nel colloquio di Roma nel febbraio 1907. Si convenne pure che io avrei pregato sir E. Grey (come ho subito fatto con lettera privata) di autorizzarlo a fermarsi qualche giorno a Roma per conferire con V.E. e col comm. Agnesa. Nel suo telegramma 16954 V.E. desidera dei risultati positivi in proposito: più positivi di questi non se ne possono avere in un colloquio con Harrington, e forse con Grey, visto che questi ha già fatte le opportune rimostranze alla Francia sulla condotta del Klobukowski, e che, se, come è probabile, otterremo che si mandino le istruzioni identiche sulla interpretazione ed applicazione dell’art. 10, anche queste, al pari delle rimostranze nostre ed inglesi, non avranno grande effetto pratico se il Governo francese non si decide ad adottare per conto proprio e ad ingiungere al Klobukowski, in modo veramente sincero, l’istessa interpretazione dello spirito dell’accordo che vi danno gli altri due Governi ed i loro agenti ad Addis Abeba. Sir John Harrington ha anche detto a sir Edward Grey che non è possibile accettare il concetto francese che vi siano affari che interessano una sola delle tre potenze, e in cui perciò non vi sia obbligo per uno dei tre ministri di consultarsi con gli altri due, perché ogni affare, più o meno direttamente, concerne anche gli interessi delle altre due potenze. «Every question», furono le sue parole testuali, «is of common interest». Riassumendo, le disposizioni personali di Harrington sono, su questo punto essenziale e pregiudiziale, come V.E. lo definisce nel suo citato telegramma n. 1965, le migliori che si possano desiderare; le ragioni sue e nostre sono convincentissime e tali non possono non apparire a sir E. Grey: resta solo a vedere sino a qual punto le considerazioni di politica generale, che si riassumono nel desiderio di non fare cosa poco gradita alla Francia, possono rendere meno efficaci i suoi passi presso il Governo della Repubblica.

In ogni modo, finché questa difficoltà non sia superata, la presenza di Harrington ad Addis Abeba mi pare utile ai nostri interessi ed intenti.

3) Dazio dell’8%. Sir John ignorava che, come mi disse il 14 corrente sir E. Grey (mio telegramma n. 164)5, siano falliti gli sforzi del Klobukowski di ottenere la riduzione del dazio doganale all’8%. Crede però che la notizia sia vera, avendogli, alcuni mesi fa, lo stesso Menelik detto che non vi avrebbe mai consentito, e che avrebbe fatto egualmente pagare a tutti il 10%.

4) Fabbrica cartucce. Sebbene la nota di Grey del 7 ottobre, da me trasmessa a V.E. col rapporto n. 6335, sia stata redatta in conformità a proposta di lui, Harrington non vede come si possa scoraggiare (discourage) quell’impresa. Basta, a suo avviso, non incoraggiarla, avendo Menelik agito in conformità al suo diritto, cosicché non gli si possono fare rimostranze, e potendo essere peggio se, venendo meno quella concessione, il Negus l’accordasse ad una ditta tedesca.

5) Traffico armi. Harrington approva il progetto Colli, ma crede che la Francia non eseguirà sul serio l’accordo, e che nulla si otterrà né prima, né dopo la futura con-

5 Non pubblicato.

ferenza internazionale, cosicché è quasi preferibile risparmiare inutili insistenze. «Proporre» — mi diceva egli – «alla colonia di Gibuti di sopprimere questo traffico è come proporre a voi di tagliarvi la gola». Giudica però sempre utile raccomandare a Menelik il progetto Colli; se ciò debba farsi collettivamente dai tre ministri, o, come preferisce il sig. Cambon (vedi mio rapp. 679)6, separatamente da ognuno di essi, è questione di opportunità, che egli non potrà decidere che quando sarà ad Addis Abeba, dove conta di arrivare verso la fine di gennaio. Dice pure che Menelik specula sulla disposizione, la quale esige che per importare armi e munizioni in Abissinia vi sia una sua dichiarazione che servono per lui: egli l’accorda, contro pagamento, anche quando servono ad armare privati ed indigeni non a lui soggetti. Su questo punto, visto che ciò sarebbe contrario all’interesse politico e militare dello stesso Negus, forse sir John generalizza troppo.

6) Giurisdizione sugli europei. Harrington ammette che la giurisdizione consolare offra agli europei maggiori guarentigie, ma non crede che possa ottenersi, o, ottenendosi, crede che, nella sua applicazione pratica, creerà molte difficoltà e suscettibilità. Menelik gli ha detto, quando Harrington gliene ha parlato, che, essendo anch’egli cristiano, e cristiano il popolo abissino non vi sono le ragioni che ne hanno giustificato l’introduzione nei paesi mussulmani. Ciò io avevo (facile previsione del resto) predetto nel mio rapporto del 15 novembre 1906 n. 4915. La soluzione, che ha maggiori probabilità di successo, rimane sempre, a parere di Harrington, l’istituzione di giudici europei nominati da Menelik.

7) Tentativi delle autorità sudanesi di sviare il traffico dall’Eritrea. Harrington non crede che le autorità sudanesi abbiano mai adottato o consigliato ai capi abissini mezzi illegittimi. Non hanno neanche a loro disposizione i mezzi pecuniari occorrenti per un’azione efficace. Se, contro la sua convinzione, qualche abuso vi è stato, lo disapprova, e farà quanto è in lui per impedire che si rinnovi. Ne parlerà espressamente al Sirdar, che crede di trovare al Cairo.

8) Difesa delle legazioni. Harrington è d’accordo con Colli (rapp. Colli 4 sett. n. 82)5 che il solo pericolo è di moti improvvisi ed isolati, e che il forte che vuol costruire Menelik sia una difesa, non un pericolo. Persiste nell’opinione espressa fin dal gennaio u.s. (mio telegramma n. 28)5, e per le ragioni esposte nel mio rapporto del 24 dello stesso mese n. 505, che sia prematuro ed inopportuno prendere accordi fin d’ora per la difesa delle legazioni con qualche capo locale.

9) Ministero etiopico. Harrington divide interamente la mia opinione contraria a questa innovazione (vedi mio rapp. n. 703)7. Avendogli fatto leggere la nota di sir E. Grey del 16 corr. da me trasmessa in copia a V.E. col rapporto in data di ieri n. 7295, mi ha detto che è quasi testualmente identica ad un proprio rapporto. Ha aggiunto che i ministri degli esteri e del commercio sono due damned scoundrels, pur riconoscendo la difficoltà di trovare candidati migliori. Crede che il ministro degli esteri sia stato corrotto con denaro da Klobukowski.

10) Successione di Menelik. Harrington mi ha detto che Menelik ha avuto un altro colpo il 20 agosto, ma che tuttavia è impossibile prevedere oggi quanto potrà

7 Vedi nota 2.

vivere. Egli ammette che gli si possa consigliare di designare il successore, ma senza proporgli un determinato candidato. Non crede opportuno che le tre potenze si pronunzino ora né per Jeasu né per alcun altro candidato, essendo impossibile prevedere chi sarà il più forte. Non mi pare probabile che il Governo britannico si diparta da questo punto di vista, tanto più che le ragioni, su cui esso si fonda, sono, a mio parere, molto serie. Esse sono svolte nei miei rapporti del 24 gennaio n. 50 e 9 novembre n. 703. Non credo io affatto che disegni riposti, come si accenna nel citato dispaccio n. 8108, influiscano su questo modo di vedere del Governo inglese. Né a questo solo si limita il dissenso di Harrington dalle idee svolte in tale dispaccio. Egli non crede che siano possibili ora accordi generali preventivi tra le tre potenze in previsione della morte di Menelik, non potendosi prevedere in quali condizioni sarà il paese in quel momento né quali potranno essere i provvedimenti consigliati da una situazione che non conosciamo, né possiamo anticipatamente conoscere. Non crede neanche che siano possibili né utili accordi o provvedimenti di carattere militare, né ai confini, né altrove. Sconsiglia qualsiasi azione militare anche per liberare i ministri esteri, se assediati, come a Pechino, o per vendicarli, se uccisi. Se qualche provvedimento ostile all’Abissinia si vorrà prendere, il solo pratico ed efficace sarebbe, a suo avviso, il blocco commerciale. D’altronde, come io scrissi fin dal 1891 nella relazione di inchiesta sull’Eritrea, i possedimenti europei limitrofi all’Abissinia hanno da temere attacchi assai più quando essa è unita che quando è discorde e dilaniata da guerre civili.

È da credere che su tutti questi argomenti sir E. Grey poco o nulla si allontanerà dal parere di Harrington.

L’Inghilterra, dunque, nella questione del traffico delle armi, della ferrovia, della sopratassa doganale e ferroviaria, dell’8%, della giurisdizione sugli europei, della difesa delle legazioni, dell’interpretazione ed applicazione dell’art. 10, cioè dell’azione concorde dei tre ministri ad Addis Abeba, è sostanzialmente d’accordo con noi. La differenza tra il suo atteggiamento e il nostro, e non è differenza di poca importanza pratica, consiste nel fatto che essa considera questi interessi come molto minori dell’interesse maggiore che ha o crede di avere per ragioni di politica generale, ad evitare con ogni cura tutto ciò che può tornare men che gradito alla Francia. Consentirà probabilmente a fare qualche cosa, anzi ha già fatto rimostranze alla Francia per la condotta del Klobukowski, ma non sarà facile indurla ad un’azione così ferma e decisa come noi vorremmo. Or volge appunto un anno dacché pendevano le trattative che condussero all’accordo sul traffico delle armi e munizioni, e ricordo quanto dovetti stentare ad ottenere dal Governo britannico quel tanto di appoggio che si finì per ottenere. Potrà, assai meglio di me, riferire a V.E., il r. ambasciatore a Parigi (e sarà bene che io venga sollecitamente informato) se ed in che misura la Francia si possa indurre ad adottare vedute analoghe alle nostre ed alle inglesi, tanto sulla questione del traffico delle armi, quanto sulla retta interpretazione dello spirito dell’accordo relativo all’Abissinia, e specialmente dell’art. 10, che prescrive l’azione concorde e reciprocamente fiduciosa e amichevole delle tre legazioni in Addis Abeba9.

9 Per il seguito vedi D. 540.

537 1 Risponde al D. 531.

537 4 In realtà si intende il T. 1965: vedi D. 531.

537 6 Vedi D. 513.

537 8 Vedi D. 520.

538

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1816/7411. Londra, 20 novembre 1907.

Non ho mandato telegrammi né rapporti, durante la visita imperiale, perché tutti i particolari venivano pubblicati senza indugio dalla stampa inglese ed estera, e non ho scritto prima d’oggi questo rapporto perché ho voluto dedicare alcuni giorni a raccogliere le impressioni di numerose persone appartenenti a diversi partiti politici, a diverse classi sociali, a diversi ambienti locali.

Se si eccettua la parte più avanzata e pacifista del partito liberale, ed anche questa più nelle pubbliche dichiarazioni che nei privati colloqui, non ho trovato finora una sola persona che non mi abbia detto che la diffidenza della nazione inglese verso i veri propositi dell’Imperatore e dei circoli dirigenti tedeschi rimane, dopo la visita, precisamente quale era prima.

Tuttavia, senza cadere nelle esagerazioni ottimiste, che mi paiono alquanto diffuse in Germania e in Italia, non credo affatto che la visita imperiale sia stata sterile.

Essa ha certo migliorato le relazioni tra le due dinastie. Una principessa, presente all’ultima colazione intima a Windsor, mi diceva che anche il Principe di Galles, il quale (sia detto ben confidenzialmente) non ha avuto mai simpatia per l’Imperatore, le aveva parlato con molta lode del modo come Guglielmo II si era condotto in questa circostanza.

La visita ha anche rafforzato il proposito dei due Governi di evitare il più possibile gli attriti, ed ha influito a migliorare il linguaggio della stampa, compreso il Times. Questo fatto è molto importante, perché sopprime o attenua una causa di persistente eccitamento.

Molto ora dipenderà dalla condotta della Germania, non solamente verso l’Inghilterra, ma anche verso la Francia.

Non divido l’opinione di molti uomini politici e diplomatici che i brindisi di Windsor, di cui, a ogni buon fine, unisco il testo ufficiale2, non abbiano avuto carattere politico. Quello dell’Imperatore riconosce che l’opera di entrambi i Sovrani è stata sempre dedicata al mantenimento della pace, e perciò fa contrasto con i vivaci attacchi della stampa tedesca al re Edoardo per i suoi viaggi e per le sue ententes.

I discorsi dell’Imperatore al Guildhall e altrove, e le sue allusioni alla comunanza di stirpe sono piaciuti, pur senza destare entusiasmo, e l’accoglienza da parte del popolo, lungo le vie percorse dalla stazione di Paddington al Guildhall, è stata cortese, ma meno calda di quella fatta ad altri Sovrani esteri.

2 Non pubblicato.

538 1 Dall’archivio dell’ambasciata a Londra.

539

L’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 3013/1217. Parigi, 20 novembre 1907 (perv. il 25).

Ricevetti successivamente i dispacci di V.E. del 131 e 16 novembre2 relativi all’azioni del sig. Klobukowski in Abissinia ed alla conseguente inesecuzione da parte di quel rappresentante francese dell’art. 10 dell’accordo italo-franco-britannico del 13 dicembre 1906.

Mi era già noto che l’impressione sfavorevole prodotta qui dalle recenti nostre comunicazioni sovra questo soggetto, era stata manifestata a Londra. Con me il sig. Pichon, in una delle nostre prime conversazioni dopo il mio ritorno dall’Aja, si era limitato ad esprimere in termini generici la sua opinione sensibilmente contraria alla nostra per ciò che riguarda le trattative occorrenti per risolvere le intricate questioni della antica concessione ferroviaria fatta da Menelik alla compagnia costituita in Francia. A parere di questo ministro degli affari esteri, l’indole stessa di tale negoziato e l’interesse speciale che deriva al Governo francese per la garanzia data dal medesimo alla compagnia suddetta, impediscono che di questo affare s’abbiano ad occupare ad Addis Abeba, i rappresentanti degli Stati che non vi hanno con la Francia parità d’interesse. A Roma come a Londra si sa perfettamente che si tratta, se è possibile, di costituire una seconda compagnia francese che possa essere sostituita alla prima. Ma è impossibile che in trattative di questo genere si facciano conoscere anticipatamente tutte le mosse che lo svolgimento stesso del negoziato suggerisce. Il sig. Pichon non mi tacque che, ritornando prossimamente a Roma il sig. Barrère, codesto ambasciatore della Repubblica avrebbe intrattenuto V.E. di questo affare.

I mercoledì 6 e 13 corr. questo ministro degli affari esteri si trovò impedito di ricevere il Corpo diplomatico. Le comunicazioni che avrei potuto fare al medesimo in relazione ai dispacci di V.E. del 13 e del 16 di questo stesso mese, dovettero essere aggiornate fino ad oggi. E dappoiché nel frattempo erano intervenute le esplicite dichiarazioni fatte da lei a S.E. Barrère, il mio compito si riduceva a riferirmi, nel conversare col sig. Pichon, alle medesime.

Ho introdotto il discorso dicendo che codesto ambasciatore della Repubblica dovea avere a quest’ora dato conto del colloquio da lui avuto con V.E., inteso a mettere a segno ciò che si attiene all’impegno reciproco di tenersi informati completamente e di cooperare per la protezione dei rispettivi interessi in Etiopia.

Replicò tosto il sig. Pichon che infatti egli avea ricevuto i rapporti di S.E. Barrère sovra questo soggetto; ma che dippiù avea avuto recentissimamente una comunicazione telegrafica da Addis Abeba dalla quale risultava che colà fra i rappresentanti delle tre potenze avea avuto luogo una spiegazione completa la quale avea dissipato

2 Vedi D. 532.

ogni sospetto e ristabilita la reciproca fiducia. Poscia questo ministro degli affari esteri entrò a parlare di nuovo della questione che, dal punto di vista finanziario, tanto preoccupa l’amministrazione francese, di quella cioè che si riferisce alla liquidazione dell’antica compagnia delle ferrovie etiopiche e della sostituzione ad essa della nuova che dovrebbe essere costituita. È una pratica che si svolge qui fra il Ministero delle finanze e gli interessati privati. Non si può ancora prevedere l’esito della liquidazione che è aperta. Il sig. Klobukowski non tratta questo affare che, nella sua fase attuale, ha la sede in Parigi. Per il Tesoro francese si tratta, come tutti sanno, di salvaguardare gl’interessi impegnati nella sovvenzione annuale promessa all’antica compagnia. Feci osservare a mia volta che la questione del pedaggio del 10% sulle merci trasportate avea un carattere internazionale poiché essa toccava all’interesse di tutti i paesi. Non ne disconvenne il sig. Pichon il quale, senza seguirmi nell’esame di merito di questo punto, formulò esplicite dichiarazioni nel senso che tanto l’Italia quanto l’Inghilterra saranno informate a questo riguardo probabilmente assai prima che il sig. Klobukowski riceva egli stesso la notizia di ciò che avrà potuto essere qui stabilito.

Passando poi all’altro punto relativo all’ordinamento della giustizia per gli stranieri, il sig. Pichon si è espresso in modo da far credere che non siano intervenute trattative fra il ministro francese e Menelik, ma soltanto una conversazione in cui quel Sovrano avrebbe per dir così provocato quel diplomatico a manifestare un suo avviso. Se la questione dovesse essere trattata a fondo in vista di formali accordi, i tre Governi avrebbero da intendersi preliminarmente. Però questo ministro degli affari esteri osservava che, nell’ambiente esistente tutt’ora in Abissinia, l’introduzione della giurisdizione consolare per gli stranieri riuscirebbe probabilmente più facilmente accettabile per gli indigeni che non l’istituzione di un giudice appartenente ad estera nazionalità. Mettendo in sodo l’interesse comune connesso con questo affare, ho dal canto mio insistito perché esso non venga pregiudicato con separate conversazioni mentre si tratta di materia sovra la quale le tre potenze avrebbero potuto probabilmente intendersi quandochessia preliminarmente fra di loro.

Il sig. Pichon, estendendo i limiti della conversazione, venne a dirmi che agli screzi prodottisi ad Addis Abeba fra il ministro francese ed i reggenti delle legazioni d’Italia e d’Inghilterra poteva non essere estranea l’arte d’intrigo di cui era maestra l’Imperatrice. Questa odia tutti gli stranieri senza alcuna distinzione di nazionalità. Al sig. Klobukowski un giorno in cui questi le offriva in dono un braccialetto, l’Imperatrice manifestò tale suo sentimento nei termini i più crudi ed espliciti. L’Etiopia non sarà sicura, avrebbe detto quella Sovrana, finché non avrà scacciato dal suo territorio tutti gli stranieri. Il mio interlocutore non escludeva che i due giovani incaricati d’affari si fossero lasciati suggestionare nelle loro diffidenze verso il rappresentante francese da voci astutamente propagate dal Palazzo imperiale.

Senza attribuire importanza seria a questa parte episodica delle cose dettemi dal sig. Pichon, anzi lasciando le cose stesse totalmente in disparte, conviene che io osservi che nel linguaggio di questo ministro degli affari esteri nulla ha mai tradito il pensiero di voler esercitare in Etiopia un’azione separata e lesiva degli interessi dell’Italia e della Gran Bretagna. La missione dell’attuale rappresentante in Addis Abeba è temporanea. Il di lui successore è già nominato. Gioverà vegliare acciocché le istruzioni che a quest’ultimo verranno impartite siano perfettamente in armonia col senso e con lo spirito delle convenzioni del 1906. L’incarico principale del sig.

Klobukowski era di liquidare la missione del sig. Lagarde. Per indole sua tale incarico riguardava necessariamente affari e situazioni anteriori agli accordi italo-francobritannici. Per altra parte non si può disconoscere che la disposizione dell’art. 10 dell’accordo del 13 dicembre 1906 è di quelle che richiedono, per riuscire utili ed efficaci, di essere interpretate ed applicate con tatto specialissimo, ossia con qualità personali che, quando si trovano in grado eminente negli agenti, renderebbero quasi superflua la stipulazione. Il sig. Pichon, con perfetto garbo, si è astenuto dal recriminare contro il capitano Colli; ma forse in certi momenti non era estraneo al suo pensiero che un agente meno sospettoso e più provetto avrebbe evitato un incidente ai due Governi.

Dal canto mio non potrei chiudere questo rapporto senza scagionare il barone Aliotti da ogni responsabilità a questo proposito. Il pro-memoria ch’egli presentò al Ministero francese degli affari esteri3 attenuava sensibilmente, non naturalmente nella sostanza, ma nella forma, il linguaggio prescrittogli. Ritenni che non convenisse proseguire la discussione con la consegna qui di un nuovo memoriale e preferii indugiare la mia orale comunicazione al ministro degli affari esteri in guisa che vi avessero a precedere le spiegazioni che V.E. ebbe a scambiare coll’ambasciatore della Repubblica. Se anche ad Addis Abeba è avvenuto fra quei rappresentanti delle tre potenze uno scambio di dichiarazioni soddisfacente, mi sembra si possa ormai ritenere che da questo lieve incidente rimarrà soltanto ben confermata l’intenzione dei tre Governi di procedere concordemente in Etiopia ed il Gabinetto di Parigi sarà forse reso più riguardoso in tutto ciò che si attiene a tale interesse4.

539 1 Vedi D. 526.

540

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1819/743. Londra, 21 novembre 1907 (perv. il 25).

Il suo dispaccio del 16 corr. n. 8431 mi è giunto ieri, e ieri stesso mi sono recato dal sig. Cambon, col quale ho avuto un colloquio di oltre due ore. L’amicizia personale, che esiste tra noi due, ci ha permesso di discutere liberamente, partendo, in principio, da opposti punti di vista, ma con eguale desiderio di giungere ad un accordo al quale mi pare che ci siamo praticamente assai avvicinati.

4 Per la risposta vedi D. 557.

Ci siamo subito trovati concordi nel riconoscere che, nell’applicazione dell’accordo del 13 dicembre 1906, dobbiamo portare come criterio fondamentale il concetto che esso non mira soltanto ad eliminare gli attriti in Abissinia, ma è parte del concorde, identico e fermo proposito dei tre Governi e delle tre nazioni di mantenere, in tutto il loro indirizzo di politica generale, reciproci rapporti di cordialità ed amicizia. Abbiamo ammesso come base indiscutibile il concetto che ogni affare abissino, per quanto importante per se stesso, lo è meno della reciproca amicizia. Concordi in questo, non lo eravamo però nell’interpretazione pratica dell’articolo 10 e nel giudizio sulla condotta degli agenti delle tre potenze in Addis Abeba.

Il Cambon ha difeso, in principio, ad oltranza il Klobukowski, mostrandosi in seguito più arrendevole, e lasciandosi, se non convincere, almeno scuotere da argomenti, la cui evidenza mi pare tale che difficilmente poteva sfuggirgli. Egli mi ha letto la nota Aliotti, la risposta del Governo francese e alcuni rapporti del Klobukowski, comunicatigli dal suo Governo; io gli ho letto parte della memoria riassuntiva del colloquio di V.E. col sig. Barrère2. Quando gli tradussi la parola isolatamente (linea 16 della prima pagina), m’interruppe colla calda requisitoria contro l’azione inglese, davvero separata, nella questione della Banca, di cui nel mio odierno rapporto n. 1823/7461.

Sulla questione della sopratassa ferroviaria (non doganale), mi disse che non vi ha nulla di contrario all’articolo 10 nel fatto che il Klobukowski abbia dimandato a Menelik se sia disposto a consentirla: questo non è che un atto preliminare per vedere se si poteva avviare la pratica, poiché, per introdurre poi effettivamente la sopratassa, occorre una deliberazione del Consiglio di Amministrazione della Ferrovia, nel quale l’Italia e l’Inghilterra sono rappresentate ciascuna da un delegato. Non potè però trovare argomenti per confutare la mia obbiezione, che il solo momento, in cui i due Governi possono, se lo credono, impedire questo nuovo onere sulle loro merci, è quello appunto in cui si tratta di ottenere il consenso di Menelik, visto che nel consiglio d’Amministrazione della Ferrovia sono in minoranza, e, quindi, avuto il consenso di Menelik, la sopratassa potrebbe applicarsi anche col dissenso dell’Inghilterra e dell’Italia. D’altra parte, non si può negare che questa è materia di comune interesse e che, in conformità all’accordo del 13 dicembre 1906, non può la Francia trattarla e risolverla con Menelik senza il previo consenso degli altri due Governi. Questo consenso, aggiunsi, probabilmente non sarà dall’Italia rifiutato, ma il principio che esso sia necessario non si può da noi abbandonare. Gli spiegai bene che io ignoro se il Governo italiano lo darà, ma che è soltanto mia opinione personale che credo che sarà dato. Infatti, ripeto confidenzialmente a V.E. che tale, come risulta dal mio rapporto n. 7313, è l’opinione di Harrington, la quale sarà quasi certamente approvata dal Governo inglese, nel qual caso è evidente che noi non potremo opporci, e sarà già buon risultato se dalla Francia verrà riconosciuto il proprio torto nella pretesa di trattare la questione per conto proprio senza accordi colle altre due potenze. Il timore, espresso in uno dei precedenti dispacci di V.E., che tale sopratassa danneggi le nostre

3 Vedi D. 537.

cotonate in confronto a quelle americane, mi pare che si possa scartare, visto che il 10% colpirebbe anche queste, e che, se la sopratassa è un mezzo indispensabile per completare la ferrovia, il vantaggio derivante dal nuovo, più rapido e meno costoso mezzo di trasporto sarà risentito dalle nostre merci in misura assai maggiore che il danno derivante dall’aumento della tariffa ferroviaria.

Per la giurisdizione sugli europei, dice il sig. Cambon che da un rapporto del Klobukowski risulta che, durante l’udienza, in cui si discuteva il trattato di commercio, venendo a parlare di questo speciale argomento, Menelik si manifestò contrario alla proposta di istituire giudici europei da lui nominati e pagati, e allora Klobukowski gli suggerì come soluzione alternativa la giurisdizione consolare, informandone in seguito i suoi colleghi ed il Governo francese, che ora sta studiando il pro e il contro delle diverse soluzioni e non si è ancora pronunziato.

Sul traffico delle armi, il sig. Cambon mi diede lettura di due rapporti di Klobukowski, uno del 30 luglio e l’altro dell’8 ottobre, a lui comunicati dal suo Governo. Essendo diretti a questo, e non prevedendosi dal Klobukowski che il sig. Cambon, che ne ebbe l’idea nel corso della conversazione, me li avrebbe letti, si deve supporre che siano sinceri. Ora, non è dubbio che essi producono l’impressione che egli voglia davvero contribuire ad una soluzione pratica e ragionevole di questa spiacevole questione.

Nel rapporto del 30 luglio, il Klobukowski dice che il Colli ha aderito al modus procedendi da lui proposto intorno alle pratiche presso Menelik per indurlo ad emanare le proposte disposizioni sul traffico delle armi e delle munizioni, cioè che esse siano fatte separatamente e nella forma più amichevole, dai tre rappresentanti, anziché collettivamente.

Nel rapporto dell’8 ottobre comunica alcuni provvedimenti contenuti in un editto di Menelik, i quali, se effettivamente applicati, non mancano di pratica efficacia.

Il mio illustre collega mi parve poi disposto a proporre al suo Governo che, in merito, accetti le proposte Colli.

Quanto all’accusa fatta all’agente consolare francese ad Harrar, pur convenendo che la dignità della Francia non è punto impegnata a difendere la condotta, se riprovevole, di un funzionario siffatto, che non è neanche francese di nascita, mi disse essere risultato che tutti gli agenti di potenze estere in Harrar hanno egualmente venduto qualche fucile, ma, secondo le sue informazioni, proprio quattro o cinque, prima del 13 dicembre 1906, e che il fatto non si è più rinnovato dopo quella data.

Circa la difesa delle legazioni, non vede alcun carattere politico nel fatto che il sig. Klobukowski abbia creduto preferibile costruire la casa della legazione francese alcuni metri più in qua o più in là. Crede pure assolutamente infondato che si sia mai tentato di far entrare un francese nel Ministero etiopico.

Ma l’argomento che più a lungo fu l’oggetto del nostro colloquio fu quello delle istruzioni identiche da mandare ai rappresentanti delle tre potenze in Addis Abeba per l’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 10.

Già dai miei citati rapporti risulta che il sig. Cambon non ha mai visto con favore l’invio di queste identiche istruzioni. Oggi mi ha detto francamente che una enumerazione delle materie di comune interesse e di quelle di interesse esclusivo di ognuna delle tre potenze è impossibile, e che se, senza entrare in questi particolari, si volesse redigere una specie di interpretazione autentica dell’articolo 10, essa si

presterebbe agli stessi discordi commenti, agli stessi dissensi nell’interpretazione dell’interpretazione, cui si presta l’accordo, creando, a suo avviso, una nuova causa di contestazioni, anziché un mezzo di concordia.

Discutemmo a lungo il pro ed il contro, ed, alla fine, animato dal più vivo desiderio che tra le tre potenze regni la più schietta amicizia, si disse pronto ad appoggiare presso il proprio Governo l’invio, non già di istruzioni identiche propriamente dette, ma di un dispaccio, che, redatto da ognuno dei tre Governi come meglio crede, inculchi ai rispettivi rappresentati il dovere di procedere, il più possibile, d’accordo coi colleghi, di tenersi con essi in contatto, di ricordarsi che l’era delle rivalità tra le tre potenze o tra due di esse è chiusa, che nessuna di esse segue o vuol seguire fini ed interessi separati ed esclusivi, che i rapporti reciprocamene fiduciosi e cordiali che esistono tra i tre Governi, debbono rispecchiarsi nei rapporti tra i loro agenti, e che la stessa mutua amicizia, che regna nella loro politica generale, deve presiedere alla loro politica etiopica. Insomma, si conchiudeva, far capire ai nostri agenti che siano amici e non rivali. L’effetto di un dispaccio siffatto sul sig. Klobukowski, come sugli altri due rappresentanti, dovrebbe essere benefico, tanto più che il sig. Cambon mi ha detto che ha ragione di credere che qualchecosa di simile gli sia già stato scritto dal sig. Pichon. Data l’influenza e l’autorità del sig. Cambon a Parigi, mi pare probabile che, se non alle istruzioni identiche, all’invio di un dispaccio di questo genere, il Governo francese debba aderire, e sarà un risultato positivo, quale V.E. giustamente lo desidera nel suo telegramma n. 19654.

539 3 Vedi D. 494, Allegato.

540 1 Non pubblicato.

540 2 Vedi D. 532.

541

L’INCARICATO D’AFFARI A PIETROBURGO, TOMASI DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 806/278. Pietroburgo, 21 novembre 1907 (perv. il 9 dicembre).

Il sig. Izvolskij, ritornato a Pietroburgo da circa una settimana, ha ieri ricevuto per la prima volta il Corpo diplomatico. Uniformandomi alle istruzioni contenute nel dispaccio di V.E. in data del 16 corrente n. 554891, colsi l’occasione del detto ricevimento per esprimere al sig. Izvolskij il pensiero di V.E. sul proposito cioè di rendere sempre più cordiali le relazioni fra l’Italia e la Russia, e ringraziarlo delle cortesi espressioni usate a riguardo dell’E.V. nel suo colloquio con il r. ambasciatore a Vienna.

541 1 Non pubblicato.

Il sig. Izvolskij ripeté quanto disse a S.E. il duca d’Avarna e da quest’ultimo riferito con il rapporto2 trasmessomi con il dispaccio sopracitato, accennando anche al desiderio che si presenti opportuna occasione per fare la conoscenza personale di V.E. Dissi allora al sig. ministro imperiale che tale desiderio era dall’E.V. pienamente condiviso.

A questo proposito, credo opportuno riferire all’E.V. che, nello scorso settembre, alla vigilia della sua partenza in congedo, seppi da fonte sicura che il sig. Izvolskij si proponeva di passare qualche giorno al nord dell’Italia, e di ciò informai ad ogni buon fine V.E., con mio rapporto del 1° settembre n. 605/2131. Quando poi ultimamente vennero qui fuori gli attacchi al ministro degli esteri, fatti specialmente dai reazionari che accusarono il sig. Izvolskij di avvicinarsi troppo alla liberale Inghilterra, di viaggiare troppo, di avere soverchie interviste con Sovrani, ministri e giornalisti, attacchi che scossero alquanto la situazione del ministro degli esteri, avendo io indagato sul valore da dare alle dicerie di un suo ritiro, fui informato in quest’occasione che, non solo il sig. Izvolskij pensava effettivamente di recarsi nel nord dell’Italia, ma che anche in tale occasione era sua intenzione di procurarsi un incontro con l’E.V. Le notizie pervenutegli poi da Pietroburgo mentre ancora si trovava a Carlsbad, concernenti all’interpretazione che si dava qui alla sua politica ed ai suoi viaggi avevano, mi è stato assicurato, fatto cambiare itinerario al ministro.

Il sig. Izvolskij si mostrava soddisfatto del suo viaggio in generale e degli eccellenti rapporti esistenti fra la Russia e gli altri paesi da lui visitati. Non nascondeva però il suo rincrescimento di aver dovuto constatare come la Germania facesse bande à part nella questione della riforma giudiziaria di Macedonia. E discorrendo appunto degli affari di Macedonia, si mostrava alquanto sconfortato, lamentando la mancanza di accordo fra le potenze. Intanto, osservava, la Sublime Porta profitta della mancanza dell’accordo, e si prepara ad una resistenza ad oltranza, e le bande riprendono una maggiore attività. E mi è parso anche scorgere che, lamentando questa mancanza d’accordo, il sig. Izvolskij voleva alludere a qualche cosa di più che all’atteggiamento della Germania. In ciò non mi parve scorgere alcuna allusione a noi diretta, ma ho creduto ad ogni buon fine ripetergli che V.E. aveva data la sua adesione al progetto austro-russo, e che il fine a cui mirava francamente la nostra politica era quello di pacificazione e di riforme in Macedonia.

Questo colloquio confermò pienamente le mie impressioni sulla questione, riferite a V.E. con telegramma del 6 corrente n. 861.

540 4 Vedi D. 531. Per il seguito vedi D. 542.

541 2 Vedi D. 483.

542

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1830/749. Londra, 23 novembre 1907 (perv. il 27).

Ieri è venuto a trovarmi il sig. Cambon, il quale mi ha dato lettura di un telegramma del 19 corrente diretto dal sig. Klobukowski al sig. Pichon e di un rapporto dello stesso Klobukowski, in data dell’11 ottobre.

Nel telegramma, Klobukowski dice di aver comunicato al conte Colli il memorandum Aliotti e la risposta del sig. Pichon e di averlo amichevolmente richiesto di spiegazioni. Il Colli avrebbe riconosciuto:

1) d’aver aderito all’opinione Klobukowski sul traffico delle armi; 2) di essere stato tenuto completamente al corrente dei pourparlers preliminari

relativi alla giurisdizione sugli europei, pur ripetendo che Klobukowski avrebbe fatto meglio se avesse conferito con i suoi colleghi prima di sondare Menelik;

3) di non dover più insister sur les négociations pour le chemin de fer. Queste sono le parole testuali del telegramma senz’altra spiegazione che chiarisca il senso della frase da me trascritta in francese. Cambon la interpreta nel senso che Colli avrebbe riconosciuto che anche in questo affare il Klobukowski abbia proceduto e continui a procedere correttamente e in conformità all’accordo del 13 dicembre 1906.

Nel rapporto il Klobukowski dà un resoconto di una conversazione avuta con gli incaricati d’affari d’Italia e d’Inghilterra, da lui invitati a colazione, e dice di aver dato lettura di siffatto resoconto al Colli, che l’ha trovato esatto.

Il Klobukowski esprime l’impressione che i due incaricati d’affari si fossero concertati prima di quella conversazione.

Afferma che hanno ammesso la validità delle ragioni per le quali non poteva tenerli giornalmente al corrente delle trattative per la ferrovia. Tra queste ragioni, ve ne ha una, che certo non ha detto al sig. Hohler, cioè che era ed è ospite abituale e quasi quotidiano della legazione britannica il rappresentante del trust inglese, che le trattative in corso tendono ad eliminare dalla ferrovia.

Il Klobukowski ha anche nello stesso colloquio esposto le sue ragioni contro la soluzione della questione della giurisdizione sugli europei preferita dall’Italia e dall’Inghilterra. Le ragioni, addotte dal Klobukowski, non mancano certo di valore, e dal suo rapporto appare che, più che il capitano Colli, abbia mostrato riluttanza ad accoglierle il sig. Hohler. Si tratterebbe di un giudice europeo, unico e senza appello, che perciò verrebbe, come dice Klobukowski, a praticamente essere proclamato infallibile; questa non gli pare soluzione accettabile per i suoi connazionali, neanche se il giudice dovesse essere un francese. Il sig. Cambon mi ha anche detto di avere scritto una nota al Foreign Office, in cui svolge tutti gli argomenti contro questa soluzione ed in favore della giurisdizione consolare, e di aver ricevuto da sir Edward Grey una risposta abbastanza favorevole alle vedute francesi poiché, mentre prima,

come risulta anche dalla sua nota a me dell’11 ottobre, da me trasmessa a V.E. con mio rapporto del 12 n. 6431, si era pronunziato contro la giurisdizione consolare, ora ha detto che esaminerà la questione.

Sulla interpretazione dell’art. 10 dell’accordo 13 dicembre 1906, il dissenso tra i tre rappresentanti di Addis Abeba è riferito dal Klobukowski in modo diverso da quello che riferisce il conte Colli nel suo rapporto del 13 ottobre n. 992, trasmessomi da V.E. con dispaccio n. 846. Secondo il Colli, pare che il Klobukowski volesse maggiore libertà d’azione per ognuno dei tre agenti: secondo il Klobukowski, invece, il vero oggetto del dissenso sarebbe il modo di trattare con Menelik. Il Colli ed il Hohler infatti, secondo il Klobukowski, avrebbero detto che i tre rappresentanti debbono essere sempre uniti e concordi per esercitare pressione su Menelik, mentre il Klobukowski, anziché pressione, vorrebbe metodi blandi e conciliativi, e cita una frase di Cambon, cioè «Menelik deve essere persuaso e non intimidito».

Finalmente, per essere sicuro di avere bene interpretato il pensiero del sig. Cambon, e ricambiargli la prova di fiducia, gli ho letto il brano del mio rapporto n. 7433, in cui riferisco quanto egli mi aveva detto il 20 corrente intorno alle istruzioni identiche per l’interpretazione dell’art. 10. Egli mi ha detto che avevo perfettamente riprodotto le sue idee, aggiungendo che gli sembra che, scrivendo ogni Governo al proprio agente in quei sensi, senza concordare istruzioni identiche, ciascun dispaccio può essere redatto nel modo più appropriato alla persona ed al caso, e riescire perciò più efficace per il conseguimento del fine di cooperazione e di concordia che i tre Governi hanno in comune.

Con questo rapporto e con quelli 743 e 7314, mi pare di avere messo V.E. in grado di formarsi un concetto esatto del punto di vista inglese e francese, e delle probabilità, che mi pare oggi vi siano, di venire, su tutte le questioni abissine pendenti, a soluzioni, se non in tutto conformi ai nostri desideri, almeno conciliative ed eque.

Che le istruzioni sull’interpretazione e sull’applicazione dell’art. 10 siano o no testualmente identiche, e concordate in tutti i loro particolari, mi pare di secondaria importanza, se, come sembra assicurato, si ottiene che anche al Klobukowski il suo Governo le mandi sostanzialmente nel senso da noi considerato, e ispirato al concetto che le potenze sono amiche e collaboratrici e non rivali, e che concorde deve essere l’azione dei loro rappresentanti ad Addis Abeba, come concorde è la politica etiopica dei tre Governi.

Il sig. Cambon mi ha ripetuto oggi che spera di far aderire il suo Governo all’invio di un dispaccio in questo senso5.

2 Vedi D. 496. 3 Vedi D. 540. 4 Vedi D. 537. 5 Per la risposta vedi D. 556.

542 1 Non pubblicato.

543

IL MINISTRO A TANGERI, NERAZZINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATISSIMO PERSONALE 1291/507. Tangeri, 24 novembre 19071.

V.E. mi ha perfettamente compreso, tanto per quello che ho detto quanto per quello che ho taciuto nel mio telegramma del 16 novembre n. 89, circa la fermata a Tangeri di S.A.R. il Duca degli Abruzzi2. La migliore soluzione è stata quella adottata da V.E., in accordo con S.E. il ministro della Marina, di rinunziare cioè alla fermata di S.A.R. in questo porto.

Ma debbo ora vivamente interessare l’E.V. a voler convincere S.E. il ministro della Marina come io non sia in contraddizione con quanto, in via confidenziale e tutt’affatto privata, ebbi l’onore di scrivergli nel settembre decorso a proposito della richiesta di navi da guerra per Tangeri. Mentre in quella lettera io lo rassicuravo, che non avrei mai sollecitato la presenza di nostre navi fino a che navi da guerra di altre potenze (escluso quelle francesi e spagnuole) si tenevano notoriamente lontane da ogni intervento nei porti del Marocco, esprimevo d’altra parte il mio avviso che le nostre navi da guerra traversanti lo Stretto di Gibilterra per viaggi oceanici, sotto la parvenza dei soliti esercizi marinareschi, dovessero, come istruzione di massima impartita dal ministro a tutti i comandanti, arrestarsi per poche ore in questo porto; ciò che testé si è fatto per la r. nave «Etna», reduce dal suo viaggio d’istruzione nei mari del Nord.

Niente di meglio quindi, che aver fatto fermare per poche ore in Tangeri una nave moderna, e di primissima potenzialità guerresca, quale la «Regina Elena», essendo savio concetto politico, specialmente presso i popoli a immaginazione impressionabile, di lasciare in essi ben viva l’idea della nostra potenza navale, facendogli vedere il maggior numero di navi che sia possibile, ed evitando le ripetizioni.

Però, nel caso della «Regina Elena», la regola diventava eccezione, per il fatto che quella nave si trova oggi al comando di un principe reale: e se è debitamente compresa ed ammessa nel mondo civile la completa separazione fra le funzioni di comandante e la qualità di principe reale; se è bene stabilito nella civiltà europea che un principe può involarsi quando vuole ad ogni cerimoniosità e ad ogni apparato di pubblicità, purché si qualifichi in stretto incognito; tale sdoppiamento di natura non è altrettanto compreso, e molto meno ammesso dalla civiltà moresca, che riunisce in una personalità sola le due qualità di principe e di comandante, e dove vede il principe non si occupa di vedere il comandante. Veniva allora in considerazione il momento politico attuale; il genere di governo che regge questo paese; e ne emerse subito, secondo il mio modo di vedere, l’inopportunità di mettere a contatto, per le consuete e indispensabili visite, un principe di Casa Savoia con i funzionari di un Sultano che deve ancora rispondere alle potenze europee di gravi offese alla civiltà: e, singolar-

2 T. 2285/89, non pubblicato.

mente per il nostro Paese, deve ancora rispondere all’Italia della morte di tre pacifici operai italiani massacrati, se non dalle stesse mani, per lo meno dal consenso degli stessi suoi soldati, che avrebbero invece dovuto difenderli.

Fino a questo punto della presente mia lettera, sarei grato all’E.V. se, in una facile occasione d’incontro, volesse farne parte a S.E. il ministro Mirabello solo allo scopo che egli non ritenga trovarmi io in contraddizione con quanto gli scrissi.

Ora però, e sempre a proposito di S.A.R. il Duca degli Abruzzi, debbo esporre molto riservatamente a V.E. qualche importante e delicata considerazione che a lei non debbo tacere, a più efficace e più veritiera giustificazione di quel mio telegramma, col quale intendevo assolutamente promuovere la decisione, che fosse cambiato il programma di S.A.R. circa la sua fermata a Tangeri.

Per S.M. il Re d’Italia, e quindi per tutte le persone della Sua Augusta Famiglia, non spira in questo momento al Marocco un’aura di simpatia. Nessuno, è vero, oserebbe durante lo scambio di cerimonie ufficiali venir meno al dovuto rispetto; come è altrettanto vero, che, se ciò fosse, si saprebbe ben tutelare ed imporre il rispetto mancato: ma, salvaguardate le forme nei limiti del più freddo convenzionalismo, non sarebbe il caso di aspettarsi la minima manifestazione di amichevole deferenza verso la persona del nostro Re, e, per naturale riflesso, verso la persona di un principe reale.

Oramai si è qui solidamente affermata la convinzione, tanto nella Corte marocchina che fuori, che l’attuale disgrazia del Sultano e lo sfacelo di questo paese si deve alla firma del protocollo di Algesiras, e quindi all’ultima azione politica spiegata dal ministro d’Italia in Fez, il quale, con molte lusinghe, dicono, seppe carpire al Sultano la firma di quell’atto: e sopratutto poi si ritiene che il male sia dovuto al mancato intervento di S.M. il Re di Italia, quale patrocinatore verso gli altri Sovrani delle riserve, che il Sultano consegnò per iscritto al ministro Malmusi nel ratificare l’Atto di Algesiras, intervento che il ministro aveva solennemente promesso al Sultano. Né conviene lusingarsi che tale incresciosa opinione sul conto dell’azione politica italiana sia rimasta localizzata al Marocco: per quel legame di solidarietà che unisce in una sola famiglia tutto il mondo musulmano, emissari marocchini hanno propagata la notizia in Tripolitania, e più maliziosamente, alla Corte del Kedivé di Egitto, allora nuova residenza del ministro Malmusi; tantoché non sarebbe fuor di luogo, mi pare, che abili agenti delle nostre rappresentanze procurassero d’indagare quale limite abbia raggiunto e quali conseguenze potrebbero derivare a noi per una tale diffamazione. Né posso, né debbo interloquire su quanto riguarda l’ultima missione del ministro Malmusi in Fez, quale atto finale della Conferenza di Algesiras, fino a che non ne venga espressamente dimandato. Posso, anzi debbo, occuparmi del caso speciale, oggi in cui cominciano a venir fuori alcuni degli effetti dipendenti dall’azione spiegata dal ministro Malmusi e che direttamente mi riguardano.

Il risentimento marocchino verso il Governo italiano e verso la persona del Nostro Re ha una ragione di essere, che non può rimanere ignorata dal R. Governo. Il ministro Malmusi, forse col proposito di troncare una buona volta la pericolosa lungaggine della Conferenza di Algesiras, fra gli altri espedienti per potere ottenere la ratifica del protocollo, ne escogitò uno molto compromettente, quello cioè di assegnare un’azione diretta alla persona di S.M. il Re d’Italia, senza prima assicurarsi se piaceva e se conveniva che Sua Maestà entrasse in azione diretta coi capi degli Stati signatari dell’Atto di Algesiras. Né la mia affermazione si basa su quanto mi può

essere stato riferito da altri: nel caso attuale, così importante e delicato, affermo solo quello che posso provare con documenti. Il ministro Malmusi ha creduto bene di non dover lasciare sia nell’archivio della legazione, sia nell’archivio del decano del Corpo diplomatico (sede naturale per depositarvi l’incartamento della missione sua a Fez) tutti i documenti relativi alla missione avuta, nella esclusiva sua qualità di decano del Corpo diplomatico in Tangeri, di ottenere dal Sultano la ratifica dell’Atto di Algesiras.

Il ministro, lasciando Tangeri, portò seco tutti i documenti: questo mi venne dichiarato quando assunsi le mie funzioni in questa r. legazione. Ma nell’atto in cui mi fu consegnato l’Archivio, e volendo delucidare una situazione politica che trovavo molto oscura e contraddittoria, furono fatte dal r. incaricato d’affari ulteriori e più minute ricerche, finché si trovò una cartella con documenti, che certamente erano stati dimenticati, che io esaminai bene, e che tengo oggi debitamente custoditi. Così ho potuto spiegarmi benissimo quella certa attitudine del Governo marocchino verso la legazione d’Italia, attitudine che nei primi giorni mi sembrava un enigma.

Trascrivo soltanto quel brano di documento, che basta per convalidare la mia affermazione, avere cioè il ministro Malmusi completamente scoperta la persona del nostro Sovrano, nella responsabilità politica inerente alla ratifica dell’Atto di Algesiras.

«Verbale dell’udienza particolare del 17 giugno in Fez. … Per tutti i desiderata del Sultano circa i diversi punti del protocollo che il

Sultano vorrebbe più chiariti, si è stabilito che il Sultano rimetterà di sua propria mano all’ambasciatore una memoria contenente detti desiderata; memoria che l’ambasciatore rimetterà a S.M. il Re d’Italia, il quale la comunicherà alle altre potenze …». A questo punto del verbale si trova un’aggiunta scritta di proprio pugno dal ministro Malmusi e così concepita: «Il ministro assicura il Sultano, che nessuno più potente e più simpatico intermediario può trovare per i suoi desideri che il Re …».

Perfettamente in armonia con quanto fu stabilito in questa udienza privata del 17 giugno 1906, il Sultano Abdul-Aziz così scriveva nella chiusa della sua lettera al Nostro Augusto Sovrano in data 25 giugno 1906:

«… Abbiamo ratificato l’Atto con gioia e piacere, fidandoci nell’impegno assunto dal vostro ambasciatore di adoperarsi per fare spiegare e chiarire le frasi suddette in arabo, coll’aiuto della Vostra Cara Maestà, in conformità della memoria a lui (all’ambasciatore) consegnata …».

Tutto questo molto probabilmente V.E. non sa: il resto le è noto; dalla consegna della ratifica dell’Atto di Algesiras fino ai massacri di Casablanca.

Io non mi permetto di domandare quello che pensa l’V.E. su quanto oggi ho avuto occasione di doverle riferire: né mi farà meraviglia il di lei silenzio, di cui perfettamente mi rendo ragione.

Desidero soltanto, e son certo che l’E.V. troverà equo il mio desiderio, di avere una esplicita approvazione del concetto che ho espresso, non solo col telegramma del 16 novembre, ma sopratutto colle odierne considerazioni, circa la inopportunità politica che un principe di Casa Savoja, circondato da un’aureola di rispetto e di speciale simpatia tanto in Italia quanto all’estero, fosse posto oggi a contatto coi rappresentanti di S.M. Sceriffiana.

543 1 Dall’archivio riservato della Segreteria Generale e privo dell’indicazione della data di arrivo.

544

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2364-2365-2366-2367/172-173-174-175. Londra, 27 novembre 1907, ore 18,25 (perv. ore 21,55).

[172] Oggi lungo, cordiale, utile colloquio con Grey. Promise cercare rendere sempre più cordiali rapporti anglo-italiani e dissipare recenti dubbi e impressioni.

Seguono tre separati telegrammi e rapporto 7591. [173] Oggi ho consegnato confidenzialmente Grey traduzione non ufficiale del

memorandum su confine Egitto-Cirenaica, non ancora presentato ufficialmente. Egli mi promise nuovamente tenere Governo italiano informato delle possibili, ulteriori fasi del negoziato, su detto confine, tra Inghilterra e Turchia. Avremo ulteriore colloquio. Io non dispero interamente ottenere qualche assicurazione, almeno per Kufra. Lo lasciai esitante, ma abbastanza disposto dichiarare che la considera come ottomana.

[174] Oggi Grey più favorevole che in passato allo appoggiare le nostre rimostranze per gli ostacoli frapposti dalle autorità ottomane alle nostre iniziative economiche in Tripolitania. Mi ha ripetuto che consulterà O’ Conor e darà risposta definitiva appena gli faremo conoscere la natura degli ostacoli e delle rimostranze.

[175] Grey mi ha detto oggi che appoggerà nomina generale italiano in sostituzione generale De Giorgis, pur preferendo che questi non si dimetta.

545

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

DISP. 63040/980. Roma, 27 novembre 1907.

Mi pregio di segnare ricevuta e di ringraziare del rapporto n. 2113/772, in data del 5 novembre corrente1, in cui l’E.V. riferisce un suo colloquio con il gran visir sulla situazione in Macedonia.

Approvo, ad ogni modo, interamente il linguaggio tenuto dall’E.V. che ha saputo efficacemente respingere le censure formulate dal gran visir a proposito dell’azione di codesta r. ambasciata e, in particolare, in relazione all’azione dei nostri ufficiali della gendarmeria macedone.

Per quanto, come l’E.V. avverte, non sia il caso di dare grande peso alle recriminazioni ed alle frequenti invettive di quel funzionario, è certo che, per molto

545 1 Vedi D. 521.

tempo ancora, la situazione in Macedonia rimarrà quale è descritta dall’E.V. in fine al suo rapporto e quale è lumeggiata nella lettera del generale De Giorgis da lei favoritami in copia. Le autorità turche non cesseranno, malgrado i richiami delle potenze, di ostacolare, celatamente, ma non per questo con minore perseveranza, l’azione delle riforme. Per questa parte, tornerà utile di continuare a vigilare sull’operato di codeste autorità. Ma ad evitare il pericolo, dall’E.V. accennato, che l’azione repressiva contro le bande venga appositamente attenuata per innescare i disordini e screditare le riforme, ritengo più particolarmente necessario che si insista costì in special modo sulla responsabilità che il Governo ottomano assumerebbe col rallentare nella presente circostanza la repressione stessa.

544 1 Vedi D. 547.

546

L’INCARICATO D’AFFARI A PIETROBURGO, TOMASI DELLA TORRETTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 2371/93. Pietroburgo, 28 novembre 1907, ore 7,30.

Il sig. Izvolskij mi ha detto aver ricevuto notizie da Vienna che Selim pascià si mostrò colà molto soddisfatto dell’accoglienza avuta a Roma. Izvolskij, che si mostrò alquanto impressionato di questa notizia, soggiunse che amava sperare che le cortesie usate a Roma a Selim pascià fossero esclusivamente formali, e che non significassero condiscendenza da parte nostra alla opposizione fatta dalla Sublime Porta al progetto austro-russo per la riforma giudiziaria. Egli insistette sulla necessità dell’applicazione di tale progetto, e fece appello all’accordo di tutte le potenze, condizione necessaria per vincere la resistenza della Sublime Porta1.

547

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1865/759. Londra, 28 novembre 1907 (perv. il 3 dicembre).

Faccio seguito ai miei quattro telegrammi di ieri nn. 172, 173, 174 e 1751; ma, diversamente da quello che ho fatto nei telegrammi predetti, debbo riunire in un unico rapporto disparati argomenti, giacché, nel mio colloquio di ieri con sir Edward Grey, questi argomenti ebbero, dal punto di vista politico, maggiore importanza come

547 1 Vedi D. 544.

elementi e fattori delle relazioni generali anglo-italiane, anziché forse, da quello tecnico, per sé stessi; e, influendo l’uno sull’altro, servirono vicendevolmente, in unica conversazione, a rafforzare le conclusioni complessive, alle quali ciascuno di noi due voleva arrivare. Io gli volevo principalmente, con quegli esempi, dimostrare che l’attitudine dell’Inghilterra era stata tale da non giovare al comune intento di rendere sempre più cordiali, intimi e fiduciosi i rapporti tra le due nazioni: egli voleva dimostrarmi che queste impressioni italiane, di cui finalmente comincia a rendersi conto, non sono fondate.

Sarà bene però che costì gli uffici competenti prendano nota delle varie parti di questo rapporto, che rispettivamente li riguardano. Mi è difficile, infatti, dare un resoconto esatto del mio colloquio di ieri con sir Edward: esso non fu, come le consuete conversazioni diplomatiche, una reciproca esposizione di vedute, fatta in modo ordinato e sistematico, ma una conversazione tra amici, interrompendosi, saltando da un argomento all’altro, e poi ritornandovi, non dando alle parole d’ognuno l’importanza e il peso di comunicazioni ufficiali. Parlammo non dei soli argomenti speciali, trattati in questo rapporto, ma di tutto il quadro delle relazioni anglo-italiane, e di tutto quello che in questi ultimi tempi aveva fatto su noi non gradita impressione. Dichiarammo fin da principio che si sarebbe parlato non tra ministro ed ambasciatore, ma tra Grey e di San Giuliano, e con il desiderio comune di arrivare ad un risultato soddisfacente per i due paesi. Parlammo liberamente, cordialmente, talora scherzosamente, e così potei dirgli, con aperta franchezza, molte cose, che, in condizioni diverse, sarebbe forse stato più difficile riuscire a formulare. Ci lasciammo con le migliori impressioni possibili, facendo un notevole passo nei reciproci rapporti personali, tanto utili ai rapporti politici tra i due Stati, e credo che, dopo questo colloquio, molto si otterrebbe da sir Edward Grey, se, purtroppo, egli non si lasciasse così facilmente influenzare dai funzionari permanenti del Foreign Office, che più di una volta gli hanno fatto mutare le idee e le intenzioni, sinceramente espresse al primo momento.

Cominciai collo scopo della mia visita, che era appunto quello di fargli confidenzialmente vedere la bozza della risposta al suo memorandum del 20 agosto, relativo ai confini tra l’Egitto e la Cirenaica. Gli spiegai che il lungo ritardo a rispondere deriva dallo sforzo, che in una lunga corrispondenza tra me e V.E. abbiamo fatto, di dare la più amichevole forma possibile ad un dissenso, di cui sarebbe stato vano dissimularsi l’importanza. In questo intento, prima di presentargli ufficialmente la risposta, gliene portavo, insieme con il progetto di testo italiano ufficiale, una traduzione inglese non ufficiale, e si stabilì subito, d’accordo, che, appena egli l’avrà letta, ne parleremo insieme di nuovo amichevolmente per concordarne la forma definitiva, per parte mia, beninteso, ad referendum.

Entrammo poi nuovamente in merito, ed è inutile riferire tutta la discussione che ne seguì. Egli ripeteva sempre il solito argomento delle suscettibilità della Turchia e la solita promessa di non far nulla, rispetto al confine, senza prima informare il Governo italiano. Una obbiezione, che pure gli avevo fatta nei precedenti colloqui, questa volta lo colpì maggiormente. «La suscettibilità della Turchia», io gli ho ripetuto, «è un’obbiezione che può essere discussa, se si applica alla forma in cui noi abbiamo proposto lo scambio di note per la determinazione dei confini, ma nessuno può crederla un’obbiezione solida se si tratta di dichiarare che certe località, per esempio certe oasi, non appartengono all’Egitto, e, poiché voi avete rifiutato anche

questa forma, quando io vi dissi che avrei tentato di proporla al mio Governo, è logico si creda che il vero motivo del vostro rifiuto sia un altro, cioè è logico che nelle sfere dirigenti italiane penetri il dubbio che voi aspiriate a quei territorii, e vi è facile intendere quale non desiderabile influenza questo dubbio, giustificato dalle apparenze, eserciti su tutti i rapporti anglo-italiani». Sir Edward Grey rispose che anche in questa forma sussiste il timore delle suscettibilità turche, perché il dire che certe località non sono egiziane può dalla Turchia interpretarsi nel senso che si sia voluto dire che sono italiane; ma mi fu troppo facile il replicare che si può dire addirittura che sono turche, e che ciò appunto dimostrano i due annessi al nostro memorandum. La sua obbiezione si volgeva quindi contro di lui stesso, ed egli, nella sua lealtà, non poteva disconoscerlo. Dopo lo scambio di altre osservazioni, non fu per me dubbio che in questa forma egli è ora molto disposto a contentarci, almeno in parte, se, come è temibile, non muterà d’avviso per l’influenza della burocrazia.

Discutemmo delle varie oasi, ma sopratutto di Kufra, per tre ragioni: 1) perché è per noi la più importante; 2) perché è più facile dimostrare che non è egiziana; 3) perché, per un complesso di motivi, è meno difficile che per essa l’Inghilterra

ci contenti. Io credo che, se la soluzione di questo laborioso, difficile e, diciamolo pure,

pericoloso negoziato, sarà che l’Inghilterra riconosca che Kufra è ottomana, mentre, per la linea dal mare a Giarabub, ciascuno dei due Governi mantiene il proprio punto di vista, avremo ottenuto un risultato molto importante, superando difficoltà molto più gravi di quello che i miei rapporti possano riuscire a far comprendere. Ci sarebbe infatti assicurato, per la latitudine dal mare a Giarabub, un limite massimo che l’Inghilterra si obbliga a non eccedere, e, al sud di quella latitudine, ci sarebbe assicurata la più importante chiave di quella parte del commercio con l’interno, che è possibile conservare a Bengasi.

Questa discussione fu intramezzata da quella sull’appoggio alle nostre rimostranze a Costantinopoli per gli ostacoli opposti alle nostre intraprese private dalle autorità ottomane in Tripolitania. Come ho detto a V.E. nel mio telegramma di ieri n. 174, ho potuto riescire a rendere, nella conversazione di ieri, l’animo di sir Edward Grey più inclinato a favorirci in proposito che non fosse le altre volte che gliene ho parlato. Egli ha però insistito per sapere in che cosa consistano gli ostacoli e le rimostranze, come ha detto nella sua nota a me del 28 ottobre e come lo ho riferito a V.E. nel mio telegramma n. 1522 e nei miei rapporti nn. 6822 e 7243. Appena avrà questa nostra risposta, consulterà sir Nicholas o’Conor, e quindi è bene che il marchese Imperiali ne sia tosto informato, onde egli giudichi se sia o no opportuno che egli faccia presso il suo collega britannico i passi occorrenti ad assicurarsi che riferirà favorevolmente. Non ho creduto opportuno parlargli della risposta del Governo tedesco: accennai alla dubbia opportunità di parlargliene nel mio rapporto n. 6912.

3 Vedi D. 533.

Non mancai, però, di ripetergli che tanto questo ultimo Governo, quanto quello austro-ungarico e quello russo, che non è né alleato, come gli altri due, né amico così intimo come l’Inghilterra, ci hanno risposto in modo più amichevole di essa relativamente alla successione del generale De Giorgis. «Ma come?», disse sir Edward, «Non avete riferito che anche noi aderivamo?» «L’ho riferito», io replicai, «ma nei termini da voi formulati», termini, che gli ricordai e che riconobbe esatti. (Sono quelli che ho riferito a V.E. nel mio telegramma n. 1532 e nel mio rapporto n. 6834). «Ebbene», soggiunse, «ora potete dire senz’altro che appoggerò la nomina di un generale italiano in sostituzione di De Giorgis, se questi si dimette; ma speriamo non si dimetta». «Io telegraferò subito», risposi (è il mio telegramma di ieri n. 175), «ma consentite», continuai sorridendo, «che è rather late. Voi ci date il vostro appoggio, appena ha cessato di essere necessario». Egli pure sorrise e mi disse: «Il colloquio di oggi è stato molto utile per migliorare (to improve) i rapporti tra i nostri due paesi».

E qui mi si consenta una breve parentesi: forse data l’adesione di tutte le potenze alla sostituzione di un generale italiano al De Giorgis, sarebbe meglio profittare di questa propizia combinazione, anziché insistere perché egli non si dimetta, qualora non si abbia affidamento che non tornerà a dimettersi fra breve tempo.

Il nostro colloquio continuò su diversi argomenti, e finalmente, quando ci separammo, con grande cordialità, mi ricordò egli stesso che ancora non aveva potuto darmi risposta su tutti gli argomenti dei quali gli ho parlato o scritto in questi ultimi tempi, e mi promise di sollecitare di nuovo gli uffici competenti a metterlo in grado di rispondere.

546 1 Per la risposta vedi D. 549.

547 2 Non pubblicato.

548

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. 2050. Roma, 30 novembre 1907, ore 9.

Notizie giunte da diverse parti confermano quanto da V.E. mi è stato riferito circa il rallentamento che da qualche tempo si deplora nella azione repressiva delle truppe turche contro le bande armate in Macedonia. Lo ammetteva anche il Re di Grecia, il quale, in una recente conversazione col segretario generale di questo Ministero, dichiarava che la Grecia non avrebbe nulla da obiettare contro quella repressione che, esercitata verso tutte le bande senza distinzione di nazionalità, rappresentava senza dubbio un diritto e un dovere del Governo ottomano. Alla prima propizia occasione V.E. vorrà intrattenervi di tale argomento il gran visir, insistendo perché venga ripresa colla massima energia l’azione di disperdimento delle bande allo scopo di rimuovere il principale ostacolo ed un proficuo risultato dell’opera riformatrice nei tre vilajet che, secondo le sue stesse dichiarazioni, è ammessa e voluta anche dalla Sublime Porta.

547 4 Vedi D. 516.

549

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI A PIETROBURGO, TOMASI DELLA TORRETTA

T. 2058. Roma, 30 novembre 1907, ore 18,30.

Suo telegramma n. 931. Può assicurare il sig. Izvolskij che certamente a Selim Pascià fu fatta qui corte-

sissima accoglienza, ma che l’Italia non si distaccherà dal concerto delle potenze, e più specialmente dall’Austria-Ungheria e dalla Russia, al cui progetto per la riforma giudiziaria in Macedonia aderì fin dall’agosto scorso2.

550

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

T. 20751. Roma, 2 dicembre 1907, ore 18.

Ho agito Londra per ottenere istruzioni identiche, sia pur separate, fossero inviate tre rappresentanti costà per interpretazione e applicazione articolo 10 accordo. Governo inglese non avrebbe difficoltà, ma Governo francese preferisce invio istruzioni generiche nel senso che tre rappresentanti debbono essere amici e non rivali e rispecchiare rapporti reciprocamente fiduciosi e cordiali esistenti tra tre Governi. In questo senso, ministro affari esteri di Francia ha telegrafato sig. Klobukowski. Pur non abbandonando idea istruzioni identiche prendo per ora atto di questo primo passo e ne informo V.E. che, del resto, ha già implicitamente dette istruzioni generiche. Le confermo, però, istruzioni circa modus procedendi nella trattazione questioni comune interesse, tenendosi sempre in comunicazione con collega Inghilterra.

2 Con T. 2471/96 del 12 dicembre, Torretta rispose che Izvolskij lo aveva ringraziato ed era

apparso soddisfatto per la comunicazione ricevuta. 550 1 Trasmesso via Asmara.

549 1 Vedi D. 546.

551

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 2412/185. Londra, 4 dicembre 1907, ore 21,15 (perv. ore 6,50 del 5).

Oggi ho avuto colloquio non ufficiale, ma confidenziale ed amichevole con Grey circa confini Cirenaica.

Mi pregò di non presentare il nostro memorandum che riaprirebbe la questione del confine sospesa con la Turchia dal 1904. Se lo presentiamo, il Governo britannico risponderà che non può andare più in là delle precedenti dichiarazioni e, siccome le discussioni col Governo ottomano sono rimaste sospese dopo il memorandum del 19 novembre 1904 ed ora non continuano, così non può modificare ciò che ha detto al Governo ottomano e non è in condizioni di discuterlo. Grey mi ha autorizzato a dichiarare a V.E. che il Governo britannico non ha alcuna aspirazione su Kufra, la considera ottomana e non ha mai discusso di essa col Governo ottomano. Ho risposto che non possiamo non dare una risposta al Sultano che affermi che non dividiamo interamente le vedute inglesi sul confine dal mare a Giarabub, ma che possa proporsi al mio Governo una forma diversa, qualora egli mi dia in iscritto le assicurazioni su Kufra che mi ha dato verbalmente.

Dopo lunga discussione abbiamo concordato quanto segue (salvo naturalmente approvazione di V.E.): Grey mi proporrà una bozza di memorandum italiano in cui, rispondendo a quello inglese del 20 agosto, noi, senza entrare in particolari, dichiariamo di non dividere le vedute inglesi per il confine col mare a Giarabub e desideriamo essere rassicurati per il confine ulteriore. A questo, Governo britannico risponderebbe ufficialmente per iscritto, dando la citata assicurazione per Kufra.

Mi pare impossibile di ottenere ora di più. Questo stesso risultato che pure è importante, si è ottenuto con grande difficoltà.

Urge risposta di V.E. per non dare tempo ad eventuali mutamenti, che non sarebbero certamente in meglio, nelle attuali disposizioni di Grey1.

552

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL GOVERNATORE DELL’ERITREA, SALVAGO RAGGI

DISP. 64580/807. Roma, 5 dicembre 1907.

Ebbi, a suo tempo, ad intrattenere il r. ambasciatore a Londra, delle notizie che codesto Governo mi comunicò circa i procedimenti degli agenti sudanesi in Etiopia per divergere le carovane dalla Eritrea.

Il marchese di San Giuliano parlò della cosa con sir Eldon Gorst il quale gli diresse la lettera qui unita in copia1 il 12 ottobre scorso.

Ho creduto opportuno di inviare in risposta le istruzioni qui unite alla r. agenzia al Cairo2.

Intanto, desidero che, sull’azione sudanese in Etiopia in danno delle nostre, mi siano comunicati, volta per volta, tutti gli elementi e tutti i fatti specifici che si potessero raccogliere per portarli innanzi al Governo inglese.

551 1 Per la risposta vedi D. 554.

553

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL REGGENTE L’AGENZIA DIPLOMATICA AL CAIRO, SERRA

DISP. 64621/314. Roma, 5 dicembre 1907.

In seguito ad informazioni del Governo eritreo avevamo avuto occasione di richiamare l’attenzione del Governo inglese su procedimenti di agenti sudanesi in Etiopia per divergere le carovane dalla Eritrea. Sir Eldon Gorst diresse il 12 ottobre scorso al marchese di San Giuliano l’unita lettera1 nella quale simili procedimenti sono negati dalle autorità del Sudan, le quali si dichiarano desiderose di cooperare con noi lealmente nello sviluppo dei traffici.

Nel pregarla di esprimere a sir Eldon Gorst il nostro compiacimento per tali dichiarazioni, che corrispondono ai sentimenti dai quali sono animate le autorità dell’Eritrea, voglia soggiungergli che speriamo esse siano portate a cognizione degli agenti sudanesi al confine orientale, nell’interesse delle reciproche relazioni di buon vicinato.

554

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 2092. Roma, 6 dicembre 1907, ore 17,25.

Ricevuto telegramma 1851. Compiacendomi risultato ottenuto, autorizzo soluzione concordata con Grey2.

2 Vedi D. 553.

554 1 Vedi D. 551.

2 Per il seguito vedi D. 564.

552 1 Non pubblicata.

553 1 Non pubblicata.

555

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

DISP. 64947/1009. Roma, 6 dicembre 1907.

Ho letto con particolare interesse il rapporto n. 790 in data 18 novembre1 con cui V.E. mi espone la delicata situazione creatale dal fatto di non essere secondato dai suoi colleghi delle grandi potenze nelle rimostranze che ella ha occasione di rivolgere a codesto Governo ogni qualvolta il contegno delle autorità ottomane in Macedonia verso il generale De Giorgis o verso i nostri ufficiali appartenenti alla gendarmeria richieda l’intervento di lei presso la Sublime Porta.

Riconosco coll’E.V. la gravità degli inconvenienti riservati [sic] nel suo rapporto ed apprezzo le considerazioni che hanno dato origine al divisamento di cui mi intrattenne circa l’istituzione in Macedonia di un organo rappresentante le grandi potenze, al quale il generale e gli aggiunti militari possano presentare ogni reclamo non soddisfatto dall’ispettore generale affinché vi sia solo il seguito da essi richiesto. Come la E.V. giustamente osserva, simile incarico potrebbe essere eventualmente affidato alla Commissione finanziaria internazionale e ciò tanto più opportunamente quando l’attuazione della riforma giudiziaria, qual è voluta dalle grandi potenze, fosse divenuta un fatto compiuto.

Approvo, pertanto, i passi preliminari cautamente da lei eseguiti a titolo di personale sua iniziativa presso codesti ambasciatori d’Austria-Ungheria e di Russia ed in special modo il linguaggio da lei tenuto al sig. Zinoviev circa gli accordi che dovrebbero anzi tutto intervenire, specialmente fra Pietroburgo e Vienna, perché si possa procedere anche in tale questione con perfetta intesa fra le potenze.

Mentre mi compiaccio dell’accoglienza che le sue vedute hanno incontrato presso il suo collega di Russia, rimango in attesa che V.E. ritorni su questo argomento dopo averne parlato, siccome ella si riservava di fare, al generale De Giorgis, col quale mi propongo di conferire per parte mia in merito a questo argomento, in occasione della sua prossima venuta in Italia.

Ritengo infine assai opportuno il concetto dall’E.V. manifestato, che ogni eventuale seguito da darsi alla sua iniziativa debba, in ogni caso, rapportarsi alle ambasciate di Austria-Ungheria e di Russia. È infatti da escludere qualsiasi tentativo che possa originare fra le potenze quei dissensi, che, nelle attuali condizioni di cose, importa più che mai di evitare. Oltre che il risultato negativo del progetto, sarebbe da temersi, infatti, che la Sublime Porta si prevalesse di tali dissensi per continuare con sempre maggiore determinazione nel suo sistema di opposizione all’opera riorganizzatrice del generale De Giorgis e degli aggiunti militari2.

2 Per la risposta vedi D. 561.

555 1 Non pubblicato.

556

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. RISERVATO 65469/913. Roma, 10 dicembre 1907.

Ho ricevuto i suoi rapporti del 19, 20, 21 e 23 novembre scorso nn. 7311, 7402, 7433 e 7494 coi quali mi riferisce i colloqui da lei avuti con il colonnello Harrington e col sig. Cambon.

Le confermo il mio compiacimento per l’abile efficace azione spiegata dalla E.V. Ho comunicato i suoi rapporti al conte Tornielli con l’unito dispaccio5, sul quale

ella troverà riprodotto il mio recente colloquio col sig. Barrère sulle principali questioni in Etiopia.

In una di esse, la giurisdizione sugli europei, essendo stata ricondotta alla trattazione prescritta dall’accordo ho già comunicato ufficialmente al Governo francese il consenso del Governo del Re alla condizione posta dal Governo britannico.

Spero che anche sull’altra del traffico delle armi si possa ottenere la completa adesione della Francia.

Reputo che le istruzioni generiche del Governo francese inviate al suo rappresentante in Addis Abeba e delle quali mi compiaccio, siano già un buon avviamento per rientrare nelle clausole dell’accordo; ma esse non sono sufficienti e bisogna fare ancora un passo innanzi.

V.E. è convinta al par di me che la principale e, forse, unica causa delle insorte complicazioni in Addis Abeba sia stata la inosservanza dell’art. 10 dell’accordo che di questo è il cardine procedurale.

Non uno degli affari trattati avrebbe potuto complicarsi al punto da recare una situazione delicata se i tre rappresentanti avessero lealmente seguito il modus procedendi stabilito da quell’articolo.

Non è dipeso da noi se ciò non è avvenuto. Il colonnello Harrington ha egli per il primo proclamata la necessità di definire

in modo preciso il significato dell’articolo 10 andando oltre la lettera di esso che deplorava non fosse abbastanza esplicito.

Il sig. Pichon, il sig. Cambon e il sig. Barrére hanno tutti convenuto nella necessità di un’azione armonica e concorde dei tre rappresentanti, ma all’atto pratico questi commendevoli propositi rimarranno senza effetto se non si definisca in modo preciso il principio sancito dall’art. 10, e se, come la S.V. giustamente afferma, «il Governo francese non si decide ad adottare per proprio conto e ad ingiungere al Klobukowski e al suo successore in modo veramente sincero la stessa interpretazione dello spirito dell’accordo che vi danno gli altri due Governi e i loro agenti in Addis Abeba».

2 Non pubblicato. 3 Vedi D. 540. 4 Vedi D. 542. 5 Vedi D. 557.

Le dichiarazioni del sig. Cambon alla E.V. e del sig. Klobukowski ai rappresentanti d’Italia e d’Inghilterra a Addis Abeba mi convincono che non bisogna abbandonare l’idea delle istruzioni identiche da inviarsi separatamente ai tre rappresentanti in Etiopia, tanto più che tale invio è stato dal colonnello Harrington consigliato a sir E. Grey al quale egli ha detto non essere possibile accettare concetto francese che vi siano affari che interessano una sola delle tre potenze, e in cui perciò non vi sia obbligo per uno dei tre rappresentanti di consultarsi con gli altri due, poiché ogni affare più o meno direttamente concerne anche gli interessi delle altre due potenze: «Every question is of commun interest.».

Ho formulato pertanto l’unito schema di istruzioni che mando alla E.V. affinché su di esso mi faccia conoscere le sue osservazioni6.

Dopo di che io mi riserverei di interessarla a comunicarlo a sir. E. Grey e al sig. Cambon.

Se il Governo francese non si associasse avendo noi l’adesione inglese, tali istruzioni rimarrebbero, almeno, come base di accordo tra l’Italia e l’Inghilterra sulle principali questioni, come guida ai due rispettivi rappresentanti in Etiopia, e come monito alla Francia che essa non può fare affidamento sulla acquiescenza inglese, e sulla eventualità di ottenere da Menelik ciò che non fosse prima concordato tra le tre Potenze.

556 1 Vedi D. 537.

557

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

DISP. RISERVATO 65493/1487. Roma, 10 dicembre 1907.

Ho il suo rapporto del 29 novembre u.s. n. 3013/1217 relativo all’azione del rappresentante francese in Etiopia1.

Il sig. Barrère, venuto a vedermi dopo il colloquio su cui io le riferii con dispaccio del 16 u.s. n. 13552, mi ha detto che le nostre lagnanze erano dovute a malintesi. Niun dubbio, secondo lui, che nelle questioni di comune interesse, si dovesse in Etiopia, procedere concordi dai tre rappresentanti.

La questione però del prolungamento della ferrovia oltre Dire Daua era per lui di esclusivo interesse francese.

Gli ho risposto che la Francia, pur essendo la principale interessata, non poteva però, agire unilateralmente; e ho escluso in modo assoluto questa azione unilaterale

Harrington in MONZALI, L’ Etiopia cit., pp. 319-322.

2 Vedi D. 532.

nelle questioni dell’8% del trattato di commercio, e del 10% sovratassa ferroviaria e doganale che interessano le altre due potenze al pari della Francia.

Il sig. Barrère ha cercato dimostrare che la giurisdizione consolare per gli europei in Etiopia sarebbe più vantaggiosa per tutti della istituzione di giudici europei nominati da Menelik.

Io lo ripresi subito dicendo: «Alla buonora ora rientriamo la prima volta nel trattato del 13 dicembre poiché mi parlate della questione per discuterne. Il sig. Klobukowski era fuori dal trattato quando ne discuteva con Menelik per proprio conto».

Quanto al merito della questione, ho dichiarato se si poteva ottenere da Menelik la soluzione della giurisdizione consolare tanto meglio. Su tale questione il sig. Barrère mi domandò una risposta precisa.

Quanto alle pratiche del sig. Klobukowski presso Menelik per la formazione di un Ministero etiopico, il sig. Barrère mi ha dichiarato di ignorarle, promettendo che il Governo francese avrebbe chiesto spiegazioni a Addis Abeba, come pure avrebbe indagato che cosa vi fosse di vero sul traffico delle armi attribuito all’agente francese in Harrar e all’interprete della legazione francese e di cui sentiva parlare per la prima volta.

Il sig. Barrère mi ha infine mostrato un rapporto del sig. Klobukowski relativo ad un colloquio di quest’ultimo col capitano Colli, colloquio riferito dal sig. Cambon al marchese di San Giuliano e da quest’ultimo a me comunicato, col rapporto qui unito del 23 novembre u.s. 7493.

Gli ho risposto che non potevo pronunciarmi mancandomi gli elementi che avrei richiesto.

Dico a lei, in attesa di avere maggiori spiegazioni da Addis Abeba, che dai due rapporti 17 settembre n. 904 e 13 ottobre n. 995, del conte Colli comunicati alla E.V. con dispacci 13 novembre n. 1346 e 16 novembre n. 1357, risulta: 1) che il Colli non ha aderito all’opinione del Klobukowski sul traffico delle armi; solamente si acconciò all’azione separata presso Menelik quando io gli telegrafai che noi non facevamo una questione di forma sul modus procedendi ma sibbene una questione di sostanza sul contenuto delle domande da presentarsi a Menelik; 2) che della giurisdizione sugli europei in Etiopia, il Klobukowski parlò coi due suoi colleghi dopo che la questione era stata trattata direttamente con Menelik; 3) che il Colli, visto il silenzio del suo collega di Francia sull’argomento della ferrovia, non credette di chiederne direttamente a Menelik «per non dare una prova della inanità dell’accordo fra le tre potenze».

Da tutta la corrispondenza del conte Colli, poi non solo non resulta che sia avvenuta una spiegazione completa che abbia dissipato ogni sospetto e ristabilita la reciproca fiducia tra tre rappresentanti; ma resulta invece che tra il sig. Klobukowski e i due suoi colleghi vi sia un vero dissenso sul modo di interpretare l’art. 10 dell’accordo, tanto che il conte Colli e il sig. Hohler non nascosero la loro meraviglia al ministro di Francia per le dichiarazioni

4 Non rinvenuto. 5 Vedi D. 496. 6 Si intende 1342: vedi D. 526. 7 Si intende 1355: supra, nota 2.

fatte e si riservarono di riferirne ai rispettivi Governi; ad ogni modo, telegrafo8 al r. incaricato d’affari per ogni maggiore spiegazione.

Circa l’azione del sig. Klobukowski nella formazione del Ministero etiopico, il conte Colli, con l’unito telegramma del 22 novembre, conferma la sua affermazione nonostante le denegazioni del suo collega8.

Intanto dopo il colloquio che io ho avuto con il sig. Barrère, colloquio che ha ricondotto la trattazione delle cose di Etiopia nei termini dell’accordo del 13 dicembre scorso, si può per ora sospendere la consegna di un nuovo memoriale a codesto ministro degli affari esteri sulla questione di principio; salvo a presentarlo se il sig. Klobukowski perseveri nella sua linea di condotta.

Resultato pratico della nostra azione è stato che anche il Governo britannico ha presentato le sue rimostranze alla Francia sulla condotta del sig. Klobukowski e che il Governo francese ha capito che senza una intesa tra le tre potenze si rischia di non riuscire a nulla, dimodoché se anche il rappresentante francese riuscisse ad ottenere qualche resultato pratico contrario agli interessi d’Italia e d’Inghilterra l’azione di queste due potenze potrebbe trovarsi unita per renderlo vano.

Credo opportuno comunicare alla E.V. in via confidenziale copia di tre importanti rapporti del 19, 21 e 23 novembre nn. 7319, 74310 e 74911 nei quali il marchese di San Giuliano riferisce colloqui avuti su tutte le principali questioni col colonnello Harrington e col sig. Cambon.

Da essi risulta che l’Inghilterra, nella questione del traffico delle armi, della ferrovia, delle sopratassa doganale e ferroviaria, dell’8%, della giurisdizione sugli europei, della difesa delle legazioni, della interpretazione ed applicazione dell’art. 10, è sostanzialmente d’accordo con noi.

Quanto alla giurisdizione, sir E. Grey ha dichiarato all’ambasciatore di Francia a Londra che il Governo britannico consente alla giurisdizione consolare in Etiopia, purché il Governo francese la ottenga da Menelik, e purché vi consenta anche il Governo italiano.

Non avendo noi fatto una questione sul merito ma sopratutto sostenuto il principio del modus procedendi per trattarla secondo l’accordo, prima di portarla innanzi a Menelik, e essendo ora la cosa ricondotta alla trattazione prescritta dell’accordo stesso, noi ci associamo alla soluzione alla condizione indicata dal Governo britannico.

In questo senso io ho risposto al sig. Barrère e V.E. è autorizzata a fare analoga notificazione costà.

Quanto alla repressione del traffico delle armi l’Inghilterra e l’Italia hanno accolto il progetto Colli (comunicato alla E.V. con dispaccio del 13 novembre scorso n. 134), e Menelik lo ha già, in massima, accettato. Sembra che anche la Francia finirà per appoggiarlo e il sig. Cambon fosse disposto a scrivere in questo senso al suo Governo.

V. E. si adoprerà analogamente presso il sig. Pichon.

9 Vedi D. 537. 10 Vedi D. 540. 11 Vedi D. 542.

Le altre questioni dovranno, caso per caso, essere discusse ad Addis Abeba dai tre rappresentanti o dai tre Governi secondo che vi sia o non vi sia accordo tra i primi.

Una però deve ormai esser subito risoluta dai Governi centrali, essendo pregiudiziale ed essenziale, quella, cioè, dell’azione concorde dei tre rappresentanti di Addis Abeba in applicazione dell’articolo 10 dell’accordo.

Le idee del sig. Cambon e del colonnello Harrington, e nel fatto, quelle del Governo francese da una parte e del Governo inglese ed italiano dall’altra non sono concordi né nel principio né nella pratica attuazione di esso.

Secondo un recente telegramma da Londra12, il Governo francese ha accettato le idee del sig. Cambon, riprodotte nei rapporti qui uniti, nn. 743 e 749, circa le istruzioni ai rappresentanti delle tre potenze ad Addis Abeba relativamente alla interpretazione ed applicazione dell’art. 10 della convenzione di Londra e alla concordia che regna fra i tre Governi e deve regnare egualmente tra i loro rappresentanti, e ha già telegrafato al sig. Klobukowski in tale senso.

Di questo primo passo di ordine generale mi compiaccio, come avviamento ad entrare completamente nell’accordo del 13 dicembre; ma ciò nondimeno, ho stimato opportuno formulare uno schema di istruzioni identiche da inviare separatamente ai tre rappresentanti a Addis Abeba, le quali, io credo, nelle linee generali saranno accettate dall’Inghilterra e che, se pure la Francia fermandosi a quelle generiche già isolate non vi aderisca, rimarranno come base di accordo fra Italia ed Inghilterra sulle principali questioni, come guida ai due rappresentanti a Addis Abeba, e come dimostrazione al Governo francese che esso non può fare affidamento sulla acquiescenza inglese, e deve essere più riguardoso in tutto ciò che si attiene all’interesse di procedere concordi in Etiopia.

Comunico il detto schema all’E.V. affinché su di esso voglia portare il suo esame, e darmi l’ausilio del suo perspicace e sicuro giudizio13. Dopodiché e secondo le comunicazioni che riceverò dal r. ambasciatore a Londra prenderò determinazioni definitive14.

556 6 Non si pubblica l’allegato, ma vedi l’edizione dello schema con le modifiche suggerite da

557 1 Vedi D. 539.

557 3 Vedi D. 542.

557 8 Non pubblicato.

558

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. 66080/920. Roma, 13 dicembre 1907.

Mi riferisco a precedente corrispondenza sull’argomento e per ultimo al telegramma di V.E. del 18 novembre p.p. circa la costituzione di un Ministero etiopico1.

55712 T. 2380/178 del 29 novembre, non pubblicato. 13 Vedi D. 566. 14 Vedi D. 557.

Dall’unita copia di rapporto 30 ottobre u.s. n. 104 del r. incaricato d’affari in Addis Abeba2 l’E.V. potrà raccogliere ulteriori particolari circa la formazione del Ministero, gli intendimenti del Negus nel costituirlo e la parte presa in quest’affare dal sig. Klobukowski.

A parte gli scopi secondari, è evidente l’intenzione del Negus di affermare la propria indipendenza di fronte all’accordo a tre, tanto per rispetto alla condotta degli affari d’ordinaria amministrazione, quanto avuto riguardo a questioni di maggior peso, come ad esempio quella della sua successione.

A proposito della quale il conte Colli, oltreché del noto Ligg Eiasù, fa anche il nome del degiac Lulseusaghet, nipote del Negus. Ora di questo nome non consta a questo Ministero esista alcun parente di Menelik: s’è forse voluto intendere Wossenseghet, figlio illegittimo d’una figlia del Negus, del quale, per ragione di deficienza fisica (è nano) e della sua origine, non s’era finora fatta mai menzione come d’un possibile successore. Ho chiesto in proposito schiarimenti al conte Colli.

Quanto poi all’opera del sig. Klobukowski, non sono alieno dal condividere il giudizio del nostro incaricato d’affari, confermo quello del colonnello Harrington, che ritiene i risultati da lui conseguiti per paper successes: ad ogni modo, se da essi potranno derivare danni tangibili a nostro carico, ci adopereremo, d’accordo coll’agente britannico, per annullarne gli effetti. E ciò fino a che la trattazione delle cose etiopiche non sia ricondotta ai principi che hanno ispirato i tre Governi alla conclusione dell’accordo del 13 dicembre. Frattanto abbiamo dato istruzioni al conte Colli di entrare in relazioni col Negadras Ailé Ghiorghis, pur riservandosi di rivolgersi al Negus ogni qualvolta lo ravvisi necessario3.

558 1 Vedi D. 534.

559

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

DISP. 66089/1499. Roma, 13 dicembre 1907.

Con riferimento alla precedente corrispondenza intorno alla costituzione di un Ministero abissino mi pregio informarla che il Governo italiano si è trovato d’accordo con quello britannico nell’opinione che convenga limitarsi per ora a prender atto dell’avvenuta costituzione e rimanere in attesa di vedere quali vantaggi sia per dare questo nuovo sistema. Ambedue i Governi convengono nel ritenere opportuno che ad ogni modo i rispettivi loro rappresentanti in Addis Abeba si riservino, malgrado la istituzione del Ministero, il diritto di trattare direttamente col Negus quando essi ritengano ciò necessario ed in questo senso è stato loro telegrafato1.

3 Vedi D. 560.

Aggiungerò da ultimo che il Governo inglese si dimostra piuttosto scettico sui risultati di questo tentativo e crede che ad ogni modo la presenza di un Ministero sarà piuttosto d’intralcio che d’ajuto per la trattazione degli affari fra i rappresentanti diplomatici e l’Imperatore.

558 2 Vedi D. 518.

559 1 Con T. 2017 del 24 novembre, non pubblicato, ma vedi D. 560.

560

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI

DISP. 66101/170. Roma, 13 dicembre 1907.

Mi riferisco al rapporto 30 ottobre n. 104 sulla costituzione di un Ministero etiopico1.

Come la S.V. ben nota, questa deliberazione del Negus trae la sua origine da suggerimenti datigli in più riprese da varie persone e con intendimenti diversi.

Ma, poiché l’attuazione di tali propositi venne fatta sotto l’influenza dei consigli del sig. Klobukowski ed in contrasto coi suoi colleghi, non ritenemmo opportuno esprimere rallegramenti, che niuna circostanza rendeva necessari: d’altra parte poi, trattandosi di affari d’interna amministrazione, non giudicammo del caso di presentare obbiezioni alla nomina del Negadras Ailé Ghiorghis come ministro degli esteri, quantunque ci sieno noti i suoi precedenti.

Nella lettera ufficiale del Negus non è fatta menzione alcuna della distribuzione degli uffici fra i vari ministri, né posso rilevare dal suo rapporto come sia stata effettuata.

È lecito dal complesso arguire trattarsi in questo caso piuttosto d’una affermazione d’indipendenza fatta dal Negus, come risposta all’accordo del 13 dicembre, che non del regolare ordinamento delle funzioni dello Stato, che di fatto resteranno verosimilmente accentrate come per lo passato nelle mani del Negus. Ella pertanto, d’accordo col suo collega d’Inghilterra, potrà entrare in relazioni col Negadras Ailé Ghiorghis, pur riservandosi di trattare direttamente coll’Imperatore ogni qualvolta lo reputi necessario.

Nell’accennare alla successione di Menelik ed alla probabile prossima proclamazione del suo successore, la S.V. fa i nomi di due nipoti del Negus degiacc Lulseusaghet e Ligg Eiasù. Dai dati a nostra disposizione si rileva che degiacc Lulseusaghet è il capo degli Arussi, ma non è congiunto di parentela al Negus; ritengo perciò la S.V. abbia voluto riferirsi al degiacc Wossenseghet, figlio naturale di una figlia di Menelik e fisicamente imperfetto. Desidererei in proposito ulteriori chiarimenti, tanto più che di questo nuovo candidato al trono non s’è finora fatto parola da alcuno.

Quanto poi alle considerazioni che ella svolge circa l’opera del sig. Klobukowski, concorro nell’opinione da lei manifestata circa la natura dei suoi successi, che possono

definirsi per paper successes e che d’assai differiscono dal conseguimento di vantaggi positivi e concreti. Noi dobbiamo in conseguenza riservare la nostra azione per opporci e far decadere qualsiasi atto che possa riuscir dannoso agli interessi dell’Italia e della Gran Bretagna, o all’una di queste potenze.

Ciò fino a quando non venisse ricondotta la trattazione delle cose d’Etiopia ai principi che hanno ispirato i tre Governi nella conclusione dell’accordo del 13 dicembre.

560 1 Vedi D. 518.

561

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 2424/855. Costantinopoli, 16 dicembre 1907 (perv. il 24).

Sono lieto nel rilevare dal dispaccio del 6 corrente, n.1009, Uff. Dipl., pos.75/11, che l’E.V. si è compiaciuta di approvare i passi da me eseguiti in via preliminare allo scopo di tradurre in atto in pieno accordo con gli ambasciatori, — quelli di Austria-Ungheria e di Russia in prima linea, — il progetto di affidare alla Commissione internazionale 1’incarico di vegliare collegialmente a che sia fatto diritto ai reclami presentati dal generale De Giorgis e dagli aggiunti militari e non soddisfatti dall’ispettore generale. A quel progetto approvato in massima dall’ambasciatore d’Inghilterra, cominciava a fare buon viso anche il marchese Pallavicini.

Il progetto medesimo però deve considerarsi come caduto nell’ acqua in presenza delle dichiarazioni in senso categoricamente contrario fattemi dal generale De Giorgis, al quale ne tenni qui parola. I motivi addotti da S.E. sono i seguenti:

1) egli vi ravvisa una certa tal quale menomazione della sua indipendenza che desidera, con ragione, conservare piena ed intera anche nell’apparenza;

2) egli preferisce lottare da solo contro Hilmi pascià, avendo motivi di dubitare della serietà e dell’ efficacia dell’ausilio che gli potrebbe venire da parte della Commissione internazionale.

Questi motivi saranno spiegati con maggior copia di particolari direttamente dal generale all’E.V.

Non spetta a me di discuterli, né mi è permesso di insistere più oltre per contestare un’opinione solidamente radicata nell’animo di chi ha più di ogni altro autorità e competenza per esprimerla.

Mi asterrò quindi dall’accennare ulteriormente alla questione nei miei colloqui con i colleghi, i quali edotti oramai delle vedute del generale De Giorgis non intendono contrariarle.

Duolmi francamente di veder fallito un progetto che, a mio modesto parere, presentava il doppio vantaggio di rinforzare da un lato, anziché di attenuare, l’autorità del generale De Giorgis, e di estendere, dall’altro, sempre più i poteri della Commissione, accentuandone maggiormente il carattere di organo centrale della supervisione internazionale di tutta l’opera riformatrice. Ma dal momento che il generale non entra in quest’ordine di idee, e ritiene la proposta inattuabile, non posso che inchinarmi dinanzi al suo avviso.

561 1 Vedi D. 555.

562

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

DISP. 66731/1037. Roma, 17 dicembre 1907.

Per opportuna informazione della E.V., mi pregio di rimetterle, qui unita, una copia del rapporto n. 1865/759, in data del 28 novembre scorso, del r. ambasciatore in Londra1, il quale riferisce il suo colloquio con sir Edward Grey, ministro degli affari esteri britannico, intorno a varii argomenti di interesse comune all’Italia e all’Inghilterra e, sopra tutto, intorno alla questione del confine egizio-tripolino e all’espansione commerciale dell’Italia in Tripolitania.

Per quanto riguarda questa ultima questione, il marchese di San Giuliano fa rilevare l’utilità che l’E.V. sia informato del proposito manifestato da sir E. Grey di consultare sir N. O’Conor e giudichi se non convenga che ella s’intrattenga col suo collega, per assicurarsi che egli riferirà a Londra in senso favorevole al nostro desiderio. Avverto ad ogni buon fine che sotto questa stessa data invio al r. ambasciatore in Londra il documento che egli attende, cioè il rapporto da Bengasi del cav. Pittaluga in data 26 novembre p.p. n. 579/108 del quale l’E.V. già possiede copia2.

563

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2528/187. Vienna, 18 dicembre 1907, ore 20.

Nel colloquio avuto ieri col barone di Aehrenthal, egli avevami.detto, rispondendo ad analoga mia domanda, credere che Sublime Porta non avrebbe sollevato

2 Non pubblicato.

difficoltà contro domanda potenze relativa rinnovamento poteri agenti riforma. Avendo avuto oggi occasione vederlo, gli ho chiesto suo pensiero circa memorandum rimesso al sig. Zinovieff dalla Sublime Porta in cui manifestava intenzione prendere proprio servizio detti agenti. Barone d’Aehrenthal mi ha risposto che proposta Sublime Porta, di cui aveva avuto notizia da ambasciatore d’Austria-Ungheria in Costantinopoli ieri dopo avermi visto, non era seria, né poteva essere presa in considerazione, essendo in opposizione programma Mürzsteg. Aveva telegrafato, in conseguenza, Pallavicini far conoscere Sublime Porta che memorandum erasi incrociato colla domanda del rinnovamento potenze firmatarie del trattato di agenti della riforma formulato dalle potenze sulla quale non potevano non insistere. Ha aggiunto non dubitare che uguale istruzione sarebbe stata impartita dalla E.V. e dalle altre potenze ai rispettivi ambasciatori. Barone d’Aehrenthal mi ha detto, inoltre, che ambasciatore di Turchia era venuto iersera a comunicare testo memorandum barone di Call, ed ha poi meco convenuto che questo nuovo passo della Sublime Porta, il quale dimostrava suo proposito attraversare ogni opera di riforma, faceva prevedere difficoltà che avrebbe sollevato contro accettazione progetto riforma giudiziaria1.

562 1 Vedi D. 547.

564

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 2530/188. Londra, 18 dicembre 1907, ore 11,20 (perv. ore 19).

Salvo l’approvazione, ho [convenuto] con Grey quanto segue: nota verbale italiana riprodurrebbe il primo capoverso della bozza trasmessami da V.E. con dispaccio n. 8381. Direbbe poi che, poiché, dopo la comunicazione fatta al Governo ottomano, le trattative sono rimaste in sospeso ed ora non continuano, Governo italiano non desidera sollevare una discussione in questo momento, ma non può accettare interamente le vedute del Governo britannico sul tracciato del confine anche se queste fossero soddisfacenti, essendo incompleta la dichiarazione del Governo britannico non potrebbero eliminarsi le apprensioni del Governo italiano riguardo alle possibili future intenzioni del Governo egiziano rispetto alle rimanenti parti del confine e, specialmente, rispetto all’oasi di Kufra. Perciò desidera dal Governo britannico qualche dichiarazione rassicurante.

Governo britannico risponderebbe che considera Kufra come posta in territorio turco e che Governo egiziano non ha mai preteso (never claimed) che appartenga all’Egitto. Credo impossibile ottenere di più. Urge risposta2.

564 1 Disp. 59721/813 del 9 novembre, non pubblicato.

2 Vedi D. 567.

563 1 Per la risposta vedi D. 565.

565

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’ AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 2192. Roma, 19 dicembre 1907, ore 23.

Incaricato d’affari di Turchia mi ha rimesso copia della nota del suo Governo cui riferivasi telegramma di V.E. n. 1871. Gli ho risposto semplicemente che ci saremmo posti d’accordo in proposito colle altre potenze. Al barone d’Aehrenthal ella può dire che divido interamente le idee da lui enunciate circa la proposta turca e che ho già dato al r. ambasciatore a Costantinopoli le istruzioni desiderate2. Per informazione confidenziale di lei aggiungo però che ho detto riservatamente ad Imperiali di attendere, per pronunciarsi, che se ne presenti la necessità, e ciò per non metterci inutilmente in prima linea contro la Turchia.

566

L’AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 3306/1343. Parigi, 19 dicembre 1907 (perv. il 26).

I vari dispacci che fecero seguito a quello del 10 ottobre1 relativo all’azione coloniale dell’Italia dopo gli accordi del 13 dicembre 1906, si riferiscono alla complessa questione delle nostre relazioni con la Francia. Quelle stipulazioni avrebbero dovuto infatti avere per principale effetto di far cessare in Etiopia quella politica di diffidente rivalità che in passato avea non poco contribuito a creare i malintesi dai quali erano stati per molti anni intorbidati i rapporti nostri col Governo francese. Era però evidente che le difficoltà da risolvere dipendevano, più che dal contrasto di interessi sostanziali, dall’indirizzo consuetudinariamente dato dai due Governi alla loro azione politica in quella regione e che, dal mutamento che tale indirizzo potrebbe ricevere, dipenderebbe il valore pratico delle conchiuse stipulazioni.

A V.E. che ebbe parte principalissima nella conclusione degli accordi del 1906, riuscirebbe superfluo l’esporre lungamente come, quando la nostra intesa con l’Inghilterra stava per conchiudersi, questa si trasformò, per iniziativa dell’Inghilterra stessa, nell’attuale accordo a tre con modificazioni sensibilissime volute dalla Francia. Le circostanze del negoziato che misero in evidenza la misura nella quale noi

2 Con T. 2185 del 17 dicembre, non pubblicato. Analogo telegramma venne inviato alle amba-

sciate a Berlino, Londra, Parigi e Pietroburgo il 19. 566 1 Vedi DD. 490, 526, 532.

potevamo fare assegnamento sulla solidità dell’appoggio del Gabinetto di Londra, non possono essere da noi dimenticate. In realtà le combinate clausole dell’accordo italo-britannico, alle quali la Francia avrebbe dovuto essere chiamata ad aderire, furono rimesse in discussione perché la Francia le accettasse. Rimasero però intese, almeno praticamente, due cose, e cioè: 1) che la sede delle trattative per l’esecuzione dei patti stabiliti rimarrebbe a Londra; 2) che, per rompere le tradizioni dell’azione politica delle tre potenze in Etiopia, i rappresentanti delle medesime ad Addis Abeba sarebbero richiamati e rimpiazzati con agenti meglio atti a seguire un nuovo e diverso indirizzo.

Nel dispaccio di V.E. in data del 10 corrente2 ha fermato in particolar modo la mia attenzione la deduzione che dai rapporti del r. ambasciatore a Londra risulta essere l’Inghilterra sostanzialmente d’accordo con noi nella questione del traffico delle armi, ed in quelle relative alla ferrovia, alla sopratassa doganale e ferroviaria, alla giurisdizione sugli europei, alla difesa delle legazioni, alla interpretazione ed applicazione dell’art. 10 dell’accordo 13 dicembre 1906. A questo riguardo avrei da osservare che il carattere ed il valore dell’intromissione del colonnello Harrington nelle trattative per gli affari di Abissinia, non mi sembrano sufficientemente precisati. Se questo agente britannico non ebbe un mandato preciso di trattare con noi, la sua acquiescenza alle nostre idee non basterebbe certamente ad autorizzarci a credere che queste sono accettate in modo definitivo ed impegnativo dall’Inghilterra. Né io stimo converrebbe a noi e gioverebbe ai rapporti nostri generali con la Francia, il prendere una seconda volta un atteggiamento che qui potrebbe essere interpretato come un tentativo dell’Italia di intendersi preventivamente con l’Inghilterra per soverchiare mediante l’accordo di due contraenti il terzo. Gli accordi a tre presentano facilmente questo pericolo e bisogna averlo presente per preservarsene.

Principalissimo vantaggio di mantenere a Londra la sede delle trattative è appunto quello di permetterci, ad ogni nuovo passo, d’iniziare lo scambio delle idee col Gabinetto britannico al quale spetta così l’ufficio di concretare l’assenso delle tre potenze.

Alla fine del precitato dispaccio del 10 dicembre V.E. mi invita ad esaminare lo schema di istruzioni identiche che le tre potenze dovrebbero inviare separatamente ai loro agenti in Addis Abeba ed a manifestarle il mio avviso.

A parer mio, gioverebbe che alla redazione di tali istruzioni precedessero formali intese sovra i singoli punti che nelle medesime dovrebbero essere preveduti. Alcuni di essi hanno già dato luogo ad uno scambio di idee che ci permette di prevedere le disposizioni finali del Governo francese. Nella determinazione del modus procedendi che ci gioverà adottare, potremmo scegliere fra il dare seguito a questi scambi di idee, ed il proporre le risoluzioni suggeriteci dai nostri interessi senza tener conto di quelle preliminari trattative.

I punti di questione sono sostanzialmente i seguenti: 1) il passaggio della concessione fatta dal Negus alla società delle ferrovie etio-

piche, alla nuova compagnia francese che sta costituendosi mediante l’intervento del

Ministero delle colonie in Parigi. A questa questione si connette quella del pedaggio del 10% che, in conformità dell’atto di concessione, l’antica compagnia avea il diritto di percepire sulle merci trasportate;

2) le trattative in corso per il trattato commerciale franco-etiopico, la misura dei dazi, la parità di trattamento assicurata mediante la rinuncia a qualunque separata concessione, o privilegio;

3) l’introduzione in Etiopia di provvedimenti efficaci per combattere il traffico delle armi e delle munizioni;

4) l’applicazione concertata di provvedimenti per la eventuale difesa delle legazioni;

5) il contegno da osservare dai rappresentanti delle tre potenze nei casi di domande di concessioni al Governo etiopico da parte di privati appartenenti ai loro rispettivi paesi.

Sovra ciascuno di questi punti potrebbero aprirsi senza ritardo le trattative per istabilire un’intesa comune. Si tratta di questioni già poste che nulla hanno di ipotetico e che involgono interessi comuni esistenti e ben definiti. L’esistenza di questi è naturalmente la base stessa di ogni trattativa.

Ma all’infuori delle risoluzioni comuni che converrebbe concretare per i singoli punti sovr’indicati, vi sono altri accordi d’ordine generale che non potrebbero forse essere preveduti senza entrare nel campo delle congetture che vuol essere il più possibile evitato. È in quest’ordine di interessi che dovrebbe trovare la sua applicazione pratica il modo di procedere fissato dall’art. 10 della stipulazione del 13 dicembre 1906.

Come già ebbi altra volta ad osservare, la disposizione di quell’articolo è tale che, per riuscire utile ed efficace, richiede in coloro che debbono interpretarla ed applicarla condizioni personali affatto speciali le quali, quando concorrono in tutti gli agenti, rendono quasi superflua la disposizione stessa. Senza entrare nell’esame particolareggiato di tutto ciò che risulta dai carteggi da V.E. comunicatimi, mi pare che si possa affermare che le intese prese fra le tre potenze per assicurare il mutamento d’indirizzo nell’azione delle rispettive rappresentanze in Etiopia, non raggiunsero affatto lo scopo da esse propostesi. Della sincerità delle loro intenzioni non si potrebbe disputare senza far rinascere, aggravandoli, i malintesi che si ebbe in animo di dissipare. D’altronde non può avere pratico scopo l’insistere nelle situazioni inestricabili che nascono dalle contraddittorie affermazioni degli agenti ai quali i rispettivi Governi non possono ricusarsi di prestare fede finché non siano prodotte le irrefragabili prove della mancanza di sincerità di uno di essi. Mi pare che ad Addis Abeba esista in questo momento una di queste situazioni che sarebbe bene cessare presto per evitare maggiori dissidi.

Voglia V.E. notare che queste mie osservazioni non tengono affatto a pregiudicare il giudizio sovra la condotta dell’uno o dell’altro agente. Mi limito ad osservare che nel modo stesso con cui noi riteniamo meritare piena fede ciò che troviamo nei rapporti della legazione nostra ad Addis Abeba, il sig. Pichon non dubita affatto che i rapporti che gli manda il sig. Klobukowski, agente nel quale egli pone massima fiducia, in nulla peccano per esattezza e sincerità. Eppure, in varie recenti occasioni, e principalmente sovra l’apprezzamento di ciò che risultava da personali reciproche

comunicazioni, i rapporti di quegli agenti ai Governi rispettivi si trovarono completamente discordi. È questa una situazione che ad ogni modo non può durare a lungo perché la missione del ministro francese ha carattere temporaneo.

Il ritorno ad Addis Abeba del colonnello Harrington, al quale, benché da lui stesso pare sia stato già qui annunziato, non inclinerei a prestar fede poiché sarebbe contrario alla prestabilita intesa, non migliorerà la situazione che si è prodotta in quel paese. Sarei d’avviso che il mutamento d’indirizzo dell’azione politica delle legazioni delle tre potenze non essendosi fin qui prodotto, convenga ritentarne prossimamente la prova rinforzando l’intesa precedente con quegli altri accordi che potranno riuscire efficaci per assicurare questa volta l’intento comune.

Quando il terreno sia ben sgombro delle questioni sovra le quali si produssero gli antichi dissidi, l’azione delle singole legazioni potrà muoversi con maggiore facilità entro le grandi linee della nuova intesa. Questa infatti pare stabilita in primo luogo per mettere un certo freno all’azione dei singoli agenti nelle questioni e nei casi impreveduti. Segnalare tali questioni ai loro Governi e non impegnarsi incautamente prima di averne ricevute le istruzioni, tale dovrebbe essere la principale linea di condotta da seguire dai rappresentanti delle tre potenze. Le risoluzioni che questi sono chiamati a prendere di concerto fra di loro, possono riguardare soltanto i casi di maggiore urgenza. Riterrei anzi che ciascun agente dovrebbe riputarsi libero di esporre al proprio Governo tutto ciò che può interessarlo e che gli scambi di idee per condurre le tre potenze ad adottare un comune modo di vedere dovrebbero, di regola, essere riservati all’iniziativa dello Stato che per il primo sarà posto in grado di segnalare agli altri il nuovo interesse da tutelare. Se all’articolo 10 dell’accordo del 13 dicembre 1906 si volesse dare un’interpretazione sensibilmente diversa e molto più rigida si rischierebbe di renderne l’applicazione assai problematica. Ciò che quell’articolo interdice in modo assoluto è la continuazione di una politica di sterili rivalità e di reciproche sorprese. Ma certamente nessuna delle tre parti contraenti ha voluto interdire a sé stessa ed alle altre l’esercizio di quell’azione diplomatica che si svolge nelle comunicazioni orali con il Sovrano abissino che possono occasionalmente essere provocate dal Sovrano stesso, purché esse tendano all’interesse comune e non abbiano per iscopo influenze esclusive. Nessuno pretenderebbe per certo che, per evitare le conversazioni separate sovra soggetti impreveduti, i rappresentanti delle tre potenze dovrebbero fare d’or innanzi al Negus soltanto delle visite collettive. Qualunque possa essere il tenore delle istruzioni da darsi ai rappresentanti delle tre potenze ad Addis Abeba, l’efficacia di esse sarà sempre determinata principalmente dallo spirito nel quale esse saranno interpretate e dal temperamento personale di coloro che saranno chiamati ad applicarle. Perciò io stimo che gioverà il mettere, ogni volta che sia possibile, e caso per caso, gli agenti in Etiopia in presenza di decisioni prese fra i Governi nei convegni di Londra ed il limitare le intese dirette fra gli agenti medesimi, prevedute nell’articolo 10 della stipulazione del 1906, ai casi eccezionali, impreveduti ed urgenti.

Ho esposto, secondo l’invito fattomene, con tutta franchezza il mio modo di vedere circa il metodo che stimo migliore per risolvere le difficoltà che ci si affacciano nel provvedere agli interessi nostri in Etiopia. Mi debbo necessariamente preoccupare, nell’esame di tale soggetto, non solamente di quegli interessi speciali poiché entra nel compito mio di vegliare anche alla eliminazione di ciò che potrebbe

influire sfavorevolmente sulle relazioni nostre con il Governo francese. Come già ebbi occasione di dire altra volta, io non mi avvedo che quest’ultimo sia oggi animato da desiderio di stabilire il suo predominio in Etiopia. Il suo contegno è principalmente determinato dalla necessità finanziaria di liquidare la questione della concessione ferroviaria per la quale incautamente fu assegnata una sovvenzione dello Stato francese che l’antica compagnia ha capitalizzata ed alienata. Nella questione del traffico delle armi è evidente che il Governo centrale di Parigi subisce le influenze locali di Gibuti e forse anche di coloro che, nel commercio che si fa in quella Colonia, hanno personali interessi. In occasione della conferenza che fra pochi mesi si dovrà riunire per la revisione del regime delle armi in Africa, noi potremo probabilmente trovare il mezzo di rimediare agli inconvenienti ed ai danni che derivarono dalle eccezioni che, per favorire l’imperatore Menelik, furono introdotte nell’atto generale del 1890. Sembra a me che, se saremo in grado di formulare proposte concrete tendenti allo scopo anzidetto e di intenderci preliminarmente con la Francia e con l’Inghilterra per farle prevalere alla conferenza, la incomoda e sempre rinascente questione del traffico delle armi a Gibuti, potrà essere definitivamente eliminata ad una non lontana scadenza. L’intesa sovra gli altri tre punti di questione che attualmente occorrerebbe di risolvere, sembra dover essere più agevole sovra tutto se sarà ricercata direttamente nei rapporti fra i tre Governi a Londra e non delegata ai titolari delle legazioni in Addis Abeba dove gli intrighi della Corte abissina contribuiscono probabilmente a tener vivi gli strascichi di antiche rivalità e discordie.

Voglia l’E.V. accogliere con benevolenza l’espressione del mio modo di vedere sovra queste intricate questioni che io stimo non potranno essere risolute, a soddisfazione nostra, altrimenti che con molto metodo e molta pazienza.

565 1 Vedi D. 563.

566 2 Vedi D. 557.

567

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 2199. Roma, 20 dicembre 1907, ore 18,50.

Rispondo suo telegramma 1881, e mi riferisco suo telegramma 1852 e rapporto 7833. Accetto redazione scambio note, non essendo opportuno ormai insistere su qualche particolare. Desidererei, però che nella nota inglese di risposta vi fosse, conformemente colloquio V.E. con Grey, dichiarazione che Governo britannico nulla farà nella questione del confini senza prima informarci.

2 Vedi D. 551. 3 Non pubblicato.

567 1 Vedi D. 564.

568

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2564/158. Addis Abeba, 20 dicembre 19071.

Mi risulta che il Negus ha intenzione affermare sua autorità sulle tribù somali fino a 150 chilometri dalla costa, abbandonando però antico sistema di razzie, inducendo invece popolazioni sottomettersi di buon grado. Capi Somalia meridionale ultimamente condotti giustificarsi sono stati ben trattati e ritornano loro paese con incarico indurre popolazioni sottomettersi Governo Etiopia, garantendo loro sicurezza e tranquillità. Sembra anche che quanto prima partirà per Somalia meridionale Abdulla Sadik di Harrar con missione essenzialmente pacifica. Mi risulta altresì che Menelik ultimamente ha confermato sua decisione mantenere e affermare suoi diritti cacciare somali in base all’accordo stabilito con Nerazzini. Menelik ha parimenti confermato che la nostra occupazione di agglomerare [sic] ha esclusivamente carattere commerciale. Benché io non creda che sia probabile qualche sorpresa per Lugh, pure nella previsione di dovere interpellare Menelik sulla presente azione Etiopia in Somalia, mi è necessario di conoscere intenzioni del Governo ed entità impegno assunto da Nerazzini.

569

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2571/202. Pera, 23 dicembre 1907, ore 17.

Mi riferisco recenti dispacci e mio rapporto n. 8391. Esaminata scrupolosamente questione conferito con Selim tastato con prudenza

terreno Sublime Porta ho acquistato convinzione impossibilità ottenere con le buone solenne riparazione chiesta da Pestalozza, richiamo valì e pagamento indennità reclamata da Parsi. Si opporrebbe in modo categorico Sultano, Consiglio dei ministri, elemento militare. Si tratta di un personaggio eminente, rivestito più alto grado militare insignito decorazione, equivalente cavaliere Ordine della SS. Annunziata, che occupò con distinzione alto comando durante guerra turco-russa, e che è circondato considerazione generale. V.E. ricorderà difficoltà grandissima incontrata per rimozione da Janina di Osman, personaggio d’importanza molto inferiore a Regeb e contro il quale

569 1 Non pubblicato.

nostre lagnanze erano assai più gravi. Pratiche iniziate mio predecessore durarono cinque anni. Riescii io, alla fine, per circostanze speciali, grazie sopratutto valido appoggio gran visir il quale ora sarebbe formidabile avversario, perché albanese e, da qualche tempo, amico del valì. Selim declina intrattenere affare Sultano: egli qualifica reclamo Parsi infondato, irragionevole. Sostiene Parsi potrebbe in equità pretendere tutto al più lieve compenso per studi fatti, tempo perduto, non potendo produrre alcuna prova scritta impegno assunto valì per affari che notoriamente solo a Costantinopoli potevansi discutere. Selim mi ha prevenuto che, se noi insistiamo ad ogni costo nelle nostre domande, potremo forse ottenere soddisfazione con la forza, ma comprometteremo senza alcun risultato riescita qualunque nostro progetto espansione economica in Tripolitania ed altri punti Impero; forniremo, inoltre, arma potente al partito che qui si adopera persuadere Sultano inutilità amicizia italiana ed alimentare diffidenza S.M. Imperiale circa lealtà nostre intenzioni Tripolitania. Ad uscire ormai dalla situazione in cui ci troviamo in seguito tese relazioni tra Pestalozza e valì, non vi sono, a mio avviso, che due vie: 1) parlare Sultano in termini chiari, confermando, per l’ultima volta, dichiarazioni di S.M. il Re e di V.E., insistendo caldamente perché valì riceva sul serio ordini di non più contrariare interessi italiani, e venire col r. console generale ad una franca amichevole spiegazione di natura cancellare passati malintesi, stabilire cordiali durature relazioni. 2) Formulare Sultano amare lagnanze con linguaggio vagamente minaccioso, dirigendo nota risentita per chiedere solenne riparazione richiamo valì soddisfazione totale parziale reclamo Parsi; ed in presenza prevedibile risposta insoddisfacente, presentare ultimatum, mentre, ingrossato pubblicamente incidente, R. Governo invierebbe navi Tripoli. Converrà, in tal caso, in previsione inevitabili conseguenze gravi e risentimenti Sultano suffragati unanime assenso Sublime Porta, Palazzo, opinione pubblica, operare radicale mutamento nostra politica verso la Turchia. Negoziati pendenti circa prestito non possono ora offrirmi argomenti per ottenere soddisfazione all’amichevole. Rivolgendosi per la prima volta finanze italiane, Sultano ha creduto darci prova amicizia. Se noi rifiutiamo o mettiamo condizioni, non sarà, in definitivo, difficile trovare altrove occorrenti seicentomila lire. Perderemo così prima occasione presentataci concludere affare incontestabilmente vantaggioso nell’interesse generale avviamento attività economica italiana in Turchia. Mi risulta che del resto Deutsche Bank pronta ad anticipare intera somma. Esposto così, con rispettosa franchezza situazione, attenderò ordini di V.E. Ho dovuto telegrafare perché mi occorre conoscere al più presto pensiero di V.E., Sultano avendo fissato venerdì [il 27] per udienza da me chiestagli da due settimane2.

568 1 Trasmesso da Asmara il 22 dicembre.

569 2 Per la risposta vedi D. 570.

570

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. RISERVATISSIMO 2221. Roma, 24 dicembre 1907, ore 18.

Mi riferisco suo telegramma n. 2021. Nel mio dispaccio 12 corrente2 già le dissi che noi non teniamo tanto richiamo

valì di cui comprendiamo difficoltà quanto ad un sincero mutamento di contegno da parte sua dietro ordini espliciti che gli vengano da Costantinopoli. In questo senso V.E. potrà parlare chiaramente al Sultano nella prossima udienza cercando ottenere che iniziativa cordiali spiegazioni con Pestalozza venga presa dietro quegli ordini dal valì stesso il quale darebbe sua lettera suo contegno spiegazione accettabile dalla nostra dignità. Quanto soluzione incidente Parsi, essa potrebbe essere allora trovata d’accordo fra Pestalozza e valì sulla base enunciatami nel suddetto rapporto da V.E. più il compenso più o meno ingente per gli studi fatti riconosciuto equo dallo stesso Selim.

Per questo moderato contegno nostro non occorrerà a V.E. far valere importanza del prestito che stiamo concedendo al Palazzo. Certo è però che, se il Sultano ha creduto darci prova di amicizia rivolgendosi a noi, noi pure gli stiamo dando e col prestito e coll’insieme del nostro contegno prove efficaci sincero interessamento.

V.E. già insistette meco replicatamente sulla urgenza di una nostra azione in Tripolitania a prevenire ingerenze straniere; ma ogni azione nostra diverrebbe impossibile se non mutasse dietro ordini espliciti del Sultano contegno contro noi di quelle autorità.

Sultano scelga dunque fra nostro appoggio anche finanziario da esplicarsi presto anche in più vasta misura e la necessità in cui ci porrebbe altrimenti di provvedere con diverso contegno tutela nostri interessi3.

571

L’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2591/194. Londra, 24 dicembre 1907, ore 6,45.

Ricevo ora nota inglese che spedirò in originale col corriere e che contiene seguente dichiarazione: «Allo scopo di rassicurare Governo italiano ed in conferma

2 Non pubblicato. 3 Per la risposta vedi D. 572.

delle eccellenti relazioni felicemente esistenti tra Gran Bretagna ed Italia, Grey ha l’onore di notificare a S.E. che il Governo di Sua Maestà considera Kufra come posto in territorio ottomano e che il Governo egiziano non ha mai preteso che gli appartenga».

Quanto alla promessa, di cui telegramma n. 2199 di V.E.1, vedrò se si presenterà occasione favorevole al ritorno di Grey.

570 1 Vedi D. 569.

572

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2607/206. Pera, 28 dicembre 1907, ore 14,15.

Rispondo al telegramma di V.E. in data 24 corr. s.n.1. Con linguaggio altrettanto energico nella sostanza, quanto riguardoso nella forma,

ho attirato ieri seria attenzione Sultano, sulle conseguenze perniciose che per relazioni italo-turche produrrebbe fatalmente deplorevole contegno valì di Tripoli di Barberia. Quel contegno dà fondato motivo ritenere che, contrariamente replicate manifestazioni suo Sovrano, valì considera Italia non già quale sincera, leale amica, ma, piuttosto, quale nemica acerrima Turchia. Ho, quindi, con insistenza, chiesto che S.M. Imperiale ordini valì: 1) di uniformare, d’ora in poi, suo contegno alla politica amichevole che S.M. Imperiale ci ha recentemente ancora dichiarato volere seguire verso l’Italia; 2) di ristabilire, al più presto, buone relazioni col r. console generale; 3) trovare il modo risolvere, ad ogni costo, incidente Parsi con piena soddisfazione nostra.

Riproduco testualmente risposta Sultano: «Da quanto mi espone, vedo esservi a Tripoli una situazione alla quale non si può rimediare efficacemente con telegrammi e nemmeno con lettere. Per dimostrarvi ancora una volta se e quanto mi stia a cuore intimità, cordialità relazioni con Italia, manderò al più presto a Tripoli un funzionario di mia piena fiducia. Egli recherà valì mie personali confidenziali istruzioni, dovrà adoperarsi per effettuare seria, duratura conciliazione tra valì e console; investigare affare Parsi e riferirmi. Dal canto vostro, ve ne prego caldamente, raccomandate console mostrarsi più calmo, più conciliante».

Quale che possa essere soluzione definitiva incidente Parsi annunziatami dal Sultano, mi pare preferibile ad uno dei soliti vaghi affidamenti, non seguiti poi da risultato tangibile. Invio funzionario presenta, in tutti i casi, vantaggio di facilitare ristabilimento buone relazioni tra console e valì, con piena salvaguardia prestigio, dignità nostri. Sulle conseguenze missione, per quanto riguarda affare Parsi, non posso fare previsioni sicure. Comunque, debbo riconoscere che missione funzionario allo stato attuale delle cose, e volendosi escludere ricorso mezzi coercitivi, potrebbe

572 1 Vedi D. 570.

rendere possibile una soluzione più o meno soddisfacente incidente Parsi, mentre che a nessuna intesa all’amichevole temo si sarebbe giunti, trattandosi affare con Sublime Porta. Mi risulta, difatti, da informazioni indirette, ma sicure, che alla Sublime Porta reclamo Parsi è giudicato destituito di fondamento qualsiasi, lo si crede inasprito dagli interessati per trascinare R. Governo a sollevare grosso incidente e strappare colla forza qualche importante concessione economica. Prevale, inoltre, viva irritazione contro console per avere inasprito incidente col dirigere al valì vivaci lettere, non precedute da qualsiasi tentativo verbale di accomodamento all’amichevole. In attesa risultato missione, giudicherà V.E. se non sia il caso raccomandare Pestalozza mantenere contegno conciliante cercando ingraziarsi funzionario inviato e tenendo sopratutto conto importanza solidità posizione personale valì, il quale, come mi disse ieri esplicitamente Sultano, gode sua piena, intera fiducia e come funzionario e come militare2.

571 1 Vedi D. 567.

573

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 2608/207. Pera, 28 dicembre 1907, ore 15.

Mio rapporto n. 8311. Pallavicini mi ha detto ieri che, esaminato progetto di nota, suo Governo ha

osservato esservi circa nomina ispettori cristiani differenza importante tra redazione concretata da ambasciatori ed alternativa prima del progetto austro-russo. Mentre difatti nel progetto ambasciatori è enunciato che ispettori cristiani saranno «scelti e nominati» dalla Commissione internazionale, nell’anzidetto era stabilito che ispettori cristiani «saranno scelti dalla Commissione col gradimento del Governo ottomano». Gabinetto di Vienna desidera pertanto che si ritorni alla formula numero uno del progetto austro-russo. In seguito ad accordi intervenuti con Pietroburgo, Benkendorff dovrà intrattenere della cosa Grey, cercando persuaderlo a non sollevare difficoltà. Pallavicini mi ha raccomandato che consideri quanto precede come confidenza personale, desiderando suo Governo che non si parli della questione prima che essa sia stata a cognizione del Gabinetto di Londra.

Per norma mio linguaggio prego V.E. telegrafarmi se ella ritiene, come me, desiderabile che nella prossima riunione degli ambasciatori io mi pronunzi in senso conforme proposta austriaca, ispirata manifestamente da disposizioni più favorevoli verso Turchia2.

573 1 Non pubblicato.

2 Per la risposta vedi D. 575.

572 2 Per la risposta vedi D. 574.

574

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. RISERVATO 22481. Roma, 29 dicembre 1907, ore 12.

Perché invio a Tripoli del funzionario di fiducia del Sultano raggiunga lo scopo di definire secondo nostri diritti incidenti in corso e provochi una situazione tale da non contraddire alle dichiarazioni fattele da S.M. Imperiale, occorre che la scelta cada sopra persona che dia garanzia di intelligente imparzialità, che sia inviata senza ritardo con mandato esplicito ed abbia autorità sufficiente ad indurre valì a migliori consigli. Dato ciò sarà facile risolvere questione Parsi e ogni altra. Da parte mia darò console istruzioni concilianti. Ma le cose debbono svolgersi a Tripoli in modo da far comprendere colà essere in alto luogo cessati intendimenti a noi ostili.

V.E. voglia valersi di queste mie parole così da ottenere che decisioni Sultano corrispondano sue dichiarazioni, nostra attesa.

575

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. 2253. Roma, 30 dicembre 1907, ore 12,55.

Non ho difficoltà a che V.E. si esprima, nella prossima riunione degli ambasciatori, nel senso indicato in fine del suo telegramma del 28 corrente, n. 2071. Poiché, però, la comunicazione fattale da Pallavicini ha carattere personale, converrà che, se, nel frattempo, non ci è notificata l’adesione dell’Inghilterra, l’E.V. si limiti ad enunciare il personale suo avviso. È noto, del resto, all’E.V. che la mia adesione è, in massima, assicurata ad ogni proposta che, provvedendo alla efficace attuazione delle riforme di comune accordo concretate dalle potenze, tenda a rendere meno difficile e più sollecito il consenso di codesto Governo alla applicazione delle riforme stesse2.

575 1 Vedi D. 573.

2 Per la risposta vedi D. 576.

574 1 Risponde al D. 572.

576

L’AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO 2619/209. Pera, 30 dicembre 1907, ore 20,15.

Telegramma di V.E. n. 22531. O’Conor mi disse ieri che suo Governo, non comprendendo causa ritardo frappo-

sto dal Gabinetto di Vienna, ad autorizzare suo ambasciatore a firmare nota, di cui punti essenziali erano stati già concretati d’accordo con tutte le potenze, ha incaricato sir Edw. Goschen chiedere spiegazioni. O’Conor mi chiese se io sapevo niente. Non potendo tradire confidenza fattami da Pallavicini, dovetti rispondere in modo evasivo. Temo che proposta austriaca riesca poco gradita a Londra, dove si osserverà, probabilmente, che questione ispettori era stata risoluta fin dal novembre in senso conforme vedute Governo britannico il quale, ottenuta, a priori, adesione russa, fece oggetto di speciali trattative con Vienna e Berlino. Comunque, parmi sotto ogni aspetto desiderabile, venga accettata proposta austriaca più conciliante e che si avvicina sensibilmente alla formula accettata dagli ambasciatori nel settembre. A mio avviso personale, non sarebbe inverosimile che inaspettata mossa del Gabinetto austriaco sia stata inspirata da Berlino, e che a Pietroburgo la si sia accettata per salvare apparenze e per impossibilità di opporvisi, dal momento in cui si trattava di riprodurre integralmente primitiva formula russa. Non credo, in tutti i casi, che a Pietroburgo si sia attualmente troppo contenti di Vienna a giudicarlo, almeno, da qualche accenno abbastanza chiaro, fatto da Zinovieff alla politica di Aehrenthal. Permettomi attirare attenzione di V.E. su mia lettera particolare2, che le giungerà, probabilmente, domani.

577

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A LONDRA, DI SAN GIULIANO

DISP. RISERVATO 68934/978. Roma, 30 dicembre 1907.

Faccio seguito al mio telegramma del 14 corrente, n. 21591. Il colonnello Harrington ha qui sostanzialmente confermato, parlando con me e

col direttore centrale degli affari coloniali, le cose dette alla E.V.

2 Non pubblicata.

Egli, però, ha detto più chiaramente che non abbia detto costà, che si reca in Etiopia col proposito ben fermo o di ottenere che l’accordo a tre sia applicato rigorosamente o di riferirne al suo Governo per farlo cadere. Harrington giustamente sostiene che l’azione isolata di una delle tre potenze, come avviene ora per la Francia, è la rovina della politica europea in Etiopia.

Si è qui avuta l’impressione che le dichiarazioni del rappresentante inglese in Etiopia siano state improntate a sincero e saldo convincimento, di cooperare a dare efficacia all’accordo.

Venendo alle singole questioni, riassumo brevissimamente il risultato di lunghi e ripetuti colloqui del colonnello Harrington col comm. Agnesa.

1) Applicazione dell’articolo 10 dell’accordo. Egli interpreta questo articolo nel senso che ciascuno dei tre rappresentanti prima di iniziare qualsiasi affare presso Menelik debba informarne i suoi due colleghi. Se tra loro non vi fosse accordo, ciascuno dovrebbe rimettere la questione al proprio Governo, sospendendo intanto ogni azione.

2) Questione ferroviaria. Egli è stato molto riservato sulla questione del proseguimento della ferrovia specialmente per quanto riguarda la parte finanziaria.

Quanto alla sovratassa del 10% sulle merci, egli personalmente, mentre sarebbe recisamente contrario ad un tale aumento su tutte le vie da e per la Etiopia, non farebbe obbiezioni ad un aumento della tassazione delle merci che dal Golfo di Aden scendono o salgono nella zona della ferrovia, verso Addis Abeba.

Il comm. Agnesa gli ha dimostrato come sia pericoloso consentire in Etiopia un rincrudimento dei dazi doganali attuali, ed il colonnello Harrington ha finito per convenirne, soggiungendo che questa sua opinione personale era conseguenza del suo desiderio di aiutare la impresa ferroviaria.

3) Trattamento dell’8%. Non può esser dubbio che, per la clausola della nazione più favorita, contenuta in tutti i trattati con la Etiopia, se questo diritto dell’8% fosse accordato alla Francia, sarebbe ipso iure acquisito alle altre potenze.

4) Giurisdizione sugli europei. Harrington pensa che, se la otterremo, sarà un bene, ma teme che troveremo grandi difficoltà quando gli abissini vedranno, nel fatto, che cosa è la giurisdizione consolare.

5) Traffico delle armi e delle munizioni. Credo che il nocciolo della questione stia nei provvedimenti da prendersi alla costa francese di Gibuti. Appoggerà il progetto Colli, ma è convinto che l’azione collettiva avrebbe più probabilità di riuscita dell’azione isolata, poiché avrebbe per effetto di impedire gli intrighi.

6) Concessioni in Etiopia (art. 8 dell’accordo). È l’unico punto in cui vi sia stata divergenza sostanziale con le idee del colonnello Harrington. Questi, ritenendo molto difficile di stabilire quali concessioni debbano considerarsi come nocive agli interessi di una delle tre potenze, ed avendo d’altra parte le note idee sulle sfere d’influenza per quanto riguarda l’azione commerciale (non politica) di ciascuna delle potenze in Etiopia, vorrebbe, come sua personale opinione, che i singoli rappresentanti si disinteressassero completamente delle concessioni; e solamente quando uno di essi facesse sapere all’altro che una data concessione è considerata

come nociva agli interessi di una delle tre potenze, essa non dovrebbe essere appoggiata da alcuna, e se Menelik interrogasse, dovrebbe rispondersi che si è contrari.

Il comm. Agnesa ha fatto ogni più ampia riserva sul modo di interpretare l’accordo in materia di concessioni, e di considerare la questione delle sfere d’influenza, convenendo solamente nella idea di Harrington essere pericoloso stabilire regole generali e fisse in materia, e doversi piuttosto considerare le questioni caso per caso, per risolverle secondo lo spirito dell’accordo in un sincero desiderio di intendersi.

A proposito di concessioni, Harrington rivolse improvvisamente al comm. Agnesa la seguente interrogazione: come considerereste voi una domanda inglese di concessione rivolta a Menelik per una ferrovia che dal British East Africa penetrasse in Etiopia verso le provincie meridionali e centrali?

Il comm. Agnesa rispose, senza esitare, che la considereremmo come contraria all’accordo (artt. 2 e 9) e agli interessi dell’Italia.

Il colonnello Harrington replicò che non poteva impedirsi ad una Società di capitalisti inglesi di fare una ferrovia che giungesse al confine etiopico, e che, quindi, con l’impedire il proseguimento in territorio abissino, non si otterrebbe lo scopo voluto.

Il comm. Agnesa ha, a sua volta, replicato che nei propri territori ciascuna potenza poteva costruire le ferrovie che voleva, e anche il Governo italiano avrebbe potuto neutralizzare l’effetto di una ferrovia inglese nel British East Africa con una ferrovia parallela nel Benadir: ma giunti al confine etiopico, doveva essere osservato l’accordo secondo il quale le ferrovie da nord a sud della Etiopia e viceversa, ad ovest di Addis Abeba, sono riservate all’Italia, come sono riservate all’Inghilterra le ferrovie ad ovest di Addis Abeba [sic]. Ma anche se ciò non fosse stato stipulato, sarebbe stato egualmente evidente che una concessione ferroviaria come quella indicata da sir John Harrington dovea esser considerata come direttamente contraria agli interessi italiani.

L’impressione del capo dell’Ufficio Coloniale è che Harrington abbia voluto non portare un esempio, ma tastare il terreno, avendo già in vista un progetto di capitalisti inglesi per una ferrovia nel British East Africa verso la Etiopia.

Io pregherei pertanto la E.V. di volere possibilmente darmi qualche informazione al riguardo.

7) Ministero etiopico. Non dà importanza alla cosa, attende di vederlo all’opera, e intanto crede necessario che i tre rappresentanti si riservino la facoltà di trattare direttamente con Menelik, quando lo credano. necessario o opportuno.

8) Difesa delle legazioni. Successione di Menelik. Egli crede che alla morte di Menelik gli europei possano trovarsi in serio pericolo, e Menelik stesso lo crede. Per questa ragione, ha proposto che le legazioni siano messe in condizioni di difesa, in un unico quartiere, per i pericoli immediati e repentini, e che siano guadagnati alla causa degli europei, uno o più capi indigeni, per la difesa delle persone e degli averi.

Quanto alla successione di Menelik, non è contrario a che si induca il Negus a designarla, ma è contrario a fare a lui una indicazione qualsiasi.

9) Istruzioni identiche. Per dare forma concreta ai vari argomenti di comune interesse delle tre potenze, è stato formulato lo schema di istruzioni identiche, che inviai alla V.E. con dispaccio del 10 corr., n. 9132, e che posteriormente sono state discusse punto per punto tra il comm. Agnesa e il colonnello Harrington. Questi le ha accettate tutte, e, dopo lunga, viva discussione, anche nella parte relativa alle concessioni, per le quali è stata adottata al § 2, una formula conciliativa che mi pare buona.

Oltre questa variante al § 2, ve n’è una al § 4, che mi pare molto opportuna, ed è stato aggiunto un § 8 per ottenere l’accessione delle altre potenze alle determinazioni dei tre rappresentanti di quelle firmatarie dell’accordo.

Il colonnello Harrington ha preso con sé copia del progetto di istruzioni identiche, che qui unito invio alla E.V., nel testo modificato3, e ha dichiarato che le avrebbe portate con sé al Cairo per mostrarle a sir E. Gorst, e le avrebbe poi inviate a sir E. Grey, vivamente raccomandandone la adozione, come provvedimento non solo utile, ma necessario.

Harrington è già al Cairo e ha promesso di avvertire il capo dell’Ufficio Coloniale dell’invio dello schema a Londra.

Ho incaricato il comm. Agnesa di discutere le dette istruzioni con Harrington, per guadagnare tempo, poiché se esse fossero state prima comunicate a sir E. Grey, questi non avrebbe certamente risposto se non dopo averle inviate ad Addis Abeba ed averne avuto parere da Harrington.

Non appena questi le avrà inviate a Londra ed io ne sia informato, ne avvertirò la E.V., se ella non ne avrà prima avuto costì notizia; e la E.V., se non ha osservazioni a fare, potrà comunicarle a sir. E. Grey e al sig. Cambon.

10) Contegno del sig. Klobukowski. Il colonnello Harrington non ha nascosto né la sua meraviglia, né la sua indignazione per il contegno del rappresentante francese, il quale a Parigi e al Cairo prima di partire ebbe a fare ad Harrington dichiarazioni esplicite sul modo di interpretare l’applicazione dell’accordo che sono state contraddette pienamente dalla sua azione in Addis Abeba.

Harrington poi crede avere le prove che il Klobukowski abbia consigliato Menelik a domandare al Re d’Inghilterra il suo richiamo.

Egli ha chiesto di vedere il rapporto Colli in cui si parla della divergenza di vedute dei tre rappresentanti, sulla interpretazione dell’art. 10 dell’accordo, e quel rapporto (n. 99)4 gli è stato mostrato, trattandosi di argomento che era stato trattato in pieno accordo col rappresentante inglese in Addis Abeba.

Chiudo questa rapida relazione dei colloqui con sir John Harrington, facendo osservare che le opinioni da lui manifestate nel maggiore numero degli argomenti, sono quelle già adottate dal Governo britannico nella trattazione dei singoli affari e concordano, in quasi tutti, con le nostre; e che per quegli argomenti pei quali non abbiamo ancora dichiarazioni ufficiali di codesto Governo, è da credere che esso

3 Vedi D. 556, nota 6. 4 Vedi D. 496.

non si discosterà dai suggerimenti del suo rappresentante in Etiopia, e da sperare che non vi si discosti nell’adozione del progetto di istruzioni identiche.

576 1 Vedi D. 575.

577 1 Non pubblicato.

577 2 Vedi D. 556.

578

L’AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. PERSONALE. Vienna, 30 dicembre 1907.

Col mio telegramma n. 196 del 23 corrente1 feci conoscere alla E.V. che, a quanto avevami riferito il barone di Call, in assenza del barone d’Aehrenthal, questi aveva accolto con soddisfazione il comunicato ufficiale dell’Agenzia Stefani da lei fatto pubblicare in seguito alle intemperanze avvenute all’Università ed al Municipio di Roma, in occasione della commemorazione dell’anniversario della morte di Oberdan.

Nella visita da me fatta al barone d’Aehrenthal, al suo ritorno dalla Boemia dopo le feste natalizie, il discorso essendo caduto su quel comunicato, egli si compiacque meco per la sua pubblicazione e, ricordando le cose dettemi rispetto alla nota ufficiosa comparsa nello scorso novembre nella Politische Correspondenz, relativamente al discorso del borgomastro di Vienna (mia lettera particolare del 20 corrente)1, si mostrò lieto che l’E.V., giusta i concerti presi nei convegni di Desio e del Semmering, si fosse fatto premura di dissipare i malintesi che le intemperanze suddette avessero potuto far nascere nell’opinione pubblica della Monarchia, coll’attestare di nuovo il fermo suo proposito di rafforzare sempre più i rapporti di cordiale ed intima amicizia esistenti tra i due Governi.

Dal mio rapporto n. 1244 del 25 corrente1, l’E.V. avrà poi rilevato come la stampa viennese si sia ristretta a riprodurre il comunicato ufficiale dell’Agenzia Stefani senza farlo seguire da alcun commento, salvo il Fremdenblatt, la Neue Freie Presse ed il Reichspost. I due primi, nel constatare il contegno corretto tenuto in tale occasione dal R. Governo, hanno dichiarato che l’incidente era ormai esaurito per il Governo imperiale e reale. Il terzo, pur consentendo in quel parere, dopo aver riconosciuto poco conveniente l’allusione fatta nel comunicato alla nota ufficiosa della Politische Correspondenz, si è pronunziato circa le dimostrazioni stesse in un senso poco favorevole alla situazione politica dell’Italia.

Non posso nascondere all’E.V. che quanto si afferma a tale riguardo nel Reichspost è conforme, in parte, all’impressione che il comunicato e le dimostrazioni suddette avrebbero prodotto in alcuni circoli politici viennesi.

Innanzi tutto da questi si constata con soddisfazione che il R. Governo ha

adempiuto pienamente ai suoi doveri nel vietare quelle dimostrazioni e nel biasimarle non appena avvennero, coll’affrettarsi di svincolare la propria responsabilità da tali deplorevoli fatti. Ma si lamenta che siano avvenuti e che in essi si sia glorificato l’attentato progettato contro la vita di S.M. l’Imperatore, venendo così meno ai riguardi dovuti ad un Sovrano estero amico ed alleato del nostro Sovrano. E da tale fatto si deduce, in primo luogo, che, nonostante le leali ed amichevoli intenzioni del R. Governo, gran parte della popolazione del Regno persista a nutrire sentimenti ostili contro l’Austria-Ungheria ed, in secondo luogo, che quelle dimostrazioni, sebbene rivolte contro di essa, vengono a colpire la Monarchia stessa italiana per l’apologia che vi si fece del regicidio e per le idee in esse manifestate, ciò che dimostrava la necessità di rendere più stretti ancora i nostri reciproci legami per ovviare ai pericoli a cui avrebbe potuto essere esposto il principio monarchico. Infine, si considera come poco opportuna l’allusione fatta, nel comunicato ufficioso dell’Agenzia Stefani, del biasimo inflitto dal Governo imperiale e reale al discorso del borgomastro Lueger, non essendovi analogia tra le parole da questo pronunziate e le manifestazioni avvenute in Roma, le quali avrebbero avuto una portata maggiore.

Alle persone che si espressero meco in tal senso feci rilevare che la commemorazione dell’anniversario della morte di Oberdan aveva luogo ogni anno in Roma e che se questa volta vi si era prestata maggiore attenzione ciò era dovuto all’annunzio che ne era stato dato in precedenza dalla stampa italiana. Non si trattava, quindi, di un fatto nuovo, ma di una commemorazione che avveniva annualmente nella capitale del Regno e mi sembrava che se ne esagerasse l’importanza deducendo da essa che una gran parte della popolazione italiana avesse sentimenti ostili all’Austria-Ungheria. Coloro che conoscevano il nostro paese sapevano come tali manifestazioni non fossero che la conseguenza dell’indole impulsiva di alcuni giovani, che professano idee a cui non partecipava la gran maggioranza del paese, convinta ormai che la politica d’intima amicizia coll’Austria-Ungheria era quella che meglio corrispondeva ai veri interessi dell’Italia. Infine, non poteva che esser sorpreso dell’interpretazione poco corretta che volevasi dare al comunicato ufficiale dell’Agenzia Stefani. Se in esso si era accennato al biasimo inflitto dal Governo imperiale e reale al borgomastro Lueger, tale allusione non dinotava altro che il R. Governo era convinto, al pari dello stesso Governo imperiale e reale, della necessità, di non far passare alcuna occasione per eliminare gli equivoci ed i malintesi atti ad offuscare i nostri rapporti per mantenerli sempre cordiali, nonostante le insidie di coloro che erano interessati a turbarli.

Ho creduto mio debito di non lasciare ignorare all’E.V. le cose qui sopra riferite, le quali sono una nuova prova della sfiducia latente che tuttora si nutre in alcuni circoli politici viennesi verso le disposizioni delle popolazioni italiane, che si persiste a giudicare ostili all’Austria-Ungheria.

È da sperare che questa sfiducia, che, per mala ventura, esiste pure, in parte, nelle nostre popolazioni verso quelle della Monarchia non solo, ma bensì verso lo stesso Governo imperiale e reale, sia per dissiparsi col tempo e che entrambi i paesi si penetrino della necessità, nel proprio interesse, di coadiuvare l’opera dei rispettivi Governi, perché possa essere così stabilita sopra una base più solida e durevole quella perfetta intesa che intervenne felicemente tra loro mercé i costanti sforzi dell’E.V.

578 1 Non pubblicato.

579

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL’AMBASCIATORE A BERLINO, PANSA

T. 2266. Roma, 31 dicembre 1907, ore 17,30.

Redazione del Berliner Lokal Anzeiger mi dirige il seguente telegramma: «Abbiamo intenzione di pubblicare nel nostro numero di capo d’anno qualche parola simpatica dei rappresentanti delle grandi potenze sulle relazioni fra loro e la Germania. Gli ambasciatori della Francia, dell’Austria, degli Stati Uniti, della Spagna, del Portogallo, del Giappone e della China a Berlino e il ministro Stolypin hanno risposto cortesemente alla nostra domanda.

Ci rincrescerebbe se dovremo [recte dovessimo] pubblicare questa sinfonia pacifica di voci autorevoli senza la voce della nostra alleata Italia, e preghiamo V.E. di telegrafarci una parola in questo senso, affinché il concerto europeo sia completo anche in questa manifestazione».

Prego V.E. di ringraziare da parte mia direzione giornale e dire che è mio sistema non dare interviste giornali, ma fare dichiarazioni in Parlamento e che mi duole non poter fare eccezione. Però se è vero che altri rappresentanti grandi potenze hanno fatto dichiarazioni che Lokal Anzeiger pubblicherà, autorizzo V.E. a fare quelle dichiarazioni che crederà più opportune circa rapporti tra Italia e Germania.

580

L’INCARICATO D’AFFARI AD ADDIS ABEBA, COLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 117. Addis Abeba, 31 dicembre 1907 (perv. il 7 febbraio 1908).

Nei miei telegrammi 160 e 162 del 21 e 23 dicembre1 ho avuto l’onore di informare V.E. delle nuove intenzioni e della nuova azione del Negus in quella parte della Somalia che è compresa nell’hinterland del Benadir, e per la quale egli si è impegnato di mantenere lo statu quo fino a quando non saranno ultimati i negoziati relativi alla sistemazione della frontiera fra l’Etiopia e la nostra Colonia.

Il Negus pare abbia definitivamente abbandonato e vietato l’antico sistema di scorrerie e di razzie, che malgrado l’impegno assunto egli ha sinora se non autorizzato certo tollerato, ma ad esso intende di sostituire un sistema di penetrazione e di propaganda pacifica tra le tribù somale per indurle a riconoscere la sua sovranità.

Difatti, verso la fine dello scorso novembre essendo stati condotti ad Addis Abeba tre capi dei Rahanuin fatti prigionieri dagli Amara negli Afgab, dove si erano recati per questioni concernenti le loro tribù, il Negus li accolse affabilmente, li assicurò della sua protezione e benevolenza e li invitò a ritornare al loro paese e di esortare le loro tribù a sottomettersi al suo Governo; ed i capi Rahanuin ripartirono da Addis Abeba coi regali ricevuti dal Negus e vestiti da abissini.

L’Imperatore ha ora stabilito di mandare in Somalia un capo musulmano perché dia ai somali coll’arra della religione comune maggior valore ed affidamento alle sue assicurazioni di pace e di sicurezza, purché essi riconoscano e si assoggettino al suo governo.

Di tale missione venne incaricato Abdullai Sadik che fu sino a pochi anni fa negadras di Harrar, e che in seguito ad un avventuroso viaggio in Europa, nel quale faceva parte della missione di Degiac Mesciascià a Costantinopoli, al suo ritorno cadde in disgrazia, venne privato del grado e imprigionato.

Recentemente però, per l’intercessione dell’Afa Negus, fu perdonato e restituito all’antica sua carica, ed ora gli venne affidata la missione in Somalia.

Abdullai Sadik è partito in questi giorni per Harrar di dove proseguirà per l’Ogaden; egli è persona intelligente e scaltra, e pare abbia un grande ascendente sulle popolazioni somale dell’Etiopia orientale.

A V.E. non sfuggirà certamente l’importanza ed il pericolo che questa azione del Negus presenta per noi; essa è evidentemente più umanitaria e civile dell’antico sistema, e sfugge all’impegno da lui formalmente assunto di mantenere lo statu quo nell’hinterland del Benadir; impegno che essenzialmente si basava sull’interdizione di qualsiasi razzia od occupazione territoriale.

Le ragioni che hanno indotto il Negus ad iniziare questa sua nuova azione sono evidenti, e rispondono alla intenzione da lui sempre ed esplicitamente manifestata di mantenere ed affermare la sua sovranità su quel territorio al quale noi aspiriamo.

Nei miei precedenti rapporti sulla Somalia ho insistentemente dichiarato quali siano le intenzioni del Negus: egli intende mantenere i, diritti riconosciutigli dall’accordo col maggiore Nerazzini, e per i quali il territorio etiopico si estende fino ad una linea che partendo da un punto sul Giuba a monte di Bardera e precisamente dalla cateratta di Von Derdeken prosegue verso nord nord-est parallela alla costa; ed ai negoziati da noi intrapresi per modificare la suddetta linea onde includere nel territorio del Benadir la stazione commerciale di Lugh già da lui consentita, egli oppose una resistenza passiva, accordando bensì uno speciale trattamento di neutralità per quel territorio compreso fra la linea Nerazzini e la linea da noi desiderata, ma affermando sempre i suoi diritti di sovranità su di esso.

Il suddetto trattamento di neutralità da noi denominato mantenimento dello statu quo, è stato del resto in questi anni decorsi ripetutamente violato per l’iniziativa e l’indisciplina dei capi, e lo sarà forse più ancora in avvenire coll’estendersi dell’espansione abissina verso i confini dell’Impero.

Ma queste violazioni che si compiono a danno dei Somali che non hanno mai voluto riconoscere l’autorità nostra e ci sono sempre stati ostili, non stabiliscono nuovi diritti né rafforzano le antiche pretese di sovranità del Negus su di essi; anzi mantenendo tra quelle popolazioni vivo l’odio contro gli abissini, li indurranno poco alla volta a ricorrere al nostro aiuto ed a sottomettersi effettivamente alla nostra autorità.

Il riconoscimento invece volontario per parte delle tribù somali del Governo del Negus pregiudicherebbe irrimediabilmente le nostre aspirazioni e stabilirebbe di diritto e di fatto il dominio dell’Etiopia su quei territori.

Nel mio rapporto n. 94 del 1° ottobre2 ho espresso il parere che convenga continuare nella linea di condotta adottata, consistente nel protrarre indefinitivamente il mantenimento dello statu quo: non mi nascondevo però che tale condotta possa presentare gravi inconvenienti e pericoli, quale il ripetersi, malgrado e contrariamente agli ordini del Negus, di qualche incursione abissina come quella fatta nel 1904 da Degiac Lulsaghet, che oltre a turbare la vita politica ed economica della Colonia potrebbe avere conseguenze più gravi ed imprevedibili.

Ma di fronte alla nuova azione iniziata dal Negus credo necessario che si debbano prendere decisioni immediate e definitive, e queste consistono in una delimitazione della frontiera.

Già nel mio suddetto rapporto ho sostenuto la tesi che a noi convenga, dati i mezzi di cui disponiamo, concentrare tutti i nostri sforzi lungo la via del Giuba facente capo a Lugh e non preoccuparci dell’espansione abissina lungo il Uebi Scebeli e nella provincia dell’Ogaden; ma per far questo è necessario che la via del Giuba e la stazione di Lugh siano effettivamente in nostro possesso, e che l’espansione abissina nel talweg del Uebi Scebeli sia contenuta in limiti ben stabiliti.

Ora che dopo tanto tempo e tante difficoltà sono stati condotti a termine, secondo i desideri britannici, i negoziati relativi alla frontiera fra la colonia inglese dell’Africa orientale e l’Etiopia, e che il Negus ha accettato la linea di confine che. parte da Dolo e rimonta il Daua, io nutro fiducia che anche a noi egli vorrà riconoscere il diritto di giungere alla confluenza del Daua col Ganale, e controbilanciare nel suo stesso interesse la penetrazione e l’influenza politica e commerciale dell’Inghilterra da quella parte.

Io ritengo quindi che le nostre pretese basate su di una linea di frontiera che partendo da Dolo segua all’incirca il quarto parallelo fino al punto d’intersezione col Uebi Scebeli, e continui parallela alla costa, avrebbero la probabilità di essere accolte dal Negus.

Tale linea dovrebbe nel suo primo tratto seguire un percorso che dividesse il territorio delle tribù circostanti a Lugh e quelle della sinistra del Giuba dal territorio degli Afgab, e nel secondo tratto delimitare il territorio delle tribù della costa a noi soggette, da quello delle tribù interne soggette al Negus.

La suddetta linea di frontiera dovrebbe essere, almeno nel primo tratto, prontamente ed esattamente tracciata, fissando i punti estremi di Dolo e quello prescelto sul Uebi Scebeli, e riferendosi a punti intermedi visibili e conosciuti.

A Dolo il Negus potrebbe o dovrebbe stabilire una dogana ed una guarnigione, mentre noi potremmo insediarvi un nostro agente commerciale, e il nostro possesso definitivo di Lugh ci darebbe modo di aumentarne la guarnigione e stabilire di fatto la nostra autorità sulle tribù circostanti.

Il Negus ha ripetutamente insistito nel desiderio di delimitare la frontiera fra l’Etiopia ed il Benadir, ed io per non pregiudicare le maggiori aspirazioni che codesto Governo potrebbe avere, mi sono sempre schivato, pur protestando uguale desiderio.

Ma se V.E. vorrà trovare ragionevoli e convenienti le mie proposte, e darmene autorizzazione, io comincerei cautamente i negoziati sulle basi da me indicate, colla fiducia che essi possano riuscire, e nella certezza di conseguire un risultato vantaggioso per la Colonia del Benadir, che uscirebbe da uno stato di incertezza e di inquietudine che gravemente le nuoce e paralizza ogni sua iniziativa ed azione commerciale ed ogni affermazione della sua autorità e del suo prestigio nella sfera d’influenza che le è designata.

(Del presente rapporto venne inviata copia al Governo del Benadir).

580 1 TT. 2558/160 e 2600/162, in realta, rispettivamente del 20 e 26 dicembre, non pubblicati.

580 2 Vedi D. 471.

<
APPENDICI

APPENDICE I

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

(29 maggio 1906 – 31 dicembre 1907)

MINISTRO

TITTONI Tommaso, senatore del Regno.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

POMPILj Guido, deputato al Parlamento.

SEGRETARIO GENERALE

MALvANO Giacomo, senatore del Regno, consigliere di Stato, fino all’8 settembre 1907; BOLLATI Riccardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dall’8 settembre 1907.

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL MINISTRO

Capo della segreteria: MACChI DI CELLERE vincenzo, segretario di legazione, fino al 5 ottobre 1906.

Segretari particolari: TOMMASINI Francesco, segretario di legazione, dal 13 gennaio 1907; BACChETTI Tito, primo segretario nel Ministero dell’interno; BORGhESE Livio, addetto di legazione (dal 5 ottobre 1906 segretario di legazione), fino al 13 marzo 1907.

Addetto alla segreteria: RINELLA Sabino, vice segretario (dal 29 novembre 1906 segretario).

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL SOTTOSEGRETARIO DI STATO

Segretari: SANDICChI Pasquale, segretario, dal 28 giugno 1906 al 14 novembre 1907; ORSINI BARONI Luca, segretario di legazione, dal 13 gennaio al 25 novembre 1907; CERRUTI vittorio, segretario di legazione, dal 22 dicembre 1907.

UFFICIO DIPLOMATICO

Direttore: FASSATI DI BALZOLA Ferdinando. Capo sezione: vOLTATTORNI Gabriele. Segretario: MAESTRI MOLINARI marchese Francesco. Addetti all’ufficio: QUARTO DI BELGIOIOSO Antonio, conte del vaglio, segretario di

legazione; SACERDOTI DI CARROBIO conte vittorio, segretario di legazione; CORINALDI conte Leopoldo, addetto di legazione (dal 5 agosto 1907 segretario di legazione), dal 1° novembre 1906; TORLONIA Carlo, addetto di legazione, fino al 26 ottobre 1906; ChIAROMONTE BORDONARO Antonio, vice console, dal 4 settembre 1906 al 17 maggio 1907; TkALAC Emerico, interprete.

Archivisti: NEGRI Rodolfo; GALLINGANI Augusto; FERRERO Camillo; BONGIOvANNI Emilio; ZUCChETTI Pietro.

Direttore della tipografia: ALFERAZZI Giacomo Antonio.

DIREZIONE CENTRALE DEGLI AFFARI COLONIALI1

Direttore: AGNESA Giacomo.

UFFICIO AFFARI GENERALI

Capo ufficio: DECIANI vittorio Tiberio. Addetti all’ufficio: ROSSETTI Carlo, ufficiale coloniale; DONATO Antonio, ufficiale

coloniale; CARACCIOLO DI CASTAGNETA Gaetano, segretario di legazione; QUARTO Adolfo, maggiore d’artiglieria; BONGIOvANNI Simone, capitano di fanteria.

UFFICIO ERITREA, SOMALIA E BENADIR

Capo ufficio: CONTARINI Salvatore. Addetti all’ufficio: MANTIA Giuseppe, ufficiale coloniale; LAGO Mario, vice segreta-

rio; BROGGI Antonino, capitano dei bersaglieri; CITERNI Carlo, capitano di fanteria.

1 La situazione qui rappresentata è quella tratta dai bollettini ministeriali del gennaio 1907 (MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Personale e uffici del Ministero. Gennaio 1907, Roma, Tipografia del Ministero degli affari esteri, 1907).

UFFICIO BILANCI E CONTABILITà

Capo ufficio: MARChISIO Ernesto. Addetti all’ufficio: GASPONI Aspromonte, ufficiale coloniale; LEONETTI Francesco,

tenente contabile.

ARChIvIO

Archivista: n.n. Addetti: PIACENTINI Antonio; vIvARELLI Giuseppe; BARGhELLINI Salvatore.

COPIA

Capo ufficio: n.n. Addetti: PORTA Giuseppe; FABOZZI Eugenio; TASCA Francesco. Archivista del consiglio coloniale: NEGRI Rodolfo.

COMMISSARIATO DELL’EMIGRAZIONE

Commissario generale: REyNAUDI Carlo Leone, contrammiraglio (dal 7 giugno 1906 vice ammiraglio) incaricato delle funzioni.

Commissari: ROSSI Egisto; MALNATE Natale, questore di P.S. (incaricato delle funzioni); ROSSI Adolfo.

Segretario capo: TAMBRONI Ugo. Ragioniere: MARCONI Alfredo. Archivista: RUSSO Giovanni.

ISPETTORATO GENERALE DELLE SCUOLE ITALIANE ALL’ESTERO

Ispettore generale: SCALABRINI Angelo. Segretario: BOCCONI Luigi. Segretari di ragioneria: FIORETTI vittorio; SUGLIANI Augusto; FRANZETTI Attilio. Archivista: BARBèRI Francesco.

DIvISIONE I Affari commerciali

Direttore capo divisione: BERTOLLA Cesare

SEZIONE I

Capo sezione: kOCh Ernesto. Segretario: ANIELLI Lorenzo. Addetti all’ufficio: RANUZZI SEGNI conte Cesare, consigliere di legazione, fino al 29

gennaio 1907; vIGANOTTI GIUSTI Gianfranco, addetto di legazione, fino al 15 giugno 1906; vANNUTELLI Luigi, addetto di legazione dal 10 luglio 1906 al 26 giugno 1907; BIANChI vittorio, applicato volontario.

SEZIONE II

Capo sezione: PELUCChI Carlo. Segretario: SARTORI Francesco.

DIvISIONE II Affari privati e contenziosi

Direttore capo divisione: vACCAj Giulio.

SEZIONE I

Capo sezione: ChICCO Enrico. Segretari: RICCI BUSATTI Arturo; LEvI Giorgio. Addetti all’ufficio: FRESChI DI CUCANEA conte Carlo Giovanni, addetto di legazione,

fino al 23 novembre 1906; ZANOTTI BIANCO Gustavo, console, dal luglio 1906 al luglio 1907; SAINT MARTIN Giuseppe, console; ROSSI Lorenzo, console, fino al 5 gennaio 1907; POMA Cesare, console, dall’ottobre 1906.

SEZIONE II

Capo sezione: BARILARI Pompeo. Segretario: DURAND DE LA PENNE marchese Enrico.

SEZIONE III

Capo sezione: SERRA Carlo. Segretario: CANONICO Edoardo, fino all’ottobre 1906. Addetti all’ufficio: NIGRA conte Guido, addetto di legazione, fino al marzo 1907;

TOSCANI Angelo, vice console, fino al novembre 1907; ANFOSSO Luigi, vice console.

Archivisti: SILvANI LORENI Demetrio; CIACI Romolo.

DIvISIONE III Personale

Direttore capo divisione: BARILARI Federico.

SEZIONE I Personale

Capo sezione: LANDI vITTORj vittorio. Segretari: RANDACCIO Ignazio; SANDICChI Pasquale, fino al 27 giugno 1906. Addetti all’ufficio: ChIOSTRI Giuseppe, console, dal 7 giugno 1906; GAZZURELLI

Adelchi, vice console, fino al 26 settembre 1906; PULLINO Umberto, applicato volontario.

Archivista capo: ZAvEL DE LOUvIGNy Filippo Antonio. Archivista: PEROTTI Felice.

SEZIONE II Cerimoniale

Capi sezione: BROFFERIO Tullio; vALENTINI Claudio.

Legalizzazioni

Archivisti: DE GREGORIO Francesco; MORONE vittorio.

DIvISIONE Iv Biblioteca

Direttore capo divisione: N. N.

BIBLIOTECA

Capo sezione: PASQUALUCCI Loreto. Archivista: SORMANI Gilberto; RENUCCI Umberto.

DIvISIONE v Ragioneria

Direttore capo divisione: CALvARI Ludovico.

SEZIONE I

Capo sezione: BONAMICO Cesare. Segretari: D’AvANZO Carlo; CRIvELLARI Quirino; CASONI Enrico; DE SANTIS Paolo. vice segretario: RINvERSI Romolo; BONAvINO Arturo.

SEZIONE II

Capo sezione: CASA DIO Carlo. Segretari: FANO Alberto; vINARDI Giuseppe, cassiere; CASONI Enrico. vice segretari: vERDESI Ettore; CARDELLINI Lorenzo. Archivisti: BENFENATI Evaristo.

Economato

Economo: N.N.

ARChIvIO STORICO

Direttore: GORRINI Giacomo (con grado fisso di capo divisione). Archivista: CAMETTI Alberto.

REGISTRAZIONE E SPEDIZIONE

Archivisti: BENETTI Carlo.

CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

PRESIDENTE

TITTONI Tommaso, senatore del Regno, ministro degli esteri.

vICE PRESIDENTE

BIANChERI Giuseppe, deputato al Parlamento.

CONSIGLIERI

CAPPELLI marchese Raffaele, deputato al Parlamento. FINALI Gaspare, senatore del Regno, presidente della Corte dei Conti. GABBA Carlo Francesco, senatore del Regno, professore di diritto civile nella Regia

Università di Pisa. INGhILLERI Calcedonio, senatore del Regno, consigliere di Stato. PAGANO GUARNASChELLI Giambattista, senatore del Regno, primo presidente della

Corte di Cassazione di Roma. PIERANTONI Augusto, senatore del Regno, professore di diritto internazionale nella

Regia Università di Roma. SANMINIATELLI conte Fabio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario ono-

rario. GREPPI conte Giuseppe, senatore del Regno, inviato straordinario e ministro plenipo-

tenziario, con credenziali di ambasciatore, a riposo. FIORE Pasquale, professore ordinario di diritto internazionale nella Regia Università

di Napoli. SCIALOjA vittorio, senatore del Regno, professore ordinario di diritto romano e ordi-

namento giudiziario nella Regia Università di Roma. BONASI conte Adeodato, senatore del Regno, presidente di sezione del Consiglio di

Stato.

GRIPPO Pasquale, deputato al Parlamento, libero docente di diritto costituzionale nella Regia Università di Napoli.

FUSINATO Guido, deputato al Parlamento, professore ordinario di diritto internazionale nella Regia Università di Torino.

SEGRETARIO GENERALE

PUCCIONI Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI ITALIANE ALL’ESTERO (29 maggio 1906 – 31 dicembre 1907)

ARGENTINA

Buenos Aires – BOTTARO COSTA conte Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 20 dicembre 1906; MACChI DI CELLERE vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 21 dicembre 1906; NEGROTTO CAMBIASO Lazzaro, segretario, fino al 5 novembre 1907; CAMBIAGIO Silvio, segretario, dal 20 settembre 1907.

AUSTRIA-UNGhERIA

Vienna – AvARNA DI GUALTIERI duca Giuseppe, ambasciatore; CARLOTTI marchese Andrea, segretario, fino al 9 dicembre 1906; FASCIOTTI barone Carlo, segretario, dal 19 gennaio 1907; CATALANI Giuseppe, segretario, dal 19 settembre 1906; D’AyALA Francesco Saverio, addetto, fino al 5 dicembre 1906; ALLIATA DI vILLAFRANCA Giovanni, addetto (dal 5 agosto 1907 segretario); GATTONI Giulio, addetto, fino al 22 gennaio 1907; GODIO Cesare Alberto, addetto, fino al 18 maggio 1907; CERRUTI vittorio, addetto (dal 5 agosto 1907 segretario), fino al 21 dicembre 1907; vARé Daniele, addetto, dal 14 agosto 1907; DEL MASTRO Cesare, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare sostituito da SIGRAy ASINARI conte Alessandro, capitano di Stato Maggiore, addetto militare.

BAvIERA

Monaco – BERTI Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

BELGIO

Bruxelles – BONIN LONGARE conte Lelio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RUSPOLI Mario, principe di Poggio Suasa, segretario, fino al 17 marzo 1907; DI MONTAGLIARI marchese Paolo, segretario, dal 14 gennaio 1907; DE RISEIS Mario, addetto, fino al 9 maggio 1907; GUARNERI Andrea, addetto, dal 31 maggio 1907; ChAPPERON Alessio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Parigi).

BOLIvIA

CARLETTI Tommaso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Lima).

BRASILE

Rio de Janeiro – FRIOZZI marchese Lorenzo, principe di Cariati, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, sostituito da BRUNO Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SERRA Attilio, segretario, fino al 13 luglio 1907; BORGhETTI Riccardo, addetto (dal 5 agosto 1907 segretario), dal 22 gennaio 1907.

CILE

Santiago – ORFINI conte Ercole, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 14 marzo 1907; CARIGNANI DI NOvOLI Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 15 marzo 1907.

CINA

Pechino – BAROLI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BORGhESE Livio, addetto (dal 5 agosto 1907 segretario), dal 14 marzo 1907; vITALE Guido, interprete, col titolo onorario di segretario-interprete; CAvIGLIA Enrico, maggiore, addetto militare (residente a Tokio).

COLOMBIA

Bogotà – AGNOLI Ruffillo, ministro residente.

COSTARICA

NAGAR Carlo, ministro residente (residente a Guatemala).

CUBA

Avana – SAvINA Oreste, ministro residente.

DANIMARCA

Copenaghen – CALvI DI BERGOLO conte Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAPRARA, conte Enrico, segretario.

EQUATORE

CARLETTI Tommaso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Lima).

ETIOPIA

Addis Abeba – CICCODICOLA Federico, maggiore di artiglieria, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; COLLI DI FELLIZZANO conte Giuseppe, capitano di cavalleria, segretario, dal 24 gennaio 1907; CAETANI Livio, segretario fino al 2 ottobre 1906; CIARRONI Raffaele, interprete.

FRANCIA

Parigi – TORNIELLI BRUSATI DI vERGANO conte Giuseppe, ambasciatore; PAULUCCI DE’ CALBOLI conte Raniero, segretario, fino al 28 dicembre 1906; ALIOTTI Carlo, segretario (dal 5 agosto 1907 consigliere), dal 1° dicembre 1906; TOMMASINI Francesco, segretario, fino al 27 giugno 1906; GARBASSO Carlo, addetto (dal 5 agosto 1907 segretario), dal 7 ottobre 1906; NIGRA conte Guido, addetto, fino al 20 marzo 1907; CARACCIOLO DI CASTAGNETO principe Gaetano, addetto (dal 12 giugno 1906 segretario), fino al 23 giugno 1907; GIANNUZZI SAvELLI Fabrizio, addetto; vIGANOTTI GIUSTI Gianfranco, addetto (dal 5 agosto 1907 segretario), dal 16 giugno 1906; COMPANS DI BRIChANTEAU marchese Alessandro, addetto; ALOISI Pompeo, addetto, incaricato delle funzioni di addetto navale; ChAPPERON Alessio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

GERMANIA

Berlino – LANZA conte Carlo, tenente generale, ambasciatore, fino al 3 gennaio 1907; PANSA Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 4 gennaio 1907; MATTIOLI PASQUALINI Alessandro, segretario, fino al 30 gennaio 1907; DE MARTINO Giacomo, segretario (dal 5 agosto 1907 consigliere), dal 26 gennaio 1907; ORSINI BARONI Luca, segretario, fino a marzo 1907; DEPRETIS Agostino, addetto, fino al 7 dicembre 1906; BRAMBILLA Giuseppe, addetto (dal 5 agosto 1907 segretario), dal 4 marzo 1907; DURINI DI MONZA conte Ercole, addetto (dal 5 agosto 1907 segretario), dall’8 novembre 1906; LAMBERTENGhI conte Ruggero, addetto, dal 15 ago-

sto 1907; GASTALDELLO Annibale, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare sostituito da MONTUORI Luca, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

GIAPPONE

Tokio – vINCI GIGLIUCCI conte Giulio Cesare, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 4 maggio 1907; GALLINA conte Giovanni, ambasciatore, dal 5 maggio 1907; ROMANO AvEZZANA barone Camillo, segretario (dal 5 agosto 1907 consigliere), dal 7 gennaio 1907; DE RISEIS Mario, addetto (dal 5 agosto 1907 segretario), dal 10 maggio 1907; CASATI Luigi, interprete; GASCO Alfonso, interprete; CAvIGLIA Enrico, maggiore, addetto militare.

GRAN BRETAGNA

Londra – TITTONI Tommaso, ambasciatore, fino al 7 agosto 1906; DI SAN GIULIANO marchese Antonino, ambasciatore, dall’8 agosto 1906; DE BOSDARI conte Alessandro, segretario; MARTIN-FRANkLIN Alberto, addetto, con funzioni di segretario; CORINALDI Leopoldo, addetto (dal 5 agosto 1907 segretario); D’AyALA Francesco Saverio, addetto, dal 6 dicembre 1906 fino al 22 aprile 1907; BRAMBILLA Giuseppe, addetto, fino al 3 marzo 1907; vANNUTELLI Luigi, addetto (dal 5 agosto 1907 segretario), dal 27 giugno 1907; ChAPPERON Alessio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Parigi); REy DI vILLAREy Carlo, tenente di vascello, addetto navale.

GRECIA

Atene – BOLLATI Riccardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MANZONI Gaetano, segretario (dal 5 agosto 1907 consigliere), dal 16 febbraio 1907; BORGhETTI Riccardo, addetto, fino al 21 gennaio 1907; DE GRESTI DI SAN LEONARDO Guido, addetto, fino al 20 febbraio 1907; ELIA vittorio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Costantinopoli); DIMADI Costantino, interprete.

GUATEMALA

NAGAR Carlo, ministro residente.

hAITI

SAvINA Oreste, ministro residente (residente a L’Avana).

hONDURAS

NAGAR Carlo, ministro residente (residente a Guatemala).

LUSSEMBURGO

TUGINI Salvatore, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a L’Aja), sostituito da SALLIER DE LA TOUR Giuseppe, duca di Colvello, inviato staordinario e ministro plenipotenziario (residente a L’Aja).

MAROCCO

Tangeri – MALMUSI Giulio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 25 dicembre 1906; NERAZZINI Cesare, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 26 dicembre 1906; GIANATELLI GENTILE Agesilao, interprete col titolo onorario di segretario-interprete.

MESSICO

Messico – NOBILI Aldo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 29 gennaio 1907; RANUZZI SEGNI Cesare, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 30 gennaio 1907.

MONTENEGRO

Cettigne – CUSANI CONFALONIERI marchese Luigi Girolamo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 17 dicembre 1906; CARLOTTI Andrea, marchese di Riparbella, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 18 dicembre 1906; RUBIN DE CERvIN Gustavo, maggiore di cavalleria, addetto militare (residente a Sofia).

NICARAGUA

NAGAR Carlo, ministro residente (residente a Guatemala).

NORvEGIA

CALvI DI BERGOLO conte Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Copenaghen).

PAESI BASSI

L’Aja – TUGINI Salvatore, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, sostituito da SALLIER DE LA TOUR Giuseppe, duca di Colvello, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DELLA TORRE DI LAvAGNA conte Giulio, segretario, fino al 13 maggio 1907; ANCILOTTO conte Giuseppe, segretario, dal 26 novembre 1906.

PARAGUAy

GAZZANIGA Ettore, incaricato d’affari.

PERSIA

Teheran – RIvA Giovanni Paolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PERÙ

Lima – CARLETTI Tommaso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PORTOGALLO

Lisbona – GUASCO DI BISIO Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 28 dicembre 1906; PAULUCCI DE’ CALBOLI Raniero, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 29 dicembre 1906; ANCILOTTO conte Giuseppe, segretario, fino al 2 settembre 1906; MARChETTI FERRANTE Giulio, addetto (dal 5 agosto 1907 segretario).

ROMANIA

Bucarest – BECCARIA INCISA Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ARRIvABENE vALENTI GONZAGA conte Carlo, addetto con il titolo di segretario (dal 5 agosto 1907 segretario); FRESCOT Filiberto, addetto, dal 15 agosto 1907; ZAMPOLLI Isidoro, capitano di Stato Maggiore, addetto militare; GRONDA Giuseppe, interprete.

RUSSIA

Pietroburgo – MELEGARI Giulio, ambasciatore; CAETANI Livio, segretario (dal 5 agosto 1907 consigliere), dal 3 ottobre 1906; COBIANChI vittore, segretario, fino all’8 maggio 1907; TOMASI DELLA TORRETTA Pietro, addetto con il titolo di segretario (dal 5 agosto 1907 segretario); RUGGERI LADERChI conte Paolo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; GhERSI Alessandro Arturo, archivista interprete.

SALvADOR

NAGAR Carlo, ministro residente (residente a Guatemala).

SANTO DOMINGO

SAvINA Oreste, ministro residente (residente a L’Avana).

SERBIA

Belgrado – GUICCIOLI marchese Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ROMANO AvEZZANA barone Camillo, segretario, fino al 6 gennaio 1907; ANCILOTTO conte Giuseppe, segretario, dal 3 settembre al 25 novembre 1906; DEL MASTRO Cesare, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a vienna) sostituito da ZAMPOLLI Isidoro, capitano di Stato Maggiore, addetto militare; DE SARNO SAN GIORGIO Dionisio, interprete.

SIAM

Bangkok – N. N.

SPAGNA

Madrid – SILvESTRELLI Giulio, ambasciatore; SFORZA Carlo, segretario, fino al 19 gennaio 1907; CAMBIAGIO Silvio, segretario, fino al 24 settembre 1906; RUSPOLI Mario, principe di Poggio Suasa, segretario (dal 5 agosto 1907 consigliere, dal 18 marzo 1907; DEPRETIS Agostino, addetto (dal 5 agosto 1907 segretario), dall’8 dicembre 1906.

STATI UNITI

Washington D.C. – MAyOR DES PLANChES barone Edmondo, ambasciatore; MONTAGNA Giulio Cesare, segretario; NANI MOCENIGO conte Giovanni Battista, addetto, fino al 26 luglio 1907; CENTARO Roberto, addetto; CORA Giuliano, addetto, dall’11 giugno 1907; PFISTER Carlo, tenente di vascello, addetto navale; RAvAjOLI Antonio, delegato commerciale.

SvEZIA

Stoccolma – FERRARA DENTICE Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

SvIZZERA

Berna – MAGLIANO DI vILLAR SAN MARCO conte Roberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 26 dicembre 1906; CUSANI CONFALONIERI marchese Luigi Girolamo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 27 dicembre 1906; DI MONTAGLIARI marchese Paolo, segretario, fino al 13 gennaio 1907; PIGNATTI MORANO conte Bonifacio, addetto (dal 5 agosto 1907 segretario); CATALANI Giuseppe, addetto, fino al 18 settembre 1906; TORLONIA Carlo, addetto, dal 28 dicembre 1906; DE GRESTI DI SAN LEONARDO Guido, addetto, (dal 5 agosto 1907 segretario), dal 21 febbraio 1907; vANNUTELLI Luigi, addetto, fino al 10 luglio 1906; ROPOLO Edoardo, capitano di Stato Maggiore, addetto militare.

TURChIA

Costantinopoli – IMPERIALI DI FRANCAvILLA marchese Guglielmo, ambasciatore; DE MARTINO Giacomo, segretario, fino al 25 gennaio 1907; SFORZA Carlo, segretario, dal 20 gennaio 1907; GARBASSO Carlo, segretario, fino al 6 ottobre 1906; NANI MOCENIGO conte Giovan Battista, segretario, dal 10 agosto 1907; FRESChI DI CUCANEA conte Carlo Giovanni, segretario, dal 24 novembre 1906; CAMBIAGIO Silvio, addetto (dal 5 ottobre 1906 segretario), dal 25 settembre 1906; MEDICI Giuseppe, addetto (dal 5 agosto 1907 segretario); GATTONI Giulio, addetto, fino al 22 gennaio 1907; DURINI DI MONZA conte Ercole, addetto, fino al 7 novembre 1907; ELIA vittorio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; MELIA Carmelo, addetto commerciale; CANGIà Alfredo, interprete; ChABERT Alberto, interprete.

EGITTO

Il Cairo – SALvAGO RAGGI marchese Giuseppe, agente diplomatico e console generale, fino al 25 dicembre 1906; MALMUSI Giulio, agente diplomatico e console generale, dal 26 dicembre 1906; MANZONI Gaetano, segretario, fino al 15 febbraio 1907; SERRA Attilio, segretario, dal 14 luglio 1907; TACOLI marchese Arrigo, addetto (dal 5 agosto 1907 segretario), dal 4 maggio 1907.

BULGARIA

Sofia – CUCChI BOASSO Fausto, agente diplomatico e console generale; RUBIN DE CERvIN Gustavo, maggiore di cavalleria, addetto militare.

URUGUAy

Montevideo – BOTTARO COSTA conte Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Buenos Aires), sostituito da COBIANChI vittore, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

vENEZUELA

Caracas – SERRA Carlo Filippo, ministro residente.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI ESTERE PRESSO IL RE D’ITALIA (29 maggio 1906 – 31 dicembre 1907)

Argentina – MORENO Enrique, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 3 giugno 1907; SAENZ PEñA Rocco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 4 giugno 1907; MARTINEZ-CAMPOS Gabriele, primo segretario, fino all’agosto 1907; GARCIA j. G., primo segretario; REyES jorge, secondo segretario, fino all’ottobre 1906; CANTILO jOSè M., secondo segretario, dal novembre 1906; DE ROSSI Eduardo, addetto, fino al giugno 1906; ZILERI Ferruccio, addetto commerciale; vILLARUEL Edoardo, colonnello, addetto militare, dal settembre 1906 al settembre 1907; TOSCANO Pedro, addetto militare, dal settembre 1907; BESSON Beltrando, tenente di vascello, addetto navale, fino al febbraio 1907; MARTIN Giovanni, capitano di vascello, addetto navale, dal febbraio 1907; MORA Alejandro, addetto onorario, fino al giugno 1906; DE ALvEAR Diego, addetto onorario, fino al giugno 1906.

Austria-Ungheria – vON LüTZOw heinrich, ambasciatore; SOMSSICh DE SáARD conte józsef, consigliere, dal 15 febbraio 1907; vON FLOTOw barone Ludwig, consigliere, fino al novembre 1907; COLLOREDO MANNESTELD conte Ferdinand, segretario, dal febbraio 1907; vON hOhENLOhE-wALDENBURG principe Nikolaus, addetto, fino al giugno 1906; vON ThURN conte Alexander, addetto, fino al settembre 1907; vON FRANCkENSTEIN barone Georg, addetto, fino al gennaio 1907; DUBSky conte Adolf, addetto, dal giugno 1906; wENCkhEIM conte Paul, addetto, dal giugno 1906 al giugno 1907; ZUCCULIN heinrich, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, fino al novembre 1906; MIETZL August, comandante di Stato Maggiore, addetto militare, dal novembre 1906; MIChIELI DE vITTURI Nikolaus, tenente di vascello, addetto navale.

Baviera – vON TANN-RAThSAMhAUSEN barone Rudolf, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; vON GRUNELIUS barone Ernst, consigliere, fino all’ottobre 1906; vON LOTZBECk barone karl, addetto, fino al maggio 1907; vON PREySING conte konrad, addetto, (dall’agosto 1907 segretario), dal maggio 1907.

Belgio – vERhAEGhE DE NAEyER Léon, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 23 settembre 1906; MASkENS Leone, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 27 dicembre 1906; GRENIER barone Alberic, consigliere, fino al giugno 1906; vAN GROOTvEN Edmond, consigliere, dal 22 ottobre 1906; vAN yPERSELE DE STRIhOU Maxime, primo segretario.

Brasile – DE MELLO E ALvIM julio h., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE BARROS MOREIRA Alfredo, primo segretario (dal febbraio 1907 consigliere); DE SOUZA DANTAS Luiz Martins, secondo segretario; TROMPOwSkI LEITãO DE ALMEIDA Roberto, colonnello, addetto militare dal giugno 1906.

Bulgaria – MINčOvIć Dimitri, agente diplomatico; kOLUčEv Nedelko, primo segretario, fino al gennaio 1907; ExARQUE Ivan A., segretario, fino al luglio 1906; kARAyOvOFF Thomas, primo segretario, dal gennaio 1907; STOyANOv Aleksander, secondo segretario, dal febbraio 1907; kRAvAREFF vassil P., addetto, dal novembre 1906; BURMOv Christo, maggiore, addetto militare.

Cile – EDwARDS MCCLURE Agustín, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, sostituito poi da ALDUNATE BASCUñAN Santiago, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GREZ victor, primo segretario; RODRIGUEZ MENDOZA Emilio, secondo segretario; SMITh Ramon Escobar, secondo segretario; MURILLO Alejandro, addetto; MERy L. jorge, capitano di fregata, addetto navale.

Cina – hOUANG kao, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; TChAI TchingSoung, segretario interprete; hOUANG Chien, segretario, fino al maggio 1907; hOUANG En-yao, segretario interprete; FONG kong-Pao, addetto interprete e commerciale; TAEN Tzo-jen, segretario; hSU Muh-jung, addetto; hSU Ton-Feng, addetto; LI hong-Ping, addetto.

Colombia – hURTADO josé Marcelino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Costarica – MONTEALEGRE Rafael, incaricato d’affari.

Cuba – FERRER y PICABIA Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (assente); PEDROSO Carlo, primo segretario, incaricato d’affari ad interim; SOLER y BARò Enrico, addetto, dall’ottobre 1906.

Danimarca – MOLTkE karl, incaricato d’affari; BERTOUCh-LEhN barone POUL j., addetto onorario.

Francia – BARRèRE Camille, ambasciatore; LEGRAND Albert, consigliere (da gennaio 1907 ministro plenipotenziario); OLLé LA PRUNE Giuseppe, segretario, dal novembre 1906; DE FONTARCE René, secondo segretario, fino al novembre

1906; LAROChE jules, secondo segretario; GATINE Lucien, terzo segretario, fino al novembre 1906; DE LA CROIx DE RAvIGNAN barone Marie-André-jean, terzo segretario, fino all’agosto 1906; CAMBON Enrico, terzo segretario (dall’agosto 1907 secondo segretario), dal novembre 1906; CORBIN Carlo, addetto, dall’agosto 1906; DE SAINT-jAMES Edgard, tenente colonnello, addetto militare, fino al luglio 1907; jULLIAN, tenente colonnello, addetto militare dal luglio 1907; LACAZE Lucien, capitano di vascello, addetto navale, fino al novembre 1907, DE SAINT PAIR Giorgio, capitano di vascello, addetto navale dal novembre 1907.

Germania – MONTS vON MAZIN conte Anton, ambasciatore; vON jAGOw Gottlieb, consigliere, fino al giugno 1906; vON RITTER vON GRüNSTEIN barone O.-Lother, consigliere, dal giugno 1906; vON wEDEL conte, secondo segretario, dal giugno 1906; vON LIPPE, principe julius Ernst, terzo segretario, fino al dicembre 1906; vON GOERTZ, conte karl, tenente, addetto, fino al novembre 1907; vON ySENBURG UND BüDINGEN-wãChTERSBACh principe wolfgang, tenente, addetto, dal giugno 1907; BEyERSDORF, tenente, addetto, dall’agosto 1907; vON hAMMERSTEINEQUORD, barone kurt, comandante di Stato Maggiore, addetto militare; RAMPOLD, addetto navale.

Giappone – OhyAMA Tsunaské, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, sostituito da TAkAhIRA barone kagoro, ambasciatore; kASAkABé Sankuro, primo segretario; hAMEyAMA Matsujiro, secondo segretario, dal giugno 1907; IMAI Shinooh terzo segretario; ShOjI yoshimoto, capitano di vascello, addetto navale.

Gran Bretagna – EGERTON sir Edwin henry, ambasciatore; DES GRAZ Charles Louis, consigliere; FORD john Gorman, primo segretario, dal novembre 1906 all’ottobre 1907; AkERS-DOUGLAS Aretas, secondo segretario, dal marzo 1907; PhIPPS Eric Clare Edmund, secondo segretario, dal settembre 1906; ChEEThAM Milne, secondo segretario, fino al novembre 1906; hAMILTON Ronald james, secondo segretario, fino al dicembre 1906; wELLESLEy victor, secondo segretario, fino al luglio 1906; PETO Ralph harding, terzo segretario, fino al maggio 1906; LASCELLES visconte henry George Charles, addetto, fino all’agosto 1907; PALAIRET Charles Michael, addetto (dal settembre 1907 terzo segretario), dal maggio 1906; whITAkER hugh, addetto onorario, dal settembre 1907; DELMé RADCLIFFE Charles, tenente colonnello, addetto militare; kEyES Roger john Brownlow, comandante, addetto navale, fino al dicembre 1907; wILLIAMSON Adolphus hudleston, comandante, addetto navale, dal dicembre 1907; BENNETT Andrew Percy, addetto commerciale, fino all’aprile 1907.

Grecia – MIZZOPOULOS Christos, incaricato d’affari.

Guatemala – TIBLE y MAChADO josé, segretario, incaricato d’affari (la legazione aveva sede a Londra).

Messico – ESTEvA Gonzalo A., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ESTEvA y CUEvAS Eduardo A., secondo segretario; PEREZ josé Maria, generale, addetto militare.

Monaco – DUGUé DE MAC CARThy Pierre, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 1° maggio 1907; DE MALEvILLE conte henri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 2 maggio 1907; FLOQUET Georges, addetto.

Nicaragua – CRISANTO MEDINA, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MONZANO TORRES T., segretario (la legazione aveva sede a Parigi).

Norvegia – vON DITTEN Thor, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LIE Michael Stroem, consigliere; MIChELET johan wilhelm, segretario; hUITFELDT Arild, addetto.

Paesi Bassi – vAN wEEDE h., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MELvILL vAN CARNBEE R., segretario (dall’aprile 1907 primo segretario).

Persia – MALCOM Mirza khan, principe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MIRZA BAGhER khan, addetto, dal maggio 1905; FREyDUN khan, principe, addetto militare.

Perù – CáCERES generale Andrés Avelino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MELENDEZ wenceslao, primo segretario.

Portogallo – DE CARvALhO E vASCONCELLOS Mathias, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MONTEvERDE Alfredo Achille, primo segretario; LAMBERTINI PINTO josé Maria, secondo segretario; NOGUEIRA PINTO josé Leite, addetto, fino al novembre 1906; DO NASCIMENTO Mario, addetto, dal novembre 1906.

Romania – FLEvA Nicolae, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ZAMFIRESCU Duilius, consigliere, fino all’agosto 1906; FILALITy Giorgio, consigliere, dall’ottobre 1906; LAhOvARy Ion A., terzo segretario, vLADESCO G., capitano, addetto militare dall’ottobre 1906.

Russia – MURAvIEv Nicolaij valerianovič, ambasciatore; kORFF-SChMISING barone Modesto, consigliere; LERMONTOv G., primo segretario; kELLER conte Aleksandr, secondo segretario, fino all’ottobre 1906; EvREïNOw Aleksandr, secondo segretario, dall’ottobre 1906; RUkAvIChNIkOv vassilij, addetto; BERNOv Boris, tenente colonnello di cavalleria, addetto; GOLENISTChEv-kOUTONSOv conte Sergeij, addetto, dal novembre 1906 al dicembre 1907; SChILLING barone Gustaf, addetto, dal dicembre 1906; LEvkOvITCh-GOUDIME, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto, dal marzo 1907; GIULIANI, capitano, addetto, dal dicembre 1906 al dicembre 1907; LEINAN Sergeij, capitano, addetto, dal maggio 1907; SOLDATENkOw Basil, tenente di vascello, addetto, dal novembre 1906; vON MüLLER Evgenij, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; kAPNIST, conte, tenente, addetto navale, fino al novembre 1906; DEhN, tenente di vascello, addetto navale, dal novembre 1906.

Serbia – MILOvANOvIć Milovan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, SOUBOTICh Branislav, segretario, dal dicembre 1907.

Siam – PhyA SURIyA NUvATR, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al febbraio 1907; ChAROON principe, incaricato d’affari, dal febbraio 1907 inviato straordinario e ministroplenipotenziario; CORRAGIONI D’ORELLI Carlo, consigliere; LUANG MONTRI NIkARA kOSA, segretario; RyCkMAN Fernand, addetto; NAI ChAI, addetto, fino al dicembre 1907; (la legazione aveva sede a Parigi).

Spagna – BRUNETTI y GAyOSO DE LOS COBOS josé Ambrosio duca d’Arcos, ambasciatore, fino al 20 maggio 1907; PéREZ-CABALLERO y FERRER, D. juan, ambasciatore dal 21 maggio 1907; SOLER y GUARDIOLA Pablo, consigliere; GIL DELGADO Manuel, secondo segretario; ALCALà GALIANO Fernando, addetto, fino all’aprile 1907; INCLáN Manuel, addetto, fino al luglio 1906; DEL RIO y GARCIA Gonzalo, addetto, fino al luglio 1907; ROMERO E IBARRETA marchese DE ROMERO DE TEjADA Luis, addetto dall’ottobre 1907; LOSADA D. Luis, addetto, dal settembre 1906 al novembre 1907; CAvALCANTI DE ALBURQUERQUE y PADIERNA josé, comandante di cavalleria, addetto militare, fino al novembre 1907; MANZANO Francesco, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, dal novembre 1907.

Stati Uniti – whITE henry, ambasciatore, fino al marzo 1907; LLOyD C. GRISCOM, ambasciatore, dal 17 marzo 1907; hITT R. S. Reynolds, primo segretario; ThOMAS Leonard Moorhead, secondo segretario, fino al febbraio 1907; wARREN joseph, addetto; O’D. ISELIN william, addetto, fino al luglio 1906; STEvENS SANDS S., segretario, dal marzo 1907; EDwARDS Frank A., maggiore, addetto militare; hOwARD william, comandante, addetto navale, fino al 19 gennaio 1907; BERNADOU j.C, comandante, addetto navale, dal 20 gennaio 1907.

Svezia – BILDT barone Carl Nils Daniel, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; STRäLE Gustav v.T., consigliere, dal febbraio 1907.

Svizzera – PIODA Giovanni Battista, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LARDy Charles L. E., segretario; SChNEELI Gustav, addetto; wIEDEMANN karl Paul, addetto, fino al 1°ottobre 1906; hüBSChER Charles Paul, addetto, dal febbraio 1907.

Turchia – REShID Mustafa bey, ambasciatore; FUAD hIkMET Ali bey, consigliere; CUyUMDjIAN Ohanes bey, primo segretario; BLACQUE R. bey, secondo segretario; ZIA Ibrahim bey, secondo segretario; ARIF Ismail bey, addetto; ChEFIk hussein bey, addetto (dal marzo 1907 terzo segretario); FAIk bey, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare.

Uruguay – CUESTAS juan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ROvIRA Enrique, primo segretario; ROvIRA Enrique josé, addetto onorario; ESCABINI Stefano, capitano, addetto militare, fino all’aprile 1907, BERNASSA y jEREZ juan, addetto militare, dal maggio all’agosto 1907.